L’attualità di Marshall McLuhan.
Sono certo
che lo abbiate sentito nominare, qualcuno lo ha persino citato, come Maurizio
Costanzo, per esempio, che nelle video conferenze dove teneva i suoi famosi
corsi sulla comunicazione soleva dire: “Come ampiamente scritto dal Mc Luhan,
la televisione è figlia della radio...” prendendo una topica imbarazzante per
un “docente” di queste materie.
O come
Umberto Eco il cui amore per la battuta, davanti all’apodittico: “Il mezzo è il
messaggio” dichiarò: “Ve bene, allora vorrà dire che quando riceverò un
telegramma leggerò il postino...”. Frase scherzosa, che però lo ha fatto cadere
in un sepolcrale silenzio per quarant’anni, in cui non ha mai ripreso
l’argomento.
Il
problema secondo me è proprio il professor McLuhan, da sempre contestato,
sempre citato ma poco letto nella sua interezza. Innnanzi tutto perchè questo
canadese (nato nel 1911 a
Edmonton) era “solamente” un professore di letteratura inglese con una cattedra
presso l’Università del Wisconsin (anno accademico 1936-37) poi nell’Università
di St.Louis (dal 1937 al 1944) Nel 1939 preparò la sua tesi di dottorato a
Cambridge, dal 1944 al 1946 insegnò presso l'Assumption College a Windsor, nel
Canada. Dal 1946 al 1979 insegnò al St. Michael's College, University of
Toronto, poi insegnò per un anno alla Fordham University, (quando avvenne il
famoso esperimento di Fordham sugli effetti della televisione) ed i continui
riferimenti e le citazioni dal suo bagaglio culturale, rendono alquanto
difficile la lettura.
In secondo luogo proprio per la sua forma d’esposizione, dove con estrema
sintesi spiegava le sue teorie con frasi provocatorie ed estremamente
apodittiche. Di carattere difficile si trovò spesso in difficoltà e non esitò
ad allontanarsi dal mondo accademico per aprire una società di consulenza sulla
comunicazione, studiò e propose le confezioni dei surgelati, il cartoccio del
latte che sostituiva la bottiglia ed altre amenità. Fece anche da comparsa in
un film di Woody Allen dove si lasciò benevolmente prendere in giro.
Morì nel 1980.
Tutto iniziò con la sua tesi di dottorato pubblicata nel 1943 a Cambridge: un saggio
di formidabile erudizione, dove analizzava la storia sistematica delle arti
verbali (grammatica, logica e dialettica, retorica) da Cicerone fino a Thomas
Nashe.
Parte di questo materiale venne poi raccolto e pubblicato nel suo primo
lavoro: “La sposa meccanica” che attrasse l’attenzione di Marcuse e
dell’ambiente accademico della Columbia University per poi rimbalzare in Europa
grazie alla rivista “Les Temps Modernes” di Jean-Paul Sartre e degli
esistenzialisti che proprio allora aprivano il fronte dello “Strutturalismo”.
Seguì nel 1962 “Galassia Gutemberg” il libro che gli diede la fama mondiale
sia perché rivedeva in modo rivoluzionario le teorie sul progresso e
l’influenza della stampa sull’emancipazione della civiltà moderna, sia per il
metodo seguito per esporre le sue idee. Infatti per la prima volta nella storia
della scrittura, un libro era scritto non usando il consueto metodo logico-sequenziale,
ma con un sistema caotico-puntuativo riusciva a legare insieme brani di
letteratura inglese che secondo lui avrebbero provato l’esattezza delle sue
intuizioni. Torneremo su questo lavoro, basti solo accennare al fatto che in
fondo al libro, i titoli dei vari capitoli letti tutti insieme costituiscono un
capitolo a parte!
Con “Understanding Media” pubblicato in Italia dal Saggiatore nel 1964 col
titolo: “Gli strumenti del comunicare” Mc Luhan completa la rivoluzione del
concepire i media (usa per la prima
volta questa definizione) e l’interagire dei mezzi di comunicazione di massa
con il progresso umano.
Abbiamo qui citato tre dei suoi lavori: La sposa meccanica, Galassia
Gutemberg e Understanding Media, che nell’edizione italiana costituiscono un
malloppo di circa 800 pagine con citazioni, elucubrazioni, provocazioni, e
tutto quello che il luogo comune ha percepito sono tre apodittici:
L’automobile è un carapace dentro il quale l’uomo
moderno scarica la propria aggressività generata dalle sue frustrazioni
Il Mezzo è il messaggio
Il Villaggio Globale
Dimenticando citazioni profetiche come questa, scritta attorno agli anni
‘40:
“”
La società tattile trasformerà le nostre città
imponendo la sua velocità, che è quella dell'elettrone. Abolirà le distanze ma
soprattutto smaterializzerà i medium di comunicazione. Il denaro da moneta si
trasformerà in credito, la parola scritta muterà in immagine e per poter essere
processata, in pixel e, poi, in bit di informazione. Alla struttura lineare dei
testi subentrerà la fluidità degli ipertesti. E le murature, sinora solide e
perenni, diventeranno sottili membrane che, simili alla pelle, interreleranno
l'uomo con l'ambiente circostante. Basterà un comando vocale o il semplice
movimento del corpo per aprire porte, muovere oggetti, accendere
elettrodomestici. All'esterno il vento o la luce per comandare l'oscuramento di
un infisso o avviare l'impianto bioclimatico. Se l'architettura tradizionale ha
dato forma ai muscoli e alle ossa alla costruzione, la contemporanea attiverà
nuovi sistemi nervosi....
“”
IL MEZZO E’ IL MESSAGGIO
La
Ferrovia non ha
introdotto nella società né il movimento, né il trasporto, né la ruota o la
strada. Ha solamente accelerato e allargato le forme del trasporto umano già
esistenti, creando città con forme e funzioni totalmente nuove, con nuove forme
di lavoro e di svago. La guerra di secessione americana è l’esempio tangibile
di come la ferrovia abbia modificato persino il conflitto, spostando uomini e
cannoni con nuove strategie militari.
Se il lavoro era in campagna e lo svago in città, la ferrovia (e in seguito
l’automobile) capovolgono le funzioni creando in città nuovi quartieri
periferici per gli operai, e alla periferia nuovi conglomerati urbani per la
classe media. In pratica se prima si lavorava in campagna e si raggiungeva la
città per lo svago, ora le funzioni si sono capovolte.
Queste modifiche della società e delle sue funzioni sono avvenute
indipendentemente dal fatto che la ferrovia attraversasse il West americano o
si arrampicasse sulla Napoli-Portici. Indipendente anche dal carico
trasportato, cioè dal contenuto. Perché il treno, cioè il mezzo, è il messaggio
che modifica il nostro esistere.
Allo stesso modo, secondo il McLuhan, non conta molto il contenuto della televisione
ma è il possesso del mezzo che aggiunge ricchezza e potere (in Italia si
potrebbe imparare molto dalla querelle Televisioni di Stato-Berlusconi)
indipendentemente da ciò che trasmette.
L’aeroplano, dal canto suo, accelerando la velocità dei trasporti, tende a
dissolvere la città, le organizzazioni politiche ed associative proposte dalla
ferrovia, indipendentemente dall’uso che se ne fa e dalle persone o cose che
trasporta.
Vediamo di fare un esempio più semplice. Prendiamo la luce elettrica. Essa
non appare a prima vista un mezzo di comunicazione perché non ha contenuto, e
questa è una prova di come la società trascuri la definizione dei media. Poiché
il contenuto di un medium è un altro medium, va da sé che non conta il
messaggio contenuto nel mezzo, che sia una scritta luminosa o un faretto su di
un quadro d’autore, conta il fatto che l’illuminazione di un grattacielo, di
uno stadio per una partita in notturna, o un ospedale per un’operazione a cuore
aperto, indipendentemente dal contenuto, ha modificato la nostra società.
IL VILLAGGIO GLOBALE
Ogni nuovo
medium, che secondo il McLuhan altri
non è che una protesi, cioè l’estensione tecnologica dei nostri sensi, non solo
è in grado di modificare le nostre percezioni personali e le nostre convinzioni
individuali, ma è in grado persino di modificare l’ambiente in cui viviamo e la
società che ci circonda.
Facciamo
un esempio: ammettiamo come presupposto che uno dei primi ominidi sia sceso
dall’albero ed abbia scoperto di poter raccogliere frutti maturi caduti per
terra.
All’arrivo
di un ominide più grosso di lui che vuole cacciarlo, dopo un accenno di
conflitto, il Nostro decide di andarsene più in là per evitare dolorose
conseguenze. Lo stesso avviene per l’accoppiamento, dove il più forte in natura
lo dimostra non solo nel proclamarsi l’unico maschio in grado di riprodursi, ma
proprio nella sua capacità di tenere lontano i rivali.
Ammettiamo
ora che il piccolo ominide in questione abbia
scoperto per caso che alcuni frutti quali noci e mandorle, si possono aprire
usando un sasso od un bastone. Questa nuova sua invenzione tecnologica altri
non è – secondo ilo McLuhan – che la protesi, cioè il prolungamento del suo
pugno. Ne consegue che tutte le invenzioni tecnologiche altro non siano che
estensioni delle nostre facoltà, la ruota sarebbe l’estensione del piede, il
canocchiale dell’occhio, la radio dell’orecchio e così via. Ma torniamo al
nostro ominide.
Quando
arriva l’ominide più grosso e di conseguenza più prepotente, il nostro eroe
cambierà lo stato delle cose perchè grazie all’aiuto della sua nuova tecnologia
sarà in grado non solo di avere la meglio in un eventuale conflitto, ma
addirittura andrà ad insidiare le femmine del rivale cambiando di fatto la
gerarchia basata sulla forza, indipendentemente
dall’uso che adesso fa del sasso o del bastone.
Accettando
una laurea honoris causa presso l’Università di Notre Dame, il generale David
Sarnoff fece questa dichiarazione:
“Siamo
troppo propensi a fare degli strumenti tecnologici i capri espiatori dei
peccati di coloro che li maneggiano. In sè stessi i prodotti della scienza non
sono nè buoni nè cattivi: è il modo in cui vengono usati che ne determina il
valore”
Malgrado
la frase precedente sia ampiamente condivisa, dobbiamo dire che nulla ma proprio
nulla nel discorso di Sarnoff regge ad un esame un poco più attento, in quanto
essa non tiene in nessun conto la natura dei medium (di qualunque medium,
beninteso)
e sembra
esprimere il narcisismo di chi è ipnotizzato dal suo proprio essere (Ho citato
le precise parole di McLuhan).
Infatti
accettando il presupposto di Sarnoff si potrebbe dire che le armi non sono nè
buone nè cattive, ma dipende dall’uso che se ne fa. Che se per esempio sono
usate dalla polizia per uccidere un criminale sono buone, in altri casi un po’
meno. Allo stesso modo si potrebbe dire che persino le torte alle mele sono
buone o cattive, dipende dall’uso che se ne fa. Se per esempio si mangiano sono
buone, se si tirano in faccia a Ridolini sono cattive.
La realtà
invece è ben diversa: ogni nuovo apporto tecnologico non fa altro che
aggiungersi a quello che già siamo e ogni nuova arma non sarà altro che la
protesi delle nostre unghie e dei nostri denti utilizzati per la lotta, cosa
ben diversa da un lettore di CD per esempio, che è l’estensione del nostro
orecchio per rilassarci ascoltando musica.
Nei
periodi storici precedenti questo, ogni protesi aveva esteso il nostro corpo in
senso spaziale. Dopo un’esplosione durata tremila anni in cui alle varie
estensioni frammentarie e puramente meccaniche, facevano seguito ampie
modifiche del modo di vivere e di interreagire, da una cinquantina d’anni ci
ritroviamo un mondo entrato in una fase implosiva facile da spiegare. Se ad
ogni protesi e susseguente modifica dell’ essere inserito nella società nostra
contemporanea, era facile reagire perchè i tempi erano meccanici, oggi dopo
oltre un secolo di impiego tecnologico dell’elettricità abbiamo esteso il
nostro sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che abolisce sul nostro
pianeta tanto il tempo quanto lo spazio. E’ successo che dopo secoli in cui con
la tecnologia abbiamo operato ogni genere di estensione, ora con
l’appplicazione del computer ci ritroviamo con l’estensione della nostra mente,
estensione che non può più essere considerata protesi, bensì campo, ed ognuno dei nostri computer è
diventato un punto neuronale collegato agli altri computer del mondo che tutti
insieme costituiscono una rete di neuroni con un campo di dimensioni
planetarie. Il processo creativo della conoscenza è collettivamente esteso
all’intera società umana proprio come, tramite i vari media, abbiamo esteso i nostri sensi ed i nostri nervi. E se nella
recente era meccanica ogni variazione poteva essere accolta senza eccessive
preoccupazioni, oggi l’azione e la reazione sono contemporanee. Ci ritroviamo a
vivere miticamente ed integralmente anche se continuiamo a pensare secondo
antichi schemi frammentari costituiti da spazio e tempo dell’era pre-elettrica.
Se l’uomo occidentale aveva appreso dalla tecnologia dell’alfabetismo ad agire
senza reagire (un chirurgo che operasse a cuore aperto la propria madre,
sarebbe in grado di farlo senza lasciarsi coinvolgere emotivamente) ora con il
nostro sistema nervoso centrale tecnologicamente esteso fino a coinvolgere
l’intero pianeta, siamo inevitabilmente coinvolti ad incorporare la conoscenza
di tutta l’umanità con profonde conseguenze per ogni nostra azione che ne
consegue.
Ci
troviamo nell’età dell’angoscia dove non è più possibile il distacco e la non
partecipazione. Dopo tremila anni di espansione delle innumerevoli funzioni
tecnologiche del corpo umano e delle sue funzioni, ci ritroviamo dinanzi ad una
implosione. L’elettricità ed il computer hanno contratto il nostro pianeta
riunendo in modo repentino e contemporaneo tutte le funzioni sociali e
politiche, intensificando la nostra consapevolezza. Ogni singolo anche se
nobilissimo punto di vista, ha perso nell’era elettrica ogni funzione
lasciandoci l’ansia e la ribellione contro gli schemi imposti e soluzioni
obsolete. A differenza di ciò che accadeva quando gli avvenimenti erano posti
in sequenza o in concatenazione, oggi nell’era elettrica la velocità istantanea
ci fa percepire le cose in una nuova dimensione. Invece di seguitare con
l’antico ed irrisolto dilemma se fosse nato prima l’uovo o la gallina, è
apparso evidente che la domanda era mal posta ed era arrivato il momento di
analizzare come la gallina non sia altro che il sistema escogitato dall’uovo
per produrre altre uova. (Badate bene, non è la gallina ad aver escogitato il
sistema per produrre altre galline, infatti la gallina è l’hard-ware posta nel
territorio per raccogliere informazioni atte alla sua sopravvivenza, mentre
l’uovo è il soft-ware che contiene il programma).
