Fu lo psicologo statunitense Harry Harlow, negli anni
Cinquanta, a condurre i primi studi sul bisogno di prossimità fisica,
scoprendo che questa necessità non riguarda soltanto gli esseri umani ma
anche le bestie. I bimbi appena nati vengono poggiati sul petto della
madre e questo li induce a calmarsi. Proprio come i cuccioli di uomo
pure quelli di scimmia tendono a ricercare qualcosa di caldo e morbido
contro cui rannicchiarsi, arrivando al punto di disinteressarsi al cibo
pur di godere dell' effetto confortante di un abbraccio.
baci coronavirus
Crescendo non si estingue il nostro desiderio di fisicità.
Anzi,
in certe fasi cruciali della esistenza, può divenire più urgente.
Allorché siamo sotto stress, ad esempio, ci gioverebbe essere avvolti
dalle braccia di chi ci vuole bene. Il paradosso è che proprio adesso
che avremmo più esigenza di essere abbracciati, a causa della paura
generata dallo stato di emergenza nonché da un virus sconosciuto, non
possiamo neanche sfiorarci. Siamo obbligati a scansarci, a starci alla
larga, ad evitarci gli uni con gli altri. Stiamo accumulando in tal modo
fame di contatto. Gli americani la chiamano "skin hunger", ovvero "fame
di pelle".
Si
tratta della brama di toccamento, giunta in questi giorni ai suoi
massimi storici. Prima della pandemia, si stimava che negli Stati Uniti
ne fosse affetto almeno un adulto su quattro in seguito al progressivo
isolamento sociale che ha preso il via negli anni Ottanta e che ha avuto
un' accelerazione con l' avvento di social network e smartphone. Oggi è
probabile che ad avere un insaziabile ed insaziato appetito di
tenerezza siano molte più persone, in tutto il globo. La soluzione
sarebbe semplice, tuttavia non è "a portata di mani". Queste ultime è
meglio tenere al loro posto, magari infilate addirittura nei guanti,
almeno per ora. Poi, si salvi chi può.
MARSHALL MCLUHAN
NON L’AVEVA PREVISTO
INTRODUZIONE
“Alcuni credono che il cervello sia l’organo
più complesso del corpo umano e come medico potrei anche acconsentire ma come
donna trovo che non ci sia niente di più comples-so del cuore umano. Ancora oggi
non si conoscono i suoi meccanismi. Nel ragionamento del cervello c’è la logica,
nel ragionamento del cuore ci sono le emozioni.” Lo scriveva il Premio Nobel
Rita Levi Montalcini e allora sembrava una parentesi poetica da parte di una mente
geniale e invece con il progredire delle scienze che studiano il cervello e la
mente ci rendiamo conto che quella frase non era poesia ma predizione.
Devo
premettere che al tempo del McLuhan e delle mie prime lezioni sull’argomento,
il cervello era l’organo meno conosciuto e meno studiato nelle Università anche
perché la tecnologia ancora non aveva messo a punto sistemi che potessero
analizzare le funzioni, le reazioni della mente e più specificamente potessero
organizzare quello che oggi sono le Scienze Cognitive.
Ai miei tempi (ecco una frase che da sola mi squalifica) c’erano solo due corsi di Laurea in Psicologia, uno a Padova e l’altro a Roma. A Milano, alle Cliniche c’era un biennio di specializzazione post laurea di medicina, filosofia, e altre scienze umane che non ricordo. C’erano lezioni di Marcello Cesa Bianchi che parlava del metodo Weshler-Bellevue e Gianpaolo Fabris teneva lezioni sulle motivazioni. Erano definiti “comportamentisti” e gli argomenti più controversi erano il famoso test da contrapporsi all’americano I.Q.
considerato discriminatorio, e le cinque funzioni della memoria che allora erano identificate con l’apprendimento, la ritenzione, il riconoscimento, l’evocazione e il richiamo. Si discuteva allora di una funzione detta spin che come una spola andava avanti e indietro durante la conversazione per non perdere il filo del discorso e memoria lunga e memoria breve sulle quali si discuteva animatamente fino a farci scendere in piazza e prendere pure un sacco di manganel-late per difendere il concetto di memoria breve che pensandoci oggi sarebbe la R.A.M. del nostro computer, ma allora erano tempi di contestazioni anche violente.
Allora la memoria era concepita come un enorme magazzino all’interno del quale l’individuo poteva conservare la propria esperienza passata, con caratte-ristiche statiche e passive mentre oggi è considerata piuttosto come un archivio cui attingere per riuscire ad affrontare situazioni di vita presente e futura, come un costruttore attivo di rappresentazioni del mondo. In tal senso, la memoria è considerata ricostruttiva.
Oggi la scienza descrive tre fasi principali dei processi di elaborazione mnestica: la fase di codifica, si riferisce al modo in cui l’informazione viene inserita in un contesto di informazioni precedenti e viene influenzato da diversi fattori, tra cui gli stati emotivi-cognitivi-motivazionali del soggetto. La fase di ritenzione, in cui il ricordo viene consolidato e stabilizzato in una condizione stabile e a lungo termine: poi ci sarebbe la fase di recupero che consiste nel recuperare il ricordo dalla memoria a lungo termine alla memoria di lavoro affinché venga utilizzata. L’intero proces-so di elaborazione può essere influenzato da diversi fattori motivazionali, come la rilevanza emotiva dello stesso stimolo, nonché’ dall’umore e dallo stato emotivo del soggetto. Ultimo dato ma non meno importante: la natura ricostruttiva della memoria cioé il fenomeno del riconsoli-damento mnemonico secondo il quale i ricordi che vengono recuperati vengono riportati in una elaborazione attiva, possono essere modificati e rielaborati e quindi reimma-gazzinati mediante una nuova traccia mnemonica con particolare rilevanza clinica psicoterapica.
Ai miei tempi (ecco una frase che da sola mi squalifica) c’erano solo due corsi di Laurea in Psicologia, uno a Padova e l’altro a Roma. A Milano, alle Cliniche c’era un biennio di specializzazione post laurea di medicina, filosofia, e altre scienze umane che non ricordo. C’erano lezioni di Marcello Cesa Bianchi che parlava del metodo Weshler-Bellevue e Gianpaolo Fabris teneva lezioni sulle motivazioni. Erano definiti “comportamentisti” e gli argomenti più controversi erano il famoso test da contrapporsi all’americano I.Q.
considerato discriminatorio, e le cinque funzioni della memoria che allora erano identificate con l’apprendimento, la ritenzione, il riconoscimento, l’evocazione e il richiamo. Si discuteva allora di una funzione detta spin che come una spola andava avanti e indietro durante la conversazione per non perdere il filo del discorso e memoria lunga e memoria breve sulle quali si discuteva animatamente fino a farci scendere in piazza e prendere pure un sacco di manganel-late per difendere il concetto di memoria breve che pensandoci oggi sarebbe la R.A.M. del nostro computer, ma allora erano tempi di contestazioni anche violente.
Allora la memoria era concepita come un enorme magazzino all’interno del quale l’individuo poteva conservare la propria esperienza passata, con caratte-ristiche statiche e passive mentre oggi è considerata piuttosto come un archivio cui attingere per riuscire ad affrontare situazioni di vita presente e futura, come un costruttore attivo di rappresentazioni del mondo. In tal senso, la memoria è considerata ricostruttiva.
Oggi la scienza descrive tre fasi principali dei processi di elaborazione mnestica: la fase di codifica, si riferisce al modo in cui l’informazione viene inserita in un contesto di informazioni precedenti e viene influenzato da diversi fattori, tra cui gli stati emotivi-cognitivi-motivazionali del soggetto. La fase di ritenzione, in cui il ricordo viene consolidato e stabilizzato in una condizione stabile e a lungo termine: poi ci sarebbe la fase di recupero che consiste nel recuperare il ricordo dalla memoria a lungo termine alla memoria di lavoro affinché venga utilizzata. L’intero proces-so di elaborazione può essere influenzato da diversi fattori motivazionali, come la rilevanza emotiva dello stesso stimolo, nonché’ dall’umore e dallo stato emotivo del soggetto. Ultimo dato ma non meno importante: la natura ricostruttiva della memoria cioé il fenomeno del riconsoli-damento mnemonico secondo il quale i ricordi che vengono recuperati vengono riportati in una elaborazione attiva, possono essere modificati e rielaborati e quindi reimma-gazzinati mediante una nuova traccia mnemonica con particolare rilevanza clinica psicoterapica.
Altra premessa doverosa è che nell’analisi
dei media il McLuhan li definisce protesi, cioè ognuno è la prosecuzione
tecnologica di altre nostre funzioni: il martello picchia più del pugno, le
forbici lavorano meglio dei denti, gli occhiali rinforzano la vista e la ruota
fa meglio del piede (in questo caso ci fu un’evoluzione per trasformare il
movimento rotatorio nella prosecuzione di un movimento lineare ma è un
dettaglio, forse ci ritorneremo dopo).
È successo che dopo secoli in cui con la
tecnologia abbiamo operato ogni genere di estensione, ora con l’applicazione
del computer ci ritroviamo con l’estensione della nostra mente, estensione che
non può più essere considerata protesi, bensì campo. Ci troviamo nell’età
dell’angoscia dove non è più possibile il distacco e la non partecipazione.
Dopo tremila anni di espansione delle innumerevoli funzioni tecnologiche del
corpo umano e delle sue funzioni, ci ritroviamo dinanzi ad una implosione.
L’elettricità ed il computer hanno contratto il nostro pianeta riunendo in modo
repentino e contemporaneo tutte le funzioni sociali e politiche, intensificando
la nostra consapevolezza. Ogni singolo anche se nobilissimo punto di vista, ha
perso nell’era elettrica ogni funzione lasciandoci l’ansia e la ribellione
contro gli schemi imposti e soluzioni obsolete.
A differenza di ciò che accadeva quando gli avvenimenti erano posti in sequenza o in concatenazione, nell’era elettrica la velocità istantanea ci fa percepire le cose in una nuova dimensione. Questo era il pensiero di Marshall McLuhan e non ce n’è un altro, anche se un certo Bruce R. Powers, un professore che ha pagato le royalties alla vedova per poter (forse) millantare che questo fosse il pensiero del grande pensatore canadese ha pubblicato nel 1984, quattro anni dopo la morte del McLuhan, un libro postumo e lo ha intitolato IL VILLAGGIO GLOBALE autore McLuhan e ci ha messo dentro un sacco di corbellerie tra le quali i popoli che ragionano con l'emisfero sinistro contro quelli che ragionano con l'emisfero destro, la Tetralicomia ovvero: previsioni sul un mondo che verrà ( e non se n'è avverata nemmeno una) e la registrazione, questa vera, di una conversazione informale avuta con il McLuhan, una di quelle cose che ti metti a parlare anche di sciocchezze, davanti ad un bicchiere di bourbon, e questo tizio ci ha tessuto sopra un pamphlet da cui ricavare soldi. Inutile dire che andai a cercare questo presunto collega di McLuhan, chiesi informazioni sul suo conto ma era morto senza infamia né gloria come era vissuto e amen.
A differenza di ciò che accadeva quando gli avvenimenti erano posti in sequenza o in concatenazione, nell’era elettrica la velocità istantanea ci fa percepire le cose in una nuova dimensione. Questo era il pensiero di Marshall McLuhan e non ce n’è un altro, anche se un certo Bruce R. Powers, un professore che ha pagato le royalties alla vedova per poter (forse) millantare che questo fosse il pensiero del grande pensatore canadese ha pubblicato nel 1984, quattro anni dopo la morte del McLuhan, un libro postumo e lo ha intitolato IL VILLAGGIO GLOBALE autore McLuhan e ci ha messo dentro un sacco di corbellerie tra le quali i popoli che ragionano con l'emisfero sinistro contro quelli che ragionano con l'emisfero destro, la Tetralicomia ovvero: previsioni sul un mondo che verrà ( e non se n'è avverata nemmeno una) e la registrazione, questa vera, di una conversazione informale avuta con il McLuhan, una di quelle cose che ti metti a parlare anche di sciocchezze, davanti ad un bicchiere di bourbon, e questo tizio ci ha tessuto sopra un pamphlet da cui ricavare soldi. Inutile dire che andai a cercare questo presunto collega di McLuhan, chiesi informazioni sul suo conto ma era morto senza infamia né gloria come era vissuto e amen.
Sembra
che stia divagando ma la premessa è d’obbligo. Più avanti riporterò una sintesi
del pensiero di Marshall McLuhan che era un professore di letteratura inglese,
che per anni non si seppe se catalogarlo tra i filosofi o tra i semiologi, che
per anni il mondo accademico si accanì ad attaccare invece di tentare una
sintesi mentre alcune tecnologie apparivano nel sistema mondiale della
comunicazione e provocavano vere rivoluzioni, che il McLuhan aveva intuito, per
cui si era allarmato, a fronte delle quali aveva lanciato accorati allarmi
purtroppo senza esito.
Successe
quello che era successo a Freud quando irruppe nel pensiero occidentale
teorizzando l’inconscio e tutti i suoi dintorni. Mentre gli accademici europei
discettavano chiedendosi se quella di Freud fosse scienza o chissà che, gli
americani lo invitarono oltreoceano per una serie di conferenze. Un giorno
confidò a Jung che lo accompagnava, di aver notato che per radio i programmi
venivano interrotti da un motivetto musicale al quale faceva seguito un
messaggio pubblicitario. Egli si rendeva conto che dopo una serie di
interventi, bastava ascoltare il jingle musicale, e veniva alla mente senza
alcuna sollecitazione il nome del prodotto:
-
Abbiamo portato la peste in questo continente
– disse.
Alla
stessa maniera mentre si discuteva della salute mentale di McLuhan (ho
partecipato personalmente ad una conferenza con questo argomento) prendevano
corpo sistemi elettronici americani che invadevano le nostre coscienze con i
Social, i telefonini, e vari modi del comunicare che hanno cambiato il nostro
modo di relazionarci.
Ora che con la tecnologia elettrica abbiamo
esteso non solo i nostri organi ma persino il nostro sistema nervoso,
l’informazione che si sposta alla velocità della luce ha reso obsoleti tutti i
sistemi di accelerazione meccanica quali la strada, la ferrovia, la ruota. I
vecchi sistemi di adattamento psico-fisico e sociale non contano più nulla.
Siamo entrati nella fase del campo totale
della consapevolezza. Le nostre estensioni elettriche hanno superato lo spazio
ed il tempo e ci coinvolgono in problemi di organizzazione mai affrontati
prima.
"Oggi il tiranno non governa più col bastone o con il pugno di
ferro ma, travestito da ricercatore di mercato, pascola il suo gregge sui
sentieri della praticità e della comodità"
La
moderna Cappuccetto Rosso, allevata a suon di pubblicità, non ha nulla in
contrario a lasciarsi mangiare dal lupo.
La Sposa Meccanica, 1951
Credo
che questo sia il momento più adatto per porci la domanda fatidica: che ne è
del McLuhan e di tutte le sue teorie? Ha ancora senso, a settant'anni dal suo
LA SPOSA MECCANICA seguire i suoi enunciati per tentare di capire il mondo
della comunicazione? La risposta è
complessa non solo per la personalità eclettica dell'autore che ha esposto il
suo pensiero in modo apodittico rifiutando la serena discussione (famoso per i
suoi: “Lei non ha capito nulla del mio lavoro”) rimanendo all'esterno alla
dialettica del mondo accademico, spostandosi o avventurandosi nell'imprendi-toria
e nella consulenza, col risultato di non riuscire mai a far parte di un nucleo
intellettuale che potesse meditare, assimilare ed eventualmente riproporre i
suoi difficili (per allora) concetti. Anche l'esposizione delle sue teorie
avveniristiche con fulminanti sintesi adatte più ad essere citate che ad essere
capite, non ha agevolato la compren-sione dei fenomeni che il McLuhan
descriveva.
In
Italia specialmente, i suoi libri vennero pubblicati con colpevole ritardo e
delle tante critiche che in tutti questi anni l'autore ha accumulato, ne
propongo solamente tre che per l'importanza degli autori e delle loro posizioni
possono riassumere buona parte della critica italiana.
Il
primo intellettuale di altissimo spessore è Umberto Eco, che pubblicò nel 1967
“Cogito Interruptus”, una vigorosa stroncatura del libro: “Understanding Media”
edito in Italia dal Saggiatore di Alberto Mondadori, e commentando il famoso
“Il mezzo è il messaggio” scrisse: “Va bene. Vorrà dire allora che quando
riceverò un telegramma leggerò il postino!” Battuta fulminante che per arguzia
e intelligenza ciascuno di noi sarebbe disposto a scrivere a costo di qualsiasi
bassezza. In tutto questi anni Eco è ritornato sull'argomento solo un paio di
volte e di sfuggita per chiarire se si sia trattato semplicemente di una
battuta, o se a distanza di anni abbia cambiato il suo parere. Eco occultamente
e scientemente è stato l'intellettuale che meglio ha assimilato e si è
avvantaggiato delle teorie del McLuhan per migliorare il proprio lavoro di
semiologo e ne riconobbe i meriti solo nel 2014 in un intervento
tenuto a Camogli, al Festival della Comunicazione e intitolato
"Comunicazione: soft e hard".
Il
secondo intellettuale che vorrei citare è Stefano Bartezzaghi che in occasione
del venticinquennale della morte del McLuhan scrisse su Repubblica un interessante
articolo in cui con la sua consueta leggerezza ripercorreva i capisaldi delle
sue teorie, riportava gli slogan più incardinati nella memoria collettiva, ripercorreva
qualche episodio della vita e del pensiero dell'autore e poi in conclusione lasciava
elegantemente il giudizio in sospeso.
Il terzo è Gino Agnese, giornalista del Tempo,
nel 1982 fondò la rivista “Mass Media” e tra l'altro collegò il McLuhan al
futurismo del Marinetti. Gli chiesero un giudizio sul McLuhan, e lui che era
accreditato come uno dei più profondi conoscitori dell'argomento, dichiarò:
“Di
McLuhan resta semplicemente questo: il merito di averci mostrato la necessità
di avere un atteggiamento critico verso i media. Poi molte cose che lui ha
detto si sono rivelate infondate, ma questo no, questo resta: siamo critici,
stiamo attenti: questo è il suo insegnamento. Quanto alla sua attualità, lì il
discorso è diverso, perché McLuhan muore prima di Internet, senza averne
previsto l’invenzione. Internet è una realtà che non è stata prospettata da
nessun futurologo. La grande novità è che la Rete in qualche modo ha capovolto il
messaggio più noto di McLuhan, secondo il quale il mondo è il "villaggio
globale", poiché dopo Internet si può ben dire che ogni villaggio sia
diventato mondo. E quindi la conclusione è un po’ malin-conica perché si può
dire che il profeta – McLuhan è stato definito "il profeta dei media"
– nel tempo nostro è una figura impossibile: le cose evolvono così in fretta,
le novità si profilano all’orizzonte in maniera così veloce e impreveduta, che
le personalità di forte intuito, di più vasta apertura mentale e di più grande
coraggio intellettuale finiscono col non essere all’altezza dei tempi.
Riprendo
nella totalità questa affermazione perché rispecchia il pensiero di molti
intellettuali che benché prepa-ratissimi, non hanno potuto o peggio voluto
capire il punto di vista del McLuhan. Questi intellettuali finissimi, alfabetiz-zati
e difensori del “punto di vista” non riescono più a concepire una comunicazione
senza centro, dove non c'è più un referente e un fruitore perché è scomparso il
prima e il dopo, il davanti e il didietro, il sopra e il sotto e loro che sono
diventati il “centro” della intellighenzia, non possono o non vogliono
accettare ciò che a loro giudizio è diventato il caos. È successo ai ballerini
del Rock and Roll che dopo anni di allenamenti ed esibizioni, si videro
superati nelle discoteche (le balere erano scomparse) da gente senza
specializzazione che ballava il twist e il surf e si divertiva contorcendosi in
modo disordinato e senza regole sotto gli occhi dei “rocchettari” che si erano
specializzati in passi, figure e volteggi coordinati. Così a questi raffinati
alfabeti diventati punti di riferimento, ripugna la contemporaneità immediata e
il coinvolgimento totale della forma elettrica della comunicazione senza centro
da cui partono le perife-rie, ma con le periferie che sono diventati esse
stesse centri di comunicazione. Per molti di loro poi, le cui sensibilità sono
state deformate e in qualche modo bloccate nelle posizioni fisse della
scrittura meccanica della tipografia, le forme tattili della comunicazione
elettrica sono addirittura invisibili. Non è colpa degli intellettuali che in
questi casi hanno una funzione di retroguardia, ma è compito degli artisti
avere visioni con cui evocare e rappresentare le nuove frontiere tecnologiche.
Aggiunge il McLuhan:
“Queste
persone sono vittime dei media riluttantemente mutilati dai loro studi e dal
loro lavoro come i bambini in una fabbrica vittoriana...”
Che
McLuhan poi, muoia prima di Internet senza averne previsto “l'invenzione” è una
frase che secondo me può dire solo qualcuno che non ha letto “Understanding
Media” o che l'ha letto distrattamente o che se l'è fatto riassumere in comodi
bigini. Mi spiego meglio: vediamo la funzione del profeta.
Secondo
il Mito, Cassandra che aveva ingannato Apollo promettendogli amore in cambio
della chiaroveggenza, venne punita dal dio per non aver mantenuto la promessa
facendo in modo che prevedesse il futuro ma che nessuno le credesse. Il Mito è
fondatore e porta sempre con sé brandelli di verità ma in questo caso potremmo
andare ancora più a fondo dicendo che coloro che non credono alla profezia, di
solito lo fanno perché non si rendono conto di che si tratti. Prendiamo per
esempio Gesù Cristo dinanzi al Tempio e la sua profezia: “Non ne resterà pietra
su pietra”, che a coloro che lo stavano ascoltando poté sembrare semplicemente
un'invettiva. Furono gli estensori dei Vangeli dopo il 70 A.D. cioè dopo la
distruzione del Tempio da parte di Tito che si accorsero che ciò che era stato
detto mezzo secolo prima era una profezia. Diversa invece la frase sempre di
Gesù Cristo: “Ognuno prenda la sua croce, e mi segua” che con ogni probabilità
è una reminiscenza dell'estensore delle loghìe, perché la croce non aveva
nessun significato simbolico PRIMA che vi fosse lo scandalo di un Dio
crocifisso. È come se il Papa si fosse affacciato all'udienza del mercoledì ed
avesse affermato:” Piangete i vostri morti nei grattacieli a causa di aeroplani
e non andate a distruggere un altro popolo” frase incomprensibile ai suoi
contemporanei, ma acclamata con vigore dopo le vicende dell'11 Settembre alle
Twins Tower di New York.
E
veniamo al McLuhan. Quando cominciò a scrivere le sue prime intuizioni il
computer era una macchina che registra-va dati su un nastro magnetico. Da qui
la sua prima consta-tazione che esso fosse il proseguimento della tipografia
perché spezzava e inanellava dati in modo logico sequen-ziale. Per spiegarci,
poiché si erano scoperte le alte funzioni della memoria elettronica, si sarebbe
potuto per esempio mandare una lettera a tutto l'elenco telefonico di Toronto
perché i dati stavano comodamente in ordine alfabetico, un po' meno veloce la
ricerca per esempio di tutti gli utenti di Trafalgar Square classificati per
numero civico perché tra quelli che cominciavano per la lettera A e quelli con
la Zeta occorreva scorrere tutto il nastro. Con questo vogliamo dire che il
McLuhan non si rese conto che sarebbe arrivato il processore su disco fisso e
quindi non capì la funzione del computer? Non mi pare. Credo piuttosto che
parlando delle nuove tecnologie della comunicazione di massa (tra le quali non
cita il computer) si intuisca A POSTERIORI che ne prevedesse gli sviluppi. Allo
stesso modo è errato pensare che egli sbagliasse nel teorizzare un villaggio
globale mentre la realtà ci mostra come ogni villaggio sia diventato il mondo,
quando i due concetti sono perfettamente identici, cosa più volte teorizzata
dall'autore. Anzi, per essere obiettivi, vediamo in realtà quali furono le
previsioni sbagliate del McLuhan. Primo, nello spiegare l'impatto mediatico
della fotografia, egli cita come esempio: “la vista di gentiluomini che
ordinavano da bere nei circoli standosene comodamente seduti sui loro cavalli
provocò rapidamente un senso di revulsione tra la gente comune che indusse i
ricchi americani ad abitudini timidamente modeste e oscure dalle quali non si
sono più discostati...
Anche
le persone diventano istantanee... quando devono condividere con l'intera
umanità l'estensione del loro sistema nervoso centrale. In tali condizioni i
consumi dimostrativi o gli sprechi da status symbol diventano impossibili anche
per il più audace dei ricchi che si riduce a consumi omologati.”
Non
aveva previsto il SUV, il Rolex da due milioni di dollari, e tutti i consumi
che vengono definiti come “status symbol”.
Aveva
previsto la scomparsa della ruota, intesa come mezzo di trasporto, partendo
dalla considerazione che l'aereo usa le ruote solo per una minima parte del suo
percorso. La ruota è scomparsa dal disco del telefono e da qualche altro marchingegno,
ma quella dell'auto per ragioni di macroeconomia, non scomparirà tanto
facilmente.
Con
il computer ha previsto la diminuzione dell'uso della carta che invece è
aumentato. Ha previsto la scomparsa del manuale d'istruzioni che invece è
diventato sempre più voluminoso visto le molteplici funzioni degli oggetti
elettronici.
Una
cosa invece che McLuhan non ha previsto e non poteva prevedere è il fenomeno Google,
l'espediente tecnologico più rivoluzionario dopo l'invenzione della stampa a
caratteri mobili. Per la verità egli aveva teorizzato che qualsiasi nuova
tecnologia nasce con alcuni obiettivi immediati apparenti per poi svilupparsi
in un'innovazione tecnologica che rompendo i privilegi di un ristretto numero
di usufruitori apre la possibilità di accesso ad una nuova popolazione di
utenti. E così è successo alla Rete, nata per scopi militari che si è
sviluppata in modo imprevedibile specie quando gruppi economici e di potere
tentarono di catturare gli utenti che vagavano per il Web indirizzandoli in Portali,
specie elettronica di centri commerciali che raggruppavano servizi e offerte
interessate dagli sponsor dove secondo i maghi del marketing si sarebbe concentrato
il business elettronico. Errore pagato carissimo (in termini di perdite
aziendali). Infatti l'utente, che nel web ha acquisito una indipendenza
individuale persa nella vita reale, presto si chiese: perché devo entrare in un
portale per conoscere che tempo farà al mio paese, quando posso collegarmi
direttamente ai satelliti che in contemporanea mi danno tutte le previsioni del
tempo sulla Terra? Il problema era quello di conoscere l'indirizzo web di
queste strutture e per agevolare la navigazione erano nati i motori di ricerca
tipo Altavista che fungevano da enciclopedia elettronica. Bastava cliccare una
parola e comparivano tutte le pagine del mondo in cui quella parola era
scritta. Il difetto stava nel fatto che comparivano in modo casuale e non in
ordine di importanza ma in base alla frequenza della parola che il motore di
ricerca trovava nelle pagine cercate. Se per esempio uno avesse cliccato la
parola “porcini” sarebbero comparse 1.200.000 pagine sui funghi porcini,
evidentemente non consultabili tutte e un milione duecentomila! Il problema era
che probabilmente tra le prime pagine comparivano i porcini di Borgotaro,
poiché esiste una famosa fiera in quella località, alcune pagine di ricette
messe on line da casalinghe deliziose, qualche caso di intossicazione per
l'Amanita Muscaria, libri per bambini ma le cose più importanti, tipo il Bresadola,
Wikipedia con le catalogazioni, un manuale di scienze naturali e cose così
interessanti, si potevano trovare solamente dopo aver aperto pagine e pagine di
notizie inservibili.
Era il 1966 e Larry Page e Sergey Brin, i due
studenti ventitreenni che stavano rivoluzionando il mondo della comunicazione,
intuirono l'importanza dei links, cioè di quei rimandi ragionati che indirizzavano
verso le pagine più importanti: più importante era il sito che indirizzava,
maggiori erano i link che le indicavano, quelle erano le pagine che comparivano
per prime nel motore di ricerca.
Questo
è Google: milioni di frecce che vi indirizzano verso pagine guida della conoscenza,
come se uno si trovasse in una città sconosciuta e chiedesse a tutti quelli che
incontra dove si trova Piazza Garibaldi, per seguire poi la maggio-ranza delle
indicazioni che vanno in una direzione che si rivelerà quella esatta. Il
problema però, nella cultura, non è così semplice e le pagine più cliccate non
è detto che siano le più profonde o le più preziose. Sono solo le più frequen-tate,
per cui la Verità non è più solo quello che credono gli altri, ma soprattutto
quello che gli altri hanno trovato più velocemente.
Non
è un problema da poco.
Recentemente
per esempio, un'amica virtuale, di quelle per intenderci con cui si chatta ma
non si hanno relazioni, mi ha mandato una frase: ”Le parole che non ti ho
detto” che mi hanno ricordato il mio amore per Jorge Luis Borges e il piacere
che mi ha dato in molti Paesi dove ho vissuto, di leggerlo nella lingua
originale. Intellettuale eclettico, ha scritto poesie in italiano, spagnolo,
francese, inglese e tedesco ed io ricordavo il verso di una delle sue ultime
poesie dedicate a Maria Kodama, la sua giovane segretaria che si prese cura di
lui fino a diventarne la moglie negli ultimi istanti della sua vita, a cui
aveva dedicato alcuni versi che pressappoco facevano: “Quando morrò, e verrai
al cimitero a visitarmi, ti raccomando di non strappare quei papaveri rossi che
troverai cresciuti attorno alla croce della mia tomba: quelle sono le parole
che non ti ho detto, le frasi d'amore che non ti ho scritto” La mia amica
virtuale, male interpretando le mie parole, mi mandò lo spezzone di un film con
Kevin Costner e Paul Newman. Le scrissi facendole notare che il film di Mandoki
in originale aveva un altro titolo: “The message in a bottle” e lei rispose
scusandosi per essersi confusa con il libro. Poiché io da anni seguo la ferrea
regola inglese del “Rubbish in, rubbish out” cioè che se nel computer metti
spazzatura poi quando vai a cercare ritrovi spazzatura, mi affrettai a
correggere l'affermazione della mia amica secondo cui la frase in questione era
relativa ad un libro, e andai su Google per cercare la poesia di Borges
digitando: “le parole che non ti ho detto” e sono uscite 4.000.000 di pagine
(diconsi quattro milioni! ) che portavano nelle prime trenta pagine il film di
Mandoki, poi il libro di Spark, poi la canzone di Bocelli, poi Ron (che forse
ha scritto i testi di detta canzone) in seguito Enrico Brignano che aveva
girato l'Italia con uno spettacolo con quel nome, quindi poesie sparse di
giovani poeti italiani, e qualche blog dove accidentalmente e non sempre in questo
ordine venivano riportate le medesime parole. Dopo 40 pagine (circa 500 Siti
citati) di Google, Jorge Louis Borges, l'autore di quei versi sublimi a cui si
erano ispirati altri artisti, non comparivano. Allora ho ricominciato la
ricerca anteponendo BORGES alla frase precedente, sono uscite 400 pagine (circa
5.000 Siti) che non mi hanno portato da nessuna parte. La soluzione sarebbe
stata quella di cercare BORGES POESIE, ma non ricordavo in che lingua avevo
letto il libro, in quale Paese l'avevo comprato, e soprattutto in quale
contesto la poesia (se si trattava di una poesia o di un biglietto d'addio) era
stata pubblicata.
Morale:
da Google, cioè dalla nostra cultura di lingua italiana è scomparso l'autore di
quei versi sublimi, non solo. Poiché le pagine più cliccate sono le prime
cinque, sei, sette e rare volte qualcuna in più, ci ritroveremo nella
condizione che più le pagine inerenti il film saranno cliccate, e a maggior
ragione appariranno tra le prime dieci, più rimarranno posizionate tra le prime
dieci, più saranno cliccate.... e buonanotte a Borges.
E
veniamo all’ultimo fraintendimento del McLuhan che è pure il motivo di questo
libro: egli ha confuso il computer con l’estensione del cervello. Ha intuito
che non poteva essere considerata una protesi, e infatti ha introdotto una
teoria del “campo” ma si è fermato qui perché non aveva i mezzi per un’analisi
più dettagliata ma era in errore perché il computer rappresenta solo una parte
del cervello, e qui mi fermo.
Approfittando
della secca stagionale del fiume Colorado, avevamo percorso per una intera
giornata il tragitto che ci portava al villaggio del capo Chochone che aveva
accettato di farci da guida. Non vedeva il suo villaggio dallo scorso autunno,
quando era sceso in città dove aveva lavorato tutto l’inverno esibendosi per i
turisti. Arrivati sull’ermo di un colle scorgemmo le tende, il fumo dei fuochi
e i cavalli sciolti attorno al villaggio della sua gente e lo vidi commosso. Mi
sorpresi nel non vederlo accelerare il passo per raggiungere il suo villaggio,
ma fu solo quando si sedette e socchiuse gli occhi che osai chiedergli:
- Non scendiamo?
E
lui mi rispose:
- Adesso no. Aspettiamo le nostre anime –
Fu
allora che compresi che arriva un momento della propedeutica in cui ti devi
sedere ed aspettare la tua anima.
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Lettera di Massimo Cacciari* a “la Stampa”
Per
quanto ancora frammentari e non univoci, i messaggi che ci raggiungono
in questo esordio della fase 2 a proposito della scuola sono ben più che
allarmanti.
La prospettiva che emerge è
quella di una definitiva e irreversibile liquidazione della scuola nella
sua configurazione tradizionale, sostituita da un' ulteriore
generalizzazione e da una ancor più pervasiva estensione delle modalità
telematiche di insegnamento. Non si tratterà soltanto di utilizzare le
tecnologie da remoto per trasmettere i contenuti delle varie discipline,
ma piuttosto di dar vita ad un nuovo modo di concepire la scuola, ben
diverso da quello tradizionale.
Ebbene,
si può certamente riconoscere - come da più parti nel corso degli
ultimi anni si è sostenuto in maniera argomentata - che la scuola
italiana avrebbe bisogno di interventi mirati, collocati su piani
diversi, tali da investire gli stessi modelli della formazione e lo
statuto epistemologico delle varie discipline.
lezioni virtuali
Ma
altro è porre all' ordine del giorno un complessivo e articolato
processo di riforma, frutto di una preventiva e meditata elaborazione
teorica, tutt' altra cosa è appiattire il complesso processo dell'
educazione sulla dimensione riduttiva dell' istruzione. Basterebbe
mettere il naso oltre le Alpi per avvedersi che quasi tutti i Paesi
europei, in prima fila i nostri competitors sul piano economico, hanno
già riaperto (o stanno riaprendo) le scuole, pur permanendo condizioni
sanitarie analoghe a quella italiana.
Francia
e Germania, Belgio, Danimarca e Olanda, Norvegia e Repubblica ceca,
Austria e Svizzera, e in parte perfino il Regno Unito, sono ripartiti,
sia pure con prudenza e gradualità, mentre anche la Spagna, ormai più
tormentata di noi dal flagello del virus, sta valutando di svolgere
almeno qualche settimana di scuola prima della pausa estiva.
e learning
Per
quanto riguarda il prossimo anno scolastico, nessuno sottovaluta i
vincoli oggettivi che potrebbero persistere anche in autunno, rendendo
troppo rischioso il tentativo di ritorno alla normalità. Ma dare
superficialmente per assodata l' intercambiabilità fra le due modalità
di insegnamento - in presenza o da remoto - vuol dire non aver colto il
fondamento culturale e civile della scuola, dimostrandosi immemori di
una tradizione che dura da più di due millenni e mezzo e che non può
essere allegramente rimpiazzata dai monitor dei computer o dalla
distribuzione di tablet.
È
probabilmente superfluo ricordare che il termine greco scholé, dal
quale derivano i termini che nelle lingue moderne descrivono la scuola,
indica originariamente quella dimensione di tempo che è liberata dalle
necessità del lavoro servile, e può dunque essere impegnata per lo
svolgimento di attività più nobili, più corrispondenti alla dignità
dell' uomo.
Ne
consegue che la scuola non vuol dire meccanico apprendimento di nozioni,
non coincide con lo smanettamento di una tastiera, con la sudditanza a
motori di ricerca. Vuol dire anzitutto socialità, in senso orizzontale
(fra allievi) e verticale (con i docenti), dinamiche di formazione
onnilaterale, crescita intellettuale e morale, maturazione di una
coscienza civile e politica. Insomma, qualcosa di appena più importante e
incisivo di una messa in piega o di un cappuccino.
*
I firmatari dell' appello Alberto Asor Rosa Maurizio Bettini Luciano
Canfora Umberto Curi Donatella Di Cesare Roberto Esposito Nadia Fusini
Sergio Givone Giancarlo Guarino Giacomo Marramao Caterina Resta Pier
Aldo Rovatti Carlo Sini Nicla Vassallo Federico Vercellone Il filosofo
Massimo Cacciari è tra i firmatari della lettera sul nuovo modello di
scuola La lettera I due metodi di insegnamento - in presenza e on line -
non sono intercambiabili Alberto Asor Rosa Scrittore, docente, critico
Così si appiattisce il processo di educazione sulla dimensione riduttiva
dell' istruzione Nadia Fusini Scrittrice e critica letteraria Luciano
Canfora Filologo classico, saggista Donatella Di Cesare Filosofa,
saggista, docente.
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FUORI. IERI 1 CONTAGIO, ZERO MORTI
salute
PER NON MORIRE DI SMART WORKING BISOGNA ALZARSI PIU’ VOLTE
DURANTE LA GIORNATA E MUOVERSI PER ALMENO 3 MINUTI - E’ IL CONSIGLIO
DEGLI ESPERTI DELL’OMS - I CONSIGLI? CAMMINARE SU E GIÙ PER LE SCALE,
FARE QUALCHE ESERCIZIO DI STRETCHING, BALLARE PER POCHI MINUTI A RITMO
DI MUSICA…
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