giovedì 20 febbraio 2020

infosfera

L' infosfera è la nuova biosfera?

«Lo "spazio", nel senso di dove faccio la spesa, dove incontro gli amici, dove litigo, non è più solo analogico, ma è fatto anche di informazioni. Viviamo un continuum, da Facebook alla piazza delle sardine. E questo non è comunicazione, è un ambiente in cui viviamo».



Perché teorizza una «quarta rivoluzione»?
onlife 1 



«La prima, con Copernico, ci ha tolto centralità nell' universo, la seconda con Darwin ce l' ha tolta nella biologia, la terza con Freud ha tolto centralità alla mente. Ora, col digitale, interagiamo con oggetti che fanno cose al posto nostro e sfidano il nostro senso di unicità. Il computer gioca a scacchi meglio di noi e ci chiediamo: allora, io chi sono? Ma questa perdita di centralità è un impoverimento che è un arricchimento, perché ci costringe a mettere al centro le relazioni con l' altro. Non è saper giocare a scacchi che ci rende eccezionali, è magari il desiderio di giocarci, il fatto che vorremmo vincere o che gioco peggio perché gioco con mia nipote e voglio che vinca lei».


Luciano Floridi Luciano Floridi 
 

Nei ringraziamenti di un suo libro, scrive che deve a sua moglie Anna Christina De Ozorio Nobre «non solo una vita di amore, ma anche l' intuizione di parlare di quarta rivoluzione».
luciano floridi 2 luciano floridi 
 

«Le devo anche il suggerimento di puntare sull' infosfera. L' ho nominata e ha detto: è una parola bellissima, devi lanciarla. È stata lei a scoprire il filosofo prima di ogni altro.

Ci siamo conosciuti a Oxford, dov' è ordinaria di Neuroscienze, e ne ho una stima illimitata. La quarta rivoluzione era una nota in un articolo per una rivista specialistica e lei: "Ma questa finalmente è una cosa su cui investire!". Quando sei immerso fra cose tutte interessanti, è fondamentale avere qualcuno che, dall' esterno, con prospettiva intelligente, ti dice: tutte queste cose sono belle ma per pochi; queste sono belle ma per tanti».




mercoledì 5 febbraio 2020

mcluhan




INTRODUZIONE




L’attualità di Marshall McLuhan.

Sono certo che lo abbiate sentito nominare, qualcuno lo ha persino citato, come Maurizio Costanzo, per esempio, che nelle video conferenze dove teneva i suoi famosi corsi sulla comunicazione soleva dire: “Come ampiamente scritto dal Mc Luhan, la televisione è figlia della radio...” prendendo una topica imbarazzante per un “docente” di queste materie.

O come Umberto Eco il cui amore per la battuta, davanti all’apodittico: “Il mezzo è il messaggio” dichiarò: “Ve bene, allora vorrà dire che quando riceverò un telegramma leggerò il postino...”. Frase scherzosa, che però lo ha fatto cadere in un sepolcrale silenzio per quarant’anni, in cui non ha mai ripreso l’argomento.



Il problema secondo me è proprio il professor McLuhan, da sempre contestato, sempre citato ma poco letto nella sua interezza. Innnanzi tutto perchè questo canadese (nato nel 1911 a Edmonton) era “solamente” un professore di letteratura inglese con una cattedra presso l’Università del Wisconsin (anno accademico 1936-37) poi nell’Università di St.Louis (dal 1937 al 1944) Nel 1939 preparò la sua tesi di dottorato a Cambridge, dal 1944 al 1946 insegnò presso l'Assumption College a Windsor, nel Canada. Dal 1946 al 1979 insegnò al St. Michael's College, University of Toronto, poi insegnò per un anno alla Fordham University, (quando avvenne il famoso esperimento di Fordham sugli effetti della televisione) ed i continui riferimenti e le citazioni dal suo bagaglio culturale, rendono alquanto difficile la lettura.

In secondo luogo proprio per la sua forma d’esposizione, dove con estrema sintesi spiegava le sue teorie con frasi provocatorie ed estremamente apodittiche. Di carattere difficile si trovò spesso in difficoltà e non esitò ad allontanarsi dal mondo accademico per aprire una società di consulenza sulla comunicazione, studiò e propose le confezioni dei surgelati, il cartoccio del latte che sostituiva la bottiglia ed altre amenità. Fece anche da comparsa in un film di Woody Allen dove si lasciò benevolmente prendere in giro.

Morì nel 1980.



Tutto iniziò con la sua tesi di dottorato pubblicata nel 1943 a Cambridge: un saggio di formidabile erudizione, dove analizzava la storia sistematica delle arti verbali (grammatica, logica e dialettica, retorica) da Cicerone fino a Thomas Nashe.

Parte di questo materiale venne poi raccolto e pubblicato nel suo primo lavoro: “La sposa meccanica” che attrasse l’attenzione di Marcuse e dell’ambiente accademico della Columbia University per poi rimbalzare in Europa grazie alla rivista “Les Temps Modernes” di Jean-Paul Sartre e degli esistenzialisti che proprio allora aprivano il fronte dello “Strutturalismo”.



Seguì nel 1962 “Galassia Gutemberg” il libro che gli diede la fama mondiale sia perché rivedeva in modo rivoluzionario le teorie sul progresso e l’influenza della stampa sull’emancipazione della civiltà moderna, sia per il metodo seguito per esporre le sue idee. Infatti per la prima volta nella storia della scrittura, un libro era scritto non usando il consueto metodo logico-sequenziale, ma con un sistema caotico-puntuativo riusciva a legare insieme brani di letteratura inglese che secondo lui avrebbero provato l’esattezza delle sue intuizioni. Torneremo su questo lavoro, basti solo accennare al fatto che in fondo al libro, i titoli dei vari capitoli letti tutti insieme costituiscono un capitolo a parte!



Con “Understanding Media” pubblicato in Italia dal Saggiatore nel 1964 col titolo: “Gli strumenti del comunicare” Mc Luhan completa la rivoluzione del concepire i media (usa per la prima volta questa definizione) e l’interagire dei mezzi di comunicazione di massa con il progresso umano.



Abbiamo qui citato tre dei suoi lavori: La sposa meccanica, Galassia Gutemberg e Understanding Media, che nell’edizione italiana costituiscono un malloppo di circa 800 pagine con citazioni, elucubrazioni, provocazioni, e tutto quello che il luogo comune ha percepito sono tre apodittici:



L’automobile è un carapace dentro il quale l’uomo moderno scarica la propria aggressività generata dalle sue frustrazioni



Il Mezzo è il messaggio



Il Villaggio Globale



Dimenticando citazioni profetiche come questa, scritta attorno agli anni ‘40:



“”

La società tattile trasformerà le nostre città imponendo la sua velocità, che è quella dell'elettrone. Abolirà le distanze ma soprattutto smaterializzerà i medium di comunicazione. Il denaro da moneta si trasformerà in credito, la parola scritta muterà in immagine e per poter essere processata, in pixel e, poi, in bit di informazione. Alla struttura lineare dei testi subentrerà la fluidità degli ipertesti. E le murature, sinora solide e perenni, diventeranno sottili membrane che, simili alla pelle, interreleranno l'uomo con l'ambiente circostante. Basterà un comando vocale o il semplice movimento del corpo per aprire porte, muovere oggetti, accendere elettrodomestici. All'esterno il vento o la luce per comandare l'oscuramento di un infisso o avviare l'impianto bioclimatico. Se l'architettura tradizionale ha dato forma ai muscoli e alle ossa alla costruzione, la contemporanea attiverà nuovi sistemi nervosi....



“”



IL MEZZO E’ IL MESSAGGIO



La Ferrovia non ha introdotto nella società né il movimento, né il trasporto, né la ruota o la strada. Ha solamente accelerato e allargato le forme del trasporto umano già esistenti, creando città con forme e funzioni totalmente nuove, con nuove forme di lavoro e di svago. La guerra di secessione americana è l’esempio tangibile di come la ferrovia abbia modificato persino il conflitto, spostando uomini e cannoni con nuove strategie militari.

Se il lavoro era in campagna e lo svago in città, la ferrovia (e in seguito l’automobile) capovolgono le funzioni creando in città nuovi quartieri periferici per gli operai, e alla periferia nuovi conglomerati urbani per la classe media. In pratica se prima si lavorava in campagna e si raggiungeva la città per lo svago, ora le funzioni si sono capovolte.



Queste modifiche della società e delle sue funzioni sono avvenute indipendentemente dal fatto che la ferrovia attraversasse il West americano o si arrampicasse sulla Napoli-Portici. Indipendente anche dal carico trasportato, cioè dal contenuto. Perché il treno, cioè il mezzo, è il messaggio che modifica il nostro esistere.

Allo stesso modo, secondo il McLuhan, non conta molto il contenuto della televisione ma è il possesso del mezzo che aggiunge ricchezza e potere (in Italia si potrebbe imparare molto dalla querelle Televisioni di Stato-Berlusconi) indipendentemente da ciò che trasmette.



L’aeroplano, dal canto suo, accelerando la velocità dei trasporti, tende a dissolvere la città, le organizzazioni politiche ed associative proposte dalla ferrovia, indipendentemente dall’uso che se ne fa e dalle persone o cose che trasporta.



Vediamo di fare un esempio più semplice. Prendiamo la luce elettrica. Essa non appare a prima vista un mezzo di comunicazione perché non ha contenuto, e questa è una prova di come la società trascuri la definizione dei media. Poiché il contenuto di un medium è un altro medium, va da sé che non conta il messaggio contenuto nel mezzo, che sia una scritta luminosa o un faretto su di un quadro d’autore, conta il fatto che l’illuminazione di un grattacielo, di uno stadio per una partita in notturna, o un ospedale per un’operazione a cuore aperto, indipendentemente dal contenuto, ha modificato la nostra società.











IL VILLAGGIO GLOBALE



Ogni nuovo medium, che secondo il McLuhan altri non è che una protesi, cioè l’estensione tecnologica dei nostri sensi, non solo è in grado di modificare le nostre percezioni personali e le nostre convinzioni individuali, ma è in grado persino di modificare l’ambiente in cui viviamo e la società che ci circonda.

Facciamo un esempio: ammettiamo come presupposto che uno dei primi ominidi sia sceso dall’albero ed abbia scoperto di poter raccogliere frutti maturi caduti per terra.

All’arrivo di un ominide più grosso di lui che vuole cacciarlo, dopo un accenno di conflitto, il Nostro decide di andarsene più in là per evitare dolorose conseguenze. Lo stesso avviene per l’accoppiamento, dove il più forte in natura lo dimostra non solo nel proclamarsi l’unico maschio in grado di riprodursi, ma proprio nella sua capacità di tenere lontano i rivali.



Ammettiamo ora che il piccolo ominide in questione abbia scoperto per caso che alcuni frutti quali noci e mandorle, si possono aprire usando un sasso od un bastone. Questa nuova sua invenzione tecnologica altri non è – secondo ilo McLuhan – che la protesi, cioè il prolungamento del suo pugno. Ne consegue che tutte le invenzioni tecnologiche altro non siano che estensioni delle nostre facoltà, la ruota sarebbe l’estensione del piede, il canocchiale dell’occhio, la radio dell’orecchio e così via. Ma torniamo al nostro ominide.



Quando arriva l’ominide più grosso e di conseguenza più prepotente, il nostro eroe cambierà lo stato delle cose perchè grazie all’aiuto della sua nuova tecnologia sarà in grado non solo di avere la meglio in un eventuale conflitto, ma addirittura andrà ad insidiare le femmine del rivale cambiando di fatto la gerarchia basata sulla forza, indipendentemente dall’uso che adesso fa del sasso o del bastone.



Accettando una laurea honoris causa presso l’Università di Notre Dame, il generale David Sarnoff fece questa dichiarazione:

“Siamo troppo propensi a fare degli strumenti tecnologici i capri espiatori dei peccati di coloro che li maneggiano. In sè stessi i prodotti della scienza non sono nè buoni nè cattivi: è il modo in cui vengono usati che ne determina il valore”

Malgrado la frase precedente sia ampiamente condivisa, dobbiamo dire che nulla ma proprio nulla nel discorso di Sarnoff regge ad un esame un poco più attento, in quanto essa non tiene in nessun conto la natura dei medium (di qualunque medium, beninteso)

e sembra esprimere il narcisismo di chi è ipnotizzato dal suo proprio essere (Ho citato le precise parole di McLuhan).

Infatti accettando il presupposto di Sarnoff si potrebbe dire che le armi non sono nè buone nè cattive, ma dipende dall’uso che se ne fa. Che se per esempio sono usate dalla polizia per uccidere un criminale sono buone, in altri casi un po’ meno. Allo stesso modo si potrebbe dire che persino le torte alle mele sono buone o cattive, dipende dall’uso che se ne fa. Se per esempio si mangiano sono buone, se si tirano in faccia a Ridolini sono cattive.

La realtà invece è ben diversa: ogni nuovo apporto tecnologico non fa altro che aggiungersi a quello che già siamo e ogni nuova arma non sarà altro che la protesi delle nostre unghie e dei nostri denti utilizzati per la lotta, cosa ben diversa da un lettore di CD per esempio, che è l’estensione del nostro orecchio per rilassarci ascoltando musica.



Nei periodi storici precedenti questo, ogni protesi aveva esteso il nostro corpo in senso spaziale. Dopo un’esplosione durata tremila anni in cui alle varie estensioni frammentarie e puramente meccaniche, facevano seguito ampie modifiche del modo di vivere e di interreagire, da una cinquantina d’anni ci ritroviamo un mondo entrato in una fase implosiva facile da spiegare. Se ad ogni protesi e susseguente modifica dell’ essere inserito nella società nostra contemporanea, era facile reagire perchè i tempi erano meccanici, oggi dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell’elettricità abbiamo esteso il nostro sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che abolisce sul nostro pianeta tanto il tempo quanto lo spazio. E’ successo che dopo secoli in cui con la tecnologia abbiamo operato ogni genere di estensione, ora con l’appplicazione del computer ci ritroviamo con l’estensione della nostra mente, estensione che non può più essere considerata protesi, bensì campo, ed ognuno dei nostri computer è diventato un punto neuronale collegato agli altri computer del mondo che tutti insieme costituiscono una rete di neuroni con un campo di dimensioni planetarie. Il processo creativo della conoscenza è collettivamente esteso all’intera società umana proprio come, tramite i vari media, abbiamo esteso i nostri sensi ed i nostri nervi. E se nella recente era meccanica ogni variazione poteva essere accolta senza eccessive preoccupazioni, oggi l’azione e la reazione sono contemporanee. Ci ritroviamo a vivere miticamente ed integralmente anche se continuiamo a pensare secondo antichi schemi frammentari costituiti da spazio e tempo dell’era pre-elettrica. Se l’uomo occidentale aveva appreso dalla tecnologia dell’alfabetismo ad agire senza reagire (un chirurgo che operasse a cuore aperto la propria madre, sarebbe in grado di farlo senza lasciarsi coinvolgere emotivamente) ora con il nostro sistema nervoso centrale tecnologicamente esteso fino a coinvolgere l’intero pianeta, siamo inevitabilmente coinvolti ad incorporare la conoscenza di tutta l’umanità con profonde conseguenze per ogni nostra azione che ne consegue.



Ci troviamo nell’età dell’angoscia dove non è più possibile il distacco e la non partecipazione. Dopo tremila anni di espansione delle innumerevoli funzioni tecnologiche del corpo umano e delle sue funzioni, ci ritroviamo dinanzi ad una implosione. L’elettricità ed il computer hanno contratto il nostro pianeta riunendo in modo repentino e contemporaneo tutte le funzioni sociali e politiche, intensificando la nostra consapevolezza. Ogni singolo anche se nobilissimo punto di vista, ha perso nell’era elettrica ogni funzione lasciandoci l’ansia e la ribellione contro gli schemi imposti e soluzioni obsolete. A differenza di ciò che accadeva quando gli avvenimenti erano posti in sequenza o in concatenazione, oggi nell’era elettrica la velocità istantanea ci fa percepire le cose in una nuova dimensione. Invece di seguitare con l’antico ed irrisolto dilemma se fosse nato prima l’uovo o la gallina, è apparso evidente che la domanda era mal posta ed era arrivato il momento di analizzare come la gallina non sia altro che il sistema escogitato dall’uovo per produrre altre uova. (Badate bene, non è la gallina ad aver escogitato il sistema per produrre altre galline, infatti la gallina è l’hard-ware posta nel territorio per raccogliere informazioni atte alla sua sopravvivenza, mentre l’uovo è il soft-ware che contiene il programma).









MEDIA FREDDI E MEDIA CALDI



Uno degli argomenti più controversi di tutto il pensiero del McLuhan è la classificazione dei media come caldi o freddi a seconda della partecipazione o del coinvolgimento del fruitore. E’ persino successo che eminenti professori abbiano scritto di aver notato che persino l’autore nel definire i mezzi caldi o freddi sia caduto in contraddizione.

Nulla di tutto questo.

In realtà l’analisi dei mezzi di comunicazione di massa può essere effettuata osservando i fenomeni tutti nel loro insieme. E’ come una colata lavica che si muove e cambia continuamente il proprio stato fisico, così alcuni media sono caldi se paragonati con certi fenomeni e freddi con altri. Possono iniziare come freddi per divenire caldi e viceversa o addirittura possono saturarsi fino a capovolgere la propria funzione.

Faccio un esempio: poco prima che un aeroplano superi la barriera del suono, sulle sue ali si rendono visibili le onde sonore. L’improvvisa visibilità del suono nel momento di massima saturazione del fenomeno è, con buona approssimazione, un esempio lampante del mutamento che avviene con i media durante l’arco della propria affermazione e successiva saturazione. Un altro esempio è il cinema. Dopo la stampa tipografica e la susseguente catena di montaggio esso rappresenta il punto più intenso e frammentato della meccanizzazione, tanto da indurci a passare con la semplice accellerazione meccanica, dal mondo della sequenza e della connessione a quello della configurazione e della iconografia.



Come linea di principio possiamo definire caldo un medium che estende un unico senso fino ad uno stadio in cui si è abbondantemente colmi di dati, e freddo un medium a bassa definizione, che cioè contiene una limitata quantità di informazioni e che necessita dell’apporto del fruitore per completare la sua funzione. Sono caldi la radio e il cinema e freddi il telefono o la televisione.

Anche qui però occorre dintinguere per esempio tra cinema o televisione a colori o in bianco e nero per definirne la quantità di “calore” contenuto. In linea di principio potremmo affermare che la forma calda esclude mentre la forma fredda include.


In generale comunque diciamo che i media caldi non lasciano molto spazio che il fruitore debba completare mentre viceversa i freddi richiedono un notevole sforzo di partecipazione. Salta all’occhio che il telefono sia un medium freddo perchè senza l’apporto della voce umana, non assolverebbe appieno la sua funzione. Altrettanto ovvio è la natura calda della televisione che isolando un solo senso favorisce quello stato pre-ipnotico tanto caro ai pubblicitari che si inseriscono con i loro messaggi per spingerci ai consumi.



Applicando alla società gli stessi principi che abbiamo usato per i media, potremmo dire che le nazioni arretrate sono fredde e quelle tecnologicamente più avanzate, calde. Nella nostra stessa società avanzata potremmo definire la persona che vive in città, calda e il contadino, freddo. Potremmo definire calda l’epoca meccanica e fredda l’era televisiva.
Il Valzer caldo e il Twist freddo, Nel periodo di massima intensità di media caldi come la radio e il cinema, il Jazz era hot per divenire Cool jazz con il raffreddarsi dell’impatto di questi media che si stavano lentamente raffreddando.



A Mosca negli anni sessanta si verificarono le prime contaminazioni musicali con l’occidente. Ebbene, il Charleston era tollerato mentre una danza involuta come il Twist era stata proibita.

Lewis Mumford nel suo “Le città nella storia” definisce fredde le città strutturate casualmente e calde quelle intensamente riempite come Atene, per esempio, dove riuscivano a sopravvivere in una nuova e più importante dimensione, le attività democratiche e sociali del villaggio.





FENOMENI DI SURRISCALDAMENTO DEI MEDIA



Nell’estate del 1962, dopo la crisi dei missili a Cuba, Stati Uniti ed Unione Sovietica decisero di instaurare una linea di emergenza per scongiurare il pericolo di una guerra accidentale. L’idea era semplice: al di là di ogni contrasto ideologico, i due presidenti in carica avrebbero comunicato direttamente tra di loro prima di prendere qualsiasi decisione sul lancio dei missili atomici. L’idea era intelligente ma le trattative durarono quasi un anno perchè gli americani volevano installare una linea diretta con telescrivente, mentre i russi volevano un telefono. Andò a finire che per superare la crisi decisero di adottare tutte e due le tecnologie ma la distanza tra i due mondi rimase, e rimasero anche le incomprensioni che ancora oggi dividono società auditive da quelle prettamente visive.



Sono visive quelle società che dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili si sono evolute frammentando le funzioni proprio come sono frammentati i caratteri tipografici che in sè non rappresentano che un suono ma che nell’insieme logico-sequenziale danno vita ad uno scritto, e a un prodotto (il libro) uniforme nella fattura e nel prezzo. Dalla stampa tipografica fu relativamente semplice passare alla catena di montaggio e alla moderna società che ha privilegiato l’occhio e le funzioni del leggere.

Rimangono auditive quelle società che invece hanno privilegiato l’orecchio, il tribale, i suoni che vanno e vengono in ogni direzione.

L’occhio accoglie, mentre l’orecchio è esclusivo, discriminante, subdolo.

Semplice quindi comprendere come gli americani si scandalizzassero dei microfoni posti dagli agenti sovietici per spiare nelle ambasciate nemiche (l’orecchio), mentre li lasciava indifferenti lo scandalo suscitato dai loro aerei spia che fotografa(va)no il territorio nemico (l’occhio). Ma stavamo parlando di saturazione.



E’ piuttosto antico il principio secondo il quale ogni nuova invenzione nella prima fase del suo sviluppo appare in forma ed in funzione diversa se non addirittura opposta a quella che finirà per assumere definitivamente. Accellerando la velocità dalla forma meccanica a quella istantanea, l’elettricità capovolge ogni espansione in implosione.

E’ significativo che la società moderna, le istituzioni, gli ordinamenti sociali politici ed economici si muovano fondamentalmente nell’unica direzione dello “sviluppo” cioè dell’espansione, mentre appare evidente che ci troviamo dinanzi ad un’accellerazione talmente insostenibile da esigere decisioni atte a regolamentare l’implosione.

Ragioniamo ancora in termini di “espansione” economica, demografica, culturale mentre il problema non è la sovrappopolazione, ma il modo di convivenza; nell’organizzazione scolastica a causare problemi non è tanto il numero crescente di giovani che vogliono imparare, ma il fatto che le singole materie siano ormai tutte correlate tra di loro, che il corpo insegnante apprende tutto il suo sapere nei soli primi

anni di vita e poi vive di rendita culturale, che l’elettricità ha dissolto le autorità settoriali allo stesso modo con cui ha fatto sparire le sovranità nazionali. Gli antichi schemi di espansione meccanica dal centro alla periferia non hanno più ragione d’esistere, perchè ognuno di noi ormai è un centro indipendente collegato ad altri centri.

Nasce così l’apparente paradosso dell’uomo preistorico che andava a lavorare al sorgere del sole e tornava al tramonto. Sono passati millenni di invenzioni tecnologiche atte a risparmiare tempo, e ci ritroviamo con la nostra società dove le persone continuano ad andare a lavorare dall’alba al tramonto. E dove sarebbe quindi il progresso? Sta proprio nel fatto che tutti i congegni fornitici dalla tecnologia per “risparmiare tempo” in realtà servono solo per “risparmiare fatica” perchè il tempo viene da noi usato per altre attività. I compiti che nell’Ottocento si relegavano ai servi, oggi ce li sbrighiamo da soli – non certo risparmiando tempo – con gli elettrodomestici.



La divisibilità di ogni processo, che ha dato origine alla macchina e alla catena di montaggio, si è talmente suturato dal capovolgersi nell’era elettrica dell’automazione estendendosi alla teoria del campo unificato con l’organico intrecciarsi di tutte le funzioni nel medesimo tempo.

La stessa strada, che nell’Impero Romano consentì l’accellerazione dei messaggi e delle merci, nelle nostre città ha raggiunto un livello tale di saturazione da aver capovolto alcune sue funzioni, con autostrade che hanno assunto un carattere urbano continuo, e città che per superare la crisi del traffico hanno adottato tangenziali e raccordi che per consentire una relativa velocità si sono strutturati come autostrade e come conseguenza diretta, la campagna non è più il centro del lavoro e la città ha perso le caratteristiche di centro di svago. Nel mondo antico la saturazione mediatica dovuta all’avvento delle strade e del denaro, aveva capovolto la condizione tribale dell’uomo. Infatti il paradosso sta nel fatto che una società tribale e nomade, con il suo muoversi per procacciarsi il cibo, è una società statica, mentre la cultura dell’uomo divenuto sedentario, ha reso la sua società mobile, dinamica, aggressiva.



Un altro punto della saturazione si verifica quando tra le componenti che più frequentemente conducono allo stallo e al capovolgimento del sistema, si verificano reciproche contaminazioni o fertilizzazioni dei media. Oggi per esempio con la memoria dei nostri computers, la parola stampata ha assunto il carattere artigianale da sempre appartenente al manoscritto. La stampa coi caratteri mobili era stata il più imponente limite di rottura nei confronti dell’alfabetismo fonetico, mentre l’alfabeto a suo tempo aveva rappresentato il limite di saturazione e rottura tra l’uomo tribale e l’individuo.

Aldo Vincent






NARCOSI ED ENERGIA IBRIDA



Nell’interpretare il mito di Narciso, molti si soffermano sul fatto che egli si sia innamorato di sè stesso ma non è esattamente così. Che si sia innamorato di sè stesso lo sappiamo noi, che vediamo la vicenda dall’esterno. In realtà il giovane Narciso scambiò l’immagine di sè riflessa nell’acqua per un altra persona, vivente in un’altra dimensione e questa estensione speculare isolò il senso della vista fino a farlo cadere in uno strano torpore al quale tentò di rimediare la ninfa Eco rimandandogli pezzi dei suoi stessi discorsi (l’orecchio) ma inutilmente. Il torpore in cui era caduto Narciso ( il suo nome deriva dal greco narcosi) lo spinse a cercare di raggiungere l’immagine amata fino a morire annegato. Se fosse stato consapevole di essersi innamorato di sè stesso, avrebbe agito in altro modo.



L’interpretazione di questo mito è che gli esseri umani sono soggetti all’immediato fascino di ogni estensione di sè fino ad intorpidirsi. Usando una ricerca di due studiosi di medicina quali Hans Seyle e Adolphe Jonas i quali asserivano che ogni estensione di sè è un tentativo per preservare l’equilibrio psichico della persona e che ognuno di noi ricorra alla strategia “autoamputativa” quando la percezione non riesce ad evitare la causa dell’irritazione (disagio), il Mc Luhan ci mette del suo teorizzando l’individuo obbligato ad estendere varie parti del proprio corpo mediante varie forme di autoamputazione per riequilibrare il processo revulsivo.



Nella tensione psico-fisica dovuta al sovrastimolo di qualunque tipo sopra uno dei nostri sensi, il sistema nervoso centrale tende ad isolare o ad amputare l’organo col fine di preservare lo stress. Nel caso della ruota quale estensione del piede, per fare un esempio,

l’accellerazione degli scambi dovuta alla nuova circolazione del denaro e della scrittura fu causa dello stress  e della successiva amputazione di questa funzione dai nostri corpi. La ruota come revulsivo dell’aumento dei pesi da trasportare, causò a sua volta una nuova e più efficace intensità dell’azione sostituendo con una protesi il piede in rotazione. Il sistema nervoso centrale riesce a sopportare questo nuovo stress solo intorpidendo la sensibilità se non addirittura bloccando la percezione. Questo è il senso del mito di Narciso, vittima di una pressione irritante di uno dei suoi sensi, che entra nel torpore che non gli fa distinguere la realtà.



Fisiologicamente tutto riporta al sistema nervoso centrale e alle sue funzioni equilibratrici di controllo, isolamento e asportazione di ogni materia revulsiva. Occorre però distinguere tra le varie estensioni dei nostri organi che potremmo definire protesi, e l’estensione della nostra mente dovuta al computer e all’elettricità che non può essere considerata protesi ma campo che col sistema nervoso centrale organizza e regola tutte le altre funzioni, usando per esempio il piacere (lo sport, la discoteca, l’alcool) come revulsivo o il comfort quale soppressore delle cause di stress.



Dopo tremila anni di estensioni fisiche dei nostri organi, con l’avvento della tecnologia elettrica, l’uomo ha esteso il suo sistema nervoso centrale, creando cioè al di fuori di sè stesso quella rete neuronale che apparentemente è un’autoamputazione disperata e suicida, ma che in realtà rappresenta l’extrema ratio dell’essere per arginare con cuscinetti protettivi nuovi stimoli e meccanismi violentemente avversi. Narciso è intorpidito dalla sua immagine autoamputata e la sua incapacità di reagire ad un trauma (psichico o fisico non fa alcuna differenza) lo conduce all’autodistruzione. Nell’esperienza pratica, invece, l’autoamputazione mediante la tecnologia, induce il sistema a cercare nuovi equilibri tra gli altri sensi. Se si intensifica per esempio il suono, tutti gli altri sensi come la vista, il gusto e il tatto ne rimangono influenzati. L’avvento della radio sull’uomo alfabeta o visivo ridestò i suoi echi tribali, l’effetto del cinema sonoro fu di cancellare l’importanza del mimo, della tattilità, dell’esperienza corporea-cinestesica.

Non è possibile opporsi per esempio ai nuovi rapporti tra i sensi dovuto alla nuova tecnologia, ma le reazioni variano con il variare dell’esperienza. Nell’esempio della radio, diverso fu l’effetto tribale suscitato dai discorsi di Mussolini e Hitler, dalla reazione dell’Inghilterra o dell’America dello stesso periodo, che grazie al loro alto livello di alfabetizzazione, avevano accolto la novità della radio come un ludico fruire di divertimento, musica, informazione locale.



I loro idoli sono d’oro e d’argento, opera di mani umane

Hanno bocche ma non parlano, orecchie ma non ascoltano,

Hanno occhi ma non vedono, hanno nasi ma non odorano

Hanno mani ma non toccano, hanno piedi ma non camminano,

E neppure parlano con la loro voce.

Coloro che li fabbricano saranno simili a loro,

Così come coloro che in essi confidano.

(Salmo 115)



La contemplazione di idoli, cioè l’uso della tecnologia, conforma gli uomini ad essi.

“Ed essi diventarono quello che avevano contemplato” scrive il poeta Blake nel suo poema Jerusalem dove prosegue: “Se cambiano gli organi di percezione, sembrano variare anche gli oggetti della percezione. Se gli organi della percezione si chiudono, anche gli oggetti si chiudono” vuol significare che per ricevere, percepire o utilizzare qualsiasi estensione di noi stessi nella forma tecnologica che abbiamo applicato, è necessario fruirne. Ascoltare la radio, leggere il giornale, guardare la televisione significa accogliere nel nostro sistema nervoso la percezione delle nostre stesse estensioni provocando quello “spostamento”, quella “chiusura” che automaticamente ne consegue. Il flusso continuo della ricezione di tutte le nostre tecnologie nell’uso quotidiano ci fa adagiare anche inconsciamente nella posizione subliminale di coloro che sebbene narcotizzati, trovano meccanismi automatici di difesa per sopravvivere, uno dei quali è quello di porsi come servomeccanismi di dette tecnologie. In pratica, per poterne usufruire, occorre mettersi al servizio delle macchine.

Il pellerossa era il servomeccanismo della sua canoa così come il ferroviere lo è del treno. Si instaura un rapporto per il quale l’uomo è perpetuamente modificato dalla macchina che a sua volta trova sempre nuovi metodi per modificarla. Si potrebbe dire che l’uomo diventa l’organo sessuale della macchina, così come lo è l’ape per il mondo vegetale, che permette il processo fecondativo e l’evoluzione in nuove forme.

(Una delle scoperte più clamorose della ricerca motivazionale degli anni sessanta fu il rivelare il rapporto sessuale esistente tra l’uomo moderno e la sua automobile.)



Se sul piano sociale è la pressione e l’accumulazione a suscitare come revulsivi l’invenzione e l’innovazione delle macchine, l’incrocio o l’ibridazione di due o più media libera un gran numero di forze nuove e di nuove energie, un po’ come accade nella fissione atomica. Essere o no ciechi mediatici conta poco in questo campo, quando ci venga imposto qualcosa da osservare perchè l’azione dei media o estensioni dei sensi, ha la funzione di “far accadere” gli avvenimenti e non certo quella di “darne coscienza”.



Così come il telegrafo aveva modificato le notizie dei giornali, la radio ne modificò pure la forma e il contenuto. La stessa radio di cui abbiamo già parlato, elemento scatenante di riminiscenze tribali nell’Europa continentale, ibridata con il grammofono divenne per l’Inghilterra e l’America quella che è ancora oggi: un mix di musica e notizie. Sempre con il telegrafo cominciarono a raccogliersi pure le prime notizie metereologiche che vennero diffuse dalla radio con notevole successo, mentre la radio influenzò il cinema muto, dimostrando che non solo i nuovi media vemgono avanti a due per volta, uno come contenente l’altro come contenuto, ma che l’ibridazione con altre tecnologie o altri media, scatena nuovi processi creativi.



Forse questo è il momento di parlare della radio quale evoluzione del telegrafo che è un’evoluzione del messaggio (infatti per la prima volta il messaggio arriva prima del messaggero) che a sua volta è l’estensione della strada e della carta. Il cinema invece è il movimento della fotografia, con la sua tridimensionalità e la descrizione amplificata dei minimi dettagli. La televisione invece è bidimensionale, ha cioè solo pochi tratti essenziali, e deriva dalle strip giornaliere dei quotidiani americani, e dai cartoni animati da cui ha preso l’essenzialità dei dettagli che devono essere completati dal fruitore.

E’ improprio quindi definire (come fa l’insigne Maurizio Costanzo durante i suoi corsi) la televisione figlia della radio, in quanto sono due tecnologie che derivano da esigenze diverse.



Una delle ibridazioni più notevoli che generano furiosi scatenamenti di energia è la guerra. Essa è da sempre l’aggressione di una società tecnologicamente più avanzata nei confronti di una società tecnologicamente inferiore. Da oltre mezzo secolo essa è l’incontro-scontro tra culture visive e letterarie con altre culture prettamente orali con contenuti tribali. Non c’è nulla di più scatenante e creativo del primo periodo che segue un’invasione militare. Qui, come su di un confine ideale tra culture alfabetizzate e pseudo-tribali, si scatena lo scambio culturale e tecnologico più travolgente di uno tsunami. Ne abbiamo esempi recentissimi con l’invasione di Kabul. Lo ricorderete, la sconfitta dei talebani portò nella capitale nuovi cambiamenti epocali, si aprirono barberie per tagliare barba e capelli, si aprì un McDonalds, una birreria e gli italiani ci misero del proprio, riaprendo il cinema locale e proiettando “La Liceale” un film con Gloria Guida, tanto per mostrare il livello culturale delle nostre scelte. Ma questa forma di contaminazione non agìa senso unico. Com’era già successo col Vietnam, dietro le prime linee sbarcarono stilisti, modelle, fotografi glamour, e in occidente si impose, ancora una volta, la moda militare.



Occorre fare attenzione: quell’esplosione dell’occhio che genera furiosi scatenamenti di energia in zone del mondo che noi consideriamo “arretrate” e che noi chiamiamo “occidentalizzazione” non va in una sola direzione e la nostra società alfabetizzata, che ha fornito all’uomo l’occhio al posto dell’orecchio, si trova a riscoprire con la moda, i reportages, la letteratura, il fascino di un mondo tattile e auditivo. Ora che l’alfabetismo sta per ibridare l’Africa, il Medio Oriente e l’India, ci ritroviamo a dover condividere, capire, accettare le antiche culture orali di angoli del mondo di cui ignoravamo persino l’esistenza.



Ogni volta che si stabilisce un immediato confronto tra due strumenti della comunicazione, siamo costretti a confrontarci con nuove frontiere della conoscenza che ci strappano dal sonno ipnotico di Narciso e ci scoglie dallo stato di trance e di torpore che si è impossessato dei nostri sensi.



Aldo Vincent





LA PAROLA



Quando i primi ominidi scesero dagli alberi e si misero ad esplorare il territorio, cominciarono a guadagnare la posizione eretta con immediati vantaggi. Innanzi tutto liberarono gli arti superiori e il rinnovato uso delle mani spostò il pollice dal metacarpo consentendo la “presa di precisione” che contraddistingue gli umani da ogni altro animale. La posizione eretta inoltre allungò la laringe dando inizio alla modulazione dei suoni e alla creazione della parola che potremmo definire la prima opera d’arte umana. Secondo il McLuhan infatti, la parola altro non sarebbe che la protesi del pensiero e la scrittura la protesi della parola. Senza il linguaggio, insomma, l’intelligenza umana sarebbe rimasta totalmente imprigionata dal mondo esteriore sottoposto alla sua attenzione. In pratica il linguaggio fa per l’intelligenza ciò che la ruota ha fatto per il piede: permette agli uomini di spostarsi da una cosa all’altra con maggior facilità (metafora) e sempre minor partecipazione.



Se la parola parlata attraverso la voce e l’orecchio è inizialmente servita per lanciare grida, allarmi, grugniti, canti e ritmi (la sua protesi diventerà la radio) la parola scritta in realtà è l’estensione primordiale della memoria, e se la stampa tipografica (estensione della scrittura) ha dato inizio alla logico-sequenzialità, e quindi al nazionalismo e alla catena di montaggio, oggi la tecnologia elettrica ed il computer ha la capacità di estendere i nostri sensi ed i nostri nervi in un discorso globale che potrà avere un’influenza determinante nel futuro del linguaggio.



Questa nuova tecnologia non ha bisogno delle parole così come il computer non ha bisogno di cifre e apre la strada a nuovi processi di consapevolezza su scala mondiale e senza alcun bisogno di verbalizzazione. Siamo passati dal linguaggio inteso come forma di divisione – la Torre di Babele – ai moderni computers che ci permettono la traduzione immediata di qualsiasi cifrario, codice o linguaggio in un altro. La fase successiva potrebbe consistere non nel tradurre ma nel superare i diversi linguaggi a favore di una consapevolezza collettiva. L’”averbalismo” insomma, potrebbe essere una via per la pace e l’armonia cosmica.



La parola scritta servì a tradurre il ricco mosaico visivo in una forma che lo privò di molte qualità dell’esperienza causando un mutamento dell’uomo tribale in individuo alfabetizzato, un essere cioè che ha eliminato i suoi rapporti ed i sentimenti emozionali e collettivi col gruppo sociale a cui appartiene diventando emotivamente libero di staccarsi dall’inconscio collettivo della tribù per trasformarsi in individuo civilizzato, organizzato visivamente con atteggiamenti, abitudini, diritti conformi a quelli di tutti gli altri individui alfabetizzati.



Il mito greco di Cadmo, che introdusse in Grecia le lettere fonetiche, narra di questo re che seminò denti di drago dai quali germinarono uomini armati. L’ntroduzione dell’alfabeto infatti aumentò il potere, l’autorità e il controllo a distanza delle strutture militari. Se la scrittura su pietra accentrò il potere dei sacerdoti rimanendo statica a resistere nel tempo, il papiro più leggero e malleabile, consentì alla scrittura di superare lo spazio, cosa che gli antichi Romani capirono benissimo, costruendo strade per ampliare il loro impero militare.



L’alfabeto fonetico è una tecnologia del tutto particolare. Precedentemente vi erano già stati molteplici tipi di scrittura, ma solo l’alfabeto pose in linea logico-sequenziale segni semantici privi di significato a cui corrispondono suoni semanticamente privi di significato. Questa prima traduzione da un mondo auditivo ad un sistema visivo erano rozzi e spietati perchè la traduzione fonetica sacrifica mondi di significato e percezione.

Prendete per esempio la nostra bandiera. Togliete i colori e scrivete sopra uno straccio bianco: “Bandiera italiana, tricolore” e poi fatela sventolare. Non escludo che il parallelismo ideale rimanga immutato ma riconoscerete che emotivamente non è la stessa cosa! Allo stesso modo le nuove forme di scrittura, culturalmente più ricche, sacrificavano un mondo magicamente discontinuo, magico, tradizionale.

Se secoli di ideogrammi non hanno minimamente intaccato la struttura della società cinese, oggi basta una generazione di alfabetismo per distaccare la persona dalla ragnatela tribale e farlo sentire individuo, e questo fatto non ha nulla a che vedere con il contenuto delle parole usate, ma è una rottura dell’esperienza da auditiva a visiva, perchè solo l’alfabeto fonetico ti dà un occhio in cambio di un orecchio liberando l’individuo dal trance tribale della parola magica, dalle affinità totemiche e gli obblighi di sangue.

La separazione degli individui, la continuità dello spazio e del tempo, l’uniformità delle leggi e dei comportamenti, sono le principali caratteristiche delle società alfabete e civilizzate, mentre le culture tribali non ammettono l’ipotesi del cittadino separato.

Non ammettono l’individuo.



I risultati raggiunti dal mondo occidentale testimoniano ovviamente gli enormi meriti dell’alfabetismo anche se da qualche tempo la saturazione del medium comincia a presentare qualche problema. Al trance tribale della parola magica, si è sostituito un trance tecnologico e visivo che modifica i nostri comportamenti. Forse stiamo pagando a caro prezzo le nostre strutture di tecnologie e di rapporti via via sempre più specialistici. Si sta persino modificando il concetto di coscienza, da sempre consideraza un carattere distintivo dell’essere razionale benchè nel campo della consapevolezza – che esiste in ogni momento della coscienza – non ci sia nulla di lineare o conseguenziale, perchè la coscienza non è un processo verbale. Nella società alfabetica occidentale è ancora plausibile ed accettabile pensare che ad una cosa ne “consegue” un’altra anche se David Hume ha dimostrato fino dal Settecento che in nessuna sequenza naturale o logica esiste un nesso di casualità. La sequenza si limita ad aggiungere senza esserne la causa. Oggi nell’era informatica ci stiamo liberando dai processi lineari, dalle geometrie euclidee e persino la catena di montaggio ha perso la sua caratteristica di linearità per accedere all’automazione che è un “campo” dove tutto è istantaneo. La frantumazione di ogni tipo di esperienza in unità compatte, uniformi e lineari è stata l’essenza del successo dell’Occidente che ha saputo usare questa tecnica di trasformazione per rendere uniformi, continui e ripetibili tutti i processi di trasformazione dell’uomo e della natura.



Così come la concepiamo noi, la Civiltà è costruita sull’alfabetismo in quanto esso è il trattamento uniforme della cultura mediante l’alfabeto che è l’estensione del senso visivo esteso nel tempo e nello spazio e fornisce aglle persone mezzi per agire senza reagire. Per fare senza essere coinvolti emotivamente. L’udito è iperestetico, delicato ed onnicomprensivo, la vista invece è fredda e neutrale e permette alla cultura occidentale di espandersi con tubi, cavi, fili elettrici, strade, catene di montaggio, inventari, prezzi uniformi e accellerazioni del movimento delle merci, senza provare alcuna emozione.



Allora come ora il barbaro, cioè l’uomo tribale, era ostacolato dal pluralismo culturale e dalla discontinuità, mentre la nostra cultura, che deriva dalla tecnologia di Gutemberg, è omogenea, uniforme e continua. Se le varie scritture pittografiche, geroglifiche, ideogrammatiche erano e sono un’estensione del senso visivo per immagazzinare con più facilità le esperienze umane e renderne più rapido l’accesso (in pratica si tratterebbe delle origini delle strips e dei cartoni animati) l’alfabeto fonetico invece riesce a racchiudere con pochissime lettere tutte le lingue del mondo. Per ottenere questo però, è stato necessario separare segni e suoni dai loro significati semantici. Nessun altro sistema è riuscito ad ottenere questi notevoli risultati.



Aldo Vincent









STRADE



La parola metafora deriva dal greco e significa trasportare e potrebbe essere applicata a qualsiasi forma di movimento di merci o di informazioni. Rappresenta non solo lo spostamento da un luogo all’altro di qualsiasi cosa, ma evidenzia la trasformazione e la traduzione del mittente, del ricevente e del messagio perchè l’uso di qualsiasi medium altera gli schemi di interdipendenza  tra le persone e i rapporti tra i loro sensi.



Con la strada, la scrittura si stacca da materie solide e statiche come la pietra, per circolare su supporti come l’argilla dei vasi e delle tavolette, e imprimere maggiore velocità con il papiro. L’nformazione, nel suo passaggio dalla pietra alla carta, compie la medesima trasformazione della moneta quando si staccò dalle merci, dalle pelli, dai lingotti e dai metalli, per diventare carta e in seguito semplicemente credito. Con le strade, crollano le città-stato, che racchiudevano in sè stesse tutto il fabbisogno e le attività umane, e si affermano le capitali centro del potere in costante comunicazione con le proprie periferie.



 Accresciuta la velocità e di conseguenza intensificato il controllo militare a distanza, l’accellerazione della comunicazione separò le funzioni commerciali da quelle politiche creando quelle che gli economisti chiamano strutture economiche centro-marginali, che di fatto sono reti con flussi continui e omogenei, mentre in precedenza, le conquiste avvenivano via mare, con territori da colonizzare con insediamenti che erano centri senza periferie. La storia più recente di queste crisi è quella della guerra d’indipendenza americana quando le prime colonie inglesi a causa di processi di saturazione dei commerci, trovarono più conveniente usare merci (come il tè) per pagare le loro transizioni piuttosto che assoggettarsi ad un cambio con la Sterlina che era diventato poco favorevole, per non dire punitivo. Quando la Virginia ufficializzò il tabacco come forma di pagamento, scoppiò la crisi. Essendo però le colonie americane distantissimi centri senza periferie al di là del mare, fu chiaro per tutti che l’Inghilterra, malgrado atroci rappresaglie, fosse destinata a perdere la partita. E così fu.



Ecco come commenta Arnold Toynbee nel suo: A study of history :

“ ...uno dei segno più cospicui della disgregazione si verifica...quando una civiltà che sta disintegrandosi ottiene una proroga sottoponendosi ad una forzata unificazione politica in uno stato universale...”

Peccato che un eminente autore come Toymbee non faccia parte della nostra cultura nazionale, perchè oltre nell’opera già citata (12 volumi, 1934-1961) vi sono considerazioni eccelse. Comparando per esempio la grandezza e la caduta di 26 imperi, rileva che le principali cause del crollo, non sono mai ambientali o fisiche, ma l’incapacità di rispondere alle istanze morali, etiche e religiose del popolo. Anche la sua frase riportata, se letta con attenzione potrebbe risultare di grande attualità per l’analisi del tramonto e degrado della civiltà americana. Ma stavamo parlando di strade.

I diversi modelli di organizzazione sociale, si realizzano tentando di far coesistere le diverse velocità dei movimenti d’informazione perchè un nuovo mezzo che si inserisce, se è contemporaneamente disponibile e se possiede una velocità omogenea, di fatto non crea problemi, ma la saturazione di tutti questi mezzi porta, come tutti possiamo constatare nella nostra società moderna, scompensi e e rotture dovute a grandi discrepanze tra il movimento degli aerei e delle auto, tra la posta e Internet, tra la società civile e l’amministrazione pubblica, ecc. Se la velocità di tutti i mezzi fosse uniforme non ci sarebbero conflitti gravi. Nell’antica Roma, invece, a ridurre la discontinuità della comunicazione c’erano soltanto l’alfabeto e le strade che la inviavano dal centro alla periferia. Quando gli arabi si ripresero l’Egitto, il rifornimento di papiro cessò e le strade rimasero inutilizzate e deserte come potrebbero essere le nostre se mancasse la benzina. In questo modo l’Impero Romano collassò e le strade divennero inutili facendo risorgere le città-stato con il feudalesimo.



La strada è l’estensione dello spazio sempre più omogeneo ed uniforme che permette l’accellerazione della ruota e del messaggio. Fu la stampa a caratteri mobili che impresse una maggiore accellerazione dal centro alla periferia. Dopo l’elettricità e l’informatica non solo questa velocità ha assunto un valore assoluto pari alla velocità della luce, ma ha pure perso il suo carattere unidirezionale trasformandosi in un movimento centripeto.

Dal lento movimento dal centro alla periferia di una società specialistica e frammentata, ci ritroviamo in un’implosione dove improvvisamente e spontaneamente i frammenti meccanizzati si riorganizzano in un tutto organico. E’ il Villaggio Globale.



Oggi che la massima parte del trasporto consiste nello spostamento di informazioni si assiste ad una saturazione e alla conseguente trasformazione dell’uso della ruota e della strada. Se il villaggio e la città-stato avevano contribuito al rapporto reciproco di dare-avere con la campagna, dopo l’avvento dell’automobile e il capovolgimento dei ruoli, la famosa “gita in campagna” ha visto la strada stessa trasformarsi in campagna a cui è seguita l’autostrada come città, un continuo ininterrotto di agglomerati urbani che ha dissolto la forma antica della città stessa. Forma spazzata via dall’avvento dell’ aeroplano che usufruisce della ruota e della strada solo in un’infinitesima parte del suo percorso negli aeroporti che a loro volta si sono trasformati in città. Pensate che alcune compagnie offrono viaggi in aereo a costo irrisorio purchè l’atterraggio avvenga in aeroporti periferici trasformati in piccole città dove fare shopping.



Il principale impatto dei media sulla società contemporanea sono l’accellerazione dell’informazione e lo sconvolgimento sociale, la trasformazione dalla soluzione di problemi fisici al superamento dei problemi etici e morali. Se l’accellerazione tende a migliorare tutti i mezzi di scambio e di associazione umana, la velocità accentua i problemi di forma e di struttura e di conseguenza le persone che tentano di adattare le vecchie forme fisiche al nuovo e più rapido movimento scoprono un progressivo inaridimento dei valori della vita.



Ora che con la tecnologia elettrica abbiamo esteso non solo i nostri organi ma persino il nostro sistema nervoso, l’informazione che si sposta alla velocità della luce ha reso obsoleti tutti i sistemi di accellerazione meccanica quali la strada, la ferrovia, la ruota.
I vecchi sistemi di adattamento psico-fisico e sociale non contano più nulla.

Siamo entrati nella fase del campo totale della consapevolezza. Le nostre estensioni elettriche hanno superato lo spazio ed il tempo e ci coinvolgono in problemi di organizzazione mai affrontati prima.











I NUMERI



Scrittura evase

dal Giardino dei Numeri

e sulle ali di Poesia

saltò il muro

librandosi*




*Librandosi = diventando libri



Alcune correnti di pensiero ipotizzano che nella maggior parte delle civiltà preistoriche, l’uomo abbia scritto prima i numeri e poi l’alfabeto da cui è derivata la poesia epica e quindi la normale scrittura. Molti reperti archeologici sembrano confortare questa tesi.

In un’epoca in cui il danaro non si era ancora separato dalle merci, un gregge, una mandria o un gruppo qualunque di animali costituivano un bene economico ed il trasporto di questo bene ne faceva accrescere il valore. Essendo i primi insediamenti in zone piuttosto calde e non essendoci i frigoriferi, è ovvio che il trasporto delle carni dovesse essere effettuato con animali vivi e il passaggio di mano di questi armenti ne accresceva il valore. Da qui le prime necessità di numerazione.

Successe che i Sumeri per primi costruirono palle di argilla dentro le quali mettevano i simboli delle quantità di animali, e nelle transizioni, queste palle d’argilla costituivano il credito, ma poichè esse dovevano essere rotte ad ogni transizione, nel tempo si decise di dipingere sull’esterno delle argille gli stessi simboli contenuti all’interno.

Col tempo, la testa del bue egizio Api, per esempio, l’alef fenicia, roteò di 180 gradi e divenne la lettera Alfa, le capanne, beth, rotearono di 90 gradi e divennero la nostra lettera B, fidi, il serpente, divenne la F e così via.





Mentre la scrittura è un’estensione e una separazionedel nostro senso più neutro e oggettivo – la vista – il numero è un’estensione e una separazione della nostra attività più intima e in più stretto rapporto con le altre facoltà, il senso del tatto.



Diventa sempre più evidente che il senso del tatto è indispensabile ad un’esistenza integrale. Non è da escludersi che nella nostra vita interiore il senso del tatto sia costituito da un reciproco rapporto tra tutti i sensi. Non solo quindi un contatto epidermico con le cose, ma la vita stessa delle cose dentro la nostra mente.

Siamo abituati a vedere l’alfabeto come fonte della civiltà occidentale e le varie letterature come un segno di progresso sociale e civile, il che non è affatto sbagliato, a condizione che accanto alle lettere si pongano i numeri, il linguaggio cioè della scienza.



Il numero però non è solamente auditivo e risonante come la parola parlata, ma come scriveva con acume Baudelaire: “Il numero è nell’individuo. L’intossicazione è un numero”  seguendo poi con l’analizzare il darshan, l’esperienza trascendentale indiana

che permette di raggiungere uno stato mistico grazie al fatto di ritrovarsi immersi in un’immensa massa di gente.



Fu la trasformazione dal contare in modo tattile con le dita delle mani e dei piedi per arrivare all’astrazione visiva, che  rese possibile la matematica. Fu però l’alfabeto a mettervi ordine, inserendo concetti come omogeneità, corrispondenza e successione.

Fu l’azione dell’alfabeto fonetico sui sensi umani a permettere l’invenzione dello spazio euclideo, così come sarà la stampa a caratteri mobili a consentire il concetto di punto di vista e di conseguenza ad imporre la prospettiva.



Secondo il matematico Leibniz un Essere Supremo per dare origine all’Universo, non avrebbe avuto nessuna necessità di tutta la matematica ma gli sarebbero stati sufficienti lo zero e l’uno per dare inizio a tutta la creazione. E’ curioso constatare che questo mistico sistema binario altri non sarebbe che il riflesso del contare di alcune tribù primitive a cui corrisponde il linguaggio dei nostri computers.



All’epoca dei manoscritti esisteva una caotica quantità di segni per rappresentare i numeri, che consentivano il calcolo con estrema difficoltà. Fu l’avvento della stampa che pose ordine alla matematica e posizionò lo zero, quel vuoto concettuale che permetteva di dare un valore ai numeri a seconda della loro posizione nella cifra, partendo da destra.

Tracciando un percorso dalla rappresentazione del numero con le lettere greche, al posizionamento dello zero medievale, fino al punto di vista prospettico del Rinascimento, si può rilevare con facilità di come sia maturato il concetto di infinito, che Greci e Romani ignoravano e che solo con la stampa tipografica potè estendersi alla facoltà visiva fino ad ottenere risultati di estrema precisione, di uniformità e intensità, perchè fosse possibile reprimere o affievolire la sensibilità degli altri sensi col fine di ottenere la consapevolezza tattile dell’infinito (sembra una delle tante contraddizioni del Mc Luhan, in realtà è un’ulteriore dimostrazione di come l’isolare il senso della vista porti come conseguenza lo spazio euclideo che viene in qualche modo digerito e assimilato in tutto l’essere grazie al senso del tatto).

Ogni nuova tecnologia ci spinge a cercare nuovi equilibri attraverso altra tecnologia che poi sarebbe lo studio delle scienze applicate, con particolare riferimento ai diversi procedimenti per la trasformazione di materie prime in prodotti di impiego o di consumo, o l’attuazione dei processi educativi basata sull'analisi dell'apprendimento e dell'insegnamento e sulle metodologie da essa suggerite.



I Greci sbatterono la testa sul problema di trasporre i loro nuovi media quando tentarono di risolvere un problema di aritmetica razionale applicandolo alla loro primitiva geometria. Lo spettro di Achille e la tartaruga provocò la prima crisi della matematica occidentale, insieme al calcolo della diagonale di un quadrato o la circonferenza del cerchio, esempi evidenti di come il senso tattile del numero tentava di affrontare lo spazio visivo e pittorico per trasformarlo in sè stesso.



Col Rinascimento fu il calcolo infinitesimale a permettere all’aritmetica di imporsi sulla meccanica, la fisica e la geometria. Fu il processo omogeneo ed uniforme della stampa a dare origine al calcolo della matematica moderna. La taumaturgica funzione dell’ infinitamente frammentato e ripetibile permise di rendere il mondo visivamente piatto, diritto e uniforme mentre la nostra esperienza sa che esso è invece sghembo, curvo e bitorzoluto, e questo concetto “razionale” che ci ha accompagnato negli ultimi secoli, oggi nell’era dell’elettronica sta perdendo molte delle sue connotazioni e non siamo più in grado di definire con certezza cosa sia il “razionale”, visto che a suo tempo, non ci siamo mai accorti da donde venisse.



Aldo Vincent









L’ABBIGLIAMENTO



L’abbigliamento - protesi della pelle - può essere considerato un meccanismo per il controllo della temperatura, una componente sessuale e la comunicazione esteriore del livello sociale. Per comprendere meglio questi meccanismi, torniamo ad analizzare il nostro ominide che, come ricorderete, con la posizione eretta aveva acquisito la capacità di manipolare l’ambiente, e con l’estensione della laringe aveva cominciato a modulare i suoni, ottenendo non solo grida, ma grugniti espressivi, suoni modulati, canti con cui accompagnare le prime danze rituali.

La posizione eretta causò un altro fenomeno: scoprì i genitali maschili e spostò in avanti quelli femminili che permisero l’atto sessuale in posizione frontale. La necessità di coprire il seno delle femmine forse scaturì dall’innata gelosia del capo clan, o più praticamente fece in modo di evitare l’eccitamento dei giovani maschi alla vista delle femmine ignude.



Ad un certo punto, all’interno della comunità, saltò all’occhio che non era la medesima cosa essere coperti da pelli di animali domestici quali cani, capre, conigli che proteggevano dal freddo in modo eccellente ma che avevano un diverso valore rappresentativo dalle pelli di animali feroci o mitici che venivano indossati dai capi branco. Non solo, non è escluso che fu questa molla a scatenare la competizione tra giovani che mostravano il loro valore esibendo pelli di animali selvaggi uccisi grazie alla loro abilità. Non è escluso nemmeno che i primi gruppi appartenenti allo stesso clan si organizzassero per cacciare animali pregiati la cui pelle avrebbe ricoperto il loro capo gerarchico, dando inizio a quello che Levi-Strauss definì come fase in cui si imposero il totem, la religione ed il tabù.



L’abbigliamento e le abitazioni in fondo assolvono lo stesso compito, cioè quello di proteggere dalle variazioni dell’ambiente esterno, ma l’abbigliamento è un’estensione più diretta della superficie esterna del nostro corpo. Non solo.

Per quanto riguarda la componente sessuale, si riesce a decifrare qualcosa solamente se si considerano sesso e abbigliamento come fattori interdipendenti tra loro.

Ci sono oggi tribù africane dove le donne, che camminano senza imbarazzi a seno nudo, per nessuna ragione al mondo sarebbero disposte a scoprire le loro ginocchia in pubblico. Un altro fenomeno dei giorni nostri è il turismo che assale luoghi incontaminati, dove sulle spiagge si vedono masse di “civilizzati” che prendono il sole praticamente nudi, mentre la medesima cosa, non passerebbe per la mente degli indigeni perchè nelle culture arretrate, ancora incastonate in una vita sensoriale e tattile, e non ancora astratte dall’alfabetismo e dall’ordine visivo industriale, la nudità è considerata patetica.

Persino il famoso rapporto Kinsey sulla vita sessuale del maschio americano, registrò con sorpresa che i contadini ed in genere le persone sottosviluppate non amavano la nudità nei loro rapporti coniugali.



Un altro fenomeno da analizzare è l’avvento massivo della televisione a colori negli anni sessanta che trasformò gli europei, che dal dopoguerra si erano sempre vestiti con tagli sobri e colori grigi, in individui colorati secondo l’esempio dato dagli americani che ci invadevano con il loro cinema che conteneva messaggi consumistici, pieni di frigoriferi, elettrodomestici, birre in lattina e – udite udite – abbigliamenti casuals coloratissimi e poco impegnativi. Per contro, furono gli americani, influenzati dagli stessi media, ad assumere un atteggiamento rivoluzionario che si espresse con l’abbigliamento all’europea, con i patio, con le piccole auto. Come ai tempi della rivoluzione francese, l’abbigliamento assunse anche i connotati di protesta politica (i figli dei fiori, per esempio) e della ribellione contro i valori uniformi del consumatore. Si cominciò a vedere cambiamenti non solo con l’abbigliamento ma con i libri tascabili, le barbe, le acconciature femminili che persero la loro caratteristica scultorea per la praticità tattile. Insomma le donne americane iniziarono a proporsi come persona da toccare e “maneggiare” e non solo come icona da contemplare.



Nella Russia degli anni settanta il fenomeno assunse proporzioni quantomeno bizzarre. Infatti sulla spinta delle tendenze occidentali, alcuni programmi televisivi russi cominciarono ad essere interrotti da forme di pubblicità che decantavano prodotti di abbigliamento e di bellezza che non erano presenti sul mercato. Infatti al comunicato pubblicitario non corrispondeva la distribuzione dei prodotti, praticamente inesistenti.



Esiste oggi la tendenza a nuovi equilibri man mano che ci rendiamo conto della nostra preferenza per tessuti rozzi e per abiti con forme scultoree. Dopo che per secoli siamo rimasti completamente vestiti e chiusi in spazi visivi uniformi, con l’era elettrica ci ritroviamo in un mondo che respira, vive e ascolta con l’intera epidermide. Con i nuovi materiali con cui confezioniamo abiti e dimore, la nostra sensibilità si muove in un mondo di forme e di colori che fanno della nostra epoca una delle più ricche nella storia della musica, della poesia, della pittura e dell’architettura.



Aldo Vincent





LE ABITAZIONI



Abbiamo già detto come l’abbigliamento e le abitazioni in fondo assolvono lo stesso compito, cioè quello di proteggere dalle variazioni dell’ambiente esterno, ma mentre l’abbigliamento è un’estensione più diretta della superficie esterna del nostro corpo, l’abitazione è un mezzo collettivo affinchè il gruppo o la famiglia godano della stessa protezione. Le città, che sono un gruppo organizzato di abitazioni, sono un’ulteriore estensione dei nostri organi fisici per soddisfare i fabbisogni di gruppi più vasti.



Se l’uomo civilizzato – cioè alfabeta – tende a restringere e delimitare lo spazio col fine di separare le funzioni, l’uomo primitivo ha esteso passivamente il suo essere in modo da includervi l’universo da cui a sua volta viene incluso. Agendo come parte del cosmo ha la consapevolezza di partecipare alle energie misteriose, magiche o divine con rituali sempre presenti nelle sue manifestazioni sociali.



L’uomo alfabeta, per accettare la sua tecnologia analitica e di frammentazione, ha dovuto staccarsi con dolore da tutto quel mondo tattile e auditivo che lo faceva magicamente vibrare come componente cosmica e si è concentrato su piccoli segmenti di comprensione col fine di catalogare tutto l’universo. Ha venduto il suo orecchio per l’estensione del suo occhio.



Sono rarissimi i ritrovamenti archeologici nelle caverne preistoriche comprovanti che esse fossero abitate dai primi ominidi. Le grotte, le tende, le capanne, non sono semplici chiusure di spazi visivi, perchè seguono linee dinamiche. Una volta chiusa in spazi visivi, l’architettura tende a perdere  la sua tensione tattile e cinetica. Una tenda conica come il tepee dei pellerossa, oltre che essere il modo più razionale ed economico per ancorare un oggetto ingombrante e verticale è pure una serie di linee di fuga che agiscono sulla psiche del nomade. L’errore degli americani che costruirono case nelle riserve indiane, fu quello di non considerare questi fattori, col risultato che ancor oggi capita di passare per questi insediamenti e constatare che sono inabitati e circondati da roulottes e caravan dentro i quali gli indiani ancora si accampano.



La caverna invece è uno spazio misterioso, magico, oscuro dentro il quale si compivano rituali collettivi e magici. Le stesse pitture rupestri con le loro linee essenziali, viste da noi con la nostra luce, perdono tutta la forza che avevano al buio, con la fiamma dei fuochi che instabilmente davano ai dipinti una forza cinetica, un’illusione di movimento che agevolava i rituali della caccia. Di fatto, le pitture rupestri altro non erano che il cinema dei nostri antenati.



Il passaggio dalla capanna circolare al triangolo e alle mura quadrate, così come in seguito il passaggio dalla cupola ai pinnacoli gotici sono manifestazioni di nuove tecnologie che hanno causato un’alterazione dei rapporti sensoriali dei membri di una società. Le nuove tensioni stabiliscono nuovi equilibri tra tutti i sensi con “nuove prospettive” cioè a nuovi atteggiamenti e nuove preferenze in molti settori rendendo socialmente accessibili protezione, calore ed energia alla famiglia o al gruppo di appartenenza.



Un chiaro esempio di questo adattamento è dato dall’igloo eschimese. Questi indigeni hanno sempre vissuto in case rotonde ottenute sistemando grosse pietre a forma di cupola. Era una popolazione nomade di raccoglitori di cibo che l’uomo bianco trasformò in trappolatori. Le lunghe attese sul pack e l’avvento della stufetta a petrolio permisero agli eschimesi di costruire i loro rifugi provvisori con blocchi di ghiaccio tenuti insieme dal calore della stufa a petrolio che fondeva la volta interiore.

Ridono gli eschimesi quando vedono un bianco che entra in un igloo e torce il collo per tentare di dare un ordine spaziale e continuo alle pagine delle riviste illustrate che sono state appiccicate al soffitto per contenere il gocciolìo. Loro infatti, con la loro visione spaziale integrale e cosmica, non hanno alcun bisogno di raddrizzare mentalmente le pagine per decifrare le figure e ridono per questo buffo atteggiamento dell’uomo bianco.



Quando durante il Rinascimento si cominciò sistematicamente ad estrarre carbone, le società che vivevano in climi freddi scoprirono nuove grandi riserve di energia. La fabbricazione del vetro su larga scala permise alla luce di entrare dalle finestre e il riscaldamento interno alzò i soffitti e allargò le abitazioni. La casa dell’artigiano rinascimentale divenne allo stesso tempo letto, cucina, laboratorio e negozio. Fino al XX Secolo, quando l’energia elettrica modificò radicalmente non solo il tempo vissuto nelle case, eliminando con l’illuminazione la differenza tra il giorno e la notte, l’interno e l’esterno, il sopra e il sotto, ma con gli ascensori ha modificato intere strutture architettoniche, alterando ogni concetto di spazio per la produzione ed il lavoro allo stesso modo con cui gli altri media elettrici hanno alterato il nostro modo di essere.



Oggi l’architettura non offre solo soluzioni abitative nelle capsule spaziali o all’interno degli aeroplani, ma con l’illuminazione elettrica ha inserito nelle intere città una flessibilità organica ignorata in qualsiasi altra epoca con spazi senza muri e giorni senza notti. Nella strada notturna, la partita notturna, il lavoro notturno, il disegno e la scrittura sono passati dal campo dell’iconografia a spazi vivi e dinamici creati dall’illuminazione esterna. Con la luce elettrica non solo possiamo compiere le operazioni più minuziose senza badare all’ora al clima o alla stagione ma possiamo indagare dentro un microscopio con la stessa facilità con cui andiamo a fotografare pitture rupestri o ad esplorare anfratti sperduti.



L’era dell’automazione e della conoscenza ci ha permesso di scoprire che abiti, fertilizzanti e componenti per l’edilizia si possono ottenere con qualsiasi tipo di materiale e sarà questa la prossima frontiera.







IL DENARO



Il denaro, che nelle culture non alfabetiche nasce come forma di merce, man mano che si è evoluto con la nostra società, si è trasformato fino a diventare metafora.

Nella psicoanalisi freudiana il danaro è associato al concetto di erotismo anale. Certi analisti fanno derivare il desiderio di accumulare danaro con l’impulso infantile di giocare con le feci. E’ possibile osservare in alcune società non alfabete contemporanee, di come il danaro sia ancora associato alle merci. Denti di balena, conchiglie, topi (nell’isola di Pasqua) perline e monili più che altro considerati oggetti di lusso, sono diventati via via moneta di scambio. Poi fu l’oro, un metallo che non si muta, non si corrode, non si consuma e non diminuisce mai, a sostituire i vari oggetti di scambio. Lo stesso oro come denaro perdette la sua carica magica – così come la parola perdette la sua magia con la scrittura e poi ancora con la tipografia – quando l’oro fu sostituito dalla moneta cartacea e anche questo si dovette alla stampa.



Pure nelle culture alfabete può succedere che in certe circostanze alcune merci assumano la forma di denaro. Nell’Europa liberata, alla fine della seconda guerra mondiale, con l’arrivo degli americani una stecca di sigarette poteva servire come moneta a patto che non si rompessero i sigilli.



Come ogni altro medium, il denaro è una materia prima, una risorsa naturale, una forma esteriore di scambiare e immagazzinare lavoro e dipende dalla partecipazione di tutta la società, senza la quale esso non avrebbe nessun valore.

Il denaro, come la scrittura, specializza e indirizza le energie umane in nuove direzioni,  separa le funzioni e traduce forme di lavoro in altre forme e altri metodi col fine di risparmiare tempo (il tempo è denaro).



Tornando al nostro ominide, ovvero alle scimmie antropomorfe, uno dei passatempi più antichi è senz’altro il lasciarsi dondolare sui rami. Afferrare con una mano il ramo davanti a sè e lasciare andare l’altro ramo nell’altra mano, è la stessa cosa che fanno oggi gli operatori di Borsa comprando e vendendo titoli. Anche il solo comprare o vendere un oggetto rappresenta la metafora del lanciarsi tra un ramo e l’altro degli alberi: una mano afferra l’oggetto desiderato e quando molla il denaro l’oggetto è suo. Allo stesso modo il venditore afferra il denaro e lascia andare il bene che ha messo in vendita.



Il denaro come indice sociale, come estensione dei desideri o di motivazioni interne, crea valori materiali e spirituali così come la moda nell’abbigliamento (il vestito come moneta). “Il denaro parla” perchè il denaro è un ponte, un biglietto da visita e come il linguaggio, è pure un magazzino dove si accumula il valore del lavoro delle capacità e delle esperienze di tutta la comunità. Esso è una metafora, un indice di successo nell’impresa o di qualsiasi attività o lavoro, e come il linguaggio esso traduce e uniforma il lavoro per esempio dell’agricoltore, rapportandolo con quello dell’idraulico o dell’ingegnere e come l’orologio esso separa il lavoro dalle altre attività sociali, accellera gli scambi e stringe legami d’interdipendenza in ogni comunità.



Occorre osservare che l’uniformità della valuta circolante, l’uniformità delle merci e  dei prezzi fissi, sono procedimenti tecnici ottenuti grazie all’avvento della stampa e al suo condizionamento psicologico, alla uniformità e alla ripetibilità. Le società non alfabete mancano delle risorse tecniche e psicofisiche necessarie per mantenere quella enorme struttura economica-statistica che noi chiamiamo mercato e prezzi. E’ più facile organizzare e premere sulla produzione di beni piuttosto che fornire alla popolazione l’abitudine di tradurre in termini statistici i propri desideri con il meccanismo della domanda e dell’offerta con la tecnologia visiva dei prezzi.



Quando nel XVIII secolo l’Occidente cominciò ad accettare le teorie di Adam Smith, che rappresentano il primo serio tentativo nella storia del pensiero economico di separare l'economia politica dalle discipline connesse dell'etica e del diritto, i nuovi meccanismi economici descritti apparvero ai pensatori dell’epoca talmente bizzarri che li definirono:”Calcoli edonistici” perchè la frammentazione della vita interiore attraverso i prezzi, allora sembravano paragonabili, in termini di sentimenti e desideri, a quello che era accaduto nella matematica che aveva rinunciato alle ineguaglianze appianate dal calcolo differenziale. Ancora oggi l’astrazione e il distacco estremo che il nostro sistema dei prezzi esprime, sono impensabili in culture arretrate e non alfabete che non riescono a rinunciare a transizioni dove la parte eccitante e soddisfacente è il mercanteggiare ogni volta, ogni bene, ogni prezzo che viene richiesto.



Oggi con l’era istantanea ed elettrica, il denaro sta perdendo gradualmente il suo potere di immagazzinare o scambiare il lavoro. L’automazione, che è elettronica, non simboleggia più il lavoro fisico quanto la conoscenza programmata e man mano che il lavoro è sostituito da puri movimenti d’informazione anche il danaro cambia forma e diventa credit-card, cioè anch’esso informazione pura. Questo movimento verso l’informazione onnicomprensiva, questa trasformazione del denaro da merce a moneta a credito, cioè pura informazione, lo riavvicinano al carattere della moneta della tribù che non conoscendo le specializzazioni d’impiego e di lavoro non specializzava neppure il denaro perchè in un mondo non alfabeta non esiste il concetto di lavoro. Il cacciatore ed il raccoglitore di cibo non esercitava un lavoro ma aveva un ruolo e una funzione come l’hanno oggi il poeta, l’artista, il pittore o il pensatore d’oggi. Non c’è lavoro dove l’uomo è coinvolto nella sua totalità, esso comincia con le prime tribù sedentarie e agricole che dividono la mano d’opera e specializzano funzioni e compiti di controllo e contabilità. Con l’avvento dell’informatica ci ritroviamo ancora totalmente coinvolti nelle nostre funzioni. Il lavoro come “impiego” sta cedendo il posto alla dedizione personale e all’”impegno” come nelle vecchie tribù.



Aldo Vincent





GLI OROLOGI



Il tempo non si può misurare.

Infatti, secondo i moderni concetti di relatività, questa entità, che è preferibile definire spazio-tempo, dipende dall’accellerazione, dal punto di vista dell’osservatore e dalla sua velocità.

Quello che l’uomo primitivo scoprì invece, fu che il tempo è circolare e che questa periodicità, con i suoi fenomeni atmosferici, fisici e astronomici, è misurabile.

Solstizio, per esempio, è parola greca che significa che “il Sole si ferma” nel senso che dalle osservazioni si evince che esso non sorge e tramonta in un punto fisso dell’orizzonte, ma che ogni giorno si muove da Est verso Sud, si ferma apparentemente tre giorni (21 Dicembre) dando luogo al Solstizio d’Inverno, poi torna indietro fino al 21 Giugno dove dà luogo all’altro fenomeno che è il Solstizio d’Estate.



L’osservatore primitivo che scrutava ogni tramonto, si rese conto che dopo il buio apparivano alcune stelle che raggruppate in Costellazioni diedero vita ad una prima suddivisione delle stagioni. L’Acquario era il tempo delle alluvioni, il Toro delle transumanze, l’Ariete dei sacrifici, e così via.



Il tempo, secondo la nostra moderna interpretazione, è ciò che accade tra due punti ed è inoltre un concetto fisico che serve a misurare la contemporaneità o la successione degli eventi, ma il concetto di tempo come durata non esisteva nei popoli primitivi così come non esiste oggi nelle culture non alfabete. Come il lavoro cominciò con la divisione della manodopera, così la durata cominciò con la divisione del tempo, e all’inizio non fu affatto semplice. In Cina e Giappone fino al Seicento si poteva indovinare la data riconoscendo i profumi degli incensi bruciati in quei luoghi. Un profumo cambiava con il giorno, un secondo profumo con l’anno (in senso zodiacale) e un terzo con le fasi della Luna. Questo, secondo McLuhan è il più integrale e il più coinvolgente senso del tempo che si possa immaginare perchè l’olfatto non è soltanto il più sottile e delicato dei sensi umani ma è pure il più iconico perchè coinvolge più di ogni altro tutto il sistema sensorio. Questo ci fa comprendere perchè le società al più alto livello di alfabetismo tendano ad eliminare gli odori dell’ambiente e soprattutto quelli del corpo, segno distintivo e affermazione insostituibile di individualità che ci ripugna perchè date le nostre abitudini acquisite al distacco e all’affermazione specialistica, l’odore del corpo del nostro vicino ci coinvolge in misura non sopportabile.

Le società che misuravano il tempo con l’olfatto si sono dimostrate nei secoli molto compatte, e profondamente unificate da resistere ad ogni cambiamento.



I latini bruciavano funi contrassegnate da nodi che ne determinavano il tempo, ma anche la clessidra e le candele davano con approssimazione lo scorrere del tempo che veniva comunicato a voce dalle mura dei castelli medievali fino al tempo dei monasteri benedettini dove all’insegna dell’ “ora et labora” il suono della campana dava la scansione del tempo dividendo quello del lavoro da quello delle orazioni, usanza che si diffuse con l’adozione di campanili che diffusero il suono della campana nei campi e nei luoghi di lavoro.



Fu l’invenzione dell’orologio meccanico che diede al tempo il suo carattere di durata e come entità trascrivibile in unità visive astratte ed uniformi. Trattato come strumento tecnologico, l’orologio è una macchina che produce ore, minuti, secondi uniformi, secondo lo schema della catena di montaggio. In questo modo il tempo viene separato dai ritmi e dalle cadenze dell’esperienza umana e contribuisce a creare l’immagine di un Universo numericamente quantificato e mosso da forme meccaniche (concetto che influenzò persino il pensiero di Newton).

Non fu l’orologio in sè stesso ma fu l’alfabetismo rafforzato dall’orologio meccanico a far sì che gli uomini non mangiassero più quando avevano fame, bensì quando era l’ora di pranzo, di lavorare non quando ne avessero voglia ma quando era l’ora di lavorare, ecc.



Anche se l’orologio meccanico compare verso la fine del Duecento, mostrando meraviglie, automi, movimenti del Sole e della Luna (tutti grossomodo imprecisi) è con l’avvento della stampa tipografica abbinata all’orologio che si nota l’accelerazione della meccanizzazione della società medievale, ma questo fenomeno non sarebbe potuto accadere se non fosse stato preceduto dalla diffusione dell’alfabeto fonetico, della tecnologia cioè che ha reso possibile la frammentazione visiva del tempo. Esso infatti è la fonte del meccanicismo occidentale che è il passaggio da una società audio-tattile che adotta valori visivi.



La nuova tecnologia informatica, che è organica e non meccanica, in quanto non estende più i nostri sensi, ma tutto il nostro sistema nervoso centrale viene espanso sul nostro Pianeta ed oltre, nel suo rapporto spazio-temporale istantaneo comincia a considerare carente il concetto di tempo meccanico se non altro perchè uniforme. Il fisico e lo scienziato moderno non tentano più di contenere tutti gli eventi in un tempo, ma ritengono che ogni fenomeno abbia il proprio tempo ed il proprio spazio e noi stessi che ormai viviamo elettricamente in un mondo istantaneo, sentiamo sempre più quanto spazio e tempo siano due concetti ormai inseparabili tra loro. L’elettricità non è qualcosa trasmessa da un’altra cosa o da un’altra cosa contenuta, ma è un fenomeno che si verifica quando due o più corpi si trovano in determinate condizioni.

Siamo ancora condizionati dai luoghi comuni che a proposito dell’elettricità parlano di corrente, flusso, scariche, dando l’impressione che essa vada da un punto a l’altro, ma è un errore, perchè l’elettricità, come il magnetismo, come la posizione neuronale dei computers collegati in Internet, è un campo e come tale usa il tempo in tutta la sua contemporaneità..



Ai giorni nostri non è soltanto il tempo scandito dall’orologio ad essere antiquato ma persino la ruota comincia a dare segni di stanchezza. L’intuizione di Maxwell e di Einstein secondo i quali il tempo poteva essere sconfitto dalla velocità, risulta fondata.

Con la velocità elettrica il meccanico cede il passo all’unità organica.

Dobbiamo stare in guardia contro coloro che annunciano piani per restituire l’uomo alla condizione, al linguaggio, ai tempi e alla vita bucolica originari della sua stirpe. Questi predicatori sono sonnambuli che non hanno mai analizzato la funzione dei media nello scaraventare l’uomo da una dimensione all’altra.

Senza alcuna possibilità di tornare indietro.



Aldo Vincent





LA STAMPA





Nota:

L’avvento della stampa e le conseguenze sulla società moderna è trattato ampiamente dal McLuhan nel suo “Galassia Gutemberg” che rappresenta il nucleo centrale della sua più importante intuizione, e lo tratteremo in un settore a parte.

Qui analizziamo solamente le interrelazioni della stampa con gli altri media.







Cosa esattamente abbia inventato Gutemberg è ancora oggetto di confusione: la carta proveniente dalla Cina era prodotta in Europa da quasi tre secoli, l’inchiostro a olio col nerofumo era conosciuto dai pittori fiamminghi, il torchio era usato da secoli per fare il vino e i caratteri mobili erano già conosciuti in Corea. Aggiungiamo che per tutto il tardo Medio Evo erano già diffusi fogli stampati con la tecnica xilografica, che riportavano oltre che immagini sacre, pure giaculatorie o preghiere. Lo stesso Gutemberg era un orafo e l’incisione dei caratteri mobili è una tecnica che deriva dal bulino. E allora, cos’ha inventato Gutemberg? E’ semplice: ha inventato

il procedimento per rendere una realizzazione pittorica ripetibile all’infinito, o almeno fino a quando dura la matrice.



Vediamo di fare un esempio: poniamo che voi una bella mattina vi mettiate in mente di inventare un nuovo modo di fare surf. Prendete la tavola, la modificate, ci aggiungete una vela e il modo di maneggiarla. Avete inventato il windsurf e ora potete pure brevettarlo incassando le royalties.

Poniamo invece il caso che abbiate inventato lo sci nautico: non c’è nulla di nuovo in questo, basta avere una corda, un motoscafo e un paio di sci. Chiunque vedrà il procedimento per lo sci d’acqua potrà riprodurlo senza fatica. E’ questo che portò alla rovina Gutemberg, il quale con i caratteri mobili non solo ideò un metodo ma per realizzare la sua idea si associò con un usuraio tedesco che prima mise nella tipografia alcuni suoi parenti che si appropriarono della tecnica, poi lo estromisero dall’attività riducendolo sul lastrico e continuando ad usare il suo nome che a Magonza era diventato garanzia di qualità.

Sei anni dopo la costituzione della prima tipografia, il Gutemberg era già fallito, aveva perso officina e attrezzature ed era tornato nell’ombra, ma il destino gli aveva riservato l’immortalità attribuendogli la Bibbia delle 42 linee e altre opere uscite dalla tipografia che portava indebitamente il suo nome.



Fino ad allora il libro, che era un manoscritto scolastico prodotto dagli studenti sotto dettatura, era un oggetto usato che veniva venduto nei mercati che si tenevano alle porte delle città, come manufatto di seconda mano. L’impatto con un oggetto nuovo, perfettamente riproducibile in serie e con un prezzo fisso, portò all’evoluzione di questo commercio e modificò pure il modo di pensare alla produzione in serie. La tipografia infatti, per la prima volta, mostrò con la tecnica dei caratteri mobili, il metodo per meccanizzare qualsiasi lavoro manuale ricorrendo alla frammentazione e alla segmentazione dell’ azione totale. Se l’alfabeto aveva assegnato la supremazia alla componente visiva, con la separazione dei gesti e del suono dalla parola parlata, con la tipografia il fenomeno raggiunse livelli d’intensità inediti. E se la xilografia aveva contribuito al diffondersi di calendari, libri delle ore, preghiere e giaculatorie, ora non era più il tempo della pietà ma del catalogo, perchè immagazzinare vuol dire mettere ordine, capire e diffondere informazioni con una quantità crescente di dati sempre più precisi fino a creare dentro la pagina scritta un mondo tridimensionale di prospettive e punti di vista fissi, perchè l’intensa precisione visiva che deriva dalla stampa è una forza esplosiva che riduce in frammenti tutto il mondo percepibile.



Se osservate un bassorilievo scolpito prima dell’avvento dell’alfabeto, o un bastone o un totem o una zanna d’avorio incisa con figure mitiche, noterete che, come nella xilografia medievale, non esiste uno spazio comune e razionale dentro il quale ogni oggetto si inseriva con le dovute proporzioni. Con l’avvento della stampa questi oggetti cessano di esistere in uno spazio da essi creato, ma vengono “contenuti” in uno spazio uniforme, continuo e “razionale”. Questo non vuole assolutamente dire che la stampa a caratteri mobili abbia fatto scomparire la xilografia. Anzi, fu proprio la stampa che diede impulso alle immagini proprio perchè bastano due righe a spiegare come funziona una bottiglia ma tutte le parole del mondo non sono sufficienti per descrivere com’è fatta una bottiglia.

Senza le illustrazioni non è possibile descrivere l’arte, le scienze naturali, la meccanica. La xilografia e in seguito l’illustrazione si accompagnò alla stampa tipografica fino ad assumere aspetti autonomi per evolversi nei fumetti, e in seguito nella bassa definizione della televisione.



La stampa a caratteri mobili fu la prima meccanizzazione di un lavoro complesso, l’archetipo di tutte le meccanizzazioni, frammentazioni, omogeneizzazioni di lavori futuri. L’esplosione tipografica estese voci e cervelli umani fino ad un abbraccio globale che supera le tribù, le città medievali, i nazionalismi in un dialogo mondiale che dal Medio Evo dura tuttora.



E’ curioso notare come fino alla metà del Seicento, la stampa non suscitò nessuna voglia di scrivere libri nuovi, ma solo quella di recuperare antichi autori e persino la loro recentissima storia medievale e qui dobbiamo riscontrare il primo dei problemi della memoria, e cioè che noi non siamo in grado nè di controllare nè di modificare in qualche modo quello che verrà dimenticato, quello che verrà recuperato e restituito con manipolazioni che facciano diventare “attuale” la materia trattata, e nemmeno ciò che in nome di una cultura collettiva, verrà recuperato nella sua integrità. Da qui le distorsioni e le manipolazioni nel recupero della memoria.