MEDIA FREDDI E MEDIA CALDI
Uno degli
argomenti più controversi di tutto il pensiero del McLuhan è la classificazione
dei media come caldi o freddi a seconda della partecipazione o del
coinvolgimento del fruitore. E’ persino successo che eminenti professori
abbiano scritto di aver notato che persino l’autore nel definire i mezzi caldi
o freddi sia caduto in contraddizione.
Nulla di
tutto questo.
In realtà
l’analisi dei mezzi di comunicazione di massa può essere effettuata osservando
i fenomeni tutti nel loro insieme. E’ come una colata lavica che si muove e
cambia continuamente il proprio stato fisico, così alcuni media sono caldi se
paragonati con certi fenomeni e freddi con altri. Possono iniziare come freddi
per divenire caldi e viceversa o addirittura possono saturarsi fino a
capovolgere la propria funzione.
Faccio un
esempio: poco prima che un aeroplano superi la barriera del suono, sulle sue
ali si rendono visibili le onde sonore. L’improvvisa visibilità del suono nel
momento di massima saturazione del fenomeno è, con buona approssimazione, un
esempio lampante del mutamento che avviene con i media durante l’arco della
propria affermazione e successiva saturazione. Un altro esempio è il cinema.
Dopo la stampa tipografica e la susseguente catena di montaggio esso
rappresenta il punto più intenso e frammentato della meccanizzazione, tanto da
indurci a passare con la semplice accellerazione meccanica, dal mondo della
sequenza e della connessione a quello della configurazione e della iconografia.
Come linea
di principio possiamo definire caldo un medium che estende un unico senso fino
ad uno stadio in cui si è abbondantemente colmi di dati, e freddo un medium a
bassa definizione, che cioè contiene una limitata quantità di informazioni e
che necessita dell’apporto del fruitore per completare la sua funzione. Sono
caldi la radio e il cinema e freddi il telefono o la televisione.
Anche qui
però occorre dintinguere per esempio tra cinema o televisione a colori o in
bianco e nero per definirne la quantità di “calore” contenuto. In linea di
principio potremmo affermare che la forma calda esclude mentre la forma fredda
include.
In generale comunque diciamo che i media caldi non lasciano molto spazio che il
fruitore debba completare mentre viceversa i freddi richiedono un notevole
sforzo di partecipazione. Salta all’occhio che il telefono sia un medium freddo
perchè senza l’apporto della voce umana, non assolverebbe appieno la sua
funzione. Altrettanto ovvio è la natura calda della televisione che isolando un
solo senso favorisce quello stato pre-ipnotico tanto caro ai pubblicitari che
si inseriscono con i loro messaggi per spingerci ai consumi.
Applicando
alla società gli stessi principi che abbiamo usato per i media, potremmo dire
che le nazioni arretrate sono fredde e quelle tecnologicamente più avanzate,
calde. Nella nostra stessa società avanzata potremmo definire la persona che
vive in città, calda e il contadino, freddo. Potremmo definire calda l’epoca
meccanica e fredda l’era televisiva.
Il Valzer caldo e il Twist freddo, Nel periodo di massima intensità di media
caldi come la radio e il cinema, il Jazz era hot per divenire Cool jazz con il
raffreddarsi dell’impatto di questi media che si stavano lentamente
raffreddando.
A Mosca
negli anni sessanta si verificarono le prime contaminazioni musicali con
l’occidente. Ebbene, il Charleston era tollerato mentre una danza involuta come
il Twist era stata proibita.
Lewis
Mumford nel suo “Le città nella storia” definisce fredde le città strutturate
casualmente e calde quelle intensamente riempite come Atene, per esempio, dove
riuscivano a sopravvivere in una nuova e più importante dimensione, le attività
democratiche e sociali del villaggio.
FENOMENI DI SURRISCALDAMENTO DEI MEDIA
Nell’estate
del 1962, dopo la crisi dei missili a Cuba, Stati Uniti ed Unione Sovietica
decisero di instaurare una linea di emergenza per scongiurare il pericolo di
una guerra accidentale. L’idea era semplice: al di là di ogni contrasto
ideologico, i due presidenti in carica avrebbero comunicato direttamente tra di
loro prima di prendere qualsiasi decisione sul lancio dei missili atomici.
L’idea era intelligente ma le trattative durarono quasi un anno perchè gli
americani volevano installare una linea diretta con telescrivente, mentre i
russi volevano un telefono. Andò a finire che per superare la crisi decisero di
adottare tutte e due le tecnologie ma la distanza tra i due mondi rimase, e
rimasero anche le incomprensioni che ancora oggi dividono società auditive da
quelle prettamente visive.
Sono
visive quelle società che dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili si
sono evolute frammentando le funzioni proprio come sono frammentati i caratteri
tipografici che in sè non rappresentano che un suono ma che nell’insieme
logico-sequenziale danno vita ad uno scritto, e a un prodotto (il libro)
uniforme nella fattura e nel prezzo. Dalla stampa tipografica fu relativamente
semplice passare alla catena di montaggio e alla moderna società che ha
privilegiato l’occhio e le funzioni del leggere.
Rimangono
auditive quelle società che invece hanno privilegiato l’orecchio, il tribale, i
suoni che vanno e vengono in ogni direzione.
L’occhio
accoglie, mentre l’orecchio è esclusivo, discriminante, subdolo.
Semplice
quindi comprendere come gli americani si scandalizzassero dei microfoni posti
dagli agenti sovietici per spiare nelle ambasciate nemiche (l’orecchio), mentre
li lasciava indifferenti lo scandalo suscitato dai loro aerei spia che
fotografa(va)no il territorio nemico (l’occhio). Ma stavamo parlando di
saturazione.
E’
piuttosto antico il principio secondo il quale ogni nuova invenzione nella
prima fase del suo sviluppo appare in forma ed in funzione diversa se non
addirittura opposta a quella che finirà per assumere definitivamente.
Accellerando la velocità dalla forma meccanica a quella istantanea,
l’elettricità capovolge ogni espansione in implosione.
E’
significativo che la società moderna, le istituzioni, gli ordinamenti sociali
politici ed economici si muovano fondamentalmente nell’unica direzione dello
“sviluppo” cioè dell’espansione, mentre appare evidente che ci troviamo dinanzi
ad un’accellerazione talmente insostenibile da esigere decisioni atte a
regolamentare l’implosione.
Ragioniamo
ancora in termini di “espansione” economica, demografica, culturale mentre il
problema non è la sovrappopolazione, ma il modo di convivenza;
nell’organizzazione scolastica a causare problemi non è tanto il numero
crescente di giovani che vogliono imparare, ma il fatto che le singole materie
siano ormai tutte correlate tra di loro, che il corpo insegnante apprende tutto
il suo sapere nei soli primi
anni di
vita e poi vive di rendita culturale, che l’elettricità ha dissolto le autorità
settoriali allo stesso modo con cui ha fatto sparire le sovranità nazionali.
Gli antichi schemi di espansione meccanica dal centro alla periferia non hanno
più ragione d’esistere, perchè ognuno di noi ormai è un centro indipendente
collegato ad altri centri.
Nasce così
l’apparente paradosso dell’uomo preistorico che andava a lavorare al sorgere
del sole e tornava al tramonto. Sono passati millenni di invenzioni
tecnologiche atte a risparmiare tempo, e ci ritroviamo con la nostra società
dove le persone continuano ad andare a lavorare dall’alba al tramonto. E dove
sarebbe quindi il progresso? Sta proprio nel fatto che tutti i congegni
fornitici dalla tecnologia per “risparmiare tempo” in realtà servono solo per
“risparmiare fatica” perchè il tempo viene da noi usato per altre attività. I
compiti che nell’Ottocento si relegavano ai servi, oggi ce li sbrighiamo da
soli – non certo risparmiando tempo – con gli elettrodomestici.
La
divisibilità di ogni processo, che ha dato origine alla macchina e alla catena
di montaggio, si è talmente suturato dal capovolgersi nell’era elettrica
dell’automazione estendendosi alla teoria del campo unificato con l’organico
intrecciarsi di tutte le funzioni nel medesimo tempo.
La stessa
strada, che nell’Impero Romano consentì l’accellerazione dei messaggi e delle
merci, nelle nostre città ha raggiunto un livello tale di saturazione da aver capovolto
alcune sue funzioni, con autostrade che hanno assunto un carattere urbano
continuo, e città che per superare la crisi del traffico hanno adottato
tangenziali e raccordi che per consentire una relativa velocità si sono
strutturati come autostrade e come conseguenza diretta, la campagna non è più
il centro del lavoro e la città ha perso le caratteristiche di centro di svago.
Nel mondo antico la saturazione mediatica dovuta all’avvento delle strade e del
denaro, aveva capovolto la condizione tribale dell’uomo. Infatti il paradosso
sta nel fatto che una società tribale e nomade, con il suo muoversi per
procacciarsi il cibo, è una società statica, mentre la cultura dell’uomo
divenuto sedentario, ha reso la sua società mobile, dinamica, aggressiva.
Un altro
punto della saturazione si verifica quando tra le componenti che più
frequentemente conducono allo stallo e al capovolgimento del sistema, si
verificano reciproche contaminazioni o fertilizzazioni dei media. Oggi per
esempio con la memoria dei nostri computers, la parola stampata ha assunto il
carattere artigianale da sempre appartenente al manoscritto. La stampa coi
caratteri mobili era stata il più imponente limite di rottura nei confronti
dell’alfabetismo fonetico, mentre l’alfabeto a suo tempo aveva rappresentato il
limite di saturazione e rottura tra l’uomo tribale e l’individuo.
Aldo Vincent
NARCOSI ED ENERGIA IBRIDA
Nell’interpretare
il mito di Narciso, molti si soffermano sul fatto che egli si sia innamorato di
sè stesso ma non è esattamente così. Che si sia innamorato di sè stesso lo
sappiamo noi, che vediamo la vicenda dall’esterno. In realtà il giovane Narciso
scambiò l’immagine di sè riflessa nell’acqua per un altra persona, vivente in
un’altra dimensione e questa estensione speculare isolò il senso della vista
fino a farlo cadere in uno strano torpore al quale tentò di rimediare la ninfa
Eco rimandandogli pezzi dei suoi stessi discorsi (l’orecchio) ma inutilmente.
Il torpore in cui era caduto Narciso ( il suo nome deriva dal greco narcosi) lo
spinse a cercare di raggiungere l’immagine amata fino a morire annegato. Se
fosse stato consapevole di essersi innamorato di sè stesso, avrebbe agito in
altro modo.
L’interpretazione
di questo mito è che gli esseri umani sono soggetti all’immediato fascino di
ogni estensione di sè fino ad intorpidirsi. Usando una ricerca di due studiosi
di medicina quali Hans Seyle e Adolphe Jonas i quali asserivano che ogni
estensione di sè è un tentativo per preservare l’equilibrio psichico della
persona e che ognuno di noi ricorra alla strategia “autoamputativa” quando la
percezione non riesce ad evitare la causa dell’irritazione (disagio), il Mc
Luhan ci mette del suo teorizzando l’individuo obbligato ad estendere varie
parti del proprio corpo mediante varie forme di autoamputazione per
riequilibrare il processo revulsivo.
Nella
tensione psico-fisica dovuta al sovrastimolo di qualunque tipo sopra uno dei
nostri sensi, il sistema nervoso centrale tende ad isolare o ad amputare
l’organo col fine di preservare lo stress. Nel caso della ruota quale
estensione del piede, per fare un esempio,
l’accellerazione
degli scambi dovuta alla nuova circolazione del denaro e della scrittura fu
causa dello stress e della successiva
amputazione di questa funzione dai nostri corpi. La ruota come revulsivo
dell’aumento dei pesi da trasportare, causò a sua volta una nuova e più
efficace intensità dell’azione sostituendo con una protesi il piede in
rotazione. Il sistema nervoso centrale riesce a sopportare questo nuovo stress
solo intorpidendo la sensibilità se non addirittura bloccando la percezione.
Questo è il senso del mito di Narciso, vittima di una pressione irritante di
uno dei suoi sensi, che entra nel torpore che non gli fa distinguere la realtà.
Fisiologicamente
tutto riporta al sistema nervoso centrale e alle sue funzioni equilibratrici di
controllo, isolamento e asportazione di ogni materia revulsiva. Occorre però
distinguere tra le varie estensioni dei nostri organi che potremmo definire protesi, e l’estensione della nostra mente
dovuta al computer e all’elettricità che non può essere considerata protesi ma campo che col sistema nervoso centrale
organizza e regola tutte le altre funzioni, usando per esempio il piacere (lo sport, la discoteca,
l’alcool) come revulsivo o il comfort quale
soppressore delle cause di stress.
Dopo
tremila anni di estensioni fisiche dei nostri organi, con l’avvento della
tecnologia elettrica, l’uomo ha esteso il suo sistema nervoso centrale, creando
cioè al di fuori di sè stesso quella rete neuronale che apparentemente è
un’autoamputazione disperata e suicida, ma che in realtà rappresenta l’extrema ratio dell’essere per arginare
con cuscinetti protettivi nuovi stimoli e meccanismi violentemente avversi.
Narciso è intorpidito dalla sua immagine autoamputata e la sua incapacità di
reagire ad un trauma (psichico o fisico non fa alcuna differenza) lo conduce
all’autodistruzione. Nell’esperienza pratica, invece, l’autoamputazione
mediante la tecnologia, induce il sistema a cercare nuovi equilibri tra gli altri
sensi. Se si intensifica per esempio il suono, tutti gli altri sensi come la
vista, il gusto e il tatto ne rimangono influenzati. L’avvento della radio
sull’uomo alfabeta o visivo ridestò i suoi echi tribali, l’effetto del cinema
sonoro fu di cancellare l’importanza del mimo, della tattilità, dell’esperienza
corporea-cinestesica.
Non è
possibile opporsi per esempio ai nuovi rapporti tra i sensi dovuto alla nuova
tecnologia, ma le reazioni variano con il variare dell’esperienza. Nell’esempio
della radio, diverso fu l’effetto tribale suscitato dai discorsi di Mussolini e
Hitler, dalla reazione dell’Inghilterra o dell’America dello stesso periodo,
che grazie al loro alto livello di alfabetizzazione, avevano accolto la novità
della radio come un ludico fruire di divertimento, musica, informazione locale.
I loro idoli sono d’oro e d’argento, opera di mani umane
Hanno bocche ma non parlano, orecchie ma non ascoltano,
Hanno occhi ma non vedono, hanno nasi ma non odorano
Hanno mani ma non toccano, hanno piedi ma non camminano,
E neppure parlano con la loro voce.
Coloro che li fabbricano saranno simili a loro,
Così come coloro che in essi confidano.
(Salmo
115)
La
contemplazione di idoli, cioè l’uso della tecnologia, conforma gli uomini ad
essi.
“Ed essi
diventarono quello che avevano contemplato” scrive il poeta Blake nel suo poema
Jerusalem dove prosegue: “Se cambiano
gli organi di percezione, sembrano variare anche gli oggetti della percezione.
Se gli organi della percezione si chiudono, anche gli oggetti si chiudono” vuol
significare che per ricevere, percepire o utilizzare qualsiasi estensione di
noi stessi nella forma tecnologica che abbiamo applicato, è necessario fruirne.
Ascoltare la radio, leggere il giornale, guardare la televisione significa
accogliere nel nostro sistema nervoso la percezione delle nostre stesse
estensioni provocando quello “spostamento”, quella “chiusura” che
automaticamente ne consegue. Il flusso continuo della ricezione di tutte le
nostre tecnologie nell’uso quotidiano ci fa adagiare anche inconsciamente nella
posizione subliminale di coloro che sebbene narcotizzati, trovano meccanismi
automatici di difesa per sopravvivere, uno dei quali è quello di porsi come
servomeccanismi di dette tecnologie. In pratica, per poterne usufruire, occorre
mettersi al servizio delle macchine.
Il
pellerossa era il servomeccanismo della sua canoa così come il ferroviere lo è
del treno. Si instaura un rapporto per il quale l’uomo è perpetuamente
modificato dalla macchina che a sua volta trova sempre nuovi metodi per
modificarla. Si potrebbe dire che l’uomo diventa l’organo sessuale della
macchina, così come lo è l’ape per il mondo vegetale, che permette il processo
fecondativo e l’evoluzione in nuove forme.
(Una delle
scoperte più clamorose della ricerca motivazionale degli anni sessanta fu il
rivelare il rapporto sessuale esistente tra l’uomo moderno e la sua automobile.)
Se sul
piano sociale è la pressione e l’accumulazione a suscitare come revulsivi
l’invenzione e l’innovazione delle macchine, l’incrocio o l’ibridazione di due
o più media libera un gran numero di forze nuove e di nuove energie, un po’
come accade nella fissione atomica. Essere o no ciechi mediatici conta poco in
questo campo, quando ci venga imposto qualcosa da osservare perchè l’azione dei
media o estensioni dei sensi, ha la funzione di “far accadere” gli avvenimenti
e non certo quella di “darne coscienza”.
Così come
il telegrafo aveva modificato le notizie dei giornali, la radio ne modificò
pure la forma e il contenuto. La stessa radio di cui abbiamo già parlato,
elemento scatenante di riminiscenze tribali nell’Europa continentale, ibridata
con il grammofono divenne per l’Inghilterra e l’America quella che è ancora
oggi: un mix di musica e notizie. Sempre con il telegrafo cominciarono a raccogliersi
pure le prime notizie metereologiche che vennero diffuse dalla radio con
notevole successo, mentre la radio influenzò il cinema muto, dimostrando che
non solo i nuovi media vemgono avanti a due per volta, uno come contenente
l’altro come contenuto, ma che l’ibridazione con altre tecnologie o altri
media, scatena nuovi processi creativi.
Forse
questo è il momento di parlare della radio quale evoluzione del telegrafo che è
un’evoluzione del messaggio (infatti per la prima volta il messaggio arriva
prima del messaggero) che a sua volta è l’estensione della strada e della
carta. Il cinema invece è il movimento della fotografia, con la sua
tridimensionalità e la descrizione amplificata dei minimi dettagli. La
televisione invece è bidimensionale, ha cioè solo pochi tratti essenziali, e
deriva dalle strip giornaliere dei quotidiani americani, e dai cartoni animati
da cui ha preso l’essenzialità dei dettagli che devono essere completati dal
fruitore.
E’
improprio quindi definire (come fa l’insigne Maurizio Costanzo durante i suoi
corsi) la televisione figlia della radio, in quanto sono due tecnologie che
derivano da esigenze diverse.
Una delle
ibridazioni più notevoli che generano furiosi scatenamenti di energia è la
guerra. Essa è da sempre l’aggressione di una società tecnologicamente più
avanzata nei confronti di una società tecnologicamente inferiore. Da oltre
mezzo secolo essa è l’incontro-scontro tra culture visive e letterarie con
altre culture prettamente orali con contenuti tribali. Non c’è nulla di più
scatenante e creativo del primo periodo che segue un’invasione militare. Qui,
come su di un confine ideale tra culture alfabetizzate e pseudo-tribali, si
scatena lo scambio culturale e tecnologico più travolgente di uno tsunami. Ne
abbiamo esempi recentissimi con l’invasione di Kabul. Lo ricorderete, la
sconfitta dei talebani portò nella capitale nuovi cambiamenti epocali, si
aprirono barberie per tagliare barba e capelli, si aprì un McDonalds, una
birreria e gli italiani ci misero del proprio, riaprendo il cinema locale e
proiettando “La Liceale”
un film con Gloria Guida, tanto per mostrare il livello culturale delle nostre
scelte. Ma questa forma di contaminazione non agìa senso unico. Com’era già successo
col Vietnam, dietro le prime linee sbarcarono stilisti, modelle, fotografi
glamour, e in occidente si impose, ancora una volta, la moda militare.
Occorre
fare attenzione: quell’esplosione dell’occhio che genera furiosi scatenamenti
di energia in zone del mondo che noi consideriamo “arretrate” e che noi
chiamiamo “occidentalizzazione” non va in una sola direzione e la nostra
società alfabetizzata, che ha fornito all’uomo l’occhio al posto dell’orecchio,
si trova a riscoprire con la moda, i reportages, la letteratura, il fascino di
un mondo tattile e auditivo. Ora che l’alfabetismo sta per ibridare l’Africa,
il Medio Oriente e l’India, ci ritroviamo a dover condividere, capire,
accettare le antiche culture orali di angoli del mondo di cui ignoravamo
persino l’esistenza.
Ogni volta
che si stabilisce un immediato confronto tra due strumenti della comunicazione,
siamo costretti a confrontarci con nuove frontiere della conoscenza che ci
strappano dal sonno ipnotico di Narciso e ci scoglie dallo stato di trance e di
torpore che si è impossessato dei nostri sensi.
Aldo
Vincent
LA PAROLA
Quando i
primi ominidi scesero dagli alberi e si misero ad esplorare il territorio,
cominciarono a guadagnare la posizione eretta con immediati vantaggi. Innanzi
tutto liberarono gli arti superiori e il rinnovato uso delle mani spostò il
pollice dal metacarpo consentendo la “presa di precisione” che contraddistingue
gli umani da ogni altro animale. La posizione eretta inoltre allungò la laringe
dando inizio alla modulazione dei suoni e alla creazione della parola che potremmo
definire la prima opera d’arte umana. Secondo il McLuhan infatti, la parola
altro non sarebbe che la protesi del pensiero e la scrittura la protesi della
parola. Senza il linguaggio, insomma, l’intelligenza umana sarebbe rimasta
totalmente imprigionata dal mondo esteriore sottoposto alla sua attenzione. In
pratica il linguaggio fa per l’intelligenza ciò che la ruota ha fatto per il
piede: permette agli uomini di spostarsi da una cosa all’altra con maggior
facilità (metafora) e sempre minor partecipazione.
Se la
parola parlata attraverso la voce e l’orecchio è inizialmente servita per
lanciare grida, allarmi, grugniti, canti e ritmi (la sua protesi diventerà la
radio) la parola scritta in realtà è l’estensione primordiale della memoria, e
se la stampa tipografica (estensione della scrittura) ha dato inizio alla
logico-sequenzialità, e quindi al nazionalismo e alla catena di montaggio, oggi
la tecnologia elettrica ed il computer ha la capacità di estendere i nostri
sensi ed i nostri nervi in un discorso globale che potrà avere un’influenza
determinante nel futuro del linguaggio.
Questa
nuova tecnologia non ha bisogno delle parole così come il computer non ha
bisogno di cifre e apre la strada a nuovi processi di consapevolezza su scala
mondiale e senza alcun bisogno di verbalizzazione. Siamo passati dal linguaggio
inteso come forma di divisione – la
Torre di Babele – ai moderni computers che ci permettono la
traduzione immediata di qualsiasi cifrario, codice o linguaggio in un altro. La
fase successiva potrebbe consistere non nel tradurre ma nel superare i diversi
linguaggi a favore di una consapevolezza collettiva. L’”averbalismo” insomma,
potrebbe essere una via per la pace e l’armonia cosmica.
La parola
scritta servì a tradurre il ricco mosaico visivo in una forma che lo privò di
molte qualità dell’esperienza causando un mutamento dell’uomo tribale in
individuo alfabetizzato, un essere cioè che ha eliminato i suoi rapporti ed i
sentimenti emozionali e collettivi col gruppo sociale a cui appartiene diventando
emotivamente libero di staccarsi dall’inconscio collettivo della tribù per
trasformarsi in individuo civilizzato, organizzato visivamente con
atteggiamenti, abitudini, diritti conformi a quelli di tutti gli altri
individui alfabetizzati.
Il mito
greco di Cadmo, che introdusse in Grecia le lettere fonetiche, narra di questo
re che seminò denti di drago dai quali germinarono uomini armati. L’ntroduzione
dell’alfabeto infatti aumentò il potere, l’autorità e il controllo a distanza
delle strutture militari. Se la scrittura su pietra accentrò il potere dei
sacerdoti rimanendo statica a resistere nel tempo, il papiro più leggero e
malleabile, consentì alla scrittura di superare lo spazio, cosa che gli antichi
Romani capirono benissimo, costruendo strade per ampliare il loro impero
militare.
L’alfabeto
fonetico è una tecnologia del tutto particolare. Precedentemente vi erano già
stati molteplici tipi di scrittura, ma solo l’alfabeto pose in linea
logico-sequenziale segni semantici privi di significato a cui corrispondono
suoni semanticamente privi di significato. Questa prima traduzione da un mondo
auditivo ad un sistema visivo erano rozzi e spietati perchè la traduzione
fonetica sacrifica mondi di significato e percezione.
Prendete
per esempio la nostra bandiera. Togliete i colori e scrivete sopra uno straccio
bianco: “Bandiera italiana, tricolore” e poi fatela sventolare. Non escludo che
il parallelismo ideale rimanga immutato ma riconoscerete che emotivamente non è
la stessa cosa! Allo stesso modo le nuove forme di scrittura, culturalmente più
ricche, sacrificavano un mondo magicamente discontinuo, magico, tradizionale.
Se secoli
di ideogrammi non hanno minimamente intaccato la struttura della società
cinese, oggi basta una generazione di alfabetismo per distaccare la persona
dalla ragnatela tribale e farlo sentire individuo, e questo fatto non ha nulla
a che vedere con il contenuto delle
parole usate, ma è una rottura dell’esperienza da auditiva a visiva, perchè
solo l’alfabeto fonetico ti dà un occhio in cambio di un orecchio liberando
l’individuo dal trance tribale della parola magica, dalle affinità totemiche e
gli obblighi di sangue.
La
separazione degli individui, la continuità dello spazio e del tempo,
l’uniformità delle leggi e dei comportamenti, sono le principali caratteristiche
delle società alfabete e civilizzate, mentre le culture tribali non ammettono
l’ipotesi del cittadino separato.
Non
ammettono l’individuo.
I
risultati raggiunti dal mondo occidentale testimoniano ovviamente gli enormi
meriti dell’alfabetismo anche se da qualche tempo la saturazione del medium
comincia a presentare qualche problema. Al trance tribale della parola magica,
si è sostituito un trance tecnologico e visivo che modifica i nostri
comportamenti. Forse stiamo pagando a caro prezzo le nostre strutture di
tecnologie e di rapporti via via sempre più specialistici. Si sta persino
modificando il concetto di coscienza, da sempre consideraza un carattere
distintivo dell’essere razionale benchè nel campo della consapevolezza – che esiste
in ogni momento della coscienza – non ci sia nulla di lineare o conseguenziale,
perchè la coscienza non è un processo verbale. Nella società alfabetica
occidentale è ancora plausibile ed accettabile pensare che ad una cosa ne
“consegue” un’altra anche se David Hume ha dimostrato fino dal Settecento che
in nessuna sequenza naturale o logica esiste un nesso di casualità. La sequenza
si limita ad aggiungere senza esserne la causa. Oggi nell’era informatica ci
stiamo liberando dai processi lineari, dalle geometrie euclidee e persino la
catena di montaggio ha perso la sua caratteristica di linearità per accedere
all’automazione che è un “campo” dove tutto è istantaneo. La frantumazione di
ogni tipo di esperienza in unità compatte, uniformi e lineari è stata l’essenza
del successo dell’Occidente che ha saputo usare questa tecnica di trasformazione
per rendere uniformi, continui e ripetibili tutti i processi di trasformazione
dell’uomo e della natura.
Così come
la concepiamo noi, la Civiltà
è costruita sull’alfabetismo in quanto esso è il trattamento uniforme della
cultura mediante l’alfabeto che è l’estensione del senso visivo esteso nel
tempo e nello spazio e fornisce aglle persone mezzi per agire senza reagire.
Per fare senza essere coinvolti emotivamente. L’udito è iperestetico, delicato
ed onnicomprensivo, la vista invece è fredda e neutrale e permette alla cultura
occidentale di espandersi con tubi, cavi, fili elettrici, strade, catene di
montaggio, inventari, prezzi uniformi e accellerazioni del movimento delle
merci, senza provare alcuna emozione.
Allora
come ora il barbaro, cioè l’uomo tribale, era ostacolato dal pluralismo
culturale e dalla discontinuità, mentre la nostra cultura, che deriva dalla
tecnologia di Gutemberg, è omogenea, uniforme e continua. Se le varie scritture
pittografiche, geroglifiche, ideogrammatiche erano e sono un’estensione del
senso visivo per immagazzinare con più facilità le esperienze umane e renderne
più rapido l’accesso (in pratica si tratterebbe delle origini delle strips e
dei cartoni animati) l’alfabeto fonetico invece riesce a racchiudere con
pochissime lettere tutte le lingue del mondo. Per ottenere questo però, è stato
necessario separare segni e suoni dai loro significati semantici. Nessun altro
sistema è riuscito ad ottenere questi notevoli risultati.
Aldo Vincent
STRADE
La parola metafora deriva dal greco e significa
trasportare e potrebbe essere applicata a qualsiasi forma di movimento di merci
o di informazioni. Rappresenta non solo lo spostamento da un luogo all’altro di
qualsiasi cosa, ma evidenzia la trasformazione e la traduzione del mittente,
del ricevente e del messagio perchè l’uso di qualsiasi medium altera gli schemi
di interdipendenza tra le persone e i
rapporti tra i loro sensi.
Con la
strada, la scrittura si stacca da materie solide e statiche come la pietra, per
circolare su supporti come l’argilla dei vasi e delle tavolette, e imprimere
maggiore velocità con il papiro. L’nformazione, nel suo passaggio dalla pietra
alla carta, compie la medesima trasformazione della moneta quando si staccò
dalle merci, dalle pelli, dai lingotti e dai metalli, per diventare carta e in
seguito semplicemente credito. Con le strade, crollano le città-stato, che
racchiudevano in sè stesse tutto il fabbisogno e le attività umane, e si
affermano le capitali centro del potere in costante comunicazione con le
proprie periferie.
Accresciuta la velocità e di conseguenza
intensificato il controllo militare a distanza, l’accellerazione della
comunicazione separò le funzioni commerciali da quelle politiche creando quelle
che gli economisti chiamano strutture
economiche centro-marginali, che di fatto sono reti con flussi continui e omogenei, mentre in precedenza, le
conquiste avvenivano via mare, con territori da colonizzare con insediamenti
che erano centri senza periferie. La storia più recente di queste crisi è
quella della guerra d’indipendenza americana quando le prime colonie inglesi a
causa di processi di saturazione dei commerci, trovarono più conveniente usare
merci (come il tè) per pagare le loro transizioni piuttosto che assoggettarsi
ad un cambio con la Sterlina
che era diventato poco favorevole, per non dire punitivo. Quando la Virginia ufficializzò il
tabacco come forma di pagamento, scoppiò la crisi. Essendo però le colonie
americane distantissimi centri senza periferie al di là del mare, fu chiaro per
tutti che l’Inghilterra, malgrado atroci rappresaglie, fosse destinata a
perdere la partita. E così fu.
Ecco come
commenta Arnold Toynbee nel suo: A study
of history :
“ ...uno
dei segno più cospicui della disgregazione si verifica...quando una civiltà che
sta disintegrandosi ottiene una proroga sottoponendosi ad una forzata
unificazione politica in uno stato universale...”
Peccato
che un eminente autore come Toymbee non faccia parte della nostra cultura
nazionale, perchè oltre nell’opera già citata (12 volumi, 1934-1961) vi sono
considerazioni eccelse. Comparando per esempio la grandezza e la caduta di 26
imperi, rileva che le principali cause del crollo, non sono mai ambientali o
fisiche, ma l’incapacità di rispondere alle istanze morali, etiche e religiose
del popolo. Anche la sua frase riportata, se letta con attenzione potrebbe
risultare di grande attualità per l’analisi del tramonto e degrado della
civiltà americana. Ma stavamo parlando di strade.
I diversi
modelli di organizzazione sociale, si realizzano tentando di far coesistere le
diverse velocità dei movimenti d’informazione perchè un nuovo mezzo che si
inserisce, se è contemporaneamente disponibile e se possiede una velocità
omogenea, di fatto non crea problemi, ma la saturazione di tutti questi mezzi
porta, come tutti possiamo constatare nella nostra società moderna, scompensi e
e rotture dovute a grandi discrepanze tra il movimento degli aerei e delle
auto, tra la posta e Internet, tra la società civile e l’amministrazione
pubblica, ecc. Se la velocità di tutti i mezzi fosse uniforme non ci sarebbero
conflitti gravi. Nell’antica Roma, invece, a ridurre la discontinuità della
comunicazione c’erano soltanto l’alfabeto e le strade che la inviavano dal
centro alla periferia. Quando gli arabi si ripresero l’Egitto, il rifornimento
di papiro cessò e le strade rimasero inutilizzate e deserte come potrebbero
essere le nostre se mancasse la benzina. In questo modo l’Impero Romano collassò
e le strade divennero inutili facendo risorgere le città-stato con il
feudalesimo.
La strada
è l’estensione dello spazio sempre più omogeneo ed uniforme che permette
l’accellerazione della ruota e del messaggio. Fu la stampa a caratteri mobili
che impresse una maggiore accellerazione dal centro alla periferia. Dopo
l’elettricità e l’informatica non solo questa velocità ha assunto un valore
assoluto pari alla velocità della luce, ma ha pure perso il suo carattere
unidirezionale trasformandosi in un movimento centripeto.
Dal lento
movimento dal centro alla periferia di una società specialistica e frammentata,
ci ritroviamo in un’implosione dove improvvisamente e spontaneamente i
frammenti meccanizzati si riorganizzano in un tutto organico. E’ il Villaggio
Globale.
Oggi che
la massima parte del trasporto consiste nello spostamento di informazioni si
assiste ad una saturazione e alla conseguente trasformazione dell’uso della
ruota e della strada. Se il villaggio e la città-stato avevano contribuito al
rapporto reciproco di dare-avere con la campagna, dopo l’avvento
dell’automobile e il capovolgimento dei ruoli, la famosa “gita in campagna” ha
visto la strada stessa trasformarsi in campagna a cui è seguita l’autostrada
come città, un continuo ininterrotto di agglomerati urbani che ha dissolto la
forma antica della città stessa. Forma spazzata via dall’avvento dell’ aeroplano
che usufruisce della ruota e della strada solo in un’infinitesima parte del suo
percorso negli aeroporti che a loro volta si sono trasformati in città. Pensate
che alcune compagnie offrono viaggi in aereo a costo irrisorio purchè
l’atterraggio avvenga in aeroporti periferici trasformati in piccole città dove
fare shopping.
Il
principale impatto dei media sulla società contemporanea sono l’accellerazione
dell’informazione e lo sconvolgimento sociale, la trasformazione dalla
soluzione di problemi fisici al superamento dei problemi etici e morali. Se
l’accellerazione tende a migliorare tutti i mezzi di scambio e di associazione
umana, la velocità accentua i problemi di forma e di struttura e di conseguenza
le persone che tentano di adattare le vecchie forme fisiche al nuovo e più
rapido movimento scoprono un progressivo inaridimento dei valori della vita.
Ora che
con la tecnologia elettrica abbiamo esteso non solo i nostri organi ma persino
il nostro sistema nervoso, l’informazione che si sposta alla velocità della
luce ha reso obsoleti tutti i sistemi di accellerazione meccanica quali la
strada, la ferrovia, la ruota.
I vecchi sistemi di adattamento psico-fisico e sociale non contano più nulla.
Siamo
entrati nella fase del campo totale della consapevolezza. Le nostre estensioni
elettriche hanno superato lo spazio ed il tempo e ci coinvolgono in problemi di
organizzazione mai affrontati prima.
I NUMERI
Scrittura evase
dal Giardino dei Numeri
e sulle ali di Poesia
saltò il muro
*Librandosi = diventando libri
Alcune
correnti di pensiero ipotizzano che nella maggior parte delle civiltà
preistoriche, l’uomo abbia scritto prima i numeri e poi l’alfabeto da cui è
derivata la poesia epica e quindi la normale scrittura. Molti reperti
archeologici sembrano confortare questa tesi.
In
un’epoca in cui il danaro non si era ancora separato dalle merci, un gregge,
una mandria o un gruppo qualunque di animali costituivano un bene economico ed
il trasporto di questo bene ne faceva accrescere il valore. Essendo i primi
insediamenti in zone piuttosto calde e non essendoci i frigoriferi, è ovvio che
il trasporto delle carni dovesse essere effettuato con animali vivi e il
passaggio di mano di questi armenti ne accresceva il valore. Da qui le prime
necessità di numerazione.
Successe
che i Sumeri per primi costruirono palle di argilla dentro le quali mettevano i
simboli delle quantità di animali, e nelle transizioni, queste palle d’argilla
costituivano il credito, ma poichè esse dovevano essere rotte ad ogni
transizione, nel tempo si decise di dipingere sull’esterno delle argille gli
stessi simboli contenuti all’interno.
Col tempo, la testa del bue egizio Api, per esempio, l’alef fenicia, roteò di 180 gradi e
divenne la lettera Alfa, le capanne, beth,
rotearono di 90 gradi e divennero la nostra lettera B, fidi, il serpente, divenne la
F e così via.
Mentre la scrittura è un’estensione e una separazionedel
nostro senso più neutro e oggettivo – la vista – il numero è un’estensione e
una separazione della nostra attività più intima e in più stretto rapporto con
le altre facoltà, il senso del tatto.
Diventa
sempre più evidente che il senso del tatto è indispensabile ad un’esistenza
integrale. Non è da escludersi che nella nostra vita interiore il senso del
tatto sia costituito da un reciproco rapporto tra tutti i sensi. Non solo
quindi un contatto epidermico con le cose, ma la vita stessa delle cose dentro
la nostra mente.
Siamo
abituati a vedere l’alfabeto come fonte della civiltà occidentale e le varie
letterature come un segno di progresso sociale e civile, il che non è affatto
sbagliato, a condizione che accanto alle lettere si pongano i numeri, il
linguaggio cioè della scienza.
Il numero
però non è solamente auditivo e risonante come la parola parlata, ma come
scriveva con acume Baudelaire: “Il numero
è nell’individuo. L’intossicazione è un numero” seguendo poi con l’analizzare il darshan, l’esperienza trascendentale
indiana
che
permette di raggiungere uno stato mistico grazie al fatto di ritrovarsi immersi
in un’immensa massa di gente.
Fu la
trasformazione dal contare in modo tattile con le dita delle mani e dei piedi
per arrivare all’astrazione visiva, che
rese possibile la matematica. Fu però l’alfabeto a mettervi ordine,
inserendo concetti come omogeneità,
corrispondenza e successione.
Fu
l’azione dell’alfabeto fonetico sui sensi umani a permettere l’invenzione dello
spazio euclideo, così come sarà la stampa a caratteri mobili a consentire il
concetto di punto di vista e di conseguenza ad imporre la prospettiva.
Secondo il
matematico Leibniz un Essere Supremo
per dare origine all’Universo, non avrebbe avuto nessuna necessità di tutta la
matematica ma gli sarebbero stati sufficienti lo zero e l’uno per dare inizio a
tutta la creazione. E’ curioso constatare che questo mistico sistema binario
altri non sarebbe che il riflesso del contare di alcune tribù primitive a cui
corrisponde il linguaggio dei nostri computers.
All’epoca
dei manoscritti esisteva una caotica quantità di segni per rappresentare i
numeri, che consentivano il calcolo con estrema difficoltà. Fu l’avvento della
stampa che pose ordine alla matematica e posizionò lo zero, quel vuoto
concettuale che permetteva di dare un valore ai numeri a seconda della loro
posizione nella cifra, partendo da destra.
Tracciando
un percorso dalla rappresentazione del numero con le lettere greche, al
posizionamento dello zero medievale, fino al punto di vista prospettico del
Rinascimento, si può rilevare con facilità di come sia maturato il concetto di
infinito, che Greci e Romani ignoravano e che solo con la stampa tipografica
potè estendersi alla facoltà visiva fino ad ottenere risultati di estrema
precisione, di uniformità e intensità, perchè fosse possibile reprimere o
affievolire la sensibilità degli altri sensi col fine di ottenere la
consapevolezza tattile dell’infinito
(sembra una delle tante contraddizioni del Mc Luhan, in realtà è un’ulteriore
dimostrazione di come l’isolare il senso della vista porti come conseguenza lo
spazio euclideo che viene in qualche modo digerito
e assimilato in tutto l’essere grazie al senso del tatto).
Ogni nuova
tecnologia ci spinge a cercare nuovi equilibri attraverso altra tecnologia che
poi sarebbe lo studio delle scienze applicate, con particolare riferimento ai
diversi procedimenti per la trasformazione di materie prime in prodotti di
impiego o di consumo, o l’attuazione dei processi educativi basata sull'analisi
dell'apprendimento e dell'insegnamento e sulle metodologie da essa suggerite.
I Greci
sbatterono la testa sul problema di trasporre i loro nuovi media quando
tentarono di risolvere un problema di aritmetica razionale applicandolo alla loro
primitiva geometria. Lo spettro di Achille e la tartaruga provocò la prima
crisi della matematica occidentale, insieme al calcolo della diagonale di un
quadrato o la circonferenza del cerchio, esempi evidenti di come il senso
tattile del numero tentava di affrontare lo spazio visivo e pittorico per
trasformarlo in sè stesso.
Col
Rinascimento fu il calcolo infinitesimale a permettere all’aritmetica di
imporsi sulla meccanica, la fisica e la geometria. Fu il processo omogeneo ed
uniforme della stampa a dare origine al calcolo della matematica moderna. La
taumaturgica funzione dell’ infinitamente frammentato e ripetibile permise di
rendere il mondo visivamente piatto, diritto e uniforme mentre la nostra
esperienza sa che esso è invece sghembo, curvo e bitorzoluto, e questo concetto
“razionale” che ci ha accompagnato negli ultimi secoli, oggi nell’era
dell’elettronica sta perdendo molte delle sue connotazioni e non siamo più in
grado di definire con certezza cosa sia il “razionale”, visto che a suo tempo,
non ci siamo mai accorti da donde venisse.
Aldo
Vincent
L’ABBIGLIAMENTO
L’abbigliamento
- protesi della pelle - può essere considerato un meccanismo per il controllo
della temperatura, una componente sessuale e la comunicazione esteriore del
livello sociale. Per comprendere meglio questi meccanismi, torniamo ad
analizzare il nostro ominide che, come ricorderete, con la posizione eretta
aveva acquisito la capacità di manipolare l’ambiente, e con l’estensione della
laringe aveva cominciato a modulare i suoni, ottenendo non solo grida, ma
grugniti espressivi, suoni modulati, canti con cui accompagnare le prime danze
rituali.
La
posizione eretta causò un altro fenomeno: scoprì i genitali maschili e spostò
in avanti quelli femminili che permisero l’atto sessuale in posizione frontale.
La necessità di coprire il seno delle femmine forse scaturì dall’innata gelosia
del capo clan, o più praticamente fece in modo di evitare l’eccitamento dei
giovani maschi alla vista delle femmine ignude.
Ad un
certo punto, all’interno della comunità, saltò all’occhio che non era la
medesima cosa essere coperti da pelli di animali domestici quali cani, capre,
conigli che proteggevano dal freddo in modo eccellente ma che avevano un
diverso valore rappresentativo dalle pelli di animali feroci o mitici che
venivano indossati dai capi branco. Non solo, non è escluso che fu questa molla
a scatenare la competizione tra giovani che mostravano il loro valore esibendo
pelli di animali selvaggi uccisi grazie alla loro abilità. Non è escluso nemmeno
che i primi gruppi appartenenti allo stesso clan si organizzassero per cacciare
animali pregiati la cui pelle avrebbe ricoperto il loro capo gerarchico, dando
inizio a quello che Levi-Strauss definì come fase in cui si imposero il totem,
la religione ed il tabù.
L’abbigliamento
e le abitazioni in fondo assolvono lo stesso compito, cioè quello di proteggere
dalle variazioni dell’ambiente esterno, ma l’abbigliamento è un’estensione più
diretta della superficie esterna del nostro corpo. Non solo.
Per quanto
riguarda la componente sessuale, si riesce a decifrare qualcosa solamente se si
considerano sesso e abbigliamento come fattori interdipendenti tra loro.
Ci sono
oggi tribù africane dove le donne, che camminano senza imbarazzi a seno nudo,
per nessuna ragione al mondo sarebbero disposte a scoprire le loro ginocchia in
pubblico. Un altro fenomeno dei giorni nostri è il turismo che assale luoghi
incontaminati, dove sulle spiagge si vedono masse di “civilizzati” che prendono
il sole praticamente nudi, mentre la medesima cosa, non passerebbe per la mente
degli indigeni perchè nelle culture arretrate, ancora incastonate in una vita
sensoriale e tattile, e non ancora astratte dall’alfabetismo e dall’ordine
visivo industriale, la nudità è considerata patetica.
Persino il
famoso rapporto Kinsey sulla vita sessuale del maschio americano, registrò con
sorpresa che i contadini ed in genere le persone sottosviluppate non amavano la
nudità nei loro rapporti coniugali.
Un altro
fenomeno da analizzare è l’avvento massivo della televisione a colori negli
anni sessanta che trasformò gli europei, che dal dopoguerra si erano sempre
vestiti con tagli sobri e colori grigi, in individui colorati secondo l’esempio
dato dagli americani che ci invadevano con il loro cinema che conteneva
messaggi consumistici, pieni di frigoriferi, elettrodomestici, birre in lattina
e – udite udite – abbigliamenti casuals coloratissimi e poco impegnativi. Per
contro, furono gli americani, influenzati dagli stessi media, ad assumere un
atteggiamento rivoluzionario che si espresse con l’abbigliamento all’europea,
con i patio, con le piccole auto. Come ai tempi della rivoluzione francese,
l’abbigliamento assunse anche i connotati di protesta politica (i figli dei
fiori, per esempio) e della ribellione contro i valori uniformi del
consumatore. Si cominciò a vedere cambiamenti non solo con l’abbigliamento ma
con i libri tascabili, le barbe, le acconciature femminili che persero la loro
caratteristica scultorea per la praticità tattile. Insomma le donne americane
iniziarono a proporsi come persona da toccare e “maneggiare” e non solo come
icona da contemplare.
Nella
Russia degli anni settanta il fenomeno assunse proporzioni quantomeno bizzarre.
Infatti sulla spinta delle tendenze occidentali, alcuni programmi televisivi
russi cominciarono ad essere interrotti da forme di pubblicità che decantavano
prodotti di abbigliamento e di bellezza che non erano presenti sul mercato.
Infatti al comunicato pubblicitario non corrispondeva la distribuzione dei
prodotti, praticamente inesistenti.
Esiste
oggi la tendenza a nuovi equilibri man mano che ci rendiamo conto della nostra
preferenza per tessuti rozzi e per abiti con forme scultoree. Dopo che per
secoli siamo rimasti completamente vestiti e chiusi in spazi visivi uniformi,
con l’era elettrica ci ritroviamo in un mondo che respira, vive e ascolta con
l’intera epidermide. Con i nuovi materiali con cui confezioniamo abiti e
dimore, la nostra sensibilità si muove in un mondo di forme e di colori che
fanno della nostra epoca una delle più ricche nella storia della musica, della
poesia, della pittura e dell’architettura.
Aldo
Vincent
LE ABITAZIONI
Abbiamo
già detto come l’abbigliamento e le abitazioni in fondo assolvono lo stesso
compito, cioè quello di proteggere dalle variazioni dell’ambiente esterno, ma mentre
l’abbigliamento è un’estensione più diretta della superficie esterna del nostro
corpo, l’abitazione è un mezzo collettivo affinchè il gruppo o la famiglia
godano della stessa protezione. Le città, che sono un gruppo organizzato di
abitazioni, sono un’ulteriore estensione dei nostri organi fisici per
soddisfare i fabbisogni di gruppi più vasti.
Se l’uomo
civilizzato – cioè alfabeta – tende a restringere e delimitare lo spazio col
fine di separare le funzioni, l’uomo primitivo ha esteso passivamente il suo
essere in modo da includervi l’universo da cui a sua volta viene incluso.
Agendo come parte del cosmo ha la consapevolezza di partecipare alle energie
misteriose, magiche o divine con rituali sempre presenti nelle sue
manifestazioni sociali.
L’uomo
alfabeta, per accettare la sua tecnologia analitica e di frammentazione, ha
dovuto staccarsi con dolore da tutto quel mondo tattile e auditivo che lo
faceva magicamente vibrare come componente cosmica e si è concentrato su
piccoli segmenti di comprensione col fine di catalogare tutto l’universo. Ha
venduto il suo orecchio per l’estensione del suo occhio.
Sono
rarissimi i ritrovamenti archeologici nelle caverne preistoriche comprovanti
che esse fossero abitate dai primi ominidi. Le grotte, le tende, le capanne,
non sono semplici chiusure di spazi visivi, perchè seguono linee dinamiche. Una
volta chiusa in spazi visivi, l’architettura tende a perdere la sua tensione tattile e cinetica. Una tenda
conica come il tepee dei pellerossa, oltre che essere il modo più razionale ed
economico per ancorare un oggetto ingombrante e verticale è pure una serie di
linee di fuga che agiscono sulla psiche del nomade. L’errore degli americani
che costruirono case nelle riserve indiane, fu quello di non considerare questi
fattori, col risultato che ancor oggi capita di passare per questi insediamenti
e constatare che sono inabitati e circondati da roulottes e caravan dentro i
quali gli indiani ancora si accampano.
La caverna
invece è uno spazio misterioso, magico, oscuro dentro il quale si compivano
rituali collettivi e magici. Le stesse pitture rupestri con le loro linee
essenziali, viste da noi con la nostra luce, perdono tutta la forza che avevano
al buio, con la fiamma dei fuochi che instabilmente davano ai dipinti una forza
cinetica, un’illusione di movimento che agevolava i rituali della caccia. Di
fatto, le pitture rupestri altro non erano che il cinema dei nostri antenati.
Il
passaggio dalla capanna circolare al triangolo e alle mura quadrate, così come
in seguito il passaggio dalla cupola ai pinnacoli gotici sono manifestazioni di
nuove tecnologie che hanno causato un’alterazione dei rapporti sensoriali dei
membri di una società. Le nuove tensioni stabiliscono nuovi equilibri tra tutti
i sensi con “nuove prospettive” cioè a nuovi atteggiamenti e nuove preferenze
in molti settori rendendo socialmente accessibili protezione, calore ed energia
alla famiglia o al gruppo di appartenenza.
Un chiaro
esempio di questo adattamento è dato dall’igloo
eschimese. Questi indigeni hanno sempre vissuto in case rotonde ottenute
sistemando grosse pietre a forma di cupola. Era una popolazione nomade di
raccoglitori di cibo che l’uomo bianco trasformò in trappolatori. Le lunghe
attese sul pack e l’avvento della stufetta a petrolio permisero agli eschimesi
di costruire i loro rifugi provvisori con blocchi di ghiaccio tenuti insieme
dal calore della stufa a petrolio che fondeva la volta interiore.
Ridono gli
eschimesi quando vedono un bianco che entra in un igloo e torce il collo per
tentare di dare un ordine spaziale e continuo alle pagine delle riviste
illustrate che sono state appiccicate al soffitto per contenere il gocciolìo.
Loro infatti, con la loro visione spaziale integrale e cosmica, non hanno alcun
bisogno di raddrizzare mentalmente le pagine per decifrare le figure e ridono
per questo buffo atteggiamento dell’uomo bianco.
Quando
durante il Rinascimento si cominciò sistematicamente ad estrarre carbone, le
società che vivevano in climi freddi scoprirono nuove grandi riserve di
energia. La fabbricazione del vetro su larga scala permise alla luce di entrare
dalle finestre e il riscaldamento interno alzò i soffitti e allargò le
abitazioni. La casa dell’artigiano rinascimentale divenne allo stesso tempo
letto, cucina, laboratorio e negozio. Fino al XX Secolo, quando l’energia
elettrica modificò radicalmente non solo il tempo vissuto nelle case,
eliminando con l’illuminazione la differenza tra il giorno e la notte,
l’interno e l’esterno, il sopra e il sotto, ma con gli ascensori ha modificato
intere strutture architettoniche, alterando ogni concetto di spazio per la
produzione ed il lavoro allo stesso modo con cui gli altri media elettrici
hanno alterato il nostro modo di essere.
Oggi
l’architettura non offre solo soluzioni abitative nelle capsule spaziali o
all’interno degli aeroplani, ma con l’illuminazione elettrica ha inserito nelle
intere città una flessibilità organica ignorata in qualsiasi altra epoca con
spazi senza muri e giorni senza notti. Nella strada notturna, la partita
notturna, il lavoro notturno, il disegno e la scrittura sono passati dal campo
dell’iconografia a spazi vivi e dinamici creati dall’illuminazione esterna. Con
la luce elettrica non solo possiamo compiere le operazioni più minuziose senza
badare all’ora al clima o alla stagione ma possiamo indagare dentro un
microscopio con la stessa facilità con cui andiamo a fotografare pitture
rupestri o ad esplorare anfratti sperduti.
L’era
dell’automazione e della conoscenza ci ha permesso di scoprire che abiti,
fertilizzanti e componenti per l’edilizia si possono ottenere con qualsiasi
tipo di materiale e sarà questa la prossima frontiera.
IL DENARO
Il denaro,
che nelle culture non alfabetiche nasce come forma di merce, man mano che si è
evoluto con la nostra società, si è trasformato fino a diventare metafora.
Nella
psicoanalisi freudiana il danaro è associato al concetto di erotismo anale.
Certi analisti fanno derivare il desiderio di accumulare danaro con l’impulso
infantile di giocare con le feci. E’ possibile osservare in alcune società non
alfabete contemporanee, di come il danaro sia ancora associato alle merci.
Denti di balena, conchiglie, topi (nell’isola di Pasqua) perline e monili più
che altro considerati oggetti di lusso, sono diventati via via moneta di
scambio. Poi fu l’oro, un metallo che non si muta, non si corrode, non si
consuma e non diminuisce mai, a sostituire i vari oggetti di scambio. Lo stesso
oro come denaro perdette la sua carica magica – così come la parola perdette la
sua magia con la scrittura e poi ancora con la tipografia – quando l’oro fu
sostituito dalla moneta cartacea e anche questo si dovette alla stampa.
Pure nelle
culture alfabete può succedere che in certe circostanze alcune merci assumano
la forma di denaro. Nell’Europa liberata, alla fine della seconda guerra
mondiale, con l’arrivo degli americani una stecca di sigarette poteva servire
come moneta a patto che non si rompessero i sigilli.
Come ogni
altro medium, il denaro è una materia prima, una risorsa naturale, una forma
esteriore di scambiare e immagazzinare lavoro e dipende dalla partecipazione di
tutta la società, senza la quale esso non avrebbe nessun valore.
Il denaro,
come la scrittura, specializza e indirizza le energie umane in nuove direzioni, separa le funzioni e traduce forme di lavoro
in altre forme e altri metodi col fine di risparmiare tempo (il tempo è
denaro).
Tornando
al nostro ominide, ovvero alle scimmie antropomorfe, uno dei passatempi più
antichi è senz’altro il lasciarsi dondolare sui rami. Afferrare con una mano il
ramo davanti a sè e lasciare andare l’altro ramo nell’altra mano, è la stessa
cosa che fanno oggi gli operatori di Borsa comprando e vendendo titoli. Anche
il solo comprare o vendere un oggetto rappresenta la metafora del lanciarsi tra
un ramo e l’altro degli alberi: una mano afferra l’oggetto desiderato e quando
molla il denaro l’oggetto è suo. Allo stesso modo il venditore afferra il
denaro e lascia andare il bene che ha messo in vendita.
Il denaro
come indice sociale, come estensione dei desideri o di motivazioni interne,
crea valori materiali e spirituali così come la moda nell’abbigliamento (il
vestito come moneta). “Il denaro parla” perchè il denaro è un ponte, un
biglietto da visita e come il linguaggio, è pure un magazzino dove si accumula
il valore del lavoro delle capacità e delle esperienze di tutta la comunità. Esso
è una metafora, un indice di successo nell’impresa o di qualsiasi attività o
lavoro, e come il linguaggio esso traduce e uniforma il lavoro per esempio
dell’agricoltore, rapportandolo con quello dell’idraulico o dell’ingegnere e
come l’orologio esso separa il lavoro dalle altre attività sociali, accellera
gli scambi e stringe legami d’interdipendenza in ogni comunità.
Occorre
osservare che l’uniformità della valuta circolante, l’uniformità delle merci e dei prezzi fissi, sono procedimenti tecnici
ottenuti grazie all’avvento della stampa e al suo condizionamento psicologico,
alla uniformità e alla ripetibilità. Le società non alfabete mancano delle
risorse tecniche e psicofisiche necessarie per mantenere quella enorme
struttura economica-statistica che noi chiamiamo mercato e prezzi. E’ più
facile organizzare e premere sulla produzione di beni piuttosto che fornire
alla popolazione l’abitudine di tradurre in termini statistici i propri
desideri con il meccanismo della domanda e dell’offerta con la tecnologia
visiva dei prezzi.
Quando nel
XVIII secolo l’Occidente cominciò ad accettare le teorie di Adam Smith, che
rappresentano il primo serio tentativo nella storia del pensiero economico di
separare l'economia politica dalle discipline connesse dell'etica e del
diritto, i nuovi meccanismi economici descritti apparvero ai pensatori
dell’epoca talmente bizzarri che li definirono:”Calcoli edonistici” perchè la
frammentazione della vita interiore attraverso i prezzi, allora sembravano
paragonabili, in termini di sentimenti e desideri, a quello che era accaduto
nella matematica che aveva rinunciato alle ineguaglianze appianate dal calcolo
differenziale. Ancora oggi l’astrazione e il distacco estremo che il nostro
sistema dei prezzi esprime, sono impensabili in culture arretrate e non
alfabete che non riescono a rinunciare a transizioni dove la parte eccitante e
soddisfacente è il mercanteggiare ogni volta, ogni bene, ogni prezzo che viene
richiesto.
Oggi con
l’era istantanea ed elettrica, il denaro sta perdendo gradualmente il suo
potere di immagazzinare o scambiare il lavoro. L’automazione, che è
elettronica, non simboleggia più il lavoro fisico quanto la conoscenza
programmata e man mano che il lavoro è sostituito da puri movimenti
d’informazione anche il danaro cambia forma e diventa credit-card, cioè anch’esso informazione pura. Questo movimento
verso l’informazione onnicomprensiva, questa trasformazione del denaro da merce
a moneta a credito, cioè pura informazione, lo riavvicinano al carattere della
moneta della tribù che non conoscendo le specializzazioni d’impiego e di lavoro
non specializzava neppure il denaro perchè in un mondo non alfabeta non esiste
il concetto di lavoro. Il cacciatore ed il raccoglitore di cibo non esercitava
un lavoro ma aveva un ruolo e una funzione come l’hanno oggi il poeta,
l’artista, il pittore o il pensatore d’oggi. Non c’è lavoro dove l’uomo è
coinvolto nella sua totalità, esso comincia con le prime tribù sedentarie e
agricole che dividono la mano d’opera e specializzano funzioni e compiti di
controllo e contabilità. Con l’avvento dell’informatica ci ritroviamo ancora
totalmente coinvolti nelle nostre funzioni. Il lavoro come “impiego” sta
cedendo il posto alla dedizione personale e all’”impegno” come nelle vecchie
tribù.
Aldo
Vincent
GLI OROLOGI
Il tempo
non si può misurare.
Infatti,
secondo i moderni concetti di relatività, questa entità, che è preferibile
definire spazio-tempo, dipende dall’accellerazione, dal punto di vista
dell’osservatore e dalla sua velocità.
Quello che
l’uomo primitivo scoprì invece, fu che il tempo è circolare e che questa
periodicità, con i suoi fenomeni atmosferici, fisici e astronomici, è
misurabile.
Solstizio,
per esempio, è parola greca che significa che “il Sole si ferma” nel senso che
dalle osservazioni si evince che esso non sorge e tramonta in un punto fisso
dell’orizzonte, ma che ogni giorno si muove da Est verso Sud, si ferma apparentemente
tre giorni (21 Dicembre) dando luogo al Solstizio d’Inverno, poi torna indietro
fino al 21 Giugno dove dà luogo all’altro fenomeno che è il Solstizio d’Estate.
L’osservatore
primitivo che scrutava ogni tramonto, si rese conto che dopo il buio apparivano
alcune stelle che raggruppate in Costellazioni diedero vita ad una prima
suddivisione delle stagioni. L’Acquario era il tempo delle alluvioni, il Toro
delle transumanze, l’Ariete dei sacrifici, e così via.
Il tempo,
secondo la nostra moderna interpretazione, è ciò che accade tra due punti ed è
inoltre un concetto fisico che serve a misurare la contemporaneità o la
successione degli eventi, ma il concetto di tempo come durata non esisteva nei
popoli primitivi così come non esiste oggi nelle culture non alfabete. Come il
lavoro cominciò con la divisione della manodopera, così la durata cominciò con
la divisione del tempo, e all’inizio non fu affatto semplice. In Cina e
Giappone fino al Seicento si poteva indovinare la data riconoscendo i profumi degli
incensi bruciati in quei luoghi. Un profumo cambiava con il giorno, un secondo
profumo con l’anno (in senso zodiacale) e un terzo con le fasi della Luna.
Questo, secondo McLuhan è il più integrale e il più coinvolgente senso del
tempo che si possa immaginare perchè l’olfatto non è soltanto il più sottile e
delicato dei sensi umani ma è pure il più iconico perchè coinvolge più di ogni
altro tutto il sistema sensorio. Questo ci fa comprendere perchè le società al
più alto livello di alfabetismo tendano ad eliminare gli odori dell’ambiente e
soprattutto quelli del corpo, segno distintivo e affermazione insostituibile di
individualità che ci ripugna perchè date le nostre abitudini acquisite al
distacco e all’affermazione specialistica, l’odore del corpo del nostro vicino
ci coinvolge in misura non sopportabile.
Le società
che misuravano il tempo con l’olfatto si sono dimostrate nei secoli molto
compatte, e profondamente unificate da resistere ad ogni cambiamento.
I latini
bruciavano funi contrassegnate da nodi che ne determinavano il tempo, ma anche
la clessidra e le candele davano con approssimazione lo scorrere del tempo che
veniva comunicato a voce dalle mura dei castelli medievali fino al tempo dei
monasteri benedettini dove all’insegna dell’ “ora et labora” il suono della
campana dava la scansione del tempo dividendo quello del lavoro da quello delle
orazioni, usanza che si diffuse con l’adozione di campanili che diffusero il
suono della campana nei campi e nei luoghi di lavoro.
Fu
l’invenzione dell’orologio meccanico che diede al tempo il suo carattere di durata
e come entità trascrivibile in unità visive astratte ed uniformi. Trattato come
strumento tecnologico, l’orologio è una macchina che produce ore, minuti,
secondi uniformi, secondo lo schema della catena di montaggio. In questo modo
il tempo viene separato dai ritmi e dalle cadenze dell’esperienza umana e
contribuisce a creare l’immagine di un Universo numericamente quantificato e
mosso da forme meccaniche (concetto che influenzò persino il pensiero di
Newton).
Non fu
l’orologio in sè stesso ma fu l’alfabetismo rafforzato dall’orologio meccanico
a far sì che gli uomini non mangiassero più quando avevano fame, bensì quando
era l’ora di pranzo, di lavorare non quando ne avessero voglia ma quando era l’ora
di lavorare, ecc.
Anche se
l’orologio meccanico compare verso la fine del Duecento, mostrando meraviglie,
automi, movimenti del Sole e della Luna (tutti grossomodo imprecisi) è con
l’avvento della stampa tipografica abbinata all’orologio che si nota l’accelerazione
della meccanizzazione della società medievale, ma questo fenomeno non sarebbe
potuto accadere se non fosse stato preceduto dalla diffusione dell’alfabeto
fonetico, della tecnologia cioè che ha reso possibile la frammentazione visiva
del tempo. Esso infatti è la fonte del meccanicismo occidentale che è il
passaggio da una società audio-tattile che adotta valori visivi.
La nuova
tecnologia informatica, che è organica e non meccanica, in quanto non estende
più i nostri sensi, ma tutto il nostro sistema nervoso centrale viene espanso
sul nostro Pianeta ed oltre, nel suo rapporto spazio-temporale istantaneo
comincia a considerare carente il concetto di tempo meccanico se non altro
perchè uniforme. Il fisico e lo scienziato moderno non tentano più di contenere
tutti gli eventi in un tempo, ma ritengono che ogni fenomeno abbia il proprio
tempo ed il proprio spazio e noi stessi che ormai viviamo elettricamente in un
mondo istantaneo, sentiamo sempre più quanto spazio e tempo siano due concetti
ormai inseparabili tra loro. L’elettricità non è qualcosa trasmessa da un’altra
cosa o da un’altra cosa contenuta, ma è un fenomeno che si verifica quando due
o più corpi si trovano in determinate condizioni.
Siamo
ancora condizionati dai luoghi comuni che a proposito dell’elettricità parlano
di corrente, flusso, scariche, dando l’impressione che essa vada da un punto a
l’altro, ma è un errore, perchè l’elettricità, come il magnetismo, come la
posizione neuronale dei computers collegati in Internet, è un campo e come tale usa il tempo in tutta la sua contemporaneità..
Ai giorni
nostri non è soltanto il tempo scandito dall’orologio ad essere antiquato ma
persino la ruota comincia a dare segni di stanchezza. L’intuizione di Maxwell e
di Einstein secondo i quali il tempo poteva essere sconfitto dalla velocità,
risulta fondata.
Con la
velocità elettrica il meccanico cede il passo all’unità organica.
Dobbiamo
stare in guardia contro coloro che annunciano piani per restituire l’uomo alla
condizione, al linguaggio, ai tempi e alla vita bucolica originari della sua
stirpe. Questi predicatori sono sonnambuli che non hanno mai analizzato la
funzione dei media nello scaraventare l’uomo da una dimensione all’altra.
Senza
alcuna possibilità di tornare indietro.
Aldo
Vincent
LA STAMPA
Nota:
L’avvento
della stampa e le conseguenze sulla società moderna è trattato ampiamente dal
McLuhan nel suo “Galassia Gutemberg” che rappresenta il nucleo centrale della
sua più importante intuizione, e lo tratteremo in un settore a parte.
Qui
analizziamo solamente le interrelazioni della stampa con gli altri media.
Cosa
esattamente abbia inventato Gutemberg è ancora oggetto di confusione: la carta
proveniente dalla Cina era prodotta in Europa da quasi tre secoli, l’inchiostro
a olio col nerofumo era conosciuto dai pittori fiamminghi, il torchio era usato
da secoli per fare il vino e i caratteri mobili erano già conosciuti in Corea.
Aggiungiamo che per tutto il tardo Medio Evo erano già diffusi fogli stampati
con la tecnica xilografica, che riportavano oltre che immagini sacre, pure
giaculatorie o preghiere. Lo stesso Gutemberg era un orafo e l’incisione dei
caratteri mobili è una tecnica che deriva dal bulino. E allora, cos’ha
inventato Gutemberg? E’ semplice: ha inventato
il
procedimento per rendere una realizzazione pittorica
ripetibile all’infinito, o almeno fino a quando dura la matrice.
Vediamo di
fare un esempio: poniamo che voi una bella mattina vi mettiate in mente di
inventare un nuovo modo di fare surf. Prendete la tavola, la modificate, ci
aggiungete una vela e il modo di maneggiarla. Avete inventato il windsurf e ora
potete pure brevettarlo incassando le royalties.
Poniamo
invece il caso che abbiate inventato lo sci nautico: non c’è nulla di nuovo in
questo, basta avere una corda, un motoscafo e un paio di sci. Chiunque vedrà il
procedimento per lo sci d’acqua potrà riprodurlo senza fatica. E’ questo che
portò alla rovina Gutemberg, il quale con i caratteri mobili non solo ideò un
metodo ma per realizzare la sua idea si associò con un usuraio tedesco che
prima mise nella tipografia alcuni suoi parenti che si appropriarono della
tecnica, poi lo estromisero dall’attività riducendolo sul lastrico e
continuando ad usare il suo nome che a Magonza era diventato garanzia di
qualità.
Sei anni
dopo la costituzione della prima tipografia, il Gutemberg era già fallito,
aveva perso officina e attrezzature ed era tornato nell’ombra, ma il destino
gli aveva riservato l’immortalità attribuendogli la Bibbia delle 42 linee e
altre opere uscite dalla tipografia che portava indebitamente il suo nome.
Fino ad
allora il libro, che era un manoscritto scolastico
prodotto dagli studenti sotto dettatura, era un oggetto usato che veniva
venduto nei mercati che si tenevano alle porte delle città, come manufatto di
seconda mano. L’impatto con un oggetto nuovo, perfettamente riproducibile in
serie e con un prezzo fisso, portò all’evoluzione di questo commercio e
modificò pure il modo di pensare alla produzione in serie. La tipografia
infatti, per la prima volta, mostrò con la tecnica dei caratteri mobili, il
metodo per meccanizzare qualsiasi lavoro manuale ricorrendo alla frammentazione
e alla segmentazione dell’ azione totale. Se l’alfabeto aveva assegnato la
supremazia alla componente visiva, con la separazione dei gesti e del suono
dalla parola parlata, con la tipografia il fenomeno raggiunse livelli
d’intensità inediti. E se la xilografia aveva contribuito al diffondersi di
calendari, libri delle ore, preghiere e giaculatorie, ora non era più il tempo
della pietà ma del catalogo, perchè immagazzinare vuol dire mettere ordine,
capire e diffondere informazioni con una quantità crescente di dati sempre più
precisi fino a creare dentro la pagina scritta un mondo tridimensionale di
prospettive e punti di vista fissi, perchè l’intensa precisione visiva che
deriva dalla stampa è una forza esplosiva che riduce in frammenti tutto il
mondo percepibile.
Se
osservate un bassorilievo scolpito prima dell’avvento dell’alfabeto, o un
bastone o un totem o una zanna d’avorio incisa con figure mitiche, noterete
che, come nella xilografia medievale, non esiste uno spazio comune e razionale
dentro il quale ogni oggetto si inseriva con le dovute proporzioni. Con
l’avvento della stampa questi oggetti cessano di esistere in uno spazio da essi
creato, ma vengono “contenuti” in uno spazio uniforme, continuo e “razionale”.
Questo non vuole assolutamente dire che la stampa a caratteri mobili abbia
fatto scomparire la xilografia. Anzi, fu proprio la stampa che diede impulso
alle immagini proprio perchè bastano due righe a spiegare come funziona una
bottiglia ma tutte le parole del mondo non sono sufficienti per descrivere com’è fatta una bottiglia.
Senza le
illustrazioni non è possibile descrivere l’arte, le scienze naturali, la
meccanica. La xilografia e in seguito l’illustrazione si accompagnò alla stampa
tipografica fino ad assumere aspetti autonomi per evolversi nei fumetti, e in
seguito nella bassa definizione della televisione.
La stampa
a caratteri mobili fu la prima meccanizzazione di un lavoro complesso,
l’archetipo di tutte le meccanizzazioni, frammentazioni, omogeneizzazioni di
lavori futuri. L’esplosione tipografica estese voci e cervelli umani fino ad un
abbraccio globale che supera le tribù, le città medievali, i nazionalismi in un
dialogo mondiale che dal Medio Evo dura tuttora.
E’ curioso
notare come fino alla metà del Seicento, la stampa non suscitò nessuna voglia
di scrivere libri nuovi, ma solo quella di recuperare antichi autori e persino la
loro recentissima storia medievale e qui dobbiamo riscontrare il primo dei
problemi della memoria, e cioè che noi non siamo in grado nè di controllare nè
di modificare in qualche modo quello che verrà dimenticato, quello che verrà
recuperato e restituito con manipolazioni che facciano diventare “attuale” la
materia trattata, e nemmeno ciò che in nome di una cultura collettiva, verrà
recuperato nella sua integrità. Da qui le distorsioni e le manipolazioni nel
recupero della memoria.
Il McLuhan
si stupisce del fatto che chiunque studi la storia sociale del libro stampato
non abbia individuato gli effetti psichici della stampa, con l’estensione della
facoltà visiva, del punto di vista fisso, dell’illusione della prospettiva in
uno spazio visivo uniforme e preciso. Sul piano sociale essa generò i
nazionalismi, l’industrialismo, la produzione di massa, l’alfabetismo e
l’istruzione universale. Lo spirito
individualistico che spinse autori e artisti a esprimere l’espressione di se
stessi, indusse altri a creare grandi imprese commerciali e persino militari.
Forse
l’apporto più significativo della stampa sull’uomo medievale fu quello del
distacco e del non coinvolgimento, cioè dell’agire senza reagire emotivamente,
funzione che nell’era elettrica diventa un impaccio poichè oggi con l’avvento
dell’ informatica siamo tutti emotivamente coinvolti. La tipografia non fu
un’aggiunta all’arte dello scriba così come l’automobile non è un’aggiunta al
cavallo. Come tutti i nuovi media anche la stampa agli inizi fu causa di
equivoci, e non è raro che signorotti facessero comprare libri stampati per poi
farli ricopiare nelle sale dei propri castelli o monasteri senza capire che il
libro stampato era passato dall’essere un manufatto compilato da studenti, ad
un oggetto di massa che immagazzinava un’immensa memoria collettiva divenendo
esso stesso la prima macchina per l’insegnamento. L’aspetto più significativo
dell’uniformità della stampa fu la pressione esercitata per arrivare ad una
sintassi, ad un’ortografia, ad una pronuncia unformi e “corrette”. Ancora più
notevole fu la separazione della poesia dal canto. Se prima il manoscritto
veniva letto ad alta voce, ora con il punto di vista fisso era possibile
leggere i versi senza udirli, così com’era possibile suonare gli strumenti
senza che fossero accompagnati dalla parola.
Se
nell’era del manoscritto l’autore era vago e incerto, il suo pensiero forse
originale forse copiato da qualche altro autore non aveva importanza, come le
canzoni eseguite dai menestrelli. Con la stampa invece prese forma l’equitono,
il punto di vista cioè dell’autore, che parlava ad un pubblico con estrema
chiarezza, fuori dalle celle monastiche agendo e reagendo senza essere
coinvolto (E’ questa la potenza del Rinascimento e del pensiero di tutto
l’Occidente).
Senza il
distacco dell’azione dalle emozioni e dai sentimenti, gli uomini sono incerti
ed esitanti, e questo è lo specchio dei nostri tempi.
Aldo
Vincent
LA RUOTA
Prima
delle ruote i veicoli procedevano per trazione abrasiva, cioè con i pattini o
le slitte. Per ottenere la funzione della ruota, l’uomo dovette prima
completare il movimento semicircolatorio del fuso e del trapano a corda con
quello completo della ruota del vasaio. Sembra elementare che per trasportare
un tronco sia più semplice farlo rotolare che spingerlo ma questo movimento è
più vicino all’estensioni delle mani che fanno lavorare un fuso, e invece la
ruota è l’estensione del piede perchè in condizioni di sforzo è più naturale
frammentare e trasferire una parte della nostra forma corporale dentro un altro
materiale piuttosto che trasferire in un altro materiale i movimenti di oggetti
esterni. Tutta la tecnlogia può essere considerata lo sforzo per estendere ed
immagazzinare le nostre varie funzioni e tutti gli utensili sono l’applicazione
di questa tendenza tradotta in estensioni del nostro corpo.
La
reazione all’aumento di energia e di velocità dei nostri corpi estesi genera
nuove tensioni e nuovi bisogni negli esseri umani che l’hanno generato, con
nuovi bisogni e nuove risposte tecnologiche. E’ per questo che alla ruota, che
è lineare, fece da interfaccia la strada che con la ruota venne trasformata
dagli antichi Romani in arma da guerra. Anche oggi, qualsiasi tecnologia
avanzata è patrimonio militare da cui deriveranno applicazioni civili.
La ruota quindi
produsse la strada, accellerò lo spostamento delle merci dai campi ai villaggi
che diventarono città. Infatti la ruota comparve come carro da guerra e la
città si cinse di muri per difendersi dalle aggressioni. Quello che a prima
vista pare una “implosione” (infatti l’area circostante la città si svuota e i
suburbi urbani proliferano) in realtà è una incontenibile esplosione data da
centri urbani che grazie alla ruota si collegano con altri centri urbani
creando un tessuto di interrelazioni.
La tecnologia
è precisione e la ruota, la strada e il papiro estesero il potere da un centro
all’estrema periferia dell’impero che sottomise intere popolazioni, non solo
con la forza delle armi ma con l’implosione della struttura centralistica
urbana, della protezione della famiglia, la riunione di persone in appositi
centri per la discussione, il giudizio, il commercio. Per uscire dal mondo
magico e tribale della tribù e della famiglia, l’uomo cominciò ad operare nelle
città in forme cooperative, collaborative, collettive grazie alla straordinaria
espansione del potere fisico e delle applicazioni tecnologiche.
Secondo
alcuni specialisti il progresso tecnologico si fermò per secoli con la caduta
dell’Impero Romano e il disuso delle strade ma non è esatto. La ruota continuò
con i mulini ad acqua e rappresentò la forza motrice del Medio Evo. Con
l’invasione degli Avari l’Occidente conobbe la staffa ed i finimenti. Il
collare del cavallo permise il tiro a due e la costruzione di carri a due assi
rotanti e freni anteriori per il trasporto delle merci pesanti.
Osservando
invece alcuni tipi di ruota, potremmo forse dirci d’accordo con il McLuhan.
L’aereo,
per esempio, è un mezzo di trasporto che usa la ruota per una parte
infinitesimale del suo percorso (il decollo e l’atterraggio) per proseguire
come razzo vettore, la rivoltella e il fucile mitragliatore sono passati dal
giro del tamburo all’automatismo, il telefono ha perso il disco per formare il
numero sostituito dalla tastiera, l’orologio ha perso le lancette per il quadrante
digitale, il giradischi è diventato lettore Mp3, ecc.
Delle
grandi previsioni del McLuhan, quella della scomparsa dell’auto in tempi brevi,
è forse la meno precisa, forse perchè egli non tenne conto delle forze
dell’indotto che avrebbe permesso alla ruota dell’automobile di sopravvivere. In
realtà, non è certo la saturazione della tecnologia ad aver segnato la
decadenza dell’auto, ma la crisi energetica ed il lavoro a domicilio dovuto ad
internet che ha limitato i movimenti delle persone.
Aldo Vincent
I GIORNALI
Nell’editoriale
che scrisse Benjamin Harris inaugurando il 25 Settembre 1690 il primo
quotidiano di Boston, l’editore specificò che il suo giornale sarebbe uscito
una volta al mese: “ o anche più spesso, se ci saranno notizie...” sottolineando
la rudimentale certezza che il nuovo medium sarebbe stato una sorta di
correttore di voci o resoconti verbali nello stesso modo con cui un dizionario
fornisce l’ortografia e la dizione “corretta” delle parole già esistenti. Ci
volle poco per capire non solo che la notizia non è avulsa dal giornale ma che
il nuovo mezzo poteva raccoglierne (fu il telegrafo il vero catalizzatore di
notizie) ma poteva addirittura crearne in nome di quello che i direttori in
seguito chiamarono l’”interesse umano” che è poi ciò che accade quando una
serie di informazioni, cioè di differenti punti di vista anche in
contraddizione tra di loro, vengono ordinati in forma di mosaico su di un’unica
pagina trasformando il giornale in una sorta di confessione di gruppo che necessita
di una partecipazione continua e collettiva.
Se le
pagine del libro contengono la storia segreta delle elucubrazioni mentali
dell’autore, il giornale, proprio per la sua disposizione a mosaico e
indipendentemente dai contenuti, lascia intendere che quello che viene
riportato sia una sorta di storia segreta della comunità. E’ incredibile, per
quanto complicata sia l’amministrazione pubblica e i suoi derivati, di come
tutti i settori della politica abbiano immediata risonanza sui mezzi
d’informazione che danno l’impressione di adempiere alle proprie funzioni
proprio quando rivelano aspetti poco edificanti della cosa pubblica. Perchè una vera notizia è una cattiva notizia
e questo la politica lo sa imponendo ai suoi lavori una impenetrabile
segretezza da cui gli uffici stampa lasciano scientemente trapelare ciò che
serve alla propria fazione o che potrebbe danneggiare l’altra.
Man mano
però che l’elettricità aumenta la velocità dell’informazione, anche la politica
cambia con una tendenza ad allontanarsi dalla rappresentanza e dalla
delegazione degli elettori con il conseguente coinvolgimento diretto
dell’elettorato che partecipa in tempo reale al processo decisionale
influenzandolo come “opinione pubblica”. Succede così che capiti agli uffici
stampa di annunciare decisioni politiche PRIMA che esse vengano prese, per
saggiare la reazione del pubblico. Questo procedimento, abbastanza inevitabile,
scandalizza qualche vecchio giornalista mentre altri allegramente si lasciano
trascinare dal fenomeno contribuendo a “falsificare” gli avvenimenti.
Occorre
precisare che il giornale non ha la stessa funzione in Europa, in America, in
Russia o in Cina e la generale inconsapevolezza della natura del giornale e
della sua influenza subliminale o latente genera equivoci.
Nella
cultura europea, per esempio, esso è stato prevalentemente letterario, in America
invece si è evoluto prevalentemente come forma di business. Quando il telegrafo oltre che le notizie dalle varie
città americane cominciò a trasmettere anche le temperature e le condizioni del
tempo, ci si accorse dell’interesse che assumeva la metereologia, che insieme
al bollettino di Borsa, ai necrologi e alle inserzioni pubblicità diedero linfa
agli editori che cominciarono a farle pagare in rapporto alla tiratura. Si
pagava (e si paga) l’inserzione in base ai potenziali lettori che possano
leggerla.
Pure ai
nostri giorni è errato per esempio considerare la televisione come fabbrica e
messa in onda di programmi televisivi. In realtà la televisione ha accellerato
il processo iniziato dai giornali ed oggi è diventata un mezzo per aggregare
pacchetti di spettatori, ognuno dei quali differente dagli altri per scelte,
gusti, tendenze, e offrirle agli inserzionisti per promuovere prodotti sempre
più mirati.
Con questo
non si vuole dire che i giornali la radio e la televisione siano soltanto
canali d’informazione pagati da produttori di merci quali saponi, auto e
liquori. A mano a mano che l’automazione avanza ci rendiamo conto che la merce
primaria è l’informazione e tutti gli altri fenomeni sono accidentali anche se
con il loro luccicchio provocano il disorientamento tipico della pubblicità e
dello svago.
L’inserzionista
dei giornali in un regime democratico è diventato indispensabile all’economia
del giornale non solo per il suo contributo economico ma anche perchè in
contrapposizione alle “cattive” notizie pone i suoi messaggi rassicuranti che
altro non sono che “buone” notizie che equilibrano la comunicazione. Non accade
lo stesso nei regimi totalitari dove l’inserzionista è il regime che non ha
nessun interesse ad incrementare i consumi ma è proteso ad incentivare la
produzione. Vengono così cancellate le cattive notizie sostituite da record di
produttività, premi di laboriosità, indici di incrementi, ecc.
La televisione
ha modificato il modo di fare informazione, che se la radio lancia la notizia e
la televisione la illustra, al giornale non resta che l’approfondimento.
Pure i
settimanali illustrati dovettero modificare il loro modo di fare informazione.
Prima dell’avvento della televisione grandi settimanali come LIFE o il nostro
OGGI mostravano gli avvenimenti illustrandoli con almeno tre fotografie: una
panoramica, un insieme e un particolare a cui si aggiungevano le didascalie e
uno striminzito articolo d’approfondimento. La televisione, illustrando gli
avvenimenti anche in tempo reale, invecchiò fatalmente questo genere di
giornalismo e nacquero settimanali-tabloid come Newsweek, Time e il nostro
Panorama a cui fece immediatamente seguito L’Espresso che fino ad allora era
uscito con la forma del quotidiano. Queste nuove pubblicazioni non si
limitavano a offrire finestre sul mondo come le vecchie riviste illustrate, ma
presentavano una società in azione a cui il lettore era invitato a partecipare.
Se la vecchia rivista era un mezzo caldo per un usufruitore freddo e passivo,
le nuove riviste tabloid erano invece fredde e invitavano alla partecipazione.
Stiamo
assistendo ad un cambiamento dei giornali che sempre alla ricerca di incrementi
della loro tiratura (i lettori sono sempre quelli, aumentano le testate, da qui
la lotta) ci ritroviamo con i giornali americani che hanno via via perso il
tono sensazionalistico della stampa popolare (avvistamenti di camion sulla
luna, invasione di extraterrestri, vitelli a tre teste...) per approdare a toni
più letterari e d’opinione, mentre da noi si assiste sempre più ad uno
scivolamento delle notizie verso il pettegolezzo e il dietrismo.
Sbagliano
coloro che auspicano un più elevato tono letterario del giornale come se questo
potesse in qualche migliorare l’informazione. Sbagliano pure coloro che credono
ai proprietari dei giornali che dichiarano di lasciar pubblicare quello che
vuole il pubblico, perchè essi sanno benissimo che quello che conta non è il
contenuto del messaggio ma il possesso del mezzo d’informazione.
Aldo
Vincent
LA PUBBLICITA’
Definita
in modo brutale, la pubblicità è un rozzo tentativo di estendere i principi
della meccanizzazione all’intelletto umano ponendosi come meta ideale
un’armonia programmata di tutti gli impulsi, desideri e le aspirazioni della
società usando mezzi artigianali con il fine tutto elettronico di programmare
una sorta di coscienza collettiva.
Se per
assurdo riuscisse a far collimare la produzione con il consumo in un’armonia
programmata, ecco che essa sparirebbe, distrutta dal suo stesso successo.
Nel pieno
della polemica tutta europea sulla scientificità della psicoanalisi, Freud e
Jung furono invitati in America per un giro di conferenze per illustrare la
nuova disciplina.
Mentre
l’Europa polemizzava, l’America applicava questi nuovi principi, tanto che
prima di ripartire per l’Europa lo stesso Freud si accorse di cosa stesse
succedendo e scrisse una lettera allarmata in cui descriveva la tecnica tutta
americana di nominare un prodotto per radio associandolo con una canzone. La
ripetizione di questa accoppiata, faceva sì che dopo un certo tempo al pubblico
bastava ascoltare il motivo musicale perchè richiamasse alla mente il prodotto.
“Abbiamo
portato la peste su questo continente” dichiarò. Aveva scoperto uno dei
principi fondamentali della pubblicità e cioè che basta ripetere all’infinito
la più piccola unità modulare in modo rumoroso e ridondante per ottenere una
forma di memoria e persuasione, con fenomeni già riscontrati da Pavlov (i riflessi
condizionati) che sarebbero poi stati applicati con le tecniche del lavaggio
del cervello.
L’illustrazione,
che aveva accompagnato la stampa fino dai primordi, con la nuova tecnica della
fotoincisione, applicata alla fine dell’800, scoprì la funzione della
fotografia quale coadiuvante non solo dell’informazione, ma “aggiustata” dai
pubblicitari acquisì il carattere di icona onnicomprensiva. Le icone
raggruppano in una minuscola porzione di spazio una vasta area di esperienza
umana, tendono quindi a staccarsi dall’immagine del prodotto propria del
consumatore per l’immagine del processo cara al produttore. In quest’intreccio
addirittura si delinea il consumatore con funzione di produttore.Questo avviene
quando la comunicazione pubblicitaria è talmente satura per cui il prodotto non
conta più, ma conta una sorta di sistema di vita raggiunto con il consumo di un
certo prodotto. Per intenderci, non conta più dissetarsi bevendo Cocacola, ma
Cocacola è un marchio, con i suoi negozi, la sua distribuzione, che sforna
prodotti differenti il cui acquisto, un cappellino, un fazzoletto o una
maglietta, attestano la propria appartenenza al “mondo cocacola”.
Non c’è
nulla di più rassicurante che consumare prodotti con marchi conosciuti.
Negli anni
settanta si impose “la griffe” cioè il marchio di stilisti affermati che non
solo rassicuravano i propri consumatori firmando i capi di vestiario – che sono
la loro specializzazione – ma invasero il mercato firmando qualsiasi cosa,
dalle piastrelle alle tazze dei cessi, dalle carrozzerie ai profumi. Questa
sorta di garanzia data da una persona popolare o addirittura celebre, diede
impulso alla tecnica del testimonial, cioè di un personaggio famoso che
consumando un certo prodotto ne certifica la qualità.
La
pubblicità è una forma d’arte collettiva con cui menti eccelse e altamente
“creative”
usano
tecniche sempre più sofisticate per far vendere prodotti. In Occidente iniziò
con l’
Agorà laikì, antica tradizione
orientale della piazza prospiciente il Tempio dove si faceva il mercato, che
nella Grecia di Pericle divenne pure luogo d’incontri e di discussioni.
Il Tempio
era il luogo dove affluivano le persone da tutta la regione e la funzione della
pubblicità primordiale era quella di far conoscere il luogo dove erano disposte le merci da vendere oppure con le
insegne dei negozi. Camminando per Pompei oggi ci si imbatte in un’insegna che
ci illumina su detta funzione. Essa recita:
S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S
Che si
potrebbe leggere (la traduzione è controversa):
“L’artigiano
Arepo fa la manutenzione delle ruote” laddove la novità del messaggio non è
tanto l’annuncio bensì la forma, un palindromo complesso, che si ottiene in
qualsiasi direzione lo si legga, tipico proprio di un messaggio pubblicitario
che vuole attirare su di sè l’attenzione e persino stupire.
Con il
Medio Evo il mercato si teneva alle porte della città, nei pressi delle mura
perimetrali e l’incremento delle vendite si ebbe con la comparsa dei venditori
ambulanti che attiravano l’attenzione gridando per le stradine medievali le
qualità del prodotto, ne illustravano le proprietà, negoziavano il prezzo,
superavao le ultime obiezioni ed effettuavano la vendita, che se notate sono le
medesime fasi della vendita che vennero adottate dai venditori Fuller che in
America andavano porta a porta a vendere le spazzole dopo la crisi del 1929 e
che da noi vennero in seguito adottate negli anni ’70 dai venditori di enciclopedie
che tanto hanno camminato per la diffusione della lettura nel nostro Paese.
Come ogni
grattacielo è costruito sopra le proprie fondamenta, così la pubblicità è
costruita partendo dalle basi sopra descritte per presentarsi oggi come
comunicazione che riassume la fatica, l’attenzione, gli esperimenti, l’ingegno
e l’abilità di molte persone. Nel messaggio pubblicitario odierno confluiscono
maggiori riflessioni e cura nella composizione di qualsiasi articolo
giornalistico che appaia sulla medesima pagina.
Ogni
messaggio pubblicitario è la drammatizzazione più vigorosa dell’esperienza collettiva
di una comunità e l’insieme di detti messaggi è una inarrivabile accumulazione
di materiali sulle esperienze, paure e desideri di un’intera comunità, perchè
se la comunicazione pubblicitaria si allontanasse dal centro di queste
esperienze perderebbe tutto il proprio effetto afflosciandosi come un
palloncino rotto.
Se
analizzato consapevolmente, il messaggio pubblicitario appare quasi grottesco
nel suo servirsi delle esperienze basilari e più collaudate di una comunità per
ricreare un mondo omogeneizzato e esistente solo nell’immaginario collettivo,
con massaie bionde e ben pettinate, che rientrano a casa da attività ludiche (pure
se rientrano dal lavoro sono sempre radiose), dove le attendono bimbi
improbabili e mariti sorridenti, un poco come se la vita reale fosse riflessa
nello specchio d’Alice, una sorta di mondo virtuale a cui tutti aspiriamo nel
nostro inconscio inesorabilmente compromesso dal sonnambulismo pre-ipnotico in
cui ci siamo cacciati con il nostro alfabetismo.
E’
difficile che culture orali e tribali quali quelle emergenti, accettino
consapevolmente queste tecniche messe in atto per migliorare lo scambio di
prodotti e di servizi, ed ecco che la pubblicità si trasforma in propaganda, il
cui fine non è quello di incrementare i consumi ma di pianificare la produzione
e il mantenimento del potere. E’ questa una delle ragioni per cui il nazista,
tornato allo stato tribale grazie alla propaganda politica, si sentisse
superiore alla rimanente società di cosumatori.
La
pubblicità ha spostato la nostra cultura da ideali personali all’offerta di un
sistema di vita che è per tutti o per nessuno e questo con argomenti frivoli o
banali. E non importa se qualcuno dice: “La pubblicità? A me non importa perchè
non la guardo” perchè questi sono i sonnambuli massmediologici più pericolosi
per la comprensione del fenomeno.
Quando il
cinema degli Stati Uniti divenne un fenomeno d’esportazione, tutta la società
americana si riversò dentro la pellicola in un unico, continuo spot
pubblicitario. Si cominciò a distinguere tra le case dei buoni e dei cattivi,
le prime con sale da pranzo dentro le quali arrivava il protagonista e si
serviva da bere in bicchieri smerigliati, togliendo ottimo bourbon da bottiglie
parimenti smerigliate, mentre i cattivi aprivano un vecchio frigorifero in una
cucina angusta per bere direttamente dalle lattine della birra...
La stessa
funzione oggi viene svolta dalle telenovelas che ipnotizzano la civiltà
sudamericana (e non solo essa). Sono stato un testimone oculare a Cuba, paese
dichiaratamente contrario ai consumi, dove in una telenovela brasiliana “La
signora del destino” i buoni erano tutti bianchi e benchè fossero una famiglia
popolana, abitavano in una casa da qualche milione di dollari, vestivano come
modelli, consumavano prodotti sceltissimi. L’unico cattivo era un nero, tanto
cattivo che tutti tirarono un sospiro di sollievo quando venne ammazzato. Bene,
nella cucina di questo tizio, le pentole erano tutte ammaccate, nere di
fuliggine e accatastate in qualche maniera. Nella casa dei buoni, invece, le
pentole erano d’acciaio inossidabile, tutte linde e poste in ordine. Bene,
ricordo nella casa dove vivevo, che a poco a poco, con indicibili sacrifici
economici, la famiglia che mi ospitava cominciò a comprare pentole d’acciaio al
mercato nero, e ci volle poco perchè dette pentole comparissero anche nelle
“tiendes” dove si vendevano merci pagabili solo con CUC, la moneta speciale che
ha sostituito il dollaro.
A lungo
andare la pubblicità di dimostra una forma autodistruttiva di pubblico
divertimento, e se la ripetizione fino alla nausea di slogan tipo: “Potrete
finalmente stirare le camicie senza odiare vostro marito” può in un primo
momento imporre il prodotto, dopo un certo tempo perde la propria efficacia a
meno che non si inventi un’altra formula più ammaliante, più convincente, più
spettacolare per ribadire il concetto. Si sa che a lungo andare questa continua
iperbole diventa autodistruttiva ed ecco che la pubblicità ha inventato un
nuovo modo di comunicare: non più il consumo del prodotto, ma l’importanza della
fabbrica o meglio del LOGO da cui sono derivate le più recenti complicazioni,
dalla globalizzazione, al lavoro minorile nel Terzo Mondo, argomenti trattati
con estrema chiarezza da molti autori contemporanei.
(Una su
tutte: Naomi Klein e il suo celeberrimo NO LOGO)
Aldo
Vincent
Aldo
Vincent
McLuhan,
actualmente comparado con pensadores como Newton, Darwin, Freud, Einstein,
Pavlov, era un profesor de literatura inglesa que nadie conocía pero que un día
de 1964 volvió la atención de buena parte de los intelectuales sobre él cuando
publicó Understanding Media: The extensions of man (La comprensión de los
medios como extensiones del hombre)
Esa obra,
que desmenuzaremos más adelante, puso a McLuhan y sus ideas en el centro de los
debates sobre cómo afecta la tecnología las formas y la escala de la
organización social y la vida individual.
McLuhan
decía que su obra era una aproximación de campo en forma de mosaico para
estudiar cómo los medios reorganizan la percepción del mundo. Buenos ejemplos
son El Medio es el Masaje, un inventario de efectos y La Galaxia Gutenberg,
en el canadiense pone de manifiesto cómo los libros operan como medios, es
decir, cómo alteran la percepción con su irrupción social.
El
profesor McLuhan era absolutamente consciente de lo que hacía, de sus formas e
inventarios. Es por eso que nos invitaba a entrar en su obra como si fuéramos a
entrar en un baño de inmersión. Es decir, no importa por dónde entremos, pues después
de unos instantes ya nos vamos a haber sumergido en un nuevo entorno.
"En
América Latina no pocos académicos e investigadores de las ciencias de la
comunicación menospreciaron las tesis de McLuhan", comenta Octavio Islas.
Y explica: "El radicalismo althusseriano era la ideología que entonces
estaba de moda en escuelas de periodismo y comunicación. De acuerdo con esa
corriente teórica, inspirada en las tesis del pensador francés Louis Althusser
- tristemente célebre-, los medios de difusión colectiva estaban al servicio de
la burguesía, y destinados a garantizar la efectiva reproducción ampliada de la
ideología dominante y la reproducción ampliada de la calificación diversificada
de la fuerza de trabajo. Para algunos de los principales seguidores de Althusser
en América Latina, como el destacado investigador mexicano Javier Esteinou
Madrid, en las formaciones capitalistas más avanzadas, los medios de difusión
colectiva habían alcanzado la condición de aparatos ideológicos hegemónicos,
desplazando a un segundo plano a la familia y escuela en la tarea de garantizar
la efectiva reproducción ampliada de la ideología dominante y la reproducción
ampliada de la calificación diversificada de la fuerza de trabajo" (...)
"La descalificación de todo esquema interpretativo contrario a las tesis
del “althusserismo”, particularmente aquellas tesis que fueron estigmatizadas
como planteamientos de corte "funcionalista", adquirió el carácter de
constante en la enseñanza de las ciencias de la comunicación en muchos países
de América Latina".
Antes de
avanzar más resulta pertinente que comentemos brevemente cuál era la formación
de McLuhan, que puede leerse en las notas al pie de sus libros, siempre citando
a los grandes de la literatura, como Joyce o Shaquespiare.
Nació en
1911 en Canadá y se recibió de Bachiller en Artes en 1933. Tres años más tarde
se graduaría en literatura inglesa en la Universidad de Cambridge, en Inglaterra.
Para saber
más de McLuhan deberíamos investigar y leer a los poetas y simbolistas franceses
de fines del Siglo XIX, a James Joyce –especialmente su Finnegans Wake- y al
poeta, estudioso de la cultura T.S. Eliot y el panfletista y satirista inglés
Thomas Nashe porque ellos fueron buena parte de sus influencias para inventar
nuevas formas de pensar los sentidos.
McLuhan
fue discípulo de I.A. Richards uno de los pioneros en la crítica literaria
centrada en el sentido de las palabras en relación a cómo se utilizan. McLuhan
se formó con la tradición literaria que sostiene que las palabras no tienen un
sentido único, fijo, invariable ni independiente de sus usos. McLuhan deploraba
la superstición del significado correcto, superstición sostenida increiblemente
aun en algunos claustros académicos y elitistas.
Sabemos que no es posible el pensamiento sin el lenguaje.
Pero la relación de las palabras con el pensamiento aun nos enreda en
discusiones. I.A. Richards sostiene en el libro The Meaning of the Meaning –El
sentido del sentido- que el pensamiento debía tener bajo su control a las
palabras –no al revés- decidiendo el sentido a partir del contexto. Esta idea
es tomada por McLuhan en la
Comprensión de los medios como extensiones del hombre, donde
explica que todos los medios son metáforas activas para traducir la experiencia
en formas nuevas. La palabra hablada fue la primera tecnología mediante la cual
fuimos capaces de tomar distancia de nuestro entorno para poder leerlo de una
forma nueva, distinta a la que veníamos haciéndolo.
En ese
sentido del sentido hay comprensión, en ese sentido hay traducción, tal como lo
expone McLuhan en el capitulo Los medios como traductores en el libro La Comprensión de los
medios.
McLuhan
tuvo el perfil que nos interesa particularmente. Es decir, aquel perfil que no
aparta la practica de la teoría porque ve en la primera el corazón de la
segunda. Posiblemente por esa razón fundó la revista Explorations en 1953 y en
1955 una alocada compañía como Consultores de ideas –Idea Consultants- que
ofrecía servicios de asesoramiento creativo para la innovación en los negocios.
En medio
de tanta exploración y experimentación, como imaginamos, hubo de todo, desde
proyectos inviables como luces para las cortadoras de césped y estufas y
hogares tridimensionales hasta envases de aluminio y de cartón para bebidas,
cenas dietéticas congeladas, utensilios para el baño en cápsulas descartables y
las precursoras fuentes de televisión, que era lo que hoy conocemos como
videocasets.
A mediados
del Siglo XV Johannes Gutenberg inventó los tipos móviles que después hicieron
posible la imprenta. ¿Qué se pregunta McLuhan, entonces? Sobre las clases y las
escalas de cambios que acarrea la tecnología. La imprenta en este caso.
Para
McLuhan el primer efecto de la irrupción de la imprenta es el comienzo del fin
de la cultura manuscrita. Pero por otro lado mecanizó la escritura y socializó
la publicación y extendió sin precedentes la circulación de conocimiento.
“La
invención de los tipos móviles de Gutenberg forzó al ser humano a comprender en
forma lineal, uniforme, concatenada y continua“ sostiene McLuhan y explica que
esa estructuración del pensamiento, en un sentido incluso más material, la
pagina escrita, los bordes, los margenes, los renglones, todo eso estructura
trajo consigo una nueva forma de pensar el espacio. Y como ya podemos sospechar
esta nueva percepción del espacio afecto en distintos planos de la organización
social.
Entonces
tenemos nuevas tecnologías que modifican nuestras formas de pensar. Nuevas
formas de pensar que modifican las tecnologías. Un reordenamiento de la percepción
una reestructuración de los sentidos que cambia la forma que percibimos nuestro
entorno. Así, y en palabras de McLuhan, el pensamiento lineal produjo en la
economía la linea de montaje y la sociedad industrial, en la ