giovedì 29 maggio 2014

A MARGINE DELLE ELEZIONI EUROPEE....

Ho trovato on line questa pagina
è inerente gli argomenti che stiamo trattando
per questa ragione ve la pubblico qui.
Buona lettura

Aldo Vincent
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Conosco la poca memoria italica che contraddistingue i miei compatrioti quando si parla di politica.
Dopo aver letto i commenti sulla debacle di Grillo (che non lo è affatto, ma transeat) ho deciso di mettere on line un interessante articolo di Gilioli del 2007 quando il fenomeno Grillo e la Rete fece tanto clamore da scomodare alcuni noti pensatori della nazione.

Sesto potere

di
Alessandro Gilioli
Dopo il caso Grillo, internet sotto accusa: è davvero un luogo di confronto democratico o può diventare un ''grande fratello'', più persuasivo, populista e pericoloso della televisione?Quando Hillary Clinton si è presentata alle presidenziali americane lo ha fatto con un messaggio in Internet. Un filmato brevissimo, otto secondi. Molto leggero, per non escludere chi non aveva la banda larga o era in Rete col telefonino. Che cos'ha detto Hillary? Niente o quasi: sono qui, mi candido, converseremo, arrivederci. Una performance salutata dai più con entusiasmo (wow, siamo nell'era delle Web-primarie!) ma che forse nascondeva l'essenza profonda della comunicazione politica in Rete: ultralight, brevissima, priva di contenuti, degradata a minispot. L'ipotesi che il videoclip della Clinton rappresenti la più evidente metafora dei rischi di Internet viene avanzata da un docente di marketing come Paolo Landi, che a metà ottobre uscirà con il primo libro 'Contro il Web' scritto finora in Italia: 'Impigliati nella Rete', edito da Marsilio. Un saggio, ovviamente, pensato prima che Beppe Grillo riempisse le piazze con i suoi 300 mila usciti dal mondo virtuale per incarnarsi in lunghe fila davanti ai banchetti. Ma è proprio il fenomeno Grillo a far esplodere la questione in tutta la sua attualità: e se Internet, per caso, fosse 'peggio' della televisione, in termini di persuasione occulta e manipolazione dei cervelli?E se il mezzo 'democratico' per eccellenza, quello con cui chiunque può partecipare e far sentire la sua voce al mondo a costo zero, fosse invece un medium che esalta infinitamente il carisma e semplifica a dismisura il messaggio? Ancora: e se per ottenere consenso attraverso la Rete - scatenando il famoso tam tam che consente di diventare popolari on line - fosse indispensabile un'esaltazione dei toni, un impoverimento del linguaggio e un azzeramento della riflessione? Insomma: e se Internet rischiasse in qualche caso di trasformarsi in una specie di 'Sesto potere', ancora più potente del Quarto di Orson Welles e del Quinto di Sidney Lumet?


Ovviamente nel successo di Grillo agli elementi mediatici si mescolano robuste questioni di contenuto, come l'avversione diffusa per una classe di politici che ne ha combinate un po' troppe. Ma
è attraverso il Web che Grillo è uscito dal cono d'ombra mediatico a cui l'aveva costretto il lungo esilio televisivo, ed è usando la grammatica di Internet che il comico genovese ha diffuso il suo messaggio, ottenendo i risultati che si sono visti. E allora la domanda resta: com'è fatta questa grammatica? Porta al confronto orizzontale e alla vera partecipazione dei cittadini dal basso o - al contrario - a un'illusione di coinvolgimento che nasconde dinamiche in cui la qualità dei messaggi è secondaria rispetto alla capacità di utilizzare il mezzo?

"La Rete è il modello di comunicazione ideale per una generazione che ha tempi di consumo rapidi e non gradisce altre forme espressive in cui i contenuti non siano sintetici e sincopati", accusa Landi. Il cui riferimento è, evidentemente, al fatto che il linguaggio con cui si comunica sul Web (dagli Instant messages agli stessi blog, fino ai videoclip) ha come caratteristica fondante l'estrema brevità. I famosi tre minuti oltre i quali si cambia canale in tivù, sono diventati quattro righe di 'post' o cinque secondi di videoclip oltre i quali si cambia sito. Con la conseguenza che la Rete rischia di premiare i messaggi meno articolati. Oltre che, naturalmente, i più 'divertenti':
al Web ci si avvicina come mezzo più di entertainment che di informazione, quindi non è strano che ad aver successo sia un comico, proprio come su YouTube i video più popolari sono quelli che fanno ridere. Ma è sul mix di assertività e rozzezza che insiste Landi: "Come Hillary, costretta a usare nel suo messaggio in Rete un linguaggio a prova d'idiota, anche Beppe Grillo ricorre a concetti molto basici per farsi capire dal popolo dei blog. A molti può sembrare una grande novità in politica usare la parola 'Vaffanculo', ma è la parola magica che tutti capiscono in un universo come la Rete che ha tempi di consumo rapidissimi. Che non azzerano la distanza tra politico e cittadino ma semmai azzerano la comunicazione di idee".

Un parere isolato? Neanche tanto. Uno dei maggiori filosofi del Web ,
David Weinberger (coautore del 'Cluetrain Manifesto') spiega a 'L'espresso' che "Internet per sua natura è un medium che permette l'espressione di posizioni populiste", anche se, aggiunge, "questo non è necessariamente un male, perché rafforza il legame diretto tra la politica e la gente". Dice Weinberger: "Quello che è interessante dell'iniziativa di Grillo è che per la prima volta nella storia di Internet una e-campaign ha avuto un impatto reale: Grillo è riuscito a far smuovere la gente, a farla convenire in un luogo fisico reale. Da questo punto di vista dunque segna l'inizio di una nuova era, visto che finora nessuna campagna via Web aveva ottenuto questo risultato in nessun luogo del mondo".

Perché questo sia accaduto proprio in Italia, ovviamente, è motivo di ulteriore riflessione: può avere a che fare, ad esempio, con la ricorrente tendenza nostrana ad affidarsi all'Uomo forte - è la tesi di Eugenio Scalfari e di altri - o forse con il degrado della politica che ha fatto da detonatore. Ma quale che sia il motivo, il rischio che la Rete si trasformi in un Sesto potere viene segnalato con forza da un esperto italiano di lungo corso come
Vittorio Zambardino, che dal suo sito ZetaVu ha lanciato per primo il sasso nella blogosfera: "Pensavamo che Internet fosse un mezzo ugualitario, sereno e dai dialoghi ragionati: invece il caso Grillo mostra che la potenza della tecnologia funziona al servizio di un disegno carismatico, semplificatorio e sommario", dice Zambardino. E aggiunge: "Grillo ci ha mostrato che il furore sta alla comunicazione via Internet come l'ossigeno all'aria: la compone, le dà significato e senza quella non esisterebbe nemmeno".

Un atto di accusa in contromano rispetto all'opinione fino a ieri più diffusa (la Rete come mezzo orizzontale e pluralista, che fa crescere la coscienza sociale). Secondo
Antonio Sofi - docente di Sociologia della comunicazione a Firenze, blogger autorevole (su Webgol.it) e organizzatore di campagne elettorali on line in Italia e negli Usa - la provocazione di Landi e Zambardino è benvenuta ma va valutata all'interno di un contesto più complesso: "Si può usare Internet in mille modi diversi e con mille finalità, quindi può ben essere un luogo carismatico di semplificazione e di aggressione", dice Sofi: "Vale l'esempio del classico coltello che può essere usato per tagliare il pane o per offendere. Non esiste una sola Internet, ma tante Internet quante sono le persone che la usano. Ecco perché le semplificazioni e le aggressioni e le derive populistiche e i culti della personalità non possono inibire il funzionamento della Rete nel suo complesso".

Aggiunge
Kevin Kelly, fondatore della rivista 'Wired' e autori di diversi libri sulla Rete: "Io non credo che il Web sia un pericoloso Sesto potere, ma porre la questione ha un senso perché almeno si mette in discussione l'idea opposta - molto diffusa e secondo me illusoria - che la democrazia possa essere allargata e ampliata dal Web. Invece i politici e i network usano la Rete come un loro strumento, un altro megafono per dare voce ai loro interessi, come fanno con gli altri media. Un demagogo o un capopolo può usare Internet come usa la tv o i giornali. Meglio capirlo in tempo".

Insomma, la Rete non sarebbe né meglio né peggio dei media tradizionali: avrebbe le stesse opportunità e gli stessi pericoli. Un'opinione condivisa da uno studioso di Web come
Giuseppe Granieri, autore di 'Blog generation' (Laterza): "Grillo conosce lo strumento del Web e sa come usarlo", dice Granieri: "Sa come innescare i processi di passaparola e sa che deve confezionare un messaggio semplice, comprensibile da tutti e condivisibile da tutti: il che per definizione espone il messaggio al rischio del populismo. Quindi fa un buon uso strumentale della Rete. Ma il suo linguaggio non è specificamente internettiano: usa tutti i media che ha a disposizione, da sempre. Si è accreditato grazie ai trascorsi televisivi, usa spettacoli e Dvd e risonanza sui media tradizionali per mantenere visibilità e accreditamento. Poi usa Internet con i meetup e il blog. Che però senza tutto il resto sarebbero poca cosa". ConcordaDan Gillmore, columnist tecnologico della Silicon Valley e autore di 'We the media', uno dei libri chiave sul rapporto tra Web e informazione tradizionale: "Che la Rete possa diventare un media che fomenta sommosse o che legittima il qualunquismo mi pare discutibile. Però può essere molto efficace nello scatenare e organizzare fenomeni di fanatismo religioso e politico. Chi opera nella comunicazione su questo dovrebbe fare una riflessione".

E lui, Beppe Grillo, il cui successo 'newmediatico' ha scatenato il dibattito in Italia e all'estero, che ne dice? Molto semplicemente, esalta Internet come unico strumento d'informazione del futuro ("Voi giornalisti siete tutti morti!") e progetta di concentrare le sue future battaglie proprio sul terreno dei mass media: "Il prossimo V-day sarà contro la tv e i giornali", dice: nel tentativo (finora riuscito) di contrapporre il binomio 'casta politica-mass media tradizionali' all'accoppiata uguale e contraria 'Antipolitica-Internet'. Secondo Grillo, "in Rete se racconti delle balle dopo 24 ore ti arrivano duemila commenti che ti dicono che sei un cialtrone, quindi non puoi mentire, e questa è la democrazia. Se invece parli attraverso la tv o attraverso i giornali non c'è contraddittorio. Sul Web ce l'hai".

Un ragionamento molto lineare, fondato però sulla convinzione che i commenti a un blog costituiscano la forma più avanzata di confronto e di discussione in Rete. Il che lascia assai perplessi tutti quelli che con il Web 2.0 hanno una certa dimestichezza e considerano invece i commenti un sistema molto rudimentale di interazione. Il più critico in merito è
Massimo Mantellini, esperto di Internet e titolare di Manteblog.it, uno dei più stimati e cliccati siti hi-tech italiani: "Beppe Grillo in realtà sfrutta la Rete disinteressandosi delle sue caratteristiche di 'nuovo media', vale a dire di strumento comunicativo bidirezionale. Al contrario, usa Internet come un media convenzionale", dice. "In alcuni casi la politica tende a usare Internet 'da uno a molti', magari con semplici video messi on line", continua Mantellini. "Questa 'youtubizzazione' sottrae i politici dalla mediazione giornalistica e quindi li libera da molti fastidi: si parla direttamente all'elettore aspettandosi che questi ascolti e basta. Tuttavia in Rete questi tentativi sono una goccia nel mare e sono destinati a fallire".

Concorda un altro noto blogger italiano,
Luca Sofri, autore di Wittgenstein.it: "In Rete Grillo emette ma non riceve", dice: cioè lascia liberi i commenti ma poi non interagisce né con i suoi lettori né con il resto della blogosfera."E poi che cosa c'entra il contraddittorio dei commenti con la democrazia?", continua Sofri: "La democrazia è rappresentatività. Se ci fosse il contraddittorio su ogni cosa, a Martin Luther King dopo 'I have a dream' lo dovevano interrompere per sentire anche i sogni di tutti gli altri". Sulla stessa linea Antonio Sofi: "Lasciare un microfono aperto non è automaticamente democrazia. Grillo ha scelto di disegnare la sua Internet come fosse un palcoscenico teatrale, in cui c'è chi si esibisce sopra il palco dei post e un pubblico che sta nella platea dei commenti a godersi lo spettacolo e a chiacchierare tra loro. Di qui una certa illusione di partecipazione e interazione. Ma i commenti alla fine tendono a perdersi nel rumore di fondo di mille altri commenti diventando di fatto applausi o fischi". Rincara Paolo Landi: "In questo momento all'ultimo post di Grillo ci sono 2.433 commenti che il mio pc fatica ad aprire. Ma chi li legge? E chi ha voglia di rispondere a 2.433 sconosciuti o anche a uno solo di essi? Più che un contraddittorio sembra uno sproloquio. Collettivo, ma pur sempre sproloquio".

Tanto più che i mitici commenti, spesso anonimi, finiscono spesso per ridursi a puri turpiloqui, il che rafforzerebbe le critiche di chi considera Internet uno strumento che esalta l'assertività più triviale a discapito dei ragionamenti. Nota Luca Sofri che "
la Rete ha investito moltissimo sulla libertà a scapito della costruzione di un codice di civiltà, rispetto e regole (che è stato spesso visto come possibile ostacolo alla libertà). Oggi le persone più esperte e sagge sull'uso della Rete riconoscono che non sempre quello che è privo di regole è apprezzabile: come fu negli anni Ottanta con i famosi microfoni aperti di Radio radicale. In generale, mi pare che si riesca a trovare un equilibrio: poi però arrivano il grande comico e l'esasperazione per questi politici, e questo equilibrio si perde".

Allora i commenti ai blog sono uno spazio di democrazia o ne rappresentano solo una parodia, un'agorà vociante di anonimi che cicaleggiano e s'insultano nel vuoto? Per chi studia il Web 2.0 la risposta è abbastanza ovvia perché le vere forme di confronto in Internet sono altre, costituite dai Social network e dal dibattito ragionato che si sviluppa ogni giorno tra migliaia di blog. Sintetizza
Sergio Maistrello, autore del libro 'La parte abitata della Rete': "Se Grillo volesse usare veramente il Web come strumento di democrazia, a questo punto direbbe: ehi ragazzi, andiamo forte, ma non statemi tutti qui tra le palle, che i vostri commenti nemmeno li leggo, non ho né il tempo né la voglia. Semmai moltiplichiamoci, apritevi un blog anche voi, colonizzate le vostre reti sociali. È facile, se ci riesco io ce la potete fare anche voi". E allora Internet non correrebbe più il rischio di diventare il Sesto potere.(ha collaborato Paolo Pontoniere)(27 settembre 2007)