Il McLuhan si stupisce del fatto che chiunque studi la storia sociale del libro stampato non abbia individuato gli effetti psichici della stampa, con l’estensione della facoltà visiva, del punto di vista fisso, dell’illusione della prospettiva in uno spazio visivo uniforme e preciso. Sul piano sociale essa generò i nazionalismi, l’industrialismo, la produzione di massa, l’alfabetismo e l’istruzione universale.  Lo spirito individualistico che spinse autori e artisti a esprimere l’espressione di se stessi, indusse altri a creare grandi imprese commerciali e persino militari.



Forse l’apporto più significativo della stampa sull’uomo medievale fu quello del distacco e del non coinvolgimento, cioè dell’agire senza reagire emotivamente, funzione che nell’era elettrica diventa un impaccio poichè oggi con l’avvento dell’ informatica siamo tutti emotivamente coinvolti. La tipografia non fu un’aggiunta all’arte dello scriba così come l’automobile non è un’aggiunta al cavallo. Come tutti i nuovi media anche la stampa agli inizi fu causa di equivoci, e non è raro che signorotti facessero comprare libri stampati per poi farli ricopiare nelle sale dei propri castelli o monasteri senza capire che il libro stampato era passato dall’essere un manufatto compilato da studenti, ad un oggetto di massa che immagazzinava un’immensa memoria collettiva divenendo esso stesso la prima macchina per l’insegnamento. L’aspetto più significativo dell’uniformità della stampa fu la pressione esercitata per arrivare ad una sintassi, ad un’ortografia, ad una pronuncia unformi e “corrette”. Ancora più notevole fu la separazione della poesia dal canto. Se prima il manoscritto veniva letto ad alta voce, ora con il punto di vista fisso era possibile leggere i versi senza udirli, così com’era possibile suonare gli strumenti senza che fossero accompagnati dalla parola.



Se nell’era del manoscritto l’autore era vago e incerto, il suo pensiero forse originale forse copiato da qualche altro autore non aveva importanza, come le canzoni eseguite dai menestrelli. Con la stampa invece prese forma l’equitono, il punto di vista cioè dell’autore, che parlava ad un pubblico con estrema chiarezza, fuori dalle celle monastiche agendo e reagendo senza essere coinvolto (E’ questa la potenza del Rinascimento e del pensiero di tutto l’Occidente).



Senza il distacco dell’azione dalle emozioni e dai sentimenti, gli uomini sono incerti ed esitanti, e questo è lo specchio dei nostri tempi.



Aldo Vincent

























LA RUOTA





Prima delle ruote i veicoli procedevano per trazione abrasiva, cioè con i pattini o le slitte. Per ottenere la funzione della ruota, l’uomo dovette prima completare il movimento semicircolatorio del fuso e del trapano a corda con quello completo della ruota del vasaio. Sembra elementare che per trasportare un tronco sia più semplice farlo rotolare che spingerlo ma questo movimento è più vicino all’estensioni delle mani che fanno lavorare un fuso, e invece la ruota è l’estensione del piede perchè in condizioni di sforzo è più naturale frammentare e trasferire una parte della nostra forma corporale dentro un altro materiale piuttosto che trasferire in un altro materiale i movimenti di oggetti esterni. Tutta la tecnlogia può essere considerata lo sforzo per estendere ed immagazzinare le nostre varie funzioni e tutti gli utensili sono l’applicazione di questa tendenza tradotta in estensioni del nostro corpo.



La reazione all’aumento di energia e di velocità dei nostri corpi estesi genera nuove tensioni e nuovi bisogni negli esseri umani che l’hanno generato, con nuovi bisogni e nuove risposte tecnologiche. E’ per questo che alla ruota, che è lineare, fece da interfaccia la strada che con la ruota venne trasformata dagli antichi Romani in arma da guerra. Anche oggi, qualsiasi tecnologia avanzata è patrimonio militare da cui deriveranno applicazioni civili.



La ruota quindi produsse la strada, accellerò lo spostamento delle merci dai campi ai villaggi che diventarono città. Infatti la ruota comparve come carro da guerra e la città si cinse di muri per difendersi dalle aggressioni. Quello che a prima vista pare una “implosione” (infatti l’area circostante la città si svuota e i suburbi urbani proliferano) in realtà è una incontenibile esplosione data da centri urbani che grazie alla ruota si collegano con altri centri urbani creando un tessuto di interrelazioni.



La tecnologia è precisione e la ruota, la strada e il papiro estesero il potere da un centro all’estrema periferia dell’impero che sottomise intere popolazioni, non solo con la forza delle armi ma con l’implosione della struttura centralistica urbana, della protezione della famiglia, la riunione di persone in appositi centri per la discussione, il giudizio, il commercio. Per uscire dal mondo magico e tribale della tribù e della famiglia, l’uomo cominciò ad operare nelle città in forme cooperative, collaborative, collettive grazie alla straordinaria espansione del potere fisico e delle applicazioni tecnologiche.



Secondo alcuni specialisti il progresso tecnologico si fermò per secoli con la caduta dell’Impero Romano e il disuso delle strade ma non è esatto. La ruota continuò con i mulini ad acqua e rappresentò la forza motrice del Medio Evo. Con l’invasione degli Avari l’Occidente conobbe la staffa ed i finimenti. Il collare del cavallo permise il tiro a due e la costruzione di carri a due assi rotanti e freni anteriori per il trasporto delle merci pesanti.



Osservando invece alcuni tipi di ruota, potremmo forse dirci d’accordo con il McLuhan.

L’aereo, per esempio, è un mezzo di trasporto che usa la ruota per una parte infinitesimale del suo percorso (il decollo e l’atterraggio) per proseguire come razzo vettore, la rivoltella e il fucile mitragliatore sono passati dal giro del tamburo all’automatismo, il telefono ha perso il disco per formare il numero sostituito dalla tastiera, l’orologio ha perso le lancette per il quadrante digitale, il giradischi è diventato lettore Mp3, ecc.



Delle grandi previsioni del McLuhan, quella della scomparsa dell’auto in tempi brevi, è forse la meno precisa, forse perchè egli non tenne conto delle forze dell’indotto che avrebbe permesso alla ruota dell’automobile di sopravvivere. In realtà, non è certo la saturazione della tecnologia ad aver segnato la decadenza dell’auto, ma la crisi energetica ed il lavoro a domicilio dovuto ad internet che ha limitato i movimenti delle persone.





Aldo Vincent







I GIORNALI



Nell’editoriale che scrisse Benjamin Harris inaugurando il 25 Settembre 1690 il primo quotidiano di Boston, l’editore specificò che il suo giornale sarebbe uscito una volta al mese: “ o anche più spesso, se ci saranno notizie...” sottolineando la rudimentale certezza che il nuovo medium sarebbe stato una sorta di correttore di voci o resoconti verbali nello stesso modo con cui un dizionario fornisce l’ortografia e la dizione “corretta” delle parole già esistenti. Ci volle poco per capire non solo che la notizia non è avulsa dal giornale ma che il nuovo mezzo poteva raccoglierne (fu il telegrafo il vero catalizzatore di notizie) ma poteva addirittura crearne in nome di quello che i direttori in seguito chiamarono l’”interesse umano” che è poi ciò che accade quando una serie di informazioni, cioè di differenti punti di vista anche in contraddizione tra di loro, vengono ordinati in forma di mosaico su di un’unica pagina trasformando il giornale in una sorta di confessione di gruppo che necessita di una partecipazione continua e collettiva.



Se le pagine del libro contengono la storia segreta delle elucubrazioni mentali dell’autore, il giornale, proprio per la sua disposizione a mosaico e indipendentemente dai contenuti, lascia intendere che quello che viene riportato sia una sorta di storia segreta della comunità. E’ incredibile, per quanto complicata sia l’amministrazione pubblica e i suoi derivati, di come tutti i settori della politica abbiano immediata risonanza sui mezzi d’informazione che danno l’impressione di adempiere alle proprie funzioni proprio quando rivelano aspetti poco edificanti della cosa pubblica.  Perchè una vera notizia è una cattiva notizia e questo la politica lo sa imponendo ai suoi lavori una impenetrabile segretezza da cui gli uffici stampa lasciano scientemente trapelare ciò che serve alla propria fazione o che potrebbe danneggiare l’altra.



Man mano però che l’elettricità aumenta la velocità dell’informazione, anche la politica cambia con una tendenza ad allontanarsi dalla rappresentanza e dalla delegazione degli elettori con il conseguente coinvolgimento diretto dell’elettorato che partecipa in tempo reale al processo decisionale influenzandolo come “opinione pubblica”. Succede così che capiti agli uffici stampa di annunciare decisioni politiche PRIMA che esse vengano prese, per saggiare la reazione del pubblico. Questo procedimento, abbastanza inevitabile, scandalizza qualche vecchio giornalista mentre altri allegramente si lasciano trascinare dal fenomeno contribuendo a “falsificare” gli avvenimenti.



Occorre precisare che il giornale non ha la stessa funzione in Europa, in America, in Russia o in Cina e la generale inconsapevolezza della natura del giornale e della sua influenza subliminale o latente genera equivoci.

Nella cultura europea, per esempio, esso è stato prevalentemente letterario, in America invece si è evoluto prevalentemente come forma di business. Quando il telegrafo oltre che le notizie dalle varie città americane cominciò a trasmettere anche le temperature e le condizioni del tempo, ci si accorse dell’interesse che assumeva la metereologia, che insieme al bollettino di Borsa, ai necrologi e alle inserzioni pubblicità diedero linfa agli editori che cominciarono a farle pagare in rapporto alla tiratura. Si pagava (e si paga) l’inserzione in base ai potenziali lettori che possano leggerla.

Pure ai nostri giorni è errato per esempio considerare la televisione come fabbrica e messa in onda di programmi televisivi. In realtà la televisione ha accellerato il processo iniziato dai giornali ed oggi è diventata un mezzo per aggregare pacchetti di spettatori, ognuno dei quali differente dagli altri per scelte, gusti, tendenze, e offrirle agli inserzionisti per promuovere prodotti sempre più mirati.

Con questo non si vuole dire che i giornali la radio e la televisione siano soltanto canali d’informazione pagati da produttori di merci quali saponi, auto e liquori. A mano a mano che l’automazione avanza ci rendiamo conto che la merce primaria è l’informazione e tutti gli altri fenomeni sono accidentali anche se con il loro luccicchio provocano il disorientamento tipico della pubblicità e dello svago.

L’inserzionista dei giornali in un regime democratico è diventato indispensabile all’economia del giornale non solo per il suo contributo economico ma anche perchè in contrapposizione alle “cattive” notizie pone i suoi messaggi rassicuranti che altro non sono che “buone” notizie che equilibrano la comunicazione. Non accade lo stesso nei regimi totalitari dove l’inserzionista è il regime che non ha nessun interesse ad incrementare i consumi ma è proteso ad incentivare la produzione. Vengono così cancellate le cattive notizie sostituite da record di produttività, premi di laboriosità, indici di incrementi, ecc.



La televisione ha modificato il modo di fare informazione, che se la radio lancia la notizia e la televisione la illustra, al giornale non resta che l’approfondimento.

Pure i settimanali illustrati dovettero modificare il loro modo di fare informazione. Prima dell’avvento della televisione grandi settimanali come LIFE o il nostro OGGI mostravano gli avvenimenti illustrandoli con almeno tre fotografie: una panoramica, un insieme e un particolare a cui si aggiungevano le didascalie e uno striminzito articolo d’approfondimento. La televisione, illustrando gli avvenimenti anche in tempo reale, invecchiò fatalmente questo genere di giornalismo e nacquero settimanali-tabloid come Newsweek, Time e il nostro Panorama a cui fece immediatamente seguito L’Espresso che fino ad allora era uscito con la forma del quotidiano. Queste nuove pubblicazioni non si limitavano a offrire finestre sul mondo come le vecchie riviste illustrate, ma presentavano una società in azione a cui il lettore era invitato a partecipare. Se la vecchia rivista era un mezzo caldo per un usufruitore freddo e passivo, le nuove riviste tabloid erano invece fredde e invitavano alla partecipazione.



Stiamo assistendo ad un cambiamento dei giornali che sempre alla ricerca di incrementi della loro tiratura (i lettori sono sempre quelli, aumentano le testate, da qui la lotta) ci ritroviamo con i giornali americani che hanno via via perso il tono sensazionalistico della stampa popolare (avvistamenti di camion sulla luna, invasione di extraterrestri, vitelli a tre teste...) per approdare a toni più letterari e d’opinione, mentre da noi si assiste sempre più ad uno scivolamento delle notizie verso il pettegolezzo e il dietrismo.

Sbagliano coloro che auspicano un più elevato tono letterario del giornale come se questo potesse in qualche migliorare l’informazione. Sbagliano pure coloro che credono ai proprietari dei giornali che dichiarano di lasciar pubblicare quello che vuole il pubblico, perchè essi sanno benissimo che quello che conta non è il contenuto del messaggio ma il possesso del mezzo d’informazione.





Aldo Vincent





LA PUBBLICITA





Definita in modo brutale, la pubblicità è un rozzo tentativo di estendere i principi della meccanizzazione all’intelletto umano ponendosi come meta ideale un’armonia programmata di tutti gli impulsi, desideri e le aspirazioni della società usando mezzi artigianali con il fine tutto elettronico di programmare una sorta di coscienza collettiva.

Se per assurdo riuscisse a far collimare la produzione con il consumo in un’armonia programmata, ecco che essa sparirebbe, distrutta dal suo stesso successo.



Nel pieno della polemica tutta europea sulla scientificità della psicoanalisi, Freud e Jung furono invitati in America per un giro di conferenze per illustrare la nuova disciplina.

Mentre l’Europa polemizzava, l’America applicava questi nuovi principi, tanto che prima di ripartire per l’Europa lo stesso Freud si accorse di cosa stesse succedendo e scrisse una lettera allarmata in cui descriveva la tecnica tutta americana di nominare un prodotto per radio associandolo con una canzone. La ripetizione di questa accoppiata, faceva sì che dopo un certo tempo al pubblico bastava ascoltare il motivo musicale perchè richiamasse alla mente il prodotto.

“Abbiamo portato la peste su questo continente” dichiarò. Aveva scoperto uno dei principi fondamentali della pubblicità e cioè che basta ripetere all’infinito la più piccola unità modulare in modo rumoroso e ridondante per ottenere una forma di memoria e persuasione, con fenomeni già riscontrati da Pavlov (i riflessi condizionati) che sarebbero poi stati applicati con le tecniche del lavaggio del cervello.



L’illustrazione, che aveva accompagnato la stampa fino dai primordi, con la nuova tecnica della fotoincisione, applicata alla fine dell’800, scoprì la funzione della fotografia quale coadiuvante non solo dell’informazione, ma “aggiustata” dai pubblicitari acquisì il carattere di icona onnicomprensiva. Le icone raggruppano in una minuscola porzione di spazio una vasta area di esperienza umana, tendono quindi a staccarsi dall’immagine del prodotto propria del consumatore per l’immagine del processo cara al produttore. In quest’intreccio addirittura si delinea il consumatore con funzione di produttore.Questo avviene quando la comunicazione pubblicitaria è talmente satura per cui il prodotto non conta più, ma conta una sorta di sistema di vita raggiunto con il consumo di un certo prodotto. Per intenderci, non conta più dissetarsi bevendo Cocacola, ma Cocacola è un marchio, con i suoi negozi, la sua distribuzione, che sforna prodotti differenti il cui acquisto, un cappellino, un fazzoletto o una maglietta, attestano la propria appartenenza al “mondo cocacola”.

Non c’è nulla di più rassicurante che consumare prodotti con marchi conosciuti.



Negli anni settanta si impose “la griffe” cioè il marchio di stilisti affermati che non solo rassicuravano i propri consumatori firmando i capi di vestiario – che sono la loro specializzazione – ma invasero il mercato firmando qualsiasi cosa, dalle piastrelle alle tazze dei cessi, dalle carrozzerie ai profumi. Questa sorta di garanzia data da una persona popolare o addirittura celebre, diede impulso alla tecnica del testimonial, cioè di un personaggio famoso che consumando un certo prodotto ne certifica la qualità.



La pubblicità è una forma d’arte collettiva con cui menti eccelse e altamente “creative”

usano tecniche sempre più sofisticate per far vendere prodotti. In Occidente iniziò con l’

Agorà laikì, antica tradizione orientale della piazza prospiciente il Tempio dove si faceva il mercato, che nella Grecia di Pericle divenne pure luogo d’incontri e di discussioni.

Il Tempio era il luogo dove affluivano le persone da tutta la regione e la funzione della pubblicità primordiale era quella di far conoscere il luogo dove erano disposte le merci da vendere oppure con le insegne dei negozi. Camminando per Pompei oggi ci si imbatte in un’insegna che ci illumina su detta funzione. Essa recita:



S A T O R

A R E P O

T E N E T

O P E R A

R O T A S



Che si potrebbe leggere (la traduzione è controversa):

“L’artigiano Arepo fa la manutenzione delle ruote” laddove la novità del messaggio non è tanto l’annuncio bensì la forma, un palindromo complesso, che si ottiene in qualsiasi direzione lo si legga, tipico proprio di un messaggio pubblicitario che vuole attirare su di sè l’attenzione e persino stupire.



Con il Medio Evo il mercato si teneva alle porte della città, nei pressi delle mura perimetrali e l’incremento delle vendite si ebbe con la comparsa dei venditori ambulanti che attiravano l’attenzione gridando per le stradine medievali le qualità del prodotto, ne illustravano le proprietà, negoziavano il prezzo, superavao le ultime obiezioni ed effettuavano la vendita, che se notate sono le medesime fasi della vendita che vennero adottate dai venditori Fuller che in America andavano porta a porta a vendere le spazzole dopo la crisi del 1929 e che da noi vennero in seguito adottate negli anni ’70 dai venditori di enciclopedie che tanto hanno camminato per la diffusione della lettura nel nostro Paese.



Come ogni grattacielo è costruito sopra le proprie fondamenta, così la pubblicità è costruita partendo dalle basi sopra descritte per presentarsi oggi come comunicazione che riassume la fatica, l’attenzione, gli esperimenti, l’ingegno e l’abilità di molte persone. Nel messaggio pubblicitario odierno confluiscono maggiori riflessioni e cura nella composizione di qualsiasi articolo giornalistico che appaia sulla medesima pagina.

Ogni messaggio pubblicitario è la drammatizzazione più vigorosa dell’esperienza collettiva di una comunità e l’insieme di detti messaggi è una inarrivabile accumulazione di materiali sulle esperienze, paure e desideri di un’intera comunità, perchè se la comunicazione pubblicitaria si allontanasse dal centro di queste esperienze perderebbe tutto il proprio effetto afflosciandosi come un palloncino rotto.



Se analizzato consapevolmente, il messaggio pubblicitario appare quasi grottesco nel suo servirsi delle esperienze basilari e più collaudate di una comunità per ricreare un mondo omogeneizzato e esistente solo nell’immaginario collettivo, con massaie bionde e ben pettinate, che rientrano a casa da attività ludiche (pure se rientrano dal lavoro sono sempre radiose), dove le attendono bimbi improbabili e mariti sorridenti, un poco come se la vita reale fosse riflessa nello specchio d’Alice, una sorta di mondo virtuale a cui tutti aspiriamo nel nostro inconscio inesorabilmente compromesso dal sonnambulismo pre-ipnotico in cui ci siamo cacciati con il nostro alfabetismo.



E’ difficile che culture orali e tribali quali quelle emergenti, accettino consapevolmente queste tecniche messe in atto per migliorare lo scambio di prodotti e di servizi, ed ecco che la pubblicità si trasforma in propaganda, il cui fine non è quello di incrementare i consumi ma di pianificare la produzione e il mantenimento del potere. E’ questa una delle ragioni per cui il nazista, tornato allo stato tribale grazie alla propaganda politica, si sentisse superiore alla rimanente società di cosumatori.

La pubblicità ha spostato la nostra cultura da ideali personali all’offerta di un sistema di vita che è per tutti o per nessuno e questo con argomenti frivoli o banali. E non importa se qualcuno dice: “La pubblicità? A me non importa perchè non la guardo” perchè questi sono i sonnambuli massmediologici più pericolosi per la comprensione del fenomeno.



Quando il cinema degli Stati Uniti divenne un fenomeno d’esportazione, tutta la società americana si riversò dentro la pellicola in un unico, continuo spot pubblicitario. Si cominciò a distinguere tra le case dei buoni e dei cattivi, le prime con sale da pranzo dentro le quali arrivava il protagonista e si serviva da bere in bicchieri smerigliati, togliendo ottimo bourbon da bottiglie parimenti smerigliate, mentre i cattivi aprivano un vecchio frigorifero in una cucina angusta per bere direttamente dalle lattine della birra...



La stessa funzione oggi viene svolta dalle telenovelas che ipnotizzano la civiltà sudamericana (e non solo essa). Sono stato un testimone oculare a Cuba, paese dichiaratamente contrario ai consumi, dove in una telenovela brasiliana “La signora del destino” i buoni erano tutti bianchi e benchè fossero una famiglia popolana, abitavano in una casa da qualche milione di dollari, vestivano come modelli, consumavano prodotti sceltissimi. L’unico cattivo era un nero, tanto cattivo che tutti tirarono un sospiro di sollievo quando venne ammazzato. Bene, nella cucina di questo tizio, le pentole erano tutte ammaccate, nere di fuliggine e accatastate in qualche maniera. Nella casa dei buoni, invece, le pentole erano d’acciaio inossidabile, tutte linde e poste in ordine. Bene, ricordo nella casa dove vivevo, che a poco a poco, con indicibili sacrifici economici, la famiglia che mi ospitava cominciò a comprare pentole d’acciaio al mercato nero, e ci volle poco perchè dette pentole comparissero anche nelle “tiendes” dove si vendevano merci pagabili solo con CUC, la moneta speciale che ha sostituito il dollaro.



A lungo andare la pubblicità di dimostra una forma autodistruttiva di pubblico divertimento, e se la ripetizione fino alla nausea di slogan tipo: “Potrete finalmente stirare le camicie senza odiare vostro marito” può in un primo momento imporre il prodotto, dopo un certo tempo perde la propria efficacia a meno che non si inventi un’altra formula più ammaliante, più convincente, più spettacolare per ribadire il concetto. Si sa che a lungo andare questa continua iperbole diventa autodistruttiva ed ecco che la pubblicità ha inventato un nuovo modo di comunicare: non più il consumo del prodotto, ma l’importanza della fabbrica o meglio del LOGO da cui sono derivate le più recenti complicazioni, dalla globalizzazione, al lavoro minorile nel Terzo Mondo, argomenti trattati con estrema chiarezza da molti autori contemporanei.

(Una su tutte: Naomi Klein e il suo celeberrimo NO LOGO)

Aldo Vincent



























































Aldo Vincent















McLuhan, actualmente comparado con pensadores como Newton, Darwin, Freud, Einstein, Pavlov, era un profesor de literatura inglesa que nadie conocía pero que un día de 1964 volvió la atención de buena parte de los intelectuales sobre él cuando publicó Understanding Media: The extensions of man (La comprensión de los medios como extensiones del hombre)



Esa obra, que desmenuzaremos más adelante, puso a McLuhan y sus ideas en el centro de los debates sobre cómo afecta la tecnología las formas y la escala de la organización social y la vida individual.



McLuhan decía que su obra era una aproximación de campo en forma de mosaico para estudiar cómo los medios reorganizan la percepción del mundo. Buenos ejemplos son El Medio es el Masaje, un inventario de efectos y La Galaxia Gutenberg, en el canadiense pone de manifiesto cómo los libros operan como medios, es decir, cómo alteran la percepción con su irrupción social.



El profesor McLuhan era absolutamente consciente de lo que hacía, de sus formas e inventarios. Es por eso que nos invitaba a entrar en su obra como si fuéramos a entrar en un baño de inmersión. Es decir, no importa por dónde entremos, pues después de unos instantes ya nos vamos a haber sumergido en un nuevo entorno.



"En América Latina no pocos académicos e investigadores de las ciencias de la comunicación menospreciaron las tesis de McLuhan", comenta Octavio Islas. Y explica: "El radicalismo althusseriano era la ideología que entonces estaba de moda en escuelas de periodismo y comunicación. De acuerdo con esa corriente teórica, inspirada en las tesis del pensador francés Louis Althusser - tristemente célebre-, los medios de difusión colectiva estaban al servicio de la burguesía, y destinados a garantizar la efectiva reproducción ampliada de la ideología dominante y la reproducción ampliada de la calificación diversificada de la fuerza de trabajo. Para algunos de los principales seguidores de Althusser en América Latina, como el destacado investigador mexicano Javier Esteinou Madrid, en las formaciones capitalistas más avanzadas, los medios de difusión colectiva habían alcanzado la condición de aparatos ideológicos hegemónicos, desplazando a un segundo plano a la familia y escuela en la tarea de garantizar la efectiva reproducción ampliada de la ideología dominante y la reproducción ampliada de la calificación diversificada de la fuerza de trabajo" (...) "La descalificación de todo esquema interpretativo contrario a las tesis del “althusserismo”, particularmente aquellas tesis que fueron estigmatizadas como planteamientos de corte "funcionalista", adquirió el carácter de constante en la enseñanza de las ciencias de la comunicación en muchos países de América Latina".



Antes de avanzar más resulta pertinente que comentemos brevemente cuál era la formación de McLuhan, que puede leerse en las notas al pie de sus libros, siempre citando a los grandes de la literatura, como Joyce o Shaquespiare.



Nació en 1911 en Canadá y se recibió de Bachiller en Artes en 1933. Tres años más tarde se graduaría en literatura inglesa en la Universidad de Cambridge, en Inglaterra.



Para saber más de McLuhan deberíamos investigar y leer a los poetas y simbolistas franceses de fines del Siglo XIX, a James Joyce –especialmente su Finnegans Wake- y al poeta, estudioso de la cultura T.S. Eliot y el panfletista y satirista inglés Thomas Nashe porque ellos fueron buena parte de sus influencias para inventar nuevas formas de pensar los sentidos.



McLuhan fue discípulo de I.A. Richards uno de los pioneros en la crítica literaria centrada en el sentido de las palabras en relación a cómo se utilizan. McLuhan se formó con la tradición literaria que sostiene que las palabras no tienen un sentido único, fijo, invariable ni independiente de sus usos. McLuhan deploraba la superstición del significado correcto, superstición sostenida increiblemente aun en algunos claustros académicos y elitistas.



Sabemos que no es posible el pensamiento sin el lenguaje. Pero la relación de las palabras con el pensamiento aun nos enreda en discusiones. I.A. Richards sostiene en el libro The Meaning of the Meaning –El sentido del sentido- que el pensamiento debía tener bajo su control a las palabras –no al revés- decidiendo el sentido a partir del contexto. Esta idea es tomada por McLuhan en la Comprensión de los medios como extensiones del hombre, donde explica que todos los medios son metáforas activas para traducir la experiencia en formas nuevas. La palabra hablada fue la primera tecnología mediante la cual fuimos capaces de tomar distancia de nuestro entorno para poder leerlo de una forma nueva, distinta a la que veníamos haciéndolo.



En ese sentido del sentido hay comprensión, en ese sentido hay traducción, tal como lo expone McLuhan en el capitulo Los medios como traductores en el libro La Comprensión de los medios.



McLuhan tuvo el perfil que nos interesa particularmente. Es decir, aquel perfil que no aparta la practica de la teoría porque ve en la primera el corazón de la segunda. Posiblemente por esa razón fundó la revista Explorations en 1953 y en 1955 una alocada compañía como Consultores de ideas –Idea Consultants- que ofrecía servicios de asesoramiento creativo para la innovación en los negocios.



En medio de tanta exploración y experimentación, como imaginamos, hubo de todo, desde proyectos inviables como luces para las cortadoras de césped y estufas y hogares tridimensionales hasta envases de aluminio y de cartón para bebidas, cenas dietéticas congeladas, utensilios para el baño en cápsulas descartables y las precursoras fuentes de televisión, que era lo que hoy conocemos como videocasets.



A mediados del Siglo XV Johannes Gutenberg inventó los tipos móviles que después hicieron posible la imprenta. ¿Qué se pregunta McLuhan, entonces? Sobre las clases y las escalas de cambios que acarrea la tecnología. La imprenta en este caso.



Para McLuhan el primer efecto de la irrupción de la imprenta es el comienzo del fin de la cultura manuscrita. Pero por otro lado mecanizó la escritura y socializó la publicación y extendió sin precedentes la circulación de conocimiento.



“La invención de los tipos móviles de Gutenberg forzó al ser humano a comprender en forma lineal, uniforme, concatenada y continua“ sostiene McLuhan y explica que esa estructuración del pensamiento, en un sentido incluso más material, la pagina escrita, los bordes, los margenes, los renglones, todo eso estructura trajo consigo una nueva forma de pensar el espacio. Y como ya podemos sospechar esta nueva percepción del espacio afecto en distintos planos de la organización social.



Entonces tenemos nuevas tecnologías que modifican nuestras formas de pensar. Nuevas formas de pensar que modifican las tecnologías. Un reordenamiento de la percepción una reestructuración de los sentidos que cambia la forma que percibimos nuestro entorno. Así, y en palabras de McLuhan, el pensamiento lineal produjo en la economía la linea de montaje y la sociedad industrial, en la ciencia, en la física particularmente, las visiones newtoniana y cartesiana del universo como un mecanismo en que es posible localizar un suceso en el tiempo y en el espacio. En el campo de las artes visuales la perspectiva fue afectada por el pensamiento lineal, y la literatura con la narración de cronológica es un ejemplo sensacional para comprender estas traducciones de la tecnología en la producción cultural.



Desde el principio McLuhan tuvo algo claro, que se lo adjudica a Blake. Y esto es: cuando varía la proporción entre los sentidos, el hombre varía. Y la proporción de los sentidos cambia cuando cualquiera de ellos o cualquier forma corporal o mental se exterioriza en forma tecnológica. Se extiende.



Precisamente las extensiones son clave. Lo que se extiende ya está en nosotros, alguna de nuestras facultades físicas o psíquicas. Porque, en los 60, mientras todos pensaban los medios como fuentes, a McLuhan se le ocurrió pensarlos como extensiones, producto retroprogresivo de una idea suya más amplia de la tecnología y de categorías nuevas para pensar los modos que en formamos a la tecnología y en la que ella nos forma.



Entonces para McLuhan la ropa es una extensión de la piel, así como la ciudad es una extensión colectiva de nuestra piel y la rueda una extensión primitiva del pie, tal como hoy lo es el auto o la bicicleta. Las casas y departamentos McLuhan los pensó como extensiones de los mecanismos de control de la temperatura del cuerpo.



Pero lo revolucionario del pensamiento mcluhaniano se hace evidente cuando sale a la carga con que el libro es una extensión del ojo, la TV es la extensión del tacto y las computadoras la extensiones de nuestro sistema nervioso central.



Lo que exasperó a más de un académico es que McLuhan desarrollara todas estas categorías reconociendo que carecía de una teoría formal detrás de todas ellas. De hecho, McLuhan llegó a comparar su obra con el trabajo de un violador de cajas fuertes. Decía que al principio no sabe qué hay dentro pero que su táctica simplemente se trata de enfrentarse al problema y ponerse a trabajar. “tanteo, sondeo, escucho, pruebo, hasta que los cerrojos ceden y puedo entrar’’.



Sí hay dos constantes en la obra de McLuhan. Una es que siempre el punto de vista es móvil, no se embarca en teorías monocausales y la multiperspectiva es su plan. Y la otra constante es que no se apoya en una estructura lineal. Esta característica la llevó al extremo en El medio es el masaje. Un inventario de efectos.



Los medios, las tecnologías extienden. Pero también amputan dice McLuhan. Y esa idea de amputación la mencionamos ahora porque más adelante nos va a hacer clave para comprender Las leyes de los medios. Para McLuhan la amputación es inevitable. Según que las leyes de los medios que elaboró junto a uno de sus hijos, Eric, toda tecnología que extiende amputa otra facultad y hace caducar la función de otro medio. Pero esto lo dejamos ahí que luego lo retomamos.



McLuhan, carecía de método formal o académicamente aprobado pero siempre hacia sus observaciones con dos preguntas clave: ¿hasta qué punto los seres humanos dependen de un sentido más que de otro? Y ¿Qué sucede cuando la proporción de los sentidos se modifica? Esta segunda pregunta tiene que ver con la idea mcluhiana de que la relación entre nuestros sentidos se modifican, alterando sus proporciones –y nuestra percepción- a partir de la emergencia de nuevos medios.



Claramente una de las preocupaciones de McLuhan es el cambio, la transfiguración de los entornos a partir de la irrupción del medio eléctrico ante el medio impreso.



Poniendo el acento en ese eje de análisis, Lewis Lapham ha presentado una comparación sintética de las afirmaciones de McLuhan acerca de los medios impresos y electrónicos:



Entonces:



el medio impreso: visual, mecánico, secuencia, composición, ojo, activo, expansión, completo, soliloquio, clasificación, centro, continuo sintaxis, expresión individual, hombre tipográfico



el medio electrónico: táctil, orgánico, simultaneidad, improvisación, oído reactivo, contracción, incompleto, coro, reconocimiento, de patrones, margen, discontinuo, mosaico, terapia de grupo, hombre gráfico



Uno de los aforismos más conocidos y con el que se sintetiza a McLuhan casi siempre es: el medio es el mensaje. Con esta afirmación, McLuhan nos plantea varios problemas, porque tenemos que redefinir qué es el medio y qué es el mensaje, por qué uno en tanto otro. Esto es desde el principio un problema porque McLuhan ha hablado de los medios en un sentido muy amplio, poco especifico.



Tenemos varias formas de pensar la idea "el medio es el mensaje", ya avanzaremos con ellas a partir de la relectura que hace Scott Lash en Crítica de la Información, pero lo que tenemos que dejar claro, porque de eso se encargó McLuhan es que si entendemos al mensaje solo en términos de contenido o información soslayamos la lectura clave para comprender a los medios, que es la que intenta pensarlos en relación a su poder para modificar el curso y funcionamiento de las actividades y relaciones humanas.



Lo importante para nosotros es que la inestabilidad en que McLuhan sumerge a un abanico de categorías e ideas sobre los medios, sobre el hombre, nos ponen de prepo a pensar y a revisar viejos conceptos.



El supuesto mcluhaniano de que el medio es el mensaje tiene también anclaje en el debate entre apocalípticos e integrados. Porque un bando y el otro coinciden en que el medio es el mensaje, y se desencuentran en la lectura que hacen de sus consecuencias. Mientras los apocalípticos ven, ante la explosión de los medios y la expansión de las sociedades mediaticas, la amenaza narcótica y el fin de la historia, los integrados, como McLuhan, ven el comienzo de una nueva fase histórica, el nacimiento de un hombre nuevo. Unos ven el fin de la razón, otros la emergencia de una nueva sensibilidad.



Con estas ideas empezamos, y la semana que viene nos dedicaremos exclusivamente a Las leyes de los Medios. La Nueva Ciencia, de Eric y Marshall McLuhan.









El medio es el mensaje: tabaneando con McLuhan



Si el medio es el mensaje…el mensaje es el medio???… pero entonces si el medio no es el medio, sino que es el mensaje y el mensaje no es el mensaje, sino el medio… como es posible hablar de medio y de mensaje como entidades diferenciadas??



El problema amaga con devorarse a si mismo puesto que parece estar afirmando que medio y mensaje son una misma cosa, aniquilando así los propios términos que componen la frase. Convirtiendo la explosiva y estimulante contradicción inicial en un mero caso de onanismo mental, de alguien que se divierte haciéndole creer a los demás que está diciendo algo original cuando en verdad no dice nada.



Estamos convencidos de que esto no es lo que ocurre con Marshall McLuhan.



McLuhan sostiene que cada cultura desarrolla una cierta configuración sensorial en función de los medios imperantes en la misma. Así, en una cultura oral la estructura del sensorium humano estará dominada por el sentido del oído. De la misma forma que la vista adoptará un papel central en las culturas tipográficas.



SPIONAGGIO RUSSIA USA



Hasta ahí no pareciera McLuhan estar afirmando nada demasiado importante, sino simplemente que según el ambiente mediático en el que me encuentre inmerso seré más o menos visual o auditivo.



Pero lo interesante es que, para este canadiense profesor de literatura, la configuración sensorial obtenida de la interacción del hombre con sus extensiones tecnológicas no solo afecta el orden de la sensibilidad sino también las propias estructuras del pensamiento, es decir, la concepción que este tiene del mundo y de si mismo.



Así planteada la cuestión el hombre crea tecnologías que al mismo tiempo recrean un cierto tipo de hombre.



En esta concepción no instrumental de la tecnología, embanderada por McLuhan a partir de la afirmación de que los medios son extensiones del hombre, subyace una antropología que corre al sujeto de la centralidad absoluta en el mundo. Dando lugar a pensar al sujeto como maquinal y a la tecnología como humana.



Scott Lash nos arroja un manto de claridad sobre este tema cuando, en su Crítica a la información, nos dice: “A su juicio (el de McLuhan) el sujeto no sólo está en el mundo con la tecnología; en su antropología mecánica, está fusionado con ella. En la fenomenología, el sujeto intencional tiene un status diferente del objeto. Por eso en Heidegger la estructura ontológica del Dasein es enormemente distinta de la estructura ontológica de otros entes. En la estructura tecnológica inmanentista los sujetos y los objetos convergen en su estatus ontológico: los primeros tienen, por así decirlo, movilidad descendente, y los segundos, movilidad ascendente. Para McLuhan, sujetos y objetos se fusionan”.





EL MEDIO ES EL MENSAJE POR QUE EL MENSAJE NO ES EL MEDIO



Para empezar a desentrañar la confusión en la que nos vimos enredados al comienzo de este escrito, o para sumergirnos más despabiladamente en ella, diremos que el medio es el mensaje justamente por que el mensaje no es el medio. Cómo es eso????!!! Hacia allí vamos.





El medio es el mensaje: El arte de estar inmerso.



Creemos acertado señalar que en la máxima macluhaniana pueden leerse dos acepciones que, por sus distintos niveles de inscripción, son complementarias entre si.



La primera de ellas está relacionada con el impacto que cualquier medio produce tanto en los individuos como en las formas en que estos se asocian.



MANDARE UNA LETTERA NELL 800

e un e-mail oggi



Esto es, lo radicalmente importante (léase, aquello acerca de lo cual un estudioso de los medios no puede dejar de preguntarse) son los “cambios de escala, de pauta, de paso de ritmo que cualquier medio introduce en los asuntos humanos”. Al decir de McLuhan, “el ferrocarril no introdujo en la colectividad humana el movimiento, el transporte, la rueda o el camino, pero sí aceleró y amplió la escala de las funciones humanas que acabamos de mencionar, creando clases totalmente nuevas de ciudades y nuevas especies de trabajo y diversión”. Y a renglón seguido agrega, “por otra parte, al acelerar el transporte, el aeroplano tiende a disolver las formas urbanas, políticas nacidas del ferrocarril, con absoluta independencia de aquello para lo que se use el aeroplano”.



Esta primera definición pone el acento en el medio como agente a nivel sociológico. Es decir, como promotor de cambios de escala y aceleraciones que impactan en las pautas de organización de las sociedades humanas.



La segunda definición apunta a señalar la dinámica entre cada nuevo medio y sus predecesores. Así, según Mcluhan, el contenido de cualquier medio es siempre otro medio: “El contenido de la escritura es el habla, del mismo modo que la palabra escrita constituye el contenido de lo impreso y lo impreso es el contenido del telégrafo”.



Claramente, esta última acepción se inscribe en un terreno mediamórfico. Es decir, señala un patrón de comportamiento de los medios en su desarrollo e interrelación.



Ambas definiciones atentan directamente contra la idea de continente-contenido aplicada a los medios. La primera, haciendo implosionar la díada al afirmar que es el medio mismo y los cambios que introduce a nivel social, y no el “mensaje” vehiculizado a través del medio (el ya famoso entre lo comunicólogos “dice qué” del modelo de Lasswell), lo que debemos tomar como signo, como “mensaje”. La cosa se grafica más o menos así:



SIGNO=MENSAJE, MEDIO=SIGNO, MENSAJE=MEDIO…

EL MEDIO ES EL MENSAJE.



La segunda definición, por su parte se sirve de los términos continente-contenido diciéndonos: si vamos a hablar de contenido como aquello que un medio alberga en su interior, de ninguna manera debemos reparar en lo que se dice a través de este (lo cual no nos señala nada acerca de las características del medio); sino que debemos analizar qué formas tecnológicas anteriores el nuevo medio ha absorbido. Desmenuzando un poco la cuestión, esto sería:



MENSAJE=CONTENIDO, CONTENIDO=MEDIO, MENSAJE=MEDIO…

EL MEDIO ES EL MENSAJE



Ahora bien, en las antípodas de McLuhan, los que pretenden dar cuenta del impacto de los medios a partir de los análisis de contenido (entendiendo por contenido lo que se dice a través del medio), identifican a aquel con los mensajes que “transporta”. Pero en ese caso la identificación no resulta para nada virtuosa, siendo, por el contrario, producto del indeseable sonambulismo tecnológico tan fervientemente denunciado por nuestro autor.





El mensaje es el medio: El ostinato alfabético.



Tal sonambulismo se identifica con la mentalidad alfabética (la ABCDEmindness como la llama Mcluhan) la cual se encuentra en una posición similar frente a los medios a la de aquel “marinero que se sume en el abismo y especula sobre la estructura del gigantesco torbellino, mientras éste lo engulle ineludiblemente”. Con el simpático agregado de que cree que puede sustraerse a su influencia, ignorando que “los efectos de la tecnología no se dan al nivel de las opiniones o los conceptos sino que cambian las proporciones de los sentidos o las pautas de la percepción”.



La miopía mediática que no ve que no ve los cambios profundos que cada medio introduce, y confunde la hondura de sus caracteres con la superficie de sus contenidos, ha quedado al descubierto con la aparición de la luz eléctrica.



Mientras los estudios de contenido anuncian EL MENSAJE ES EL MEDIO, la electricidad se les cuela por el punto ciego.



Es que para McLuhan prestarle atención a los contenidos es una pérdida de tiempo??? No, de ninguna manera. Es obvio que la televisión sin contenido o el cine sin films que proyectar no constituirían medio alguno. Como bien señala Piscitelli:“…muchas computadoras murieron porque fueron, por limitaciones de software o de hardware, de reciclarse para la conexión a Internet. En síntesis, el contenido es esencial al medio y a la existencia del medio”. Pero centrar la atención solo en los contenidos es pasar por alto cambios que calan mucho más hondo y que serán los que verdaderamente nos orienten en la tarea de dilucidar el tipo de proceso en el que estamos inmersos.



La electricidad, nos dice el autor de La galaxia Gutenberg, que es el primer medio de comunicación sin “mensaje” (aquí nuevamente hablamos de mensaje en el sentido de lo que se dice a través de…), ha pasado inadvertida frente a los ojos del analista incauto, quien al mismo tiempo que se pregunta por el “dice qué” queda enredado en la telaraña del nuevo ambiente tecnológico.



Vemos entonces como, mientras que en McLuhan es el medio el que reclama que se le preste atención como mensaje en si mismo, en los estudios de contenido es el mensaje el que se disfraza de medio.



Como no podía ser de otra manera el final de este post termina por el medio… Coda: El medio es el mensaje por que el mensaje no es el medio.









Las leyes de los medios



La nueva ciencia. (Perdón ¿Qué es lo científico?)



Las leyes de los medios. La Nueva Ciencia, es un libro de Marshall McLuhan y de su hijo Eric, que incluimos como bibliografía para este cuatrimestre de TDCI, porque nos viene muy bien para pensar las tecnologías, para, como nos dicen los autores, identificar propiedades y las acciones ejercidas sobre nosotros mismos por los tecnologías y los medios.



Se trata de cuatro leyes empíricas, un medio practico para percibir la acción y los efectos de las tecnologías.



Como ya comentamos, McLuhan fue muy resistido por la academia, según él porque después de dormir durante 500 años era lógico que los intelectuales se molestaran cuando él y sus preguntas y sus nuevas formas de conocer los apuraban.



Pero a decir verdad los editores de McLuhan, luego que publicara La comprensión de los medios como extensiones del hombre, le sugirieron una reedición del libro, menos ríspida y discontinua, con una reelaboración mas científica de sus ideas.



Entonces la gran pregunta era como sistematizar científicamente las ideas de La comprensión de los medios como extensiones del hombre, sin apuntar tanto a irritar al lector como a encajar en el canon académico.



Como bien advierte Piscitelli en sus Ensayitis "en epistemología el estilo es la obra" (...) "lo que parecía una discusión de estilo se tradujo en el caso de McLuhan y de otros impenitentes que vemos aparecer varias veces a lo largo de nuestras excursiones conceptuales en una cuestión de estilo... epistemológico. Lo que se le cuestionaba a McLuhan no es muy distinto -aunque el arco de la epistemología que ocupan aparezca en otras latitudes- que lo siempre se le cuestiono a Michel Foucault, a Francisco Varela a Fernando Flores a Ludwig von Bertalanffy, a Gregory Bateson y a Thomas S.Kuhn, y a muchos otros pensadores que seguramente Horacio Gonzalez y Tomas Abraham no dudarían en coleccionar bajo el paraguas de los pensadores bajos, discolos, bulimicos o mas seguramente apostatas".



Así las cosas, tal como nos cuenta Eric McLuhan su padre se encargó de averiguar cómo transformar aquel libro mosaico en un libro científico. Y se dedicó durante meses a entender qué era lo científico, hasta que dio con Karl Poper: algo científico es algo planteado en tal forma que se pueda refutar.



Eureka. McLuhan comenzó por preguntarse ¿Qué afirmaciones podemos hacer acerca de los medios de información que cualquiera pueda a poner a prueba -confirmar o refutar- por sí mismo? ¿Qué tienen en común todos los medios informativos?



Así fue como se encontraban cada vez mas cerca de aquello que después dirían, que todo lo que el hombre hace, cada procedimiento, cada estilo, cada artefacto, cada poema, canción, pintura, aparato, herramienta, teoría, tecnología, manifestaban cuatro dimensiones de funcionamiento y emergencia.



Padre e hijo trabajaron sobre La comprensión de los medios como extensiones del hombre y rápidamente vieron las cuatro constantes, las cuatro leyes. Para ser más precisos, estuvieron seguros al principio de tres y luego darían con la cuarta.



A fin de comprenderlas mejor, deberíamos plantear las leyes más como preguntas que como afirmaciones, siendo más fiel a cómo McLuhan las pensó.



- ¿Que EXTIENDE?



- ¿Qué vuelve OBSOLETO?



- ¿Qué RECUPERA?



- ¿En qué REVIERTE?





Las leyes



La primera y más obvia fue la EXTENSIÓN, (extensiones del hombre, tal como el subtitulo del libro). Cada tecnología extiende una facultad física o psíquica del hombre. La idea de extensión también podría ser reemplazada según el caso por aumenta, refuerza, intensifica, acelera, hace posible.



Ejemplos:

La perspectiva en el dibujo, la pintura, y la fotografía intensifica el punto de vista singular

La fotocopiadora posibilita la reproducción de textos a gran velocidad

La heladera aumenta la disponibilidad de alimentos



La segunda ley es la OBSOLESCENCIA. Cuando un medio extiende una facultad física o psíquica partes del entorno de lo extendido se vuelven obsoletas. Dado que hay un equilibrio en la sensibilidad, cuando un área de la experiencia se intensifica o eleva otra queda disminuida o embotada.



Ejemplos:

La heladera volvió obsoleto el trabajo del hielero

El automóvil reemplazó al caballo, y cambio los usos de los establos, herreros, talabarteros, fabricantes de monturas. También el automóvil vuelve obsoleto al pie, no en forma definitiva pero sí mientras se conduce, a tal punto que el pie queda solo disponible para las funciones que le demanda el auto -frenar, acelerar- al punto de perder, también temporalmente, su función sustancial, la de permitirnos caminar.



La tercera ley es la RECUPERACIÓN

A partir de cada nueva tecnología que se incorpora en la sociedad, que extiende nuestros sentidos, anteriores estructuras y entornos o antiguas formas de acción, organización social y pensamiento reviven, se recuperan.



Ejemplos:

El feminismo recupera la identidad colectiva de la sociedad matriarcal.

La perspectiva en la pintura recupera la especialización en la alta definición.

La pipa recupera el viaje interno contemplativo (Kant!)





La cuarta ley: REVERSIÓN. Cuando una tecnología se lleva al limite, cuando los medios de sobreextienden, en palabras de McLuhan "cuando son sobrecalentados", pueden emerger características opuestas a las originales o generar una función opuesta a la pretendida. Cada forma, llevada al limite de su potencial, invierte sus características.



Ejemplos:

Demasiados autos congestionan las autopistas, y la velocidad y seguridad

que aportaban originalmente, superadoras a las del caballo se ven

revertidas.

La hermenéutica revierte la oscuridad





Con la forma de diagrama llamado tetrada, las cuatro leyes pueden verse del siguiente modo:



EXTENSIÓN | REVERSIÓN

RECUPERACIÓN | OBSOLESCENCIA





La tetrada de efectos de las tecnologías no presenta un proceso secuencial sino cuatro procesos simultáneos. Los cuatro aspectos son inherentes a cada tecnología desde el principio.



Extensión y obsolescencia se vinculan como acción y reacción. La obsolescencia es consecuencia directa de la extensión. El proceso de recuperación, en general, se da después. No sucede lo mismo con la recuperación y la reversión. Y un medio solo revierte porque se ha llevado al limite. Comenta Piscitelli al respecto: "Para poder percibir estas sutilezas debemos recordar una y otra vez la mecánica de funcionamiento de las tetradas y como son a la vez una heurística y una taxonomía, una forma de descubrir y una forma de acumular intuiciones, información y perspectivas. Las tetradas no funcionan secuencialmente. No se trata de que un medio primero EXTIENDA, después REVIERTA, después OBSOLESCA y finalmente RECUPERE. En los hechos todo pasa al mismo tiempo y el recorte como siempre lo pone el observador".



Y una aclaración practica para no hacernos trampa: A la tétrada entramos por donde queremos, no hay entrada desacertada, pero el inicio establece cierta matriz lógica de pensamiento. Esto es para evitar disponer las mismas estructuras en varias leyes, y para explicar por qué podemos obtener distintas lecturas.



Las cualidades complementarias de las leyes de los medios de McLuhan pueden observarse cuando se las toma en pares, sean horizontales, o verticales. Por ejemplo: el alcohol extiende la energía pero revierte en depresión. El auto extiende la privacidad individual pero revierte la privacidad colectiva de los atolladeros de transito. El micrófono vuelve obsoleto el espacio privado y lo revierte en espacio colectivo.









El ejemplo que pensó Piscitelli:



La birome o pluma fuente con su reservorio autocontenido de tinta EXTIENDE el tiempo de escritura continua, eliminando -OBSOLESCIENDO- la necesidad de mojar la pluma en la tinta. El Mensaje del medio es que, el cambio que hace posible tal capacidad nueva, es la habilidad de EXTENDER la expresión del pensamiento continuo, sin pausas.



Sin embargo cuando tal capacidad se EXTIENDE mas allá de un limite razonable, la libertad de expresión REVIERTE en la verborragia, en el agarrotamiento de la mano. Algo que dejo atrás la OBSOLESCENCIA de la recarga permanente de tinta. Justamente por no tener que mojar permanentemente la pluma, las pausas a las que obligaba la OBSOLESCENTE pluma anula las periódicas interrupciones en el flujo de pensamiento que promovían la contemplación y la reflexión mental. Así inesperadamente la birome RECUPERA un aspecto de la escritura en arcilla.



Dada su portabilidad y longevidad, la birome OBSOLESCE la necesidad de recurrir a la memoria permitiendo un registro preciso e indeleble de los hechos. Esta precisión RECUPERA la noción de los escribas. La tetrada así obtenida no tiene ningún orden preciso de lectura o recorrido. Ya que cualquiera de los elementos consignados puede actuar como disparador o catalizador de mayores y mejores análisis.







Hasta acá llegamos... Haremos un práctico con la red como objeto.



Ahh sí, ¿Leyeron los diarios, últimamente?





Para saber más:



La era McLuhan

Octavio Islas



What is Media Ecology?

http://www.media-ecology.org/mecology/



"Marshall McLuhan y Arturo Jauretche: Trazando un Paralelismo entre Re-tribalización y Barbarie"

Por Laureano Ralón y Cristina Eseiza

http://weblog.educ.ar/educacion-tics/archives/003583.php



The McLuhan.ca web site

http://www.mcluhan.ca/

http://www.marshallmcluhan.com



Blog What is The Message?

http://www.mcluhan.utoronto.ca/blogger/blogger.html



Las extensiones de los medios en el filme "Videodrome de David Croneneberg (I)

http://www.henciclopedia.org.uy/autores/DiazBouquillard/Cronenberg.htm



Las extensiones de los medios en el filme "Videodrome de David Croneneberg (II)

http://www.henciclopedia.org.uy/autores/DiazBouquillard/Cronenberg2.htm



¡Actores, un paso más!

Carlos Atanes

http://www.henciclopedia.org.uy/autores/Atanes/Actores.htm



Inteligencia conectada. Derrick De Kerchove en educ.ar

Por Pablo Mancini y Virginia Avendaño

http://weblog.educ.ar/educacion-tics/archives/002410.php



Recursos del Espacio de innovación docente de educ.ar



Sobre la cultura letrada y la estructura de pensamiento relacionada con la imprenta o la Galaxia Guttenberg:

Interpretar, hipotetizar, inferir, deducir



Sobre la cultura pos-letrada y los posibles nuevos modos de pensar, concebir, imaginar, que surgen en relación con la primacía de los medios electrónicos:

¿Visión no alfabética vs. Homo Videns?



Referencias:



McLuhan para principiantes, W. Terence y Susan WillMarth

Análisis de Marshall McLuhan, Naim Kattan, Jean Baudrillard, Edgar Morin, Paul Riesman, Tom Nairn, Gabriel Cohn

El medio es el masaje. Un inventario de efectos.Quentin Fiore y Marshall McLuhan

Las leyes de los Medios.Marshall y Eric McLuhan

La comprensión de los medios como extensiones del hombre. Marshall McLuhan

La galaxia Gutenberg. Marshall McLuhan



También publicado en Dialógica, el potrero de weblogs rosarino



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El pensamiento de McLuhan, desconsiderado o combatido desde diversas posiciones académicas, resiste el paso del tiempo y anticipa muchas de las claves que enunciaron y describieron, décadas después, la sociedad de la información. Su análisis de los usos y aplicaciones de la tecnología y su impacto sobre los modelos y hábitos sociales se ha mantenido a través de una estela de neo-mcluhianos, entre los que cabe destacar a Derrick De Kerckhove.





Publicado por: Claudia el Marzo 21, 2006 08:52 PM









Dentro de la concepción mcluhuniana, he aquí un planteamiento central:

“Todos los medios son prolongaciones de alguna facultad humana psíquica o física”. La rueda, el libro, la ropa, el circuito eléctrico prolongan respectivamente al pie al ojo a la piel y al sistema central. Cuando cada sentido o facultad se exterioriza, constituye un sistema cerrado.

Es habitual que la mayoría de nosotros pensamos en los medios como fuentes que nos brindan información, es decir la prensa, la radio y la televisión. Pero Mcluhan tenía su propia concepción acerca de ellos. Para el cualquiera sea la tecnología, todo medio es una extensión de nuestro cuerpo, mente o ser.

Esta idea no hay que tomarla a la ligera, sino que de ella se desprende una consecuencia muy importante: y es que con el nacimiento de nuevos medios, al modificar el ambiente, cambian nuestra percepción sensorial, nuestra manera de pensar y actuar. Para el autor todos los medios nos “remueven” con fuerza y nos “modifican” enteramente. “ninguna” comprensión de un cambio social y cultural es posible cuando no se conoce la manera en que los medios funcionan de medios.

El planteamiento de Mcluhan se centra en una relación entre los medios electrónicos y la condición humana y sus efectos en el campo psíquico y social al considerar las tecnologías como prolongaciones de nuestro cuerpo y sentidos, es posible distinguir entre los medios calientes y fríos. Los medios calientes están llenos de información y exigen poca información del público mientras los medios fríos son pobres en información y ricos en participación.

Así como el medio es entendido como una extensión del cuerpo humano, el mensaje no podría ser entonces simplemente reducido a 'contenido' o 'información', porque de esta forma excluiríamos algunas de las características más importantes de los medios: su poder para modificar el curso y funcionamiento de las relaciones y las actividades humanas.

El pensamiento mcluhaniano plantea un juego de oposiciones escasamente pertinentes (imprente-circuito eléctrico, hot-cool) y una inclinación a reducir todo o la pareja sensorial tecnológica. Se trata de una antropohistoria donde el hombre es primero tribal oral, luego gutenbergullano y, finalmente, electrónico.

Mcluhan combinó observaciones agudas y una amplia erudición con la especulación pura y simple, todo esto enmarcado en conceptualizaciones de escaso alcance desde el punto de vista teórico. Paradójicamente, el autor visualizo y en alguna medida integro algunos avances epistemológicos de la ciencia moderna. Pero de manera simultánea permaneció preso en el determinismo. En la incorporación de los avances gnoseológicos de otros campos no siguió el pluricausalismo.









Publicado por: andrès el Junio 5, 2006 09:03 PM





“El medio es el mensaje” por Marshall McLuhan y Quentin Fiore.



El planteamiento que ofrecen McLuhan y Fiore, es, principalmente, el medio de comunicación como modelador de la conducta del ser humano. Anteriormente, cuando no existían los medios eléctricos, el ser humano vivía aislado de todo lo que ocurría a su alrededor; la invención de la imprenta creó el pensamiento mecánico y separado de la acción, pero con la llegada del medio eléctrico, esta postura ha cambiado.



El medio eléctrico ha roto las barreras comunicacionales de tiempo y espacio. Lo que antes se llamaba público (entes aislados, con puntos de vista diferentes), el medio eléctrico lo constituyó como masa (entes relacionados entre sí, obligados al compromiso y a la participación). Ahora, por más que algunos quieran conservar el pensamiento lineal y no participativo; no existen individuos aislados, todos vivimos en una aldea global que continuamente estamos siendo bombardeados con información nueva, una tras otra. McLuhan cita una frase muy interesante que dice así: “Lo que sucede es que debemos vivir con los vivos”, es decir, vivir de acuerdo a lo que verdaderamente está pasando a nuestro alrededor, sin hacer caso omiso a los nuevos procesos comunicacionales y su influencia en la sociedad, y dejando atrás el proceso mecánico obsoleto.



Este nuevo enfoque afecta también al proceso educacional. A través de la enseñanza se eliminaría por completo el pensamiento fraccionado del siglo XIX. El esquema de la educación no puede apartarse de los nuevos cambios comunicacionales, debe basarse en el descubrimiento de los hechos y no en una serie de instrucciones limitativas. Debe enseñar al joven a pensar, a crear y a desempeñar tareas en conjunto, no objetivos cerrados. Debe también familiarizar al joven con los medios eléctricos, enseñarle sus bondades y amenazas.



El punto más interesante del planteamiento que surge en este libro, es que el mensaje no es simplemente la información que se transmite a través de los medios de comunicación. No se puede obviar el hecho de que el “medio” también puede ser el mensaje. Con la aparición del medio eléctrico, el individuo recibe información constantemente y a éste no le queda tiempo de decodificarla, es decir, recibe la información tal cual como fue transmitida, sin poder analizarla y sin tener una posición frente al suceso. El medio tiene el poder de manejar la información a su conveniencia y también tiene la facultad de modelar la opinión de la audiencia masiva. Otra frase que cita McLuhan y que vale la pena mencionar: “No es que no me interesen los sucesos del día, pero ha habido tantos últimamente…”; la incesante transmisión de mensajes hace que la información sea fugaz y los mensajes que permanecen en la conciencia del individuo, son los que manipulan al ser humano emocionalmente, como por ejemplo, el humor, el drama o el terror.



Actualmente, el medio más atractivo para analizar este punto de vista es el Internet. McLuhan tuvo la facultad de visualizar un medio donde no existe el espacio, una especie de “feria mundial” donde se maneja la información a la velocidad de la luz y sin restricción alguna. Con esta nueva tecnología se rompe definitivamente el patrón aislado y limitativo; todas las personas tienen acceso a la información actualizada y a la comunicación masiva en tiempo real. El individuo se torna dinámico y participativo y la respuesta es inmediata.











“La globalización del entorno” por Marshall MacLuhan y Bruce R. Powers.



En este libro, McLuhan explica diferentes conceptos de algunos de sus trabajos. Uno de sus argumentos dice (que las extensiones tecnológicas de la conciencia humana se adelantaban a nuestra capacidad para comprender sus consecuencias).



Para McLuhan el medio es el mensaje, y si es así como él lo sostiene, el mensaje sería imposible de descifrar; porque una vez manipulado por el medio, la información cambia totalmente, y es así como la audiencia lo percibe.



El contenido de la Aldea Global, está elaborado con diferentes puntos de vista, tales como: el estético y el tecnológico. McLuhan presenta un modelo para estudiar los impactos estructurales de la tecnología sobre la sociedad.



En la Aldea Global MacLuhan ha analizado profundamente los impactos mundiales que causa la era de la tecnología, en comparación a otros análisis que ha establecido; ha indagado aún más los efectos que causa estos nuevos “impactos”.



En la Aldea Global se trata de explicar algunas diferencias tecnológicas tales como: El espacio visual, no es más, que un conjunto mental de la civilización occidental, una imagen que enfatiza el funcionamiento del hemisferio izquierdo del cerebro, que sitúa la información en forma estructural, es decir, exaltar el razonamiento cuantitativo. El otro término es El espacio acústico, viene siendo una proyección del hemisferio derecho del cerebro, en donde los procesos se relacionan en forma simultánea, y ésta enfatiza las cualidades del pensamiento de manera cualitativa.



Podemos decir que estos son sistemas de valor que han sido interpretados durante siglos; pero hoy en día lo acústico y lo visual están chocando ente sí, es decir, el flujo eléctrico a producido un contacto explosivo en las diferentes sociedades, a un nivel global, causando mundialmente impactos culturales, obteniendo así diferentes valores.



Desde el punto de vista cultural, lo que comienza a suceder en la actualidad es atroz, porque sencillamente no hemos sabido interpretar los mensajes, es decir, el proceso de interpretación de dichos mensajes han comenzado a ser pasivos, lo cual hemos perdido el poder de analizar detenidamente el mensaje; ya que el mensaje transmitido a través del medio comienza a transformarse y codificarse de diferentes maneras.



Para el estudio de los efectos tecnológicos es indispensable la interconexión, porque es la base de la relación entre el espacio de lo acústico y lo visual.



Uno de los principales factores que influye en la decodificación de los mensajes es el lenguaje, ya que interviene como un poder destinado a definirnos frente a una sociedad común y frente a los medios como tal. Se puede decir que el lenguaje nos obliga a exponernos a diversas disciplinas que existan en otras culturas.



Se puede decir que en la actualidad, se están acelerando los cambios tecnológicos de l espacio visual a las del espacio acústico.



Lo que si podemos saber de todos esto, es que una de las cosas más rápidas que suceden en la actualidad, son los cambios tecnológicos, y como tal debemos tener previsto la manera de manejar nuestro futuro, algo que todavía no hemos podido llevar a cabo, y esto sucede debido al pánico que tenemos de conocer lo desconocido o mejor dicho lo nuevo.









El medio es el mensaje



Todo lo que actúa, actúa con un fin. Es fácil reducir todas las acciones del hombre al deseo de felicidad. El motivo último de nuestras acciones da sentido a todos los motivos intermedios.





Para entender el significado de la frase de McLuhan "el medio es el mensaje", tenemos que recurrir a la filosofía de Aristóteles y Santo Tomás. Marshall McLuhan escribió lo siguiente en una carta a J.M. Davey, asesor del Primer Ministro Trudeau:



«Se ve entonces que mi teoría de la comunicación es tomista hasta lo más profundo. Tiene adicionalmente la ventaja de ser capaz de explicar a Santo Tomás y a Aristóteles en términos modernos. Estamos contentos con cualquier cosa que usemos, tan sólo porque estas cosas son extensiones de nosotros mismos». (15)



El acto del conocimiento humano está ante todo y objetivamente dirigido a conocer las formas de las cosas materiales. Éste es el realismo fundamental del conocimiento humano.



El conocimiento de los conceptos no es el motivo primero del acto de conocer, sino que es a través de los conceptos que conocemos las cosas. Sólo después que conocemos las cosas, podemos reflexionar y preguntarnos cómo conocemos.



Es entonces que tomamos conciencia del rol intermediario del concepto. El concepto es algo que necesariamente se encuentra entre el objeto de conocimiento y el juicio del entendimiento. ´Encontrarse entre´ es ser un medio. Hay más de un medio entre el objeto mismo y el acto de juicio que es la meta final del conocimiento o "mensaje".



En la visión corporal, la luz misma hace de intermediaria, luego la impresión sensorial en el ojo, y finalmente un acto de percibir conscientemente lo que el sentido físico está proveyendo.



En la visión mental, la luz de la mente haciendo conocer las cosas es un medio, como lo es el concepto o la especie en el entendimiento, y luego la mente entabla una relación entre la especie o concepto y la realidad en un acto de juicio.



En este proceso la mente actúa como espejo de la realidad, lo que constituye otro sentido en el que se da un medio en el acto de conocer (16). Es común que estos medios permanezcan ocultos durante el acto objetivo de conocer.



Si alguien dice "Hay fuego en el edificio", no dirigimos nuestra atención al rol intermediario de las palabras y los conceptos, sino al peligro real e inminente, y actuamos consecuentemente.



Sin embargo, cuando conocemos algo, simultáneamente sabemos que sabemos. Esto es lo que se denomina reflexión concomitante, lo que significa que es un acto de reflexión que siempre y necesariamente acompaña el acto objetivo de conocer.



Es el elemento esencial de la conciencia. Normalmente esta reflexión forma el trasfondo del acto de conocer. Normalmente no nos recordamos a nosotros mismo o a otros lo implícito, como al decir "Sé que hay fuego" en vez de "Hay fuego".



La mente o el alma no está siempre consciente de sí misma como separada o distinta de las otras cosas (17). El conocimiento de uno mismo no existe siempre en acto (con la atención dirigida al alma), sino que, a través de la reflexión concomitante, existe siempre en potencia. Cuando el alma ve su acto, se ve a sí misma. Cuando me veo a mí mismo pensando, me veo a mí mismo.



De esta manera, el medio se convierte en el mensaje. Esto nos lleva más lejos al movernos, desde el conocimiento de uno mismo como imagen, hacia el conocimiento de Dios como Aquel a cuya imagen somos creados. A través del acto de reflexión los medios mismos se convierten en el mensaje, y así tenemos las semillas de la teoría de McLuhan sobre la comunicación y sus efectos en las enseñanzas de Santo Tomás.



Marshall McLuhan fue más lejos al afirmar que sin un acto de reflexión no somos conscientes de los diversos medios artificiales de comunicación. La palabra impresa "bandera estadounidense" y la bandera en sí son ambos medios de comunicación.



La palabra impresa, sin embargo, no evoca una reacción emocional en un estadounidense, mientras que la bandera real, o una imagen de ella, sí lo hace. Los medios de comunicación afectan la manera en que recibimos la comunicación, y así los medios mismos portan un mensaje. Podemos encontrar algunos precedentes de esta observación de McLuhan en la tradición filosófica.



Platón cuenta una fábula acerca de la invención de la escritura (18). Cuando el dios egipcio Thot inventó la escritura, presentó su invento al rey de Tebas, esperando ser alabado por un invento que ampliaría el poder de la memoria.



El rey de Tebas, por el contrario, dijo que esta invención provocaría que los hombres pierdan su memoria, pues simplemente escribirían las cosas y se las olvidarían. Asimismo, las palabras impresas pueden caer en poder de cualquiera, quien puede luego repetirlas y aparentar sabiduría sin saber lo que significan.



La palabra hablada viene de la mente del maestro, y cuando el mensaje del maestro no está claro, el discípulo puede preguntarle. Las palabras escritas, sin embargo, no hablan cuando les hacemos preguntas.



Santo Tomás se pregunta si acaso las realidades divinas deban estar veladas por medio de palabras oscuras y nuevas (19). Al enseñar, el maestro debe procurar que el discípulo no aprenda cosas antes de estar listo para ello.



Sus palabras deben ser medidas más bien para ayudar que para estorbar a sus estudiantes. Él tiene además la responsabilidad de evitar que gente de malas intenciones reciba el conocimiento de materias difíciles de entender.



Como dice el Señor: "No deis a los perros lo que es santo" (Mt 7,6). Se puede ser discretos al hablar. Podemos decir cosas al entendido que no le mencionaríamos a las muchedumbres.



Un libro escrito, sin embargo, puede caer en manos de cualquiera, y por eso no es posible evitar por medio del silencio que la verdad sea distorsionada o mal usada. Se pueden expresar realidades difíciles por medio de palabras nuevas, para que incluso si la persona equivocada lee el libro, no haga ningún progreso.



Santo Tomás aborda también la pregunta de por qué Nuestro Señor no puso su doctrina por escrito (20). Dos de los más grandes maestros entre los gentiles, Pitágoras y Sócrates, no escribieron nada.



Lo que se escucha queda grabado en el alma del oyente, y lo que se escribe está para ser leído. Nuestro Señor enseñó como quien tiene autoridad (ver Mt 7,29), no como los escribas y fariseos. Asimismo, la excelencia de la doctrina de Cristo no podía ser contenida en meras palabras escritas, como recuerda San Juan Apóstol cuando dice que ni todo el mundo bastaría para contener los libros que se escribieran para contar lo que Cristo hizo (ver Jn 21,25).



Si Cristo hubiese puesto por escrito algo, muchos habrían pensado que no habría más en su doctrina que lo que está contenido en lo escrito. Podría hacerse notar también que no es meramente el número de cosas que Cristo hizo y enseñó lo que no puede ser contenido en meras palabras escritas, sino además la calidad.



Cuando ocurre algo totalmente distinto a cualquier cosa anterior, descubrimos que las palabras que usamos son inadecuadas, pues las palabras evocan imágenes tomadas de la experiencia común.



Con una argumentación similar, Santo Tomás nos enseña que la Nueva Ley no es una ley escrita (21). La Ley de Moisés fue escrita en tablas, pero la Ley de Cristo está escrita en los corazones de los hombres.



La Nueva ley es principalmente la gracia del Espíritu Santo que es dada al fiel de Cristo. Esta ley no es otra cosa que la presencia misma del Espíritu Santo. Las cosas que están escritas en la Sagrada Escritura no son la Nueva Ley en sí, sino que nos disponen a creer en la Nueva Ley, o que nos dan indicaciones específicas acerca de cómo aprovechar la gracia que constituye la Nueva Ley.



McLuhan conjetura que la idea protestante de la sola Scriptura fue el resultado de los nuevos medios de la imprenta. Cuando las Escrituras eran transmitidas en documentos escritos a mano, era fácil entender que el documento es un medio.



Cuando miles de libros podían ser impresos exactamente de la misma manera, este poder técnico impresionó tanto a la gente que idolatraron la tecnología, de modo que el poder de la imprenta parecía tener más autoridad que la autoridad viviente del Magisterio.



Finalmente, Santo Tomás consideró el rol de la música en la comunicación (22). Unas mismas palabras tienen un efecto diferente cuando son habladas que cuando son cantadas.



La música tiene un efecto emocional, tanto para el cantor como para el oyente, y por eso por medio de la música nuestros corazones son remitidos a Dios. Diversas melodías tienen efectos diferentes en las emociones de los que cantan y de los que escuchan, un hecho conocido ya por Pitágoras. La melodía y el modo de cantar es meramente un medio, pero el medio mismo porta un mensaje.









Habetudo sensus y la necesidad de ascetismo

Mientras más necesario sea para la vida humana el objeto de un apetito, más fuerte será tal apetito. Mientras más fuerte sea el apetito, más necesitará el control de la razón. El ascetismo apunta a restaurar la armonía interna del hombre, la que se conoce como la virtud de la templanza.



A su vez, la virtud de la templanza preserva en buen estado la virtud de la prudencia, que es la capacidad de tomar decisiones correctamente.



La prudencia requiere de un conocimiento verdadero de cómo son las cosas, y por ello requiere de la memoria, y a partir de la memoria la prudencia llega a una comprensión correcta de cómo son las cosas.



Estos son elementos cognoscitivos de la prudencia. La prudencia tiene también un elemento volitivo, que es la capacidad de tomar una decisión ni muy precipitadamente, ni muy dubitativamente. La interferencia de apetitos descontrolados puede opacar la memoria y el entendimiento, y puede influenciar indebidamente la acción de la voluntad (23).



Tradicionalmente el énfasis en el ascetismo ha estado en los dos apetitos más íntimamente relacionados con la existencia humana, el apetito por la auto-preservación, que tiene su exceso en la gula, y el apetito por la preservación de la especie, que es deformado en el exceso de la lujuria. El apetito por el conocimiento puede también exceder sus límites racionales y adecuados.



Esto encierra una paradoja. El apetito por el conocimiento parecería ser la razón misma. ¿Cómo podría alguien actuar en contra de la razón al tratar de ser más razonable? La primera consideración que hay que hacer es que el deseo de conocimiento es en un sentido el más fuerte de los deseos humanos.



Analicemos la filosofía eudemonista de Aristóteles, su doctrina de que toda acción humana tiene a la felicidad por causa final. La felicidad no puede ser la mera posesión de algo, pero implica que conozcamos con plena conciencia que poseemos lo que nos hace felices (24).



Aristóteles hace notar también que todos los hombres por naturaleza desean el conocimiento. No tenemos un deseo de conocer simplemente como medio para un fin que no es el conocimiento, sino que la sensación misma nos es placentera. De entre todos los sentidos, dice Aristóteles, la vista es el que nos brinda mayor placer en tanto nos provee de los mayores detalles acerca de las cosas (25).



¿Pero cómo puede el deseo de conocimiento llevarnos por mal camino? San Agustín cuenta la historia de cómo su amigo Alipio asistió a los juegos de gladiadores en Roma, y estaba decidido a cerrar sus ojos en el momento de la muerte del perdedor (26).



Había decidido que incluso si sus amigos habían traído su cuerpo a los juegos, no podrían forzar su mente a disfrutarlo. Cuando la muchedumbre aclamó con voz potente, no pudo resistir, y abrió los ojos, diciéndose a sí mismo que aunque viese el espectáculo, aún así estaría por encima de él y lo despreciaría en su corazón. Sin embargo, en contra de lo que se había propuesto, terminó disfrutando en su corazón del espectáculo.



La verdad es un bien en sí misma. Incluso la verdad acerca de un mal es un bien. La mente busca conocer la verdad, y la relación de la mente con la realidad que se denomina verdad es también el primer y más esencial elemento del conocimiento moral. Como escribió Karol Wojtyla en 1958, cuando era profesor de filosofía:



El principio de que uno debe permanecer en armonía o de acuerdo con la realidad, tanto la realidad objetiva como la subjetiva, en la propia actividad, es la medida del realismo en el conjunto de la filosofía práctica, y en particular en la ética. Las normas éticas se basan en la realidad. La misma facultad de la razón, que a través del conocimiento llega a la realidad misma, define también los principios de la actividad (27).



Cualquier cosa que atropelle nuestra relación cognoscitiva con la realidad objetiva reduce asimismo nuestra capacidad de actuar como agentes morales. Si el uso de los medios electrónicos de comunicación, o incluso de medios más antiguos como los medios impresos, cambia de alguna manera nuestra relación con la realidad objetiva en el acto de conocer, nos encontramos ante una cuestión de índole moral.



Marshall McLuhan tomaba ideas de Aristóteles cuando observaba que la conciencia existe como una proporción o ratio entre sensaciones (28). Aristóteles citaba el saber médico de su época al observar que los estímulos sensoriales son dolorosos comparados con un estado neutral o no-sensorial (29).



Por ejemplo, cuando abandonamos un lugar oscuro, la luz repentina nos es dolorosa. Sin embargo, nos habituamos a cierto nivel de sensación, y por lo tanto caer por debajo de ese nivel o excederlo nos es doloroso. En el nivel más básico, podemos habituarnos a cierta temperatura, o a cierto nivel de sonido. En otro nivel, podemos habituarnos a cierto nivel o calidad de información en nuestra información sensorial.



Si tenemos el hábito de leer periódicos todos los días, y luego nos mudamos a un país extraño o vamos a la selva, la falta de noticias es al inicio dolorosa. Después de un tiempo nos acostumbramos, y luego cuando regresamos al mundo de la información, inicialmente encontramos dolorosa la abundancia de eventos reportados, hasta que nos volvemos a acostumbrar.



Nuestra dependencia de un flujo constante de información proveniente de todos los rincones del mundo representa un problema de adicción, y me aventuraría a decir que puede implicar los mismos mecanismos químicos que se encuentran en la adicción a las drogas.



Los efectos de los medios electrónicos en el entendimiento a través de su efecto en los sentidos pueden ser comprendidos por analogía con otro estado alterado de la conciencia: el sueño. El entendimiento es superior a los sentidos. Las potencias inferiores de los sentidos están ordenadas al entendimiento (30).



De alguna manera, el entendimiento gobierna a los sentidos, pues la voluntad es el apetito del entendimiento. Por medio de la volición, el entendimiento tiene en sí mismo el poder de dirigir su atención hacia los objetos presentados por los sentidos, o de apartarla de ellos. En otro sentido, el entendimiento depende de los sentidos en cuanto a su operación.



Éste recibe los objetos de su atención inicialmente de los sentidos, y los objetos originales en el entendimiento se basan en la cosa sensible. Por ello, cuando los sentidos no funcionan del todo bien, se dificulta la operación del entendimiento (31).



En varias etapas del sueño, la operación del entendimiento es estorbada en diverso grado, en tanto son diversamente estorbados los sentidos externos e internos. En el sueño profundo, la imaginación no funciona en absoluto. En otra etapa, el poder de la imaginación está aún dificultado, pero funciona parcialmente, y pueden aparecer imágenes distorsionadas.



Las imágenes son más regulares en tanto la imaginación funciona más. En el sueño más ligero, el sentido común o unitivo funciona parcialmente, y quien duerme empieza a distinguir entre sus sueños y las cosas reales. Es capaz de percibir la diferencia entre las imágenes del sueño y sus propios pensamientos (32).



Puede asimismo evocar imágenes diversas de las del sueño (33). Pero incluso en la etapa del sueño lúcido, el poder de juicio del entendimiento está obstruido. Una persona que estando dormida trata de razonar según los pasos lógicos de un silogismo, dice Santo Tomás, al despertar siempre reconocerá que hubo alguna falla en su raciocinio. Joseph Keogh teorizó que sus estudiantes que miraban televisión habían en realidad substituido el sueño por la televisión (34).



Cuando aparentemente estaban pensando, el proceso mental no era el proceso lineal y silogístico de un persona letrada. El niño que ve televisión podría contemplar una asociación de ideas en su mente con la misma pasividad con que vería televisión.



La principal apreciación de McLuhan fue que un medio de comunicación tiene un efecto definido en quien lo ve independientemente del contenido de sus mensajes manifiestos. Con respecto a la televisión, la observación de McLuhan fue confirmada por científicos de la General Electric, quienes descubrieron que las ondas cerebrales de un televidente se alteran de la misma forma al ver televisión, sin relación alguna con el contenido visto.



El efecto mensurable de la televisión era el mismo sea que la persona estuviese viendo la programación o los comerciales (35). Los experimentos fueron repetidos por otros que esperaban descalificar la hipótesis de McLuhan de que "el medio es el mensaje", tan sólo para encontrar confirmados los descubrimientos (36). El cerebro reacciona de la misma determinada forma ante la televisión como un medio en general. La variedad de contenido no tiene ningún efecto específico que pueda medirse.



Los activistas muestran a menudo gran preocupación por los efectos morales del contenido de la televisión y de otros medios. Están justamente preocupados acerca de malos modelos de comportamiento y de la alta incidencia de la violencia y la sensualidad sexual.



También están legítimamente preocupados por la manera en que la opulencia retratada en la televisión puede hacer sentir insatisfecha con su condición material a la gente. Reconozco que estas preocupaciones son legítimas, pero la preocupación principal debería estar en el medio mismo.



Los medios electrónicos tienen en sí mismos un efecto narcotizante en quien abusa de ellos. Hoy, cuando los gobiernos y las corporaciones internacionales luchan contra la comercialización de estupefacientes, nadie se siente movido a contrarrestar los efectos negativos de los medios electrónicos.



Los medios electrónicos perturban las relaciones normales de la familia y de la comunidad basadas en el contacto físico y en la proximidad, conduciendo a un sucedáneo de comunidad donde la gente tiene la ilusión de ser como ángeles. La gente en sus relaciones queda reducida a ser piezas de una información desarticulada sin contexto ni substancia.



No distinguimos entre el uso de la morfina como ayuda para la inspiración (Edgar Allan Poe), y su uso como un escape de condiciones intolerables (un usuario en un barrio bajo estadounidense). El uso abundante de tales drogas es peligroso y adictivo en ambos casos. Sin embargo, no aplicamos la misma prudencia con respecto a los medios de comunicación.



El nivel de sensación presente en nuestras vidas afecta nuestro juicio intelectual. Santo Tomás de Aquino habla de dos casos relacionados de debilidad intelectual derivados de un desequilibro en el campo sensorial.



El primero es el entumecimiento del sentido intelectual (habetudo sensus), que se produce por la inmersión en los placeres de la comida. El segundo es la ceguera intelectual (caecitas mentis), que se produce como resultado de excesivos placeres sexuales (37).



El entumecimiento del sentido intelectual todavía deja en funcionamiento al entendimiento. Sin embargo, lo que un corazón puro puede percibir rápidamente, el de sentido entumecido tiene que esforzarse por verlo. Su entendimiento carece de poder de penetración. En el caso de la ceguera intelectual, el entendimiento es completamente incapaz de considerar las realidades espirituales.



Apliquemos esto al efecto de los medios de comunicación. Ellos sirven para proveernos de mayores cantidades de información. Esto se ve claramente en los medios impresos, pues la cantidad de información difundida por medio de libros y periódicos es mucho mayor que la que uno podía aprender por medio de la conversación en una sociedad pre-letrada.



Pero se ve más aún en el caso de los medios electrónicos, donde no sólo somos provistos del mundo por medio de símbolos, sino que somos provistos de las sensaciones auditivas y visuales del mundo entero. Los medios no seguirían creciendo si no se diese un inmenso apetito de conocimiento. Y tal como se da hoy en día, ese apetito se encuentra desordenado.



Si la verdad es un bien, e incluso la verdad acerca de las cosas insignificantes o malas es un bien comparado con la falsedad acerca de las mismas cosas, ¿cómo entonces puede la verdad representar un peligro? La mente humana tiene como fin conocer la verdad. Aristóteles enseñó que cuando conocemos algo, de alguna manera nos hacemos ese algo, y de alguna manera hacemos ese algo (38).



El conocimiento es la existencia del objeto conocido en el sujeto que conoce, en el cual el objeto forma o informa al sujeto como conocedor. Cada persona tiene una sola mente, y esa mente pude conocer sólo una cosa a la vez.



Si pensamos varias cosas a la vez, es tan sólo porque las hemos aprehendido como una cierta unidad, como cuando al conocer el todo de alguna manera confusa conocemos las cosas que se encuentran enlazadas en una unidad relacional (39).



En el conocimiento mismo se da una jerarquía de valores. El valor más elevado es el conocimiento de Dios, y los demás valores relacionados al conocimiento se encuentran por debajo de él. Una mente distraída en asuntos menores no puede conocer a Dios.



Podemos extraer de esto algunas conclusiones prácticas. En primer lugar, es necesario hacernos conscientes del efecto de cualquier medio en nuestra relación cognoscitiva con la realidad, y de su efecto en nuestros apetitos.



En segundo lugar, debemos reconocer que la tecnología es algo bueno en sí mismo, pues forma parte del mandato de Dios al hombre de someter la tierra. Pero debemos reconocer que si nos vamos a fiar de la tecnología para resolver todos los problemas humanos, nos estamos convirtiendo en idólatras. La idolatría pone al hombre en un nivel inferior al del ídolo, y esto trae como resultado un desorden personal y social.



En tercer lugar, el uso correcto de la tecnología significa que debemos además contrarrestar sus atracciones. La tecnología de las comunicaciones atañe al apetito más fundamental del hombre, el apetito de su auto-realización por medio del conocimiento. Sin embargo, la mera cantidad de información puede distraernos del conocimiento que tiene verdadero valor.



La actitud más peligrosa es la de aquél que se sienta ante el televisor o la computadora sin una actitud crítica.



Puesto que la máquina está encendida, éste adopta una postura pasiva y receptiva. Las prácticas cristianas del ayuno y la abstinencia son tal vez fácilmente comparables con la limitación consciente de nuestro uso de los medios, y ésta es necesaria para la salud mental y moral.



Hugh McDonald

(http://www.vaxxine.com/hyoomik/), nacido en 1956 en Canadá, es Licenciado en Filosofía por la Universidad Católica de Lublín (Polonia). Actualmente se dedica a la traducción al inglés de obras de la Escuela de Filosofía de Lublín, a la enseñanza en la Universidad de Niágara y a la reflexión filosófica.

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Notas



15. Letters of Marshall McLuhan, seleccionadas y editadas por Matie Molinaro, Corinne McLuhan, William Toye; Oxford University Press, 1987. El trasfondo tomista y aristotélico del trabajo de McLuhan es tratado brevemente en Brigid Elson, In Defence of the Human Person: The Christian Humanism of Marshall McLuhan, en The Canadian Catholic Review, mayo de 1994.



16. Ver Santo Tomás de Aquino, De veritate, q. 18, a. 1, ad 1.



17. Ver Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, q. 93, a. 7, ad 4.; ver también de él mismo, Expositio super librum Boetii de Trinitate, q. 1, a. 3.: Santo Tomás enseña que los medios en el acto de conocer no están en sí mismos, aparte de los demás objetos, abiertos a la inspección directa. Nadie entiende que entiende a menos que primero entienda alguna otra cosa que es inteligible. No podemos conocer acerca de la luz de nuestra mente a menos que primero estemos viendo algo más en esa luz.



18. Ver Platón, Fedro, 274-275.



19. Ver Santo Tomás de Aquino, Expositio super librum Boetii de Trinitate, q. 2, a. 4.



20. Ver Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, III, q. 42, a. 4.



21. Ver Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 106, a. 1



22. Ver Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 91, a. 2.



23. Ver Josef Pieper, Las virtudes fundamentales, Rialp, Madrid 1976



24. Ver Santo Tomás de Aquino, Summa contra gentiles, III, c. 25-37; Summa theologiae, I-II, q. 1-4; Aristóteles,



25. Ver Aristóteles, Metafísica, I, i. 980a 22 - 980b 1.



26. Ver San Agustín, Confesiones, VI, 8.



27. P. Karol Wojtyla, Elementary Etyczny [Introducción a la Ética], Znak, Cracovia 1979, una colección de artículos que aparecieron en el Tygodnik Powszechny [Semanario Católico entre 1957 y 1958. La traducción al inglés es del autor.



28. Ver Aristóteles, De Anima, II, ix-x. 422a 20 - 424a 35; McLuhan, Understanding Media, cap. 4 "The Gadget Lover".



29. Ver Aristóteles, Ética a Nicómaco, VI, xiv. 1154b 6-10.



30. Ver Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I, q. 65, a. 2.



31. Ver Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I, q. 84, a. 8, ad 1.



32. Ver Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I, q. 84, a. 8, ad 2.



33. Ver Aristóteles, De somniis, I, 458b 15-20.



34. Ver Barrington Nevitt y Maurice McLuhan (eds.), Who Was Marshall McLuhan, Comprehensivist Publications, Toronto 1994, p. 63.



35. Ver Letters of Marshall McLuhan, seleccionadas y editadas por Matie Molinaro, Corinne McLuhan, William Toye; Oxford University Press, 1987: "Letter to Hugo McPherson, Professor of English at McGill", 1970. En la carta, McLuhan se refiere a descubrimientos que fueron publicados luego en el Journal of Advertising Research, Vol. II, n. 1, febrero de 1971, "Brain Wave Measurement of Media Involvement".



36. Ver The Global Village, cap. 3 "Plato and Angelism".



37. Ver Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 15, a. 1-3; q. 46, a. 1-3.



38. Ver Aristóteles, De anima, III, v-vi, 430a 10-20.



39. Ver Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I, q. 84, a. 4





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IL MIELISMO



Ho mandato a Vaffa… pure Wikipedia



Beh, diciamo che si tratta di una piacevole evoluzione, visto che da quando frequento il Web sono stato espulso più o meno benevolmente da TUTTI i Siti, club, circoli letterari, scritture creative, insomma ogni luogo del Web italiano dove mi sono affacciato coi miei scritti.



Questa volta non è la stessa cosa, poiché ero stato invitato a postare nella sezione universitaria il mio corso sul McLuhan che nella vita mi ha dato tante soddisfazioni, che se venni cacciato dalla Rizzoli dove tenevo corsi di formazione perché il massmediologo canadese era ritenuto troppo a sinistra, è bastato aspettare qualche decennio perché la Direzione Centrale del Poder Popular, l’organo politico più potente in Cuba, sospendesse il mio corso perché il McLuhan viene ritenuto troppo “a destra”, diciamo cosi’.



Insomma, per farla breve ho accettato di mettere qui:






la sintesi di alcune mie lezioni sul McLuhan e tutto è andato bene finchè ho postato una sorta di critica sul “Mielismo” fenomeno contemporaneo di distorsione della comunicazione che a torto o ragione fa capo a Paolo Mieli, immarcescibile direttore-manager della Rizzoli e del Corriere della Sera.
Quando mi accorsi che per ben tre volte il mio post era stato cancellato (la macchina scrisse: “per vandalismo”) mi rivolsi al mio amico Carlo che mi disse che in fondo non era una cosa importante, visto che “Il mielismo” non si può considerare una vera e propria lezione universitaria ma piuttosto uno sfogo personale da postare sul mio blog personale.

Così li ho mandati tutti a vaffanbocca e amen.



Peccato, perché il fenomeno merita di essere analizzato e quindi lo metto sul mio blog personale, insieme con alcuni scritti che ho trovato sul Web, che mi hanno convinto che non parlarne è un danno per la comunicazione italiana.





In realtà esiste una lezione accademica sul mielismo e la trovate qui:



UNIVERSITA’ DEGLI STUDI MILANO BICOCCA

FACOLTA’ DI SOCIOLOGIA ANNO ACCADEMICO 2002 2003

Corso di storia del giornalismo e comunicazione sociale

Prof Francesco Abruzzo



Modulo 9  Il Mielismo ( dal 1990 rilancio de La Stampa…)







Da parte mia, eccovi la lezione “censurata”:








11/8/07





Questa noterella è scritta ad uso e consumo del mio amico Carlo che presso l’Università di Bologna tiene un corso di laurea triennale in Scienze della Comunicazione – Corso di Comunicazione Giornalistica, che gentilmente mi ha fatto leggere le tesine dei suoi studenti, da cui si evince che sì, questi giovani sanno analizzare il fenomeno, ma che secondo me a tutti sta sfuggendo “lo zoccolo duro” di questa controversa comunicazione giornalistica (non solo italiana) che contraddistingue la società moderna.





Per corroborare la tesi che sto esponendo avevo preso le copie del Corriere vecchie di un mese ed ho cominciato a sfogliarle. Mi sono fermato dopo una sola settimana ( ho fatto un elenco in calce) perché questa lettura, se sprovvista dal requisito dell’immediatezza causa incontenibili assalti di noia (non solo il Corriere, bada bene. Io ne parlo solo perché al momento è l’unica edizione “on demand” che mi arriva su questo scoglio tropicale).



Partiamo dal nostro beneamato McLuhan che a proposito dei giornali diceva che se le pagine del libro contengono la storia segreta delle elucubrazioni mentali dell’autore, il giornale, proprio per la sua disposizione a mosaico e indipendentemente dai contenuti, lascia intendere che quello che viene riportato sia una sorta di storia segreta della comunità, quello che i direttori in seguito chiamarono l’”interesse umano” che è poi ciò che accade quando una serie di informazioni, cioè di differenti punti di vista anche in contraddizione tra di loro, vengono ordinati in forma di mosaico su di un’unica pagina trasformando il giornale in una sorta di confessione di gruppo che necessita di una partecipazione continua e collettiva.



Stiamo assistendo ad un cambiamento dei giornali che sempre alla ricerca di incrementi della loro tiratura (i lettori sono sempre quelli, aumentano le testate, da qui la lotta) ci ritroviamo con i giornali americani che hanno via via perso il tono sensazionalistico della stampa popolare (avvistamenti di camion sulla luna, invasione di extraterrestri, vitelli a tre teste...) per approdare a toni più letterari e d’opinione, mentre da noi si assiste sempre più ad uno scivolamento delle notizie verso il pettegolezzo e il dietrismo.



Nel caso del Corriere della Sera (scusate la sineddoche, ma ho già spiegato ampiamente il perché) il punto focale è che la proprietà ha deciso di affidarne la direzione a Paolo Mieli, intellettuale luminoso e degno per carità, ma che oggi ha assunto nell’ambito della RCS una funzione di manager e non di giornalista e da qui un occhio alla tiratura e agli inserzionisti (anche politici) con la conseguente “deriva” giornalistica che gli fa pubblicare “quello che vuole la gente” e così davanti alle valige perse di Fiumicino ci mette la testimonianza di Sofia Loren, ai bimbi sodomizzati ci aggiunge l’intervista a Barbareschi, agli incendi dolosi ci mette di quella volta che la Cucinotta…

A proposito poi dei fenomeni che la gente comincia a considerare inaccettabili, ecco che compare un articolo consolatorio degli incendi in Grecia, delle valige perse a Timbuctu, della cocaina al parlamento inglese, tanto per avvalorare l’ipotesi che incazzarsi non serve a nulla, tanto tutto il mondo è paese…



Mi fermo qui, perché l’argomento è ostico e meriterebbe una conferenza a parte.

Un abbraccio.



Aldo Vincent







Corriere della Sera



27/6/07  Sezione ESTERI:

Restituito alla famiglia Gawronski il palazzo espropriato dai comunisti

            Sezione CRONACHE

Il premio Viareggio è antifascista?

Armani: camicia aperta e gilet



28/6/07 Sezione ESTERI

Il capo del fondo monetario lascia per amore

            Sezione CRONACHE

Agnelli contro Margherita, Andrea non firma

Valentino: i miei 45 anni da stilista



30/6/07 Sezione ESTERI

Le nozze transex che scuotono il Pakistan

Io trans a Teheran

CRONACHE

Camicia bianca e mezze maniche in Cina

Non è più libera l’orsa

Corsa alle cantine d’autore





3/7/07 PRIMO PIANO

Intervista a John Elkan

POLITICA

/Una via per Craxi

Berlusconi insulta Prodi

CRONACHE

Il torero bambino che divide la Spagna





5/7/07 ESTERI

La ministra tedesca: amo una donna

CRONACHE

Messa in latino: i dubbi

Armani: le mie giovani 50enni

Presentazione della 500





7e9/7 CRONACHE

Kate e William ci riprovano

Le sigarette si spengono da sole

Valentino: a Roma star e principesse

La bella Nancy (Dall’Olio) vuole lavorare con Blair

La flotta di Berlusconi

Cinque killer per Harry Potter

Seno nuovo in un’ora

ESTERI

La moglie del candidato USA è troppo sexi

Il principe giapponese è alcolizzato



10/7/07 POLITICA

Prodi e la pipì con Tony Blair

ESTERI

All’autore di Gorky Park non piace la Russia di Putin

Fuorionda del prete di Radio Marija: la first lady è una strega





11/7 POLITICA

Il figlio di Bossi all’Isola dei famosi

ESTERI

Il senatore USA ammette: ho peccato

CRONACHE

Polemica sulla mostra omosex

Lo stilista
Curiel: licenzio le modelle troppo magre





12/7 ESTERI

Ho sposato il figlio di Osama

I figli di Jan Fleming e il nuovo 007

CRONACHE

Coco aggredito per gelosia

Rissa al Billionaire





13/7 CRONACHE

Il Papa passeggia in Cadore

Beckam salverà il calcio USA





Blahhhhh



Dal Corriere del 11/8





PRIMO PIANO (di fianco alle crisi delle Borse) quando la Regina d’Inghilterra perse 2.200 miliardi)

POLITICA In Calabria la Cardizzone sfida il successore dell’ex leader da cui ha avuto un figlio

CRONACHE La Mondaini ha faticato a salire sul treno

                 Gli occhiali Persol, Ray-Ban e Web

                  La Canalis si innamora sempre degli uomini sbagliati



Dal corriere del 14/8

ESTERI Il figlio di Pinochet vende i vestiti del padre





DA DAGOSPIA:



Roberto D’Agostino (uno che se ne intende) scrive:



 “

Dite a Paolino Mieli che l’occhialuto marchio “Web” non è per niente “storico” (al pari di Ray-Ban e Persol), ma solo un’invenzione del duo Della Valle-Montezuma. Insomma, l’articolo del Corriere di sabato 11 agosto è un’affettuosa marketta. “









Corriere della Sera del 25 Agosto. Pagine di cultura.



UTOPIA D’EUROPA

Dal Manifesto Spinelli all’appello di Napoletano

    Per un’autentica costituzione dell’Unione



                                                                       Quella lunga strada

                                                                     iniziata a Ventotene



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Sfida al lettore:

Riuscite a vedere qui sopra dove sta l’imbroglio?

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INDAGATO IL FIDANZATO

E’ curioso che uno strumento come l’avviso di garanzia, nato per la tutela di ogni cittadino di fronte all’Autorità Giudiziaria, si sia nel tempo trasformato in una gogna mediatica.

Prendiamo questo fidanzatino che ha trovato la sua ragazza assassinata. Il suo racconto non soddisfa gli inquirenti che per poter procedere con perquisizioni e ulteriori indagini HANNO L’OBBLIGO di iscrivere nel registro degli indagati la persona che era stata interrogata solamente come a conoscenza dei fatti.

Per quale ragione questa sindrome di COGNE faccia scattare all’unisono i nostri sensazionalistici giornali e TV, affamati di mostri da sbattere in prima pagina, non è dato di capire.

Tra l’altro, l’operazione è perfettamente inutile perché, se la memoria non m’inganna, è dai tempi del caso Montesi che se l’indiziato non confessa il delitto, dopo miliardi di parole dette, tonnellate di carta e inchiostro stampate, chilometri di interviste e ospitate da Vespa con modellini, ricostruzioni e improbabili esperti, la Magistratura non ha mai condannato l’evidente omicida.





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http://www.olschki.it/Plus/htm/2003/52888/52888.htm#mielismo
mielismo s. m.
Il modo di fare e di concepire il giornalismo, lo stile giornalistico di Paolo Mieli. • Inventore, appunto, di un particolare trasversalismo giornalistico che prende il suo nome, il cosiddetto "mielismo", ma anche di un genere storico assolutamente originale, quello che si dipana quindicinalmente sul nostro giornale (Stampa, 17 maggio 2001, p. 25, Società e Cultura) · la Lega non manda giù soprattutto la nomina di [Paolo] Mieli. Il commento del capogruppo alla Camera, Alessandro Cè, è stato diplomatico: "Probabilmente si sarebbe potuto far di più". A sparare a zero sulla scelta di Mieli è stato invece mandato il quotidiano del partito. La Padania lo ha definito "camaleontico giornalista, inventore del mielismo cerchiobottista" tra i cui bersagli c'è "sempre stata la Lega". (Giornale di Brescia, 10 marzo 2003, p. 1, Prima pagina).
Formanti: Mieli (Paolo) | -ismo

In: QUARANTOTTO 2001 (attestato in un articolo di Indro Montanelli del 1997).

Chissà se è la sinistra ad aver capito qualcosa del mielismo o il mielismo (inteso come sinonimo di un certo terzismo, non di un certo giornalismo) ad aver capito qualcosa di sinistra.
Dice, in sostanza, che se il Pci avesse avuto Napolitano come segretario e non Berlinguer e avesse seguito la strada "migliorista" oggi avremmo avuto D"Alema quale terzo presidente "socialista dopo Giuseppe Saragat e Sandro Pertini". Cosa che è politica e non storia. E", appunto, mielismo e neppure terzismo.



http://treviso.typepad.com/se_una_notte_dinverno_un_/2005/11/laltra_o_la_pri.html


Se una notte d'inverno un giornalista



"Someone has to have a different point of view" (Ted Nelson)



November 08, 2005


L'altra (o la prima) faccia del mielismo


Caro Paolo Mieli, chi di noi giornalisti non sogna di fare uno scoop di quelli che lasciano il segno? Per quanto mi riguarda, ammetto la smisurata invidia che ho provato leggendo dell'eccezionale colpo di Carlo Rossella, che – tra un'inchiesta scottante e un reportage avventuroso – ha scoperto che il papa ha cambiato sarto.

Scoop che il Corriere ha giustamente celebrato come "secco ed essenziale". Poi ho letto come nascono questi gossip d'alto bordo: "Volteggiando tra champagne e vele, chiacchiere e cene, con un occhio a Oscar Wilde e uno a Evelyn Waugh", ed è svanita ogni mia residua speranza.

Eppure da quando il Corriere esce con la nuova veste grafica a colori, speravo di aver fatto qualche progresso. Con crescente interesse ho colmato le mie lacune su Bridget Jones che torna single, su Carré Otis che "ha detto addio agli eccessi", sulla "casalinga disperata che ora è trans".

Ho compensato l'aumento del prezzo con la rinuncia a vari settimanali, dato che il tuo giornale ci anticipa puntualmente i servizi più interessanti: "Domani su Chi i figli di Marina Berlusconi", "Scoop di Oggi sulla Ferilli" oppure "Il nuovo look della signora Pavarotti su Chi". Dalle confessioni di Alberto di Monaco al "re delle conigliette che ormai fa tenerezza" il Corriere ci ha fornito una lunga serie di news di grande spessore.

Naturalmente ho approfittato anche dei consigli utili sul cambiamento del look. Non tanto di quelli con titoli come "Dallo scialle spunta il seno nudo" oppure "Schiena nuda, la frontiera (democratica) della seduzione", ma di quelli tipo "L'uomo nuovo è übersexual". È così che ho scoperto con ovvia soddisfazione che io, che porto la camicia fuori dai pantaloni, sono "in". E prontamente la vostra pagina della cultura mi ha avvertito con un titolone che "Torna il gusto del sesso".

E anche le pagine di scienza hanno finalmente abbandonato il loro linguaggio troppo serio con titoli suggestivi come "La pornoclinica dei panda".
Così non mi sono meravigliato di trovare il volto di Jennifer Lopez sulla prima pagina del Corriere. Naturalmente ho pensato a uno scoop tipo: Sgarbi seduce la Lopez nei Musei vaticani. Invece no.

La notizia era: Jennifer girerà un film in una città messicana. Sarebbe però ingeneroso criticare questa scelta: il sorriso di Jennifer è certo più piacevole di quello di Buttiglione o Fassino.

Ma la soddisfazione più viva e profonda l'ho vissuta sfogliando quell'autentico gioiello che è Stylemagazine, il "mensile dedicato alle passioni e ai piaceri dell'uomo di oggi". Dico solo: ci voleva. Tutti noi sentivamo bruciare quella fiammella di rivincita contro il sesso debole che il sabato ci obbliga a portarci a casa quel chilo di carta che è Io Donna. Su Style mi si è svelato un mondo nuovo di cui non capisco come ho potuto fare a meno finora.

"L'elicottero acquistabile ai grandi magazzini", per esempio. O il "bisturi che toglie il pensiero e la ruga". E naturalmente ora sono tormentato da quella domanda di Style così secca ed essenziale: "Meglio la villetta o la barca?", nonché dalla scelta di "Quell'intimo che piace a lui". Sono convinto che su quelle pagine patinate, fra una foto di Jennifer Lopez e una della Santanchè, Francesco Alberoni troverà lo spazio giusto per le sue dotte disquisizioni su sesso ed erotismo, che seguo con crescente entusiasmo da un quarto di secolo.

A questo punto, caro direttore, permettimi una domanda: ora che i lettori maschi hanno un mensile tutto loro, non potresti tentare di rompere lentamente con quel principio (forse un po' da taliban) che t'impone di non affidare mai un editoriale a una donna?

Gerhard Mumelter
(corrispondente dall'Italia del quotidiano austriaco Der Standard. Nato nel 1947 a Bolzano, vive a Roma dal 1996)









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E' un po' di tempo che osservo e scrivo sul mielismo e le contorsioni della stampa moderna.
(Tra l'altro, i miei contributi all'universita' di Wiki sul mielismo vengono regolarmente cancellati, la macchina dice PER VANDALISMO)

Inzomma, io ricordo, quando ero un povero immigrato siciliano in Lombardia, che i giornali, quando c'era un fatto di cronaca nera in cui era coinvolto un meridionale, scrivevano: il 23enne Antonio Pîscetta, CALABRESE, e se per esempio una rapina in banca la facevano dei settentrionali mettevano solo le sigle al posto del nome e non ne menzionavano la provenienza.

A me pare che la cosa si stia ripetendo, che quando un ubriaco e' rumeno o extra, lo citano con tutto il nome e indirizzo, se e' DEI NOSTRI ehehehe
non ci mettono un kazzo.
Mi sbagliero'? Chizza'...

Eccovi il pezzo del corriere di oggi:

Ubriaco, investe e uccide un motociclista
Denunciato un 33enne a cui era già stata ritirata tre volte la patente. Morto un altro centauro finito fuori strada a Brescia




CREMONA - Un automobilista cremonese è stato denunciato per omicidio colposo e guida in stato d'ebbrezza dopo avere investito e ucciso nel corso di sorpasso azzardato un motociclista, morto sabato sera all'ospedale maggiore di Crema (Cremona). L'incidente è avvenuto nella mattinata di sabato sulla strada che da Soncino (Cremona) porta a Orzinuovi (Brescia). All'automobilista, che guidava una Toyota, era già stata ritirata la patente tre volte tra il novembre 2002 e il febbraio 2004.






Corriere Della sera lunedì 15 Ottobre 2007



Tragedia nel napoletano

UBRIACO IN AUTO UCCIDE BIMBO DI 10 MESI

Ragazzo ubriaco provoca un incidente….



FUGGE E TRAVOLGE L’AUTO

AVEVA ASSUNTO COCAINA

L’agente immobiliare che ha provocato un incidente stradale uccidendo una donna e ferendone gravemente altre due, non era solo ubriaco, ma aveva assunto cocaina…





Corriere della Sera martedì 16 Ottobre 2007-



UBRIACHI E DROGATI IN AUTO, ALTRI TRE UCCISI

GIOVANE INVESTITA A CHIETI, DUE UOMINI TRAVOLTI A REGGIO EMILIA E LATINA

Qualche bicchiere di troppo sono costati la vita a Valter Corghi…

…l’autista viene sottoposto al test dell’etilometro… patente ritirata.

Storia simile quella di Lorena Mucci, 27 anni, di Pescara. La sua vita finisce sotto le ruote di una Punto blu. Alla guida una donna, Alevtina Tchourmak 34 anni, cittadina russa… lanciata in una folle corsa lungo una strada di Francavilla…

(L’autista di cui non si fa il nome, è evidentemente un italiano, mentre la cittadina russa… N.d.Vincent)





Appropò:



Ricordate nulla della strage di Erba, di quella famiglia uccisa dai vicini di casa?

E ricordate l’articolo del Corriere della sera dell’11 Dicembre 2006 che ricostruiva i fatti, i sospetti e le indagini?

Ve lo ripropongo:



E’ successo a Erba, nel comasco

UCCIDE QUATTRO PERSONE E BRUCIA LA CASA

Tre donne e un bambino ritrovati senza vita nell’appartamento in fiamme. Caccia al convivente tunisino di una delle quattro vittime.



ERBA (Como) – E’ proseguita per tutta la notte, finora senza esito, la caccia al 25enne tunisino Abdel Fami Marzouk, il pregiudicato, uscito dal carcere per l’indulto, ricercato per l’atroce massacro avvenuto lunedì sera in un appartamento di via Diaz, nel centro di Erba, nel Comasco.

Marzouk, secondo gli investigatori, è scomparso dopo aver ucciso a coltellate alla gola e in altre parti del corpo la moglie Raffaella Castagna di 30 anni, il figlio Yousef di due anni, la suocera Paola Galli 60, e una vicina di casa Valeria Cherubini 50enne, accorsa  assieme al marito al grido delle prime vittime. Anche il marito della vicina Mario Frigerio di 60 anni è stato colpito dal pluriomicida, ora è ricoverato in condizioni molto gravi per le coltellate e per le ustioni provocate dall’incendio appiccato dall’assassino prima della fuga. Il tunisino è scappato a bordo di un furgone poi ritrovato poco prima della mezzanotte a Merone, paesino tra Como e Lecco nei pressi dell’abitazione del fratello di Fami Marzouk…

….



Ricorderete che l’accusato si trovava in Tunisia e non poteva essere l’autore del delitto…















Paolo Mieli II, un anno dopo
Lunedì, 07 novembre 2005



Editoriali
Come si divide il teatrone della politica italica? Destra, sinistra e centro-Mieli. Il vigile urbano di Montecitorio. Almeno visto dall’interno grigio di via Solferino (e dintorni politici). Con i diessini Massimo D’Alema (che si nega da un anno alle interviste) e Piero Fassino (o fessino visto come si è prestato in passato alle ragioni del mielismo in chiave anti-Baffino) che, esasperati dallo spiazzante giochino grancentrista, all’unisono mandano al diavolo il direttore Mieli, da una parte.

Dall’altra c’è Berlusconi che non sa a quale santo votarsi per mandarlo in pensione nella casetta di Creta con la diletta Bambi. E in tanti adesso a Montecitorio si chiedono quanto durerà il suo romanissimo Pappa & Ciccia (e cicoria) con Francesco Rutelli.

Già, è tempo di bilanci al Corrierone. Mancano infatti poche settimane al giorno che santificherà l’anno primo del Grande Rientro di Rieccolo Paolino nella stanza della Treccani. Quella che una volta fu occupata dal mitico fondatore del giornale, Luigi Albertini.

Tutto accadde alla vigilia di Natale del 2004. L’azienda, orfana dei Romiti appena estromessi dal quartier generale di Crescenzago (e alle prese con l’ambizioso progetto full color), su ispirazione del prode e prodiano “Nanni” Bazoli e per iniziativa delle “ballerine” Montezemolo-Della Valle-Tronchetti decise (giustamente) di silurare Folli de Follis.

E di rimettere in pista l’uomo delle lettere (intese come corrispondente dei lettori) che proprio il neo amministratore delegato, Vittorio Colao Meravigliao, invece, aveva deciso di mettere in un angolino. Con mossa azzeccata Mieli mandò al rogo il progetto full color modello “Week-end” ideato dall’improvvido trio d’improvvisatori Colao-Folli-Fiengo. E la sua sciamana, Maria Laura Rodotà.

LA RESURREZIONE DEL BUDDA DI CARTA.

Fuori Folli e dentro Mieli. Venerdì 24 dicembre 2004 il “Corriere” pubblica il suo primo editoriale-editto dal titolo secco come uno spumantino d’annata (a male): “La libertà di stampa”. Ma il Budda di via Solferino si dimentica di scrivere quale sarà il nuovo cartiglio che dovrà ispirare la ciurma impegnata ai remi della testata: “Quello che ieri non era oggi è”. Che, tradotto in pratica quotidiana, per i redattori significa un umiliante lavoro di ripresa degli articoli apparsi sui giornali concorrenti o di nicchia (dal citatissimo “Foglio” all’ignota “Europa”; dalle “Ragioni del Socialismo” al “Messaggero”; dal “Riformista” al “Secolo d’Italia”).

“Ben presto ci siamo trasformati nell’”Eco della stampa” del compianto prof. Furgiuele. Forse perché la direzione pensa che non siamo capaci grado di procurarci notizie originali”, osservano irridenti e perplessi in via Solferino.

L’ARTE ARTRITICA DEL COPIA & INCOLLA.

Il record del Copia&Incolla (così l’hanno ribattezzato nelle varie sezioni redazionali) si è registrato mercoledì 2 novembre. Mentre la direzione impazzava in tv (Mieli da Rossella sul Tg5 a promuovere la manifestazione del “Foglio” contro l’Iran; Battista ospite dell’”Infedele” di Lerner e Riotta a far “Markette” da Chiambretti), il primo giornale italiano “riprendeva” e “sviluppava” l’iniziativa pro Israele del “Foglio” (pag.5); l’inchiesta di “Repubblica” sul Nigergate (pag.9); l’intervista di Confalonieri all’”Unità” (pag.13); la riunione degli ex attori di Nanni Moretti pubblicata dal “Riformista” (pag.12); i guai di Deutsche Bank rivelati dal “Wall Street Journal” (pag.33) e l’intervista a Woody Allen di “Vanity Fair” americano (pag.45).

“Ci sarà pure una ragione se abbiano bucato la notiziola del ritorno all’ora solare...”, sorride ironico uno dei tanti “pesi morti” sistemati in quella che una volta era la stanza dei redattori capo.

IL CORRIERE IN-FOGLIATO E S-FIENGATO.

Ma le sorprese non sono finite per la ciurma di via Solferino, che da pochi giorni ha rinnovato la sua rappresentanza sindacale. Dopo essere sopravvissuto a ben nove direttori Raffaele Fiengo va in pensione. Arrivano (o in parte ritornano) Elisabetta Soglio, Gabriele Dossena, Marco Letizia e i romani Daria Gorodisky e Pietro Lanzara. Ma il nuovo quintetto di sindacalisti (impegnato a trattare con l’azienda il premio di produzione) ancora deve incontrare il direttore-Budda.

Venerdì 4 novembre, ecco la sorpresa, lo Sceicco dell’Oasi del Viminal, Magdi Allam, si autocelebra (“Sono stato la prima personalità (sic) musulmana d’Italia a intervenire a una imponente manifestazione pubblica per difendere il diritto d’Israele all’esistenza...”) sia sul “Corriere della Sera” (che lo paga profumatamente in petroldollari) sia, gratis et amore di Allah, sul “Foglio” di Giulianone Ferrara. Alla faccia dell’esclusiva richiesta a tutti gli altri colleghi.

GIORNALE PARTITO O SPARTITO?

Intanto, dopo la bacchettata di Fassino (“Mieli se vuol fare politica si candidi”) per capire da che parte (politica) sta il Corriere servirebbe Freud. In un anno il direttore ha scritto soltanto due editoriali (tre in tutto dal suo ritorno in via Solferino). Uno in occasione della morte del Papa e l’altro sull’Europa dopo la bocciatura della costituente.

Dopo che il condirettore Paolo Ermini è finito nel cono d’ombra a fare il lavoro “sporco” e a dettare ai romani gli “spartiti” (in primis la coppia di retro scenisti Meli-Verderami) provvedono soprattutto i due vice Pigi Battista (suo braccio secolare) e l’economo della virgola, Dario Di Vico.

Gran combattente quest’ultimo. Soprattutto ai tempi ferragostani dell’assalto al Corriere dei “furbetti del quartierino”. Un mostrare di muscoli agevolato dal fatto che dietro le sue spalline si muovevano tutti i pattisti forti dell’Rcs.

Ma anche lui si fa stritolare dal mielismo. Ospitando in prima pagina, giovedì 3 novembre, una articolessa del prof. Gregorio Gitti. Noto non soltanto per occupare una cattedra ma anche per essere il genero del banchiere-padrone Giovanni Bazoli, avendone sposato la figliola Francesca. Con buona pace di Gondoleta Stella e del prof. Sabino Cassese, che sul giornale sparano palle di fuoco contro il nepotismo, il genero(so) Gitti è anche figlio di quel “Ciso” noto esponente della sinistra del mesto Martinazzoli. Tutti frequentatori dell’esclusivo Paolino Budda Bar.

da www.dagospia.it











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Archivio del 16 Febbraio, 2007


Il frivolo Corriere.it e l’incerto futuro della pubblicità sul Web


Postato in Senza Categoria il 16 Febbraio, 2007
Una ventina d’anni fa avevo un direttore che faceva sempre il cinico sull’annoso dilemma della cronaca rosa e delle copertine tette-culi.
Sosteneva che se si ricevono decine di lettere di protesta di lettori incavolati per un articolo troppo leggero o per una copertina troppo sexy, significava che si era fatto centro: nulla indigna i lettori come quello che il loro inconscio brama leggere, diceva.
Pensavo a questa cosa qualche giorno fa, ascoltando chi mugugnava nel Web per lo spazio dato da “Repubblica” al carteggio Lario-Berlusconi.
Ci ripenso ora che in Rete un po’ monta la polemica tra Luca Sofri e il Corriere.it sull’eccesso di tette e cazzeggio nel sito del nobile quotidiano:
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Il problema però non credo sia il sito del Corriere, ma semmai il particolare Dna della stampa italiana, che non ha mai visto la divaricazione di quella anglosassone (testate “autorevoli” da una parte, tabloid dall’altra). E mescola da decenni - spesso con successo - i temi seri e quelli faceti.
Nel boom di Repubblica - fine anni Settanta - c’era molto di questa capacità di mixare alto e basso: sezione culturale di eccelso livello e paginate trash sugli amori di Carolina. Poi è venuto il “mielismo”, quella cosa per cui si chiedeva ad Alba Parietti un parere sullo scudo spaziale di Ronald Reagan. E poi ancora Carlo Verdelli, che qualche anno fa ha risvegliato dal coma Vanity Fair con una formula nella stessa scia (e il suo cocktail è stato particolarmente riuscito).
Nella stampa cartacea a rendere equilibrato il mix sono stati gli inserzionisti pubblicitari, con buona pace di chi ne ha orrore. Gli inserzionisti cosiddetti alti - gli Armani, i Prada, quelli che sganciano tanto insomma - non amano mescolarsi a un universo di tette e cazzate, sicché portano i giornali a moderarne l’uso, o almeno a confezionare prodotti in cui il pop è dipinto di glamour (e infatti quel mio direttore tanto cinico alla fine lo hanno mandato a casa, perché il giornale non piaceva ai pubblicitari).
In tivù invece questo meccanismo darwiniano non è quasi mai scattato. Sul piccolo schermo - che vive di inserzionisti assai diversi rispetto al cartaceo - la spazzatura ad audience alta non ha allontanato gli spot, anzi. Almeno fino a oggi.
In Internet, per ora, non lo sa nessuno che cosa succederà. Se cioè il mercato pubblicitario - che nel Web italiano è ancora ai vagiti - preferirà un sito basso ad alto traffico o un sito alto a traffico più basso, o una via di mezzo più o meno bilanciata.
Forse è anche per questa incertezza sul futuro mercato pubblicitario dei siti di news che il Corriere.it con una mano offre tette e culi e con un’altra le giustifica accampandone valore culturale e dimensione internazionale.

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Buon 2005, con la fantasia dell’informazione - di Giulietto Chiesa

(7011 letture)   Pagina Stampabile


Paolo Mieli più Gianni Riotta più Pigi Battista al Corriere. Costanzo che si candida, hyphen, per la presidenza Rai. Lucia Annunziata in pectore per L'Unità. La Repubblica - che, per leggerla senza tristezza, bisogna aspettare Eugenio Scalari la domenica - è diventato un giornale che crede alle armi di distruzione di massa (in Irak) e, quando Berlusconi demolisce il potere giudiziario, titola così: "E' passata la riforma".
Questo è il quadro informativo che ci attende nel caso (sempre meno sicuro) che il centro-sinistra sostituisca Berlusconi alla guida del paese. Questo è comunque il quadro informativo-cerchiobottista che i moderati (sempre più moderati) del centro-sinistra stanno componendo per condurci al grande scontro finale. Che è davvero un grande scontro finale, ma che loro considerano un episodio, da gestire mediante il "bipolarismo mite", di una normale alternanza di potere, senza rendersi conto che quegli altri non hanno alcuna intenzione di rispettarla, l'alternanza, e andranno giù a colpi di maglio televisivo, violando tutte le regole, come del resto stanno già facendo.
Insomma - come scrive Cordero - "oppositori morbidi", che "accreditano l'avversario", facendocelo passare come "normale", o addirittura "interlocutore possibile". Non hanno compreso che questo è ormai il tempo del ferro e del fuoco e, per questo, D'Alema docet, vanno a un centro inesistente. Il pendant informativo-comunicativo è appunto l'inciucio con tutti i peggiori "centristi" dell'informazione manipolata: con il massimo responsabile della degenerazione infotainment di questi ultimi due decenni e oltre, cioè Costanzo; con i cantori delle guerre giuste (cito Franco Cardini) Annunziata, Riotta e Gibi Battista; con l'inventore autentico del mielismo revisionista storico, alleato naturale di Platinette con la barba (cito Marco Travaglio), e compagno di merende di Rossella 2000, approdato al TG5.
Ecco la squadra che dovrebbe accompagnarci al dopo Berlusconi! Ve lo figurate il risultato? Ma questo - bisogna esserne consapevoli - è anche il quadro (invero desolante) dei settori più progressisti della società italiana. L'opposizione politica a Berlusconi è quella miseria che sappiamo, ma quella imprenditoriale non è più saggia e lungimirante. Chi potrà mai spiegare loro che it's the crisis, stupid? Che questo paese, come il resto del mondo, non si può salvare con la "cultura Ferrari"? E che è giunto anche per loro il momento del nuovo modo di produrre (sostenibile) e di consumare (meno e diverso)?
Chi spiegherà loro la differenza esistente tra inciucio cerchiobottista manipolatorio e una grande riforma intellettuale e morale di questo paese? Chi spiegherà loro che devono studiare molto più attentamente Silvio Berlusconi, e dargli retta quando rivela che "tutto avviene in televisione"?
  



20.12.2004
NON DELUDETECI
di Bds (Barbiere della Sera)

Sia Mieli che De Bortoli sono due professionisti di eccellente levatura, e questo lo sapevamo già, ma ciò che più conforta è che al vertice di due voci così vitali della carta stampata arrivano, e questo è meno scontato, due giornalisti con la schiena dritta

Due ex direttori del Corriere della Sera assumono la direzione di due prestigiosi quotidiani. Paolo Mieli torna al comando di via Solferino e Ferruccio De Bortoli salirà tra pochi giorni sul trono del Sole 24 Ore, il più importante giornale economico del paese.

Annotiamo pure, dunque, che il vecchio moloch di via Solferino continua a offrire sul mercato dei direttori il meglio che c’è in giro.

Sia Mieli che De Bortoli sono due professionisti di eccellente levatura, e questo lo sapevamo già, ma ciò che più conforta è che al vertice di due voci così vitali della carta stampata arrivano due giornalisti con la schiena dritta.

Non era mica così scontato.

Mieli è l’inventore del mielismo corrieristico, quello stile un po’ sbarazzino che negli anni ’90 ha rifrullato la vecchia immagine del giornalone milanese e è il principe del terzismo, quell’atteggiamento di equidistanza politica che talvolta, bisogna dire anche questo, scade nel cinismo, ma che comunque è servito a liberare molti giornalisti dal vizio del facile assoggettamento intellettuale.

De Bortoli è nato e cresciuto nel Corriere della Sera e ha diretto il giornale con autorevolezza e dignità, proprio quella dignità che nei giorni scorsi ha evocato Claudio Magris sempre sulle colonne del Corsera. (Anzi, a Magris, per ringraziarlo del suo bel pezzo, dedichiamo l’ultima ricetta di Gelsomina che trovate in home page).

Mieli e De Bortoli non sono tipi che hanno paura. Per chi desiderasse rinfrescarsi la memoria consigliamo di andarsi a rileggere le cronache della tormentata candidatura di Paolo Mieli alla presidenza della Rai, fulminata nel momento in cui dichiarò l’intenzione di far tornare in attività Enzo Biagi e Michele Santoro e da una indegna campagna della Padania.

Consigliamo inoltre, per ciò che riguarda De Bortoli, di rileggere l’affascinante carteggio con l’avvocato di Berlusconi Niccolo’ Ghedini che è riprodotto integralmente nel libro “Regime” (Gomez-Travaglio).

Qui dal Barbiere, per ciò che vale, cioè molto poco, non possiamo che essere contenti nel vedere che due così riprendono la regia di due voci essenziali della società italiana. E vorremmo già che ci siamo, chiedere loro un paio di favori.

A Mieli ci piacerebbe ricordare che il terzismo non è cinismo politico né relativismo. In numerose occasioni, nel periodo più recente, i concetti di giusto e sbagliato sono apparsi con grande chiarezza nella vita politica del Paese. Il terzismo non deve essere un alibi per non dire chiaro e forte ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Di De Bortoli pubblichiamo in questa stessa pagina la prefazione che ha firmato per un libro edito da Bompiani. Ciò che De Bortoli scrive a noi sembra sacrosanto e confidiamo che questo sia il suo manifesto editoriale.

A entrambi inoltre chiediamo una cosa. Una guerra senza quartiere all’informazione televisiva.

Per due motivi. Il primo è che mai si era visto in questo Paese un simile livello di rimbambimento mediatico veicolato dalle televisioni. Chi ha avuto modo di assistere, magari per caso, a alcuni programmi (per esempio “Punto e a Capo”, di Giovanni Masotti e Daniela Vergara), o a un po’ di Tg ha visto cose che gli umani hanno visto solo nell’Unione Sovietica di Breznev.

Poiché purtroppo il 90 per cento degli italiani è informato dagli schermi della Rai o di Mediaset, che almeno il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore sparino a cannonate contro questa umiliazione degli intelletti.

Il secondo motivo è figlio del primo. E’ necessario che la carta stampata, anch’essa in buona parte annichilita dal potere, ritrovi coraggio e indipendenza, riescano a infrangere lo starpotere televisivo nel mercato pubblicitario. Corriere e Sole debbono dare il buon esempio.

Non deludeteci.



BIOGRAFIA
Figlio di Renato Mieli, muove i primi passi nella carta stampata da giovanissimo: a 18 anni lavora all'espresso, dove rimane per circa vent’anni. La sua idea di giornalismo cambia col passare degli anni. La militanza in Potere Operaio, movimento politico sessantottino della sinistra extraparlamentare, influenza i suoi esordi. Da posizioni estremiste, Mieli passa presto a toni moderati durante gli studi di storia moderna all’Università, dove i suoi maestri sono Rosario Romeo (studioso del Risorgimento) e Renzo De Felice (storico italiano del Fascismo).Fondamentale nella sua formazione anche la figura di Livio Zanetti, suo direttore all'Espresso.
Nel 1971 fu tra i firmatari del documento pubblicato sul settimanale L'espresso contro il commissario Luigi Calabresi e di un altro pubblicato ad ottobre su Lotta Continua in cui esprimeva solidarietà verso alcuni militanti e direttori responsabili del giornale inquisiti per istigazione a deliquere a causa del contenuto violento di alcuni articoli, impegnandosi a «combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato»[1][2].
Nel 1985 è la volta di "La Repubblica", dove rimane per un anno e mezzo, fino al suo approdo alla "Stampa", della quale il 21 maggio 1990 diventa direttore. È in questi anni che Mieli affina il suo modo di fare giornalismo, che con un neologismo verrà in seguito da alcuni definito "mielismo", che prenderà forma soprattutto con il suo passaggio al "Corriere della Sera" (10 settembre 1992). In sostanza il nuovo direttore, come già aveva sperimentato con successo alla "Stampa", prova a svecchiare il giornale della borghesia lombarda, alleggerendone foliazione e contenuti con l'utilizzo di linguaggio, personaggi e tematiche della televisione, che in questi anni sta sottraendo ingenti quote di lettori alla carta stampata. Con il cambiamento il "Corriere" non perde ma anzi consolida la sua autorevolezza. In particolare durante "Tangentopoli" cerca di porsi in maniera equidistante dai poteri pubblici e privati.
Il 7 maggio 1997 Mieli lascia la direzione del quotidiano lombardo, al suo posto va Ferruccio De Bortoli. Mieli diventa direttore editoriale del gruppo Rcs e dopo la scomparsa di Indro Montanelli si occupa della rubrica giornaliera "lettere al Corriere", dove dialoga con i lettori su temi prevalentemente storici. In virtù dei suoi studi e della sua passione per la materia, è infatti anche uno storico.
Nel 2003 è stato considerato come possibile presidente della RAI, ma la sua nomina durerà soltanto pochi giorni, quando rinuncia non sentendo attorno a lui, per motivi definiti "di ordine tecnico e politico", l'appoggio necessario alla sua linea editoriale.
Dal 24 dicembre 2004 Paolo Mieli è tornato a dirigere il "Corriere della Sera" sostituendo Stefano Folli.
L'8 marzo del 2006, con un editoriale, ha dichiarato che il suo giornale avrebbe auspicato una vittoria elettorale dell'Unione e di Romano Prodi (tramite un crollo di Forza Italia accompagnato da un rafforzamento di AN e UDC) alle successive elezioni politiche. L'editoriale ha suscitato aspre polemiche non solo tra gli esponenti della Casa delle Libertà a causa dell'abbandono del cosiddetto "terzismo" da parte della testata. Un famoso precedente è quello di Indro Montanelli che, su Il Giornale, consigliò nel 1976 di "turarsi il naso" e votare Democrazia Cristiana contro il pericolo di una possibile affermazione del Partito Comunista di Enrico Berlinguer.






L’ANCHOR-MAN E L’INFORMAZIONE



Chi si ricorda di Antonio Russo?

Era uno dei tanti angeli invisibili che per Radio Radicale aiutava i profughi in Cecenia e mandava notizie. Attratto dalle sirene del Maurizio Costanzo Show, andò a mostrare la sua faccia e ad illustrare la sua meritevole attività. La conseguenza fu che al primo viaggio in Cecenia, lo catturarono e lo pestarono fino alla morte. L’Ordine dei giornalisti gli diede la qualifica di giornalista post-mortem e amen.

Ricordando questo episodio, quando la redazione di Italia News, il quotidiano con le notizie sul satellite, mi chiese una foto da far passare durante la mia intervista, io che ci ho ancora qualcosa da fare ad Haiti e non vorrei qualche speciale attenzione, ho mandato la foto di Carlo Gubitosa, alla faccia della corretta informazione. Vabbè...



Tecnicamente le cose si sono svolte così: mi hanno chiamato al telefono alle otto, l’ora americana della messa in onda (in Italia va alle 13,00) e dopo alcune prove tecniche mi hanno lasciato appeso al telefono in attesa di intervenire.

La trasmissione, più o meno è strutturata in questo modo: il conduttore Piero Di Pasquale che è anche il direttore del programma, apre fagocitando i titoli del TG1 e la notizia d’apertura (alla mezz’ora lo farà col TG2) poi dalla sua redazione passano le notizie dell’ultima ora, quindi a intervalli regolari sempre dalla redazione, le notizie dagli interni, esteri e regionali. L’ospite o gli ospiti in studio insieme con alcuni corrispondenti Rai collegati dalle varie sedi, sviluppano quello che Di Pasquale ha eletto il tema del giorno. La trasmissione risulta asciutta ed essenziale con qualche sbavatura dovuta probabilmente più a pressioni politiche per un minuto di visibilità, ma tutto sommato credo si possano considerare peccatucci veniali.



Certamente saprete che rimanendo appesi al telefono durante una trasmissione in diretta non è possibile rimanere accanto al televisore per non innescare un fastidiosissimo “effetto Larsen” che fischia dolorosamente nelle orecchie, pertanto ho seguito il tutto al telefono perdendo parti essenziali del discorso. Credo il tema del giorno vertesse attorno alla comunicazione e alle difficoltà del dare notizie dai luoghi “caldi”.  In studio c’era un rappresentante di reporters sans frontieres.

A TRE MINUTI dalla fine del programma, finalmente la chiusa tanto necessaria in un buon pezzo giornalistico: “Ma esiste pure un’informazione alternativa costituita dai “bloggers” e ne abbiamo DUE in linea!”

Pensate, due bloggers (tra cui un neofita) che spiegano il Web e i blog in tre minuti!

Infatti, finiamo di declinare le nostre generalità e la trasmissione finisce.



E’ successo però un fatto che ha spiazzato Piero Di Pasquale: approfittando del minuto messomi a disposizione dichiaro che hanno “bucato” una notizia. Intendiamoci bene, questo è un colpo basso. “Bucare” una notiza – cioè non registrarla e lasciarsela sfuggire-  è una delle cose che maggiormente irrita una redazione. Il direttore non si lascia sorprendere e mi sfida: “E allora ce la dia lei, la notizia!” ed io in una sintesi disperata parlo della tempesta tropicale che ha colpito l’isola (un centinaio di morti) mettendo in ginocchio la popolazione che non era stata allertata dal governo. Oso pure un paragone con il regime di Cuba che in casi analoghi si dimostra attrezzatissimo.

Questo mio intervento voleva dimostrare che noi del Web NON siamo l’informazione alternativa bensì l’informazione l’altra. E basta.



Vediamo di capirci meglio: ogni giorno “le agenzie” cioè le entità che in nome delle varie associazioni giornalistiche mettono in circolo le notizie, raccolgono circa 20.000 fatti più o meno interessanti di cui parlare e dirama un bollettino diciamo con le duemila notizie di rilievo secondo la nostra cultura e il nostro vissuto. Di queste duemila, contatele se ne avete il tempo, i giornali ne mettono una dozzina in prima pagina ed i telegiornali sono confezionati con una quindicina di queste.

E le altre? Chi ha detto che le altre non siano interessanti, almeno per qualcuno?

Ecco, nel Web succede proprio questo fenomeno: il commento (QUASI SEMPRE CONTRO CORRENTE) alle notizie ufficiali, la ricerca di vari approfondimenti (il Web ha una memoria lunghissima) e diffusione di alcuni fatti che non vengono trattati dalla stampa ufficiale.



Ma abbandoniamo il caso personale e vediamo di analizzare la funzione di Piero Di Pasquale alla luce del McLuhan.



Conservo ancora una lezione di Maurizio Costanzo che in un corso di comunicazione affermava: “Come chiaramente scritto dal McLuhan, la televisione è figlia della radio...”

Nulla di più sbagliato. Intanto perchè il massmediologo canadese non ha mai scritto una cotanta corbelleria, infatti se la radio è l’estensione dell’orecchio e deriva dal telegrafo e dal telefono, la televisione è una protesi dell’occhio e rappresenta l’evoluzione del fumetto, dell’icona e dei geroglifici!

La televisione in sè stessa non esisterebbe se non ci fosse la società che si rispecchia in essa, che è un flusso continuo di immagini senza approfondimento e senza profondità.



In questo flusso continuo si è inserito tra gli altri Piero Di Pasquale che prima con NEXT ed ora con ITALIA NEWS si è trasformato da “portatore sano di notizie” (la definizione è un po’ grottesca, spero mi perdonerete) ad anchor-man che è una figura prettamente televisiva di giornalista testimonial che con la sua faccia ed il suo lavoro in qualche modo GARANTISCE l’approfondimento che, badate bene, è sempre “viziato” dalle sue convinzioni personali.



Torniamo alla mia intervista. In pratica cos’ha fatto Di Pasquale? Ha raccolto tutto il mondo fuori da sè e FAGOCITANDOLO, lo ha restituito ai fruitori come televisione pura!

Ora, la domanda è questa: in un mondo dove predomina la polemica sul relativismo (anche storico) non sarà un’imprudenza lasciare che alcuni anchor-men abbiano la facoltà di indirizzare (influenzare?) con le loro opinioni il pubblico televisivo?

La risposta la lascio a voi, ma mi permetto di farvi notare che nella storia della moderna televisione, non esistono Anchor-men che abbiano tradito il loro mandato e quei pochissimi che sono stati scoperti ad alterare anche di un ette i fatti per derivarne vantaggi (anche d’opinione) personali, sono stati prima sbeffeggiati e poi si sono dissolti come nebbia al sole, scomparendo dal video.



Aldo Vincent











PRIMA APPENDICE



Approfitto dell’argomento per collegarlo al recente dibattito su Wikipedia, che lo dico subito mi trova in una posizione minoritaria, la qual cosa non mi preoccupa perchè ormai so per esperienza che chi ha ragione un’ora prima degli altri è destinato ad avere torto per un’ora e visto che tutti i posti erano occupati, come Bertold Brecht mi sono seduto pazientemente dalla parte del torto.



L’idea di un’enciclopedia universale aperta a tutti i contributi, senza una redazione preparata ed un illuminato direttore responsabile dell’opera non ha senso, o almeno non ha il senso illuminista dell’Enciclopedia.

E’ tutt’altra cosa. Così come il grande flusso di informazioni anche contradditorie che imperversano sul Web sono una cosa buona, ve lo dice uno che si batte da anni per questo. Però questa informazione perde molta parte della sua funzione se non cerca di interfacciare con l’informazione canonica, quella ufficiale che con tutti i suoi difetti rappresenta la parte essenziale del tessuto sociale.



Voglio dire, benvenuti i blog e l’informazione “altra” ma che non si chiuda in un circuito di adepti,  cerchi invece di aprirsi collaborando coi professionisti dell’informazione. Magari non lasciandosi semplicemente fagocitare, come succede ora (...e adesso andiamo a vedere sul nostro sito le domande dei nostri ascoltatori....) ma sperando che seri professionisti dell’informazione come Piero Di Pasquale si accorgano di noi...





Aldo Vincent







SECONDA APPENDICE



Eppure, sul Web ed il fenomeno dei bloggers, nei avrei avute di cose da dire. Non certo per una rigorosa ricostruzione storica, che non spetta certo a me. Ma la mia esperienza arriva subito dopo le BBS, con gli eroici ragazzi di Arpanet, gli spocchiosi gestori di Fabula, l’elitario Granieri e il suo Amelia, primo tentativo di salotto letterario, il primo Golem gestito (a pagamento) da Umberto Eco e Gianni Riotta che in seguito insieme con Bartezzaghi pubblicarono per Einaudi un libricino scritto con i contributi del Web.

Il secondo Golem, questo della Rai con lo straordinario Nicoletti, e poi Punto Informatico e Affari italiani i primi quotidiani italiani sul Web, Rodrigo Vergara di Arcoiris il primo tentativo di televisione su Internet, Angie la spiritosissima casertana e le sue ricette. Il Dr. Zap, al secolo Prof. Antonio Zappulla, docente di una facoltà universitaria a Bologna che sta studiando la funzione terapeutica della risata e raccoglie tutte le spiritosate che girano sul Web catalogandole per aregomenti. Il mitico Davide Ruda di Firenze, con un percorso professionale che lo ha portato da Dada a Supereva, a Clarence ed ora vende via Web gingles per i telefonini...



A proposito di Davide Ruda, avrei ricordato che quando ero a Teheran e stavo organizzando una rete di bloggers che comunicassero col mondo in lingua inglese, si offrì per comprare un dominio e gestire a sue spese un Sito Web: www.ciaoteheran.com .Andatelo a visitare (se esiste ancora visto che con l’arrivo al potere di quest’ultimo presidente, non abbiamo rinnovato il dominio) e confrontatelo con www.italia.it che approssimatamente ha la stessa struttura di ipertesti.

Vi sembra quasi uguale? Sappiate che questo ultimo Sito sta per essere chiuso per sfinimento e che è costato al contribuente 40 milioni di Euro mentre Davide, ha fondato, progettato e gestito il nostro Sito con gli spiccioli del suo stipendio.



Avrei parlato anche della dolce Antonella, a suo tempo molto legata a Antonio Russo di Radio Radicale, che si è messa in testa di fare la giornalista e per pagarsi gli incerti inizi, suona il violino ad ore al Santa Cecilia e gestisce www.censurati.it .

Certo avrei citato Riccardo Orioles mitico giornalista siciliano che scrive ogni giorno contro la mafia, e a viso aperto attraversa il mondo con il suo cappellaccio, la pipa ed il mantello come un personaggio ottocentesco.



Mamma mia, quanta gente conosco!

Questa è la contraddizione del Web: va a finire che hai una pletora di amici sparsi per il mondo, tutti quanti con una @ nel loro indirizzo, poi magari non saluti nemmeno il tuo vicino di pianerottolo.

Eppure, tutte le volte che ho incontrato persone conosciute tramite il Web, non ho avuto sorprese, è stato un poco come conoscersi da sempre perché scambiarsi opinioni dai blog e sui blog scopre un poco l’anima, e quando ci si incontra è quasi un sollievo.



Avrei parlato della satira sul Web, la più feroce perché senza limiti, da Artefatti, a LiberazioneT, Boxer, Cartaigienica, Bastardidentro, Cactus, Godere con la lingua, Helios, Bengodi, Marc Bernardini che ci chiese contributi taroccati dei manifesti di Berlusconi, poi ricevemmo una lettera di diffida da Mursia perché dopo la pubblicazione su carta i tarocchi erano sotto copyright e ci veniva impedito di usare i NOSTRI lavori per non incorrere in non so quali sanzioni…



Avrei parlato di quella che Piero Di Pasquale ha definito “informazione alternativa”: Come Don Chisciotte, Luogo Comune, Antibufala, Disinformazione, Indymedia, Peacelink, Reporter Associati, Misna, Le notizie viste dal didietro, Ciccsoft, Haramlik…



Forse avrei parlato pure dei famosissimi, come Dagospia, Sabelli Fioretti, Votantonio, Gattomammone e forse avrei parlato pure di Beppe Grillo, e del botto che ha fatto stupendo il mondo con la mobilitazione dei suoi bloggers. Badate bene, quelli che parlano del fenomeno “grillino” non hanno capito quasi nulla. Il fenomeno non è il blog di Beppe Grillo ma Grillo stesso, che ha organizzato il più grande spettacolo italiano del dopoguerra. E il più redditizio, dopo l’invenzione dell’Orchestra Italiana di Renzo Arbore.

Grillo ha mobilitato tanta folla per quello che è lui, non il suo blog. La dimostrazione è Adinolfi che con gli stessi mezzi e lo stesso blog si è presentato alle primarie del Partito Democratico incassando percentuali da prefisso telefonico!!



Avrei parlato dei nostri politici, che hanno quasi tutti aperto dei blog ma che non riescono a gestire (primi fra tutti, D’Alema, Prodi e Rutelli) mentre il troppo sottovalutato Di Pietro (ricordo che fu il primo ad entrare nelle aule dei tribunali con i suoi computers) Franceschini, la Margherita, la famiglia Fo, Storace e pochissimi altri, si danno da fare.



Avrei parlato anche di…



Massì, perché sto perdendo tempo con i miei ricordi? Di noi, per il momento, si interessano solamente quelli che ancora ci definiscono “ il fenomeno dei bloggers”

Ma quale fenomeno?





Aldo Vincent





Il corso sul McLuhan lo trovate qui:






Questa lezione e’ invece qui: