Se il Paese delle balle di Stato ha paura della post-verità
Siamo quelli dei misteri di Ustica, del caso Moro e di Pasolini. Ma se la gente vota contro diamo la colpa alle bufale web. Non sarà un po’ comodo?
C’è un
dibattito in corso nel Paese delle balle di Stato, quello di Ustica e
del caso Moro per capirci, che ha del surreale. Fior di intellettuali,
giornalisti, politici, magistrati e salumieri, con l’aiuto della
suocera, discutono sul fatto che l’Italia sarebbe entrata nell’era della
post-verità. E che serve un intervento in grande stile. Filosofeggiano,
e più filosofeggiano più è chiaro che anche stavolta sotto sotto si
cela una battaglia politica. Contro Beppe Grillo che, a modo suo,
attacca. Perché il problema sotteso alle bufale sul web, nello stomaco
dei politologi, è semplice: cui prodest? Se giova a Grillo, va fermato.
Perché poi Renzi (o chi per lui) perde le elezioni. E così, convinti di
affermare la libertà di espressione, l’articolo ventuno e via
discorrendo, finiamo di nuovo dritti nella trappola dell’ex comico.
Permettete un dubbio, da giornalisti con tutte le nostre colpe. Non è che qui, fra perifrasi in inglese e furbizia di guappo, sembra essersi aperto un varco? E, accucciata come un lupo feroce pronto a sbranarsi la democrazia con un clic, ci sarebbe una parola, post-verità, che spingi-spingi potrebbe tornare buona per qualcuno? Perché se è così, la battaglia è già persa. Per ammissione di sconfitta della stessa informazione: si tratta, in sostanza, di dire che se sui social qualcuno spara scemenze - mischiate a migliaia di cose vere, cui partecipano da anni anche le testate storiche, i giornaloni, perfino esageratamente - quelle scemenze sarebbero così forti da devastare l’intero sistema mediatico e la sua credibilità. È come ammettere, gridando al fascismo e alla censura, di non riuscire più a essere creduti, unica funzione vitale del giornalismo in qualunque forma sia divulgato. Che fare, si dicono allora i giganti della libertà di espressione? Indagare, vietare, censurare il web. E cosa risponde Grillo? Giuria popolare per tutti gli altri. Un dibattito senza capo né coda, nell’era in cui perfino Pablo Picasso può venire apostrofato come graffitaro e tutti amici come prima.
Posso dire una cosa da italiano medio? Non si difende così il diritto di cronaca. Soprattutto nel Paese dove la post-verità rischia di suonare come un già visto. Anzi un passo avanti rispetto a quel che siamo da decenni: l’Italia della post-bugia. Dello Stato che nasconde la verità. I libri sono pieni di post-bugie all’italiana. Siamo il Paese che ha montato e smontato commissioni d’inchiesta con il compito di nascondere le verità che sarebbero emerse da sole, anziché di cercarle più in fretta. Siamo quelli del caveau di Carminati e del caso Pasolini, dei mafiosi al governo e del rapimento Orlandi, su cui ancora aspettiamo una pre-verità ormai postuma, custodita nei sacri Palazzi. La verità dove sta? Sta dove qualcuno la cerca davvero. Dove il giornalismo, con caparbietà, a volte rischiando la vita, tenta di fare luce su fatti che altri intendono tenere nascosti. Sta nel lavoro quotidiano dei cronisti. Non in quello dei tribunali o delle authority anti questo o quello. Così potente quando fa il suo mestiere di fronte al potere da avere contribuito in maniera decisiva, penso ad esempio al 1992, a far cadere il sistema sulle proprie gambe d’argilla. Fatico a credere che, se qualcuno avesse ridicolizzato i giornali con post-verità su Craxi o De Lorenzo, avremmo gridato al fascismo. Nessuno se ne sarebbe accorto, perché l’odore del vero è più acre di qualsiasi profumo pre o post tu voglia dargli.
Eppure proprio oggi scopriamo di non avere più anticorpi per reagire. Al punto di proporre, nello Stato abituato a mentire ufficialmente, di “vietare” questi bugiardelli dilettanti e i loro fake? Non è la strada: solo il giornalismo può vincere questa partita. Ma deve sconfiggere prima di tutto la post-bugia di Stato. Non sembrare mai megafono. Né parte del Palazzo. A quel punto la post-verità si frantuma sul pavimento marmoreo del conoscere. Senza divieti o censure. Ma facendo luce sui fatti. Il solo compito del giornalista.
Twitter @Tommasocerno
Permettete un dubbio, da giornalisti con tutte le nostre colpe. Non è che qui, fra perifrasi in inglese e furbizia di guappo, sembra essersi aperto un varco? E, accucciata come un lupo feroce pronto a sbranarsi la democrazia con un clic, ci sarebbe una parola, post-verità, che spingi-spingi potrebbe tornare buona per qualcuno? Perché se è così, la battaglia è già persa. Per ammissione di sconfitta della stessa informazione: si tratta, in sostanza, di dire che se sui social qualcuno spara scemenze - mischiate a migliaia di cose vere, cui partecipano da anni anche le testate storiche, i giornaloni, perfino esageratamente - quelle scemenze sarebbero così forti da devastare l’intero sistema mediatico e la sua credibilità. È come ammettere, gridando al fascismo e alla censura, di non riuscire più a essere creduti, unica funzione vitale del giornalismo in qualunque forma sia divulgato. Che fare, si dicono allora i giganti della libertà di espressione? Indagare, vietare, censurare il web. E cosa risponde Grillo? Giuria popolare per tutti gli altri. Un dibattito senza capo né coda, nell’era in cui perfino Pablo Picasso può venire apostrofato come graffitaro e tutti amici come prima.
Posso dire una cosa da italiano medio? Non si difende così il diritto di cronaca. Soprattutto nel Paese dove la post-verità rischia di suonare come un già visto. Anzi un passo avanti rispetto a quel che siamo da decenni: l’Italia della post-bugia. Dello Stato che nasconde la verità. I libri sono pieni di post-bugie all’italiana. Siamo il Paese che ha montato e smontato commissioni d’inchiesta con il compito di nascondere le verità che sarebbero emerse da sole, anziché di cercarle più in fretta. Siamo quelli del caveau di Carminati e del caso Pasolini, dei mafiosi al governo e del rapimento Orlandi, su cui ancora aspettiamo una pre-verità ormai postuma, custodita nei sacri Palazzi. La verità dove sta? Sta dove qualcuno la cerca davvero. Dove il giornalismo, con caparbietà, a volte rischiando la vita, tenta di fare luce su fatti che altri intendono tenere nascosti. Sta nel lavoro quotidiano dei cronisti. Non in quello dei tribunali o delle authority anti questo o quello. Così potente quando fa il suo mestiere di fronte al potere da avere contribuito in maniera decisiva, penso ad esempio al 1992, a far cadere il sistema sulle proprie gambe d’argilla. Fatico a credere che, se qualcuno avesse ridicolizzato i giornali con post-verità su Craxi o De Lorenzo, avremmo gridato al fascismo. Nessuno se ne sarebbe accorto, perché l’odore del vero è più acre di qualsiasi profumo pre o post tu voglia dargli.
Eppure proprio oggi scopriamo di non avere più anticorpi per reagire. Al punto di proporre, nello Stato abituato a mentire ufficialmente, di “vietare” questi bugiardelli dilettanti e i loro fake? Non è la strada: solo il giornalismo può vincere questa partita. Ma deve sconfiggere prima di tutto la post-bugia di Stato. Non sembrare mai megafono. Né parte del Palazzo. A quel punto la post-verità si frantuma sul pavimento marmoreo del conoscere. Senza divieti o censure. Ma facendo luce sui fatti. Il solo compito del giornalista.
Twitter @Tommasocerno
Luisella Costamagna: “Le bufale non le ha create la Rete”
(Luisella Costamagna – il Fatto Quotidiano) –
Caro avvocato professor Giovanni Pitruzzella, ma come? Lei che ha un così ricco curriculum da docente e da consulente di Palazzi, lei che solo per un soffio, nel 2015, non è riuscito ad accedere – indicato da Area Popolare e Scelta Civica – alla carica di giudice costituzionale, lei che, insomma, ben conosce la Costituzione e le leggi, ma anche la politica, pure lei, tra un brindisi natalizio e uno per il 2017, ha ceduto all’ultima tendenza autunno-inverno 2016, la post-verità? “Contro la diffusione delle false notizie”, ha tuonato al Financial Times, “serve una rete di organismi nazionali indipendenti ma coordinata da Bruxelles e modellata sul sistema delle autorità per la tutela della concorrenza, capaci di identificare le bufale online che danneggiano l’interesse pubblico, rimuoverle dal web e nel caso imporre sanzioni a chi le mette in circolazione”. Insomma, basta con le post-verità che rappresentano “uno dei catalizzatori del populismo e una minaccia alle nostre democrazie”. Un organismo governativo antibufala. Bellissimo. La Verità che trionfa. Si immagina i grandi filosofi, Platone, Hegel, Tommaso, Leibniz, se avessero saputo che era così semplice? Critica dell’authority pura, avrebbe scritto Kant, folgorato sulla via di Pitruzzella. E semplicissimo, sillogistico è, in effetti, il suo pensiero. In Rete ci sono balle (perché questa moda della post-verità? Si chiamano balle, da sempre), le balle avvelenano la democrazia, mettiamo sotto controllo la Rete. Ok. E il resto? Devo essere io, avvocato professore, a ricordarle che le bufale esistevano ben prima della Rete? E non parlo (solo) dei coccodrilli nelle fogne di New York. Parlo di bufale meno fantasiose e più funzionali a vari e differenti poteri. Che vogliamo dire del cedimento strutturale del Dc9 di Ustica? E di Pinelli e Valpreda assassini di piazza Fontana? Suvvia. Che cosa diremo, mentre schiacciamo sotto il suo tacco authoritario un qualche piccolo blog reo di avere espresso un’opinione, ai correntisti truffati dalle balle di una banca (e di un governo)? Ai disoccupati cui un giornalone racconta che c’è la ripresa? Agli italiani che dal 2008 si sentono dire che la crisi non c’è e i ristoranti sono pieni? Devo spiegarle io che la menzogna è da sempre strumento del potere per fregare i cittadini, e mai viceversa? Che un organismo governativo è per definizione di parte? Lei che ha tanto studiato ben saprà che la rete è per lo più veicolo di informazione libera, non soggetta alle convenienze di grandi gruppi industrial-editoriali, e che spesso, negli ultimi anni, ha sfatato bufale, più che propalarle. Ricorda la foto di Bin Laden ucciso, diffusa dalle maggiori agenzie e sbugiardata a tempo di record proprio dalla Rete? Ha presente quando un politico afferma – poniamo – “mai detto che mi sarei dimesso”, e dalla Rete, magia, esce il video che lo smentisce? Le bufale, in Rete, ci sono ma hanno le gambe molto più corte di quelle, sane e robuste, su cui per tradizione marciano nell’informazione mainstream. Coraggio, avv. prof. Pitruzzella, confessi che lo sapeva, ammetta che non è un epigono di Orwell e faccia marcia indietro. Era uno scherzo, vero? Dica la Verità (ma occhio che la Rete non la smentisca). Un cordiale saluto.
01gen 17
I cretini della post verità
É
l’anno dei cretini della post verità. Termine già certificato dal
prestigiosissimo Oxford Dictionary e infatti tutti i più saccenti
giornaloni si sono affrettati a mandare a memoria questa parola: dal
Guardian al Washington Post, dal Times al Corriere della Sera, dal
radicalchicchissimo Internazionale a Repubblica. È la parola dell’anno
finito e senza dubbio ci romperanno le balle con questa strampalata
teoria anche in quello che ha appena iniziato. Ma cos’è dunque questa
post verità? Di cosa si stratta? È il solito giro di parole che le elite
radical chic si inventano per darsi un po’ di arie. Questi sterminatori
di parole e di buon senso hanno decretato che siamo nell’era della
posto verità; e, per intenderci, sono gli stessi che chiamano lo
spazzino operatore ecologico e l’handicappato diversamente abile; quelli
che hanno inventato decine di perifrasi per catalogare (con estremo
rispetto, ovviamente!) tutti i gusti sessuali, quelli che si dice
genitore 1 e 2, quelli che se dici negro ti mettono alla gogna e che
prima o poi chiameranno i bianchi diversamente neri per non essere
troppo razzisti, senza accorgersi di essere gli ultimi razzisti rimasti
sul pianeta terra. Hanno ecceduto a tal punto in questa ossessione
politicamente corretta da essere diventati la caricatura di loro stessi.
E qualcuno, esasperato da questo galateo dell’ipocrisia, ha sbroccato e
ha pensato bene di ruttargli in faccia. L’ultimo in ordine temporale è
stato Beppe Grillo. Ma torniamo alla post verità e al suo significato.
Post verità è un modo per dire bufala, balla, bugia. Ma siccome – come
dicevamo prima -
loro non chiamano mai le cose col loro nome hanno pensato di
apparecchiare questo termine paludato. La post verità è una bufala di
nome e di fatto. La teoria è che nel far west della rete circolino così
tante bugie che la gente (che se avessero il coraggio delle loro azioni
definirebbero “plebi”) finisce per crederci e per farsene influenzare.
Per non cadere nel loro stesso gioco: siamo di fronte a una cagata
pazzesca. Provate un po’ a indovinare quando ha preso campo questa idea?
Vi aiuto io: si è fatta largo silenziosamente dopo il successo della
Brexit, è esplosa a livello mondiale a seguito della vittoria di Donald
Trump e in Italia è diventata verbo dopo il trionfo del No al referendum
costituzionale. Un caso? No. Anche perché coloro che la hanno inventata
e la utilizzano come una scimitarra contro le folle populiste, sono gli
stessi che non avevano capito niente di quello che stava ribollendo nei
loro rispettivi paesi. Quelli che fino al giorno prima dicevano che se
la Gran Bretagna fosse uscita dall’Europa il secolare impero di sua
Maestà sarebbe andato gambe all’aria, che quell’arricchito di Trump
avrebbe fatto esplodere il mondo e che lo stop alle riforme avrebbe
portato ogni forma di distruzione sullo Stivale (queste non erano post
verità ma semplicemente delle idiozie). Invece la regina è ancora lì con
la sua imperturbabile permanente, Trump rispetto all’ultimo, isterico,
Obama sembra uno statista e in Italia non è cambiato un tubo.
Dunque,
lorsignori, non adattandosi a un mondo che va per i fatti suoi e non si
adatta ai fatti che circolano nella loro testa, hanno deciso di
ribaltare il tavolo: hanno vinto i populisti perché la menzogna ha
prevalso sulla verità e gli elettori hanno preso lucciole per lanterne.
Insomma, è stato solo un gigantesco abbaglio. Ed è tutta colpa di
internet e dei social network. Il passo successivo – e qualcuno già lo
ha fatto capire tra le righe – è dire che gli elettori sono solo una
massa di imbecilli e quindi bisogna abolire il suffragio universale.
Così
improvvisamente la post verità è stata spalmata come un balsamo su
tutti i mezzi di comunicazione. Quando non sai come giustificare un
clamoroso fallimento della tua combriccola ideologica tiri fuori la post
verità e tac è fatta.
Un
manipolo di cretini che non capisce un cavolo di quello che vuole
realmente la gente ha risolto la situazione classificando come ebeti
qualche centinaio di milioni di persone: noi stiamo dalla parte giusta,
loro da quella sbagliata perché sono ignoranti che si bevono qualunque
fesseria. Perché è rassicurante, per chi ha perso ogni punto di
rifermento, convincersi che è tutta colpa delle balle e di chi le posta
su Facebook. Come se non fossero mai esistite le bufale, come se i
cittadini, gli internauti e dunque gli elettori, non fossero capaci di
distinguere autonomamente il vero dal falso. E così da strampalata
teoria autoassolutoria e popolodenigratoria si è trasformata in
un’istanza politica. Ed è questo il pericolo. Perché i governi hanno
iniziato a dire che bisogna porre rimedio a questa cosa, che i social
network sono delle cloache a cielo aperto dove tutti – ohibò! – possono
dire quello che gli pare. Giovanni Pitruzzella, il presidente
dell’Antitrust, ha dichiarato al Financial Times che “i pubblici poteri
devono controllare l’informazione”. Oh, finalmente qualcuno ha calato la
maschera. Beppe Grillo, una volta in vita sua, ha detto una cosa
giusta: questa è una nuova inquisizione. Ha ragione. Ci manca solo che i
burocrati di Roma o – ancora peggio – di Bruxelles si mettano a
censurare quello che scriviamo sui nostri profili Facebook… Anche
perché, allora, se si dichiara guerra alle balle bisogna mettere alla
berlina tutti, ma proprio tutti i pinocchi del mondo, e non solo su
Facebook. Sento tintinnare le ginocchia in Parlamento. Vogliamo
imbavagliare Maria Elena Boschi perché in televisione diceva che con la
vittoria del No sarebbe stato più difficile combattere il terrorismo
islamico? E quella non era post verità, ma proprio una stronzata.
Difatti i cittadini lo hanno capito, hanno smontato una per una tutte le
trimalcioniche promesse referendarie e hanno dato il benservito a Renzi
e al suo governo. A dimostrazione del fatto che gli elettori non hanno
bisogno di una badante di Stato che verifichi e selezioni per loro
quello che possono o non possono leggere. Ma loro, questa badante ce la
vorrebbero appioppare. Vorrebbero mettere le nostre idee in libertà
vigilata, sigillare una zona traffico limitato del pensiero, mettere
fuori legge gli eretici. Perché ci vuole un attimo a infilare le
critiche nel cestino della spazzatura, dello spam illeggibile. Sognano
una discarica indifferenziata del pensiero politicamente diverso. Non
scorretto. Gli scorretti – quelli che vogliono cambiare le regole del
gioco – sono soltanto loro.
Non
ce la faranno, perché cercare di fermare la rete – la gente – con
qualche carta bollata è come pensare di poter svuotare il Sahara con un
cucchiaino da tè. Ma il 2017 sarà comunque l’anno in cui i cretini della
post verità cercheranno di mangiarsi pezzi della nostra libertà.
Libertà di informazione, libertà di critica e financo politica. Stiamo
all’erta.
unamattinamisonsvegliato • un giorno fa
E TI CREDO, che i boiardi si rivoltano come bisce. Loro sulla "verità ufficiale" hanno costruito un sistema: solo loro possono dare le patenti di "ufficialità" ai fatti, e loro tengono le mani BEN AVVINGHIATE su...Altro...
Carline Vincent mario • un giorno fa
Le parole di Pitruzzella sono di un inaudita gravità. Ormai rendendosi conto che sia la televisione che la carta stampata non riescono più a canalizzare l'elettorato, almeno non nella percentuale da loro desiderata, gettano le basi per controllare e manipolare l'unica vera informazione libera, certo non esente da difetti ma pur sempre libera.
PITRUZZELLA: Borbonico (DOC+ IGP) esponente della burocrazia autoreferenziale, codina, borbonica IGP-indicazione geografica protetta, profondo sud di Roma, che ha occupato improduttivamente, oltre che dispendiosamente, ogni ganglio del Paese, e sta finendo di mandare a picco l'Ita(g)lia che contribuisce , ogni giorno di più, tramite i famigerati lacci e lacciuoli annidati negli astrusi regolamenti da essa creati, a limitare le nostre libertà. Quelli come lui (Pitruzzella)sono la truppa della quale si avvalgono" i cretini della post verità" , quelli che, non dimentichiamolo, hanno coniato quell'altra pericolosa idiozia del "populismo". Domanda retorica: cosa vorrà mai significare populismo? Se non altro, rinnovata propensione del singolo a riappropriarsi dei propri diritti, della propria libertà di decidere , rifiutando l'appiattimento imposto "manu militari" delle sedicenti marce elites che prosperano nell'attuale opaca società
Le parole di Pitruzzella sono di un inaudita gravità. Ormai rendendosi conto che sia la televisione che la carta stampata non riescono più a canalizzare l'elettorato, almeno non nella percentuale da loro desiderata, gettano le basi per controllare e manipolare l'unica vera informazione libera, certo non esente da difetti ma pur sempre libera.
PITRUZZELLA: Borbonico (DOC+ IGP) esponente della burocrazia autoreferenziale, codina, borbonica IGP-indicazione geografica protetta, profondo sud di Roma, che ha occupato improduttivamente, oltre che dispendiosamente, ogni ganglio del Paese, e sta finendo di mandare a picco l'Ita(g)lia che contribuisce , ogni giorno di più, tramite i famigerati lacci e lacciuoli annidati negli astrusi regolamenti da essa creati, a limitare le nostre libertà. Quelli come lui (Pitruzzella)sono la truppa della quale si avvalgono" i cretini della post verità" , quelli che, non dimentichiamolo, hanno coniato quell'altra pericolosa idiozia del "populismo". Domanda retorica: cosa vorrà mai significare populismo? Se non altro, rinnovata propensione del singolo a riappropriarsi dei propri diritti, della propria libertà di decidere , rifiutando l'appiattimento imposto "manu militari" delle sedicenti marce elites che prosperano nell'attuale opaca società
Suvvia, il 2016 non è stato annus horribilis e neanche storico, per la post-verità
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Meglio intendersi subito: il fenomeno della diffusione sui principali social network di notizie false e infondate, al solo scopo di influenzare e manipolare il dibattito secondo la propria utilità (spesso politica), sfruttando la condivisione "alla leggera" di masse di utenti, è indiscutibilmente in atto, e non si vuole in alcun modo negarlo.
Tuttavia, prima di eleggere la post-verità a parola chiave globale del 2016 (come ha fatto Oxford Dictionaries), a evento cruciale alla base della vittoria di Trump, dell'uscita della Gran Bretagna dall'Europa, così come anche dell'incedere apparentemente trionfale dei populismi in mezzo Occidente, bisognerebbe utilizzare (molta) più cautela.
Un conto è infatti analizzare, con l'ausilio di tutti gli strumenti a disposizione, come le "bufale" rimbalzano da un utente all'altro su Facebook o su Twitter, fino a raggiungere platee potenzialmente vastissime: questo già si può fare e infatti si fa. Un altro conto, molto diverso, è cercare di capire se e come queste "bufale" influenzino realmente chi le legge: questo è un compito molto più arduo.
Perché se tutto lascia presumere che chi condivide o diffonde una notizia in un certo senso la fa propria, "sposandola" (l'avvertenza "retweet non è endorsement" la scrivono sul proprio profilo soltanto i giornalisti professionisti), non è altrettanto scontato che gli amici o follower del "bufalaro", semplicemente leggendo la notizia falsa, se ne lascino condizionare fino a modificare il proprio pensiero. Anzi, è probabile che non lo modifichino proprio (ma questa è una mia opinione, che cercherò di suffragare qui di seguito).
Tutti sanno ormai che Facebook, Twitter, Instagram, ma anche i principali motori di ricerca interni ed esterni a questi social network, utilizzano algoritmi che fanno emergere nelle bacheche e tra i risultati di ricerca i contenuti cui noi siamo più abituati: in altre parole, ciò che più ci piace, sulla base delle nostre preferenze dedotte dalle nostre interazioni precedenti come ad esempio i like che abbiamo messo.
Così, invece che favorire la nostra apertura mentale nei confronti del mondo là fuori, gli stessi social network ci ricreano attorno, e addobbano, delle echo-chamber, delle camere dell'eco, in cui parliamo con chi la pensa come noi, leggiamo quello che ci conforta leggere, guardiamo video o immagini simili a quelle che abbiamo sempre guardato.
Ma se è vero, come è vero, che si formano queste camere dell'eco, questi compartimenti stagni dell'informazione, allora è probabile che un individuo tendente "bufalaro" (o meglio, profilato dall'algoritmo come lettore per così dire "superficiale" sulla base delle sue interazioni storiche) si faccia raggiungere dalle "bufale" più facilmente di un individuo che invece si informa in maniera più scrupolosa e approfondita, privilegiando canali più attendibili e autorevoli. Questo perché tanto le bufale quanto le notizie più attendibili viaggiano preferenzialmente su circuiti di persone tra loro simili, senza troppo intersecarsi.
Se così non fosse, cadrebbe il discorso delle echo-chamber. Quindi, pare logico dedurne che - in media - i bufalari influenzino i bufalari, mentre i lettori più attenti influenzino i lettori più attenti. Il che equivale a dire che non cambia poi molto.
In questo senso, l'era della post-truth, pur suggestiva anche nell'utilizzo dell'eufemismo "post-verità" invece che menzogna, dovrebbe essere notevolmente ridimensionata, non a livello quantitativo - i dati quantitativi, ripeto, sono innegabili - bensì a livello qualitativo, cioè di effettiva capacità della post-truth stessa di modificare la percezione e le opinioni delle persone fino a condizionare eventi storici come per esempio le elezioni americane o i referendum europei.
È pur vero che alcune di queste falsità non solo rimbalzano su internet, ma cambiano anche vettore informativo, raggiungendo la carta stampata o addirittura la tv nei casi più eclatanti: in questo modo, entrano nelle case anche di non utilizza internet, o comunque non vi si affida per formarsi una propria opinione. Ma anche in questi casi, abbastanza rari, da qui a dire che la bugia ha preso il posto della verità, fortunatamente ancora ce ne passa.
Ecco che quindi - per concludere - il tratteggio di un'era della post-verità appare come una questione squisitamente giornalistica, di riscoperta dell'autentica missione di un giornalismo oggi in crisi e incapace di comprendere le dinamiche in atto, e gli umori reali, della società, piuttosto che la figurazione di un reale pericolo per la democrazia.
Qualcuno potrebbe maliziosamente pensare anche a un'autoconsolazione dei media più importanti, che non avendo minimamente intuito quello che "bolliva in pentola" in America e Gran Bretagna (mentre in Italia, col referendum, è andata già meglio), hanno costruito a loro volta una sorta di post-truth ingigantendo il problema delle bufale e dando così la colpa del loro "misunderstanding" ai mentitori di professione o amatoriali.
Se il giornalismo intende fare finalmente autocritica, ripensando il suo ruolo e sperimentando nuovi modi di informare autorevolmente, allora la battaglia contro la post-verità non sarà stata vana a prescindere dal tempo che ci vorrà per sconfiggerla. Se invece l'era della menzogna diventa l'alibi per spiegare i cambiamenti che non ci piacciono in atto nel mondo, allora va molto meno bene.
Il 2016 è stato un annus horribilis per molti motivi oggettivi come il terrorismo, la guerra in Siria, il dramma delle migrazioni. È stato storico per Brexit, Trump, la Turchia. Ma non è stato né horribilis né storico per la post-verità.
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PERTANTO CONTINUERO' AD AGGIONARE LE PAGINE DA QUI
UNA FALSA REALTA'
CREATA CON EVENTI GUIDATI
Postato il
Mercoledì, 02 marzo @ 22:10:00 GMT di ernesto
DI PAUL CRAIG
ROBERTS
zerohedge.com
Gli Americani
vivono in una falsa realtà creata con fatti inventati ?
La maggior parte
delle persone che sono consapevoli e capaci di pensare hanno rinunciato a
credere al sistema chiamato “media mainstream“. Le presstitutes hanno perso la
loro credibilità pur di aiutare Washington a mentire – “Le armi di distruzione
di massa di Saddam Hussein”, “Il Nucleare iraniano”, “L’uso delle armi chimiche
di Assad”, “L’invasione russa dell’Ucraina” e così via.
I “media
mainstream” hanno distrutto la loro credibilità per aver completamente
accettato qualsiasi versione abbiano dato le autorità del governo sui presunti
“eventi terroristici”, come il 9/11, le bombe sulla Maratona di Boston, o sulle
presunte sparatorie sulle masse, come Sandy Hook e San Bernardino.
Nonostante le
incongruenze lampanti, le contraddizioni e i fallimenti dei sistemi di
sicurezza che sembrano troppo improbabili per essere credibili, i “media
mainstream” non si fanno domande e non indagano. Si limitano a raccontare –
come un dato di fatto – tutto quello che dicono le autorità.
Il segno di uno
stato totalitario o autoritario si ha quando i media non sentono la
responsabilità di dover indagare e di dover trovare la verità, accettando
invece il ruolo del propagandista. L’intero sistema dei media occidentali già
da tanto tempo è “in modalità propaganda”. Negli USA la trasformazione dei
giornalisti in propagandisti si è completata con la concentrazione di un
sistema che era formato da parecchi media indipendenti in sei mega-società che
ormai non sono più gestite da giornalisti.
Di conseguenza,
le persone riflessive e consapevoli fanno affidamento sempre più su media
alternativi, quelli che si fanno domande, che seguono la logica dei fatti e che
offrono analisi al posto di una linea ufficiale con storie incredibili.
Il primo esempio
fu l’11 settembre. Un gran numero di esperti ha distrutto una storia ufficiale
che non aveva nessun elemento di fatto per poterlo essere. Tuttavia, anche se
non esiste nessuna prova concreta finora fornita a chi crede nel 9/11, la
storia ufficiale ancora attacca. Dobbiamo credere che alcuni sauditi senza
nessuna tecnologia che potesse andare oltre il coltellino da tasca e senza
nessun appoggio dei servizi segreti di nessun governo, siano stati tanto abili
da superare in astuzia la tecnologia di sorveglianza di massa, creata dalla
DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) e dalla NSA (National
Security Agency) e che siano stati capaci di affondare il colpo più umiliante,
mai subito da una superpotenza in tutta la storia umana. Inoltre, sono stati
capaci di farlo senza che né il Presidente degli Stati Uniti, né il Congresso
degli Stati Uniti, né i “media mainstream” fossero ritenuti responsabili di un
fallimento così totale di tutta la high-tech della sicurezza dello stato
nazionale. ….. e la Casa Bianca invece di mettersi alla guida delle indagini su
un fallimento tanto massiccio della sicurezza, ha continuato a resistere per
più di un anno prima di cedere alle richieste delle famiglie delle vittime del
9/11, quelle famiglie che non hanno potuto comprare e solo allora ha accordato
di nominare una Commissione di inchiesta sull’ 11 settembre.
La Commissione
non indagò, ma semplicemente si insediò e scrisse la (stessa) storia che aveva
raccontato il governo. In seguito, il presidente della Commissione, il
co-presidente e i consulenti legali hanno scritto dei libri in cui si diceva
che ogni informazione era stata negata alla Commissione, che i funzionari
governativi avevano mentito alla Commissione e che la Commissione “era stata
istituita per fallire”. Nonostante tutto questo, le presstitutes ancora
ripetono la stessa propaganda ufficiale, e ci sono abbastanza americani che ci
credono tanto da evitare che debbano essere riconosciute le vere)
responsabilità.
Qualsiasi storico
competente sa che vengono usati degli eventi false flag per portare a
compimento gli ordini del giorno che, altrimenti, non potrebbro essere
raggiunti. L’ 11 settembre diede ai neocon – che controllavano
l’amministrazione di George W. Bush – una nuova Pearl Harbor che, dicevano, era
necessaria per lanciare le loro invasioni militari egemoniche sui paesi
musulmani. Le bombe alla Maratona di Boston hanno permesso di testare la
Polizia di Stato americana, compreso come si può isolare totalmente una grande
città americana, mandando per le strade 10.000 soldati armati e squadre
speciali con truppe che facevano perquisizioni casa per casa costringendo, con
le armi, gli abitanti a lasciare le loro case. Una operazione senza precedenti
come questa fu giustificata come necessaria per trovare un ragazzino di 19
anni, ferito che, chiaramente, era un capro espiatorio.
Ci sono tante di quelle anomalie nella storia di Sandy Hook
da aver creato tutta una schiera di scettici. Sono d’accordo che ci siano delle
anomalie, ma non ho il tempo per studiare la questione e per farmi una mia opinione
personale. Quello che ho notato è che nessuno ha dato una buona spiegazione di
queste anomalie.
Per esempio, in questo video realizzato con le copertine di
vari telegiornali https://www.youtube.com/watch?v=xaHtxlSDgbk chi ha fatto le
riprese del video presenta il caso di un padre in lutto per la perdita del
figlio, che è la stessa persona vestita però come uno SWAT a Sandy Hook, mentre
segue la sparatoria. La persona è stata identificata come un noto attore. Ora,
mi sembra che questo sia un test semplice: Il padre in lutto è stato
riconosciuto, l’attore è conosciuto, e le autorità devono sapere chi è questa
persona che fa parte delle SWAT.
Quindi se queste tre persone, che possono passare uno per
l’altro, possono stare tutte e tre in una stanza, allo stesso tempo, possiamo
anche rifiutare di credere a tutto quello che viene raccontato nel video. Tuttavia,
se queste tre persone distinte non possono essere presentate insieme, allora
dobbiamo chiederci il perché di questo falso, perché questo fatto fa riflettere
sul contenuto dell’intera storia. Potete guardarvi tutto il video oppure andare
direttamente al minuto 9:30 e osservare quello che sembra essere la stessa
persona in due ruoli diversi.
I “media mainstream” hanno tutte le capacità di fare queste
semplici indagini, ma non le fanno. Invece, i “media mainstream” parlano di
scettici “teorici della cospirazione”.
C’è un libro del professor Jim Fetzer e di Mike Palecek che
dice che Sandy Hook sia stato un esperimento della FEMA per promuovere il
controllo delle armi e dice anche che a Sandy Hook non è morto nessuno. Il
libro era disponibile su amazon.com, ma è stato improvvisamente vietato. Perché
vietare un libro?
Ecco un download gratuito del libro:
http://rense.com/general96/nobodydied.html non l’ho letto e non ne ho nessuna
opininione. So, comunque, che quello stato di polizia che sta certamente diventando
l’America ha un prepotente interesse per il disarmo della popolazione. Oggi ho
sentito una notizia su gente che dice di essere i genitori dei bambini morti,
sta facendo causa contro i produttori di armi, cosa che è in linea con le
affermazioni di Fetzer.
Ecco un’ intervista di Buzzsaw con Jim Fetzer:
https://www.youtube.com/watch?v=f-W3rIEe-ag. Se le informazioni fornite da
Fetzer sono corrette, risulta chiaramente che il governo degli Stati Uniti sta
mettendo in atto un’agenda di lavori autoritaria e che sta usando eventi
orchestrati (ad arte) per mostrare una falsa realtà agli americani per
raggiungere gli obiettivi della sua agenda.
Mi sembra che i fatti di Fetzer possano essere facilmente
controllati, così se i fatti verranno confermati, sarà necessaria una vera
indagine, se invece non verranno confermati, l’intera storia ufficiale ci
guadagnerà in credibilità perché Fetzer è uno tra i più attivi tra gli
scettici.
Fetzer non può essere liquidato come un semplice folle, è
uno che si è laureato con lode all’Università di Princeton, che ha un dottorato
di ricerca dell’ Indiana University e che è stato Distinguished Professor alla
McKnight University del Minnesota fino al suo pensionamento nel 2006. Ha avuto
una borsa di studio della National Science Foundation ed ha pubblicato più di
100 articoli e 20 libri di filosofia della scienza e di filosofia della scienza
cognitiva. E’ esperto di intelligenza artificiale e di computer science, ed ha
fondato la rivista internazionale Minds and Machines. Alla fine degli anni ’90
gli è stato chiesto di organizzare un simposio sulla filosofia della mente.
Per una persona di media intelligenza, sia la storia
ufficiale dell’assassinio del Presidente Kennedy che quella del 9/11
semplicemente non sono credibili, perché le storie ufficiali non sono coerenti
con le prove e con quello che sappiamo. La frustrazione di Fetzer appare sempre
più evidente con le persone meno capaci e meno attente, e questo funziona a suo
svantaggio.
Mi sembra che, se le autorità che stanno dietro la storia
ufficiale di Sandy Hook si sentissero sicure della loro storia ufficiale,
dovrebbero cogliere al volo questa opportunità di affrontare e di confutare i
fatti di Fetzer. Inoltre, da qualche parte ci devono essere le fotografie dei
bambini morti, ma, come per le tante presunte registrazioni fatte dalle
telecamere di sicurezza che mostrano un aereo di linea che colpisce il
Pentagono, ma nessuno le ha mai viste. Almeno non che io sappia.
Quello che mi disturba è che nessuno né tra le autorità né
tra i media mainstream mostra un minimo interesse a controllare i fatti.
Invece, quelli che hanno tirato fuori delle questioni scomode vengono additati
come teorici della cospirazione.
Però queste cose lasciano maledettamente perplessi. La
storia che racconta il governo sul 9/11 è la storia di una cospirazione come lo
è anche la storia raccontata dal governo sulle bombe della Maratona di Boston.
Queste cose sono accadute per effetto di cospirazioni. Quello che è in
questione è: complotto di chi? Sappiamo dall’ Operazione Gladio e
dall’Operazione Northwoods che i governi si invischiano in cospirazioni
criminali contro i propri cittadini. Pertanto, il vero errore è concludere che
i governi non si impegnino nelle cospirazioni.
Spesso si sente qualcuno che obietta che se l’ 11 settembre
fosse stato un attacco false flag, qualcuno avrebbe parlato. Perché avrebbero
dovuto parlare? Dovrebbe sapere qualcosa solo chi ha organizzato la
cospirazione e allora perché dovrebbe far venire altri dubbi su quella che è
stata una sua congiura?
Ricordiamoci di William Binney. Quello che sviluppò il
sistema di sorveglianza utilizzato dalla NSA. Quando si rese conto che il suo
sistema veniva usato contro il popolo americano, si mise a parlare. Ma non si
ere preso nessun documento con cui poter provare le sue affermazioni, cosa che
lo salvò dall’essere condannato ma che non gli permise di produrre nessuna
prova su quanto diceva. Questo è il motivo per cui Edward Snowden si è preso
tutti documenti e li ha resi pubblici. Tuttavia, molti vedono Snowden come una
spia, come uno che ha rubato dei segreti sulla sicurezza nazionale, non lo
vedono come uno che ha saputo e che ci avverte che la Costituzione – quella
cosa che ci protegge – è stata ribaltata.
Funzionari governativi di alto livello hanno smentito varie
parti della storia ufficiale sia del 9/11 e sia della versione ufficiale che
lega l’invasione dell’Iraq al 9/11 e alle armi di distruzione di massa. Il
Segretario ai Trasporti Norman Mineta smentì il vicepresidente Cheney e la
tempistica della storia ufficiale dell’11 settembre. Il Segretario del Tesoro
Paul O’Neill affermò che il rovesciamento di Saddam Hussein fu oggetto della
prima riunione di gabinetto dell’amministrazione George W. Bush, molto prima
dell’11 settembre. Lo scrisse in un libro e lo disse alla CBS News ’60 Minutes.
Anche la CNN e altre stazioni di stampa ne parlarono, ma questo non ebbe nessun
effetto.
Gli informatori pagano un caro prezzo e molti finiscono in
carcere. Obama ne ha perseguito e incarcerato un numero record. Una volta che
li hanno buttati in galera, la domanda diventa: “Chi avrebbe creduto a un
criminale?”
Per quanto riguarda il 9/11 hanno parlato persone di ogni
tipo. Oltre 100 poliziotti, vigili del fuoco e i primi soccorritori hanno
riferito di aver sentito a aver percepito un gran numero di esplosioni nelle
Twin Towers. Il personale di manutenzione ha raccontato di enormi esplosioni
avvenute negli scantinati prima che gli edifici fossero colpiti da un aereo.
Niente di tutte queste testimonianze ha avuto qualche effetto né con le
autorità che erano dietro la storia ufficiale, né con le presstitutes.
Ci sono 2.300 architetti e ingegneri che hanno scritto al
Congresso chiedendo di aprire una vera indagine, ma invece di accogliere la
richiesta con il rispetto che meritano 2.300 professionisti, li hanno liquidati
come “teorici della cospirazione”.
Una tavola internazionale di scienziati ha segnalato la
presenza di nanotermite reacted e un-reacted nelle polveri del World Trade
Center. Hanno offerto dei campioni alle agenzie governative e agli scienziati
per darne conferma. Nessuno potrà toccarli. Il motivo è chiaro. Oggi i
finanziamenti per la scienza sono fortemente dipendenti dal governo federale e
dalle aziende private che hanno contratti federali. Gli scienziati sanno bene
che tirare fuori qualcosa sul 9/11 significa la fine della carriera.
Il governo americano ci ha reso proprio come voleva –
impotenti e disinformati. La maggior parte degli americani sono troppo
ignoranti per essere in grado di comprendere la differenza tra un edificio che
crolla per danni strutturali (per asimmetria) e edifici che invece saltano in
aria. I giornalisti mainstream non possono fare domante o fare indagini e
contemporaneamente mantenersi il posto di lavoro. Gli scienziati non possono
parlare se vogliono continuare ad essere finanziati.
Dire la verità è un compito che ormai si permettono solo i
media Internet alternativi, tra i quali io scommetto che il governo sta
gestendo dei siti che gridano selvaggiamente alle cospirazioni, con il vero
scopo di screditare tutti gli (altri siti, quelli) scettici.
Paul Craig Roberts
Fonte: http://www.zerohedge.com/
Link: http://www.zerohedge.com/news/2016-02-25/do-americans-live-false-reality-created-orchestrated-events
25.02.2016
Il testo di
questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la
fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario
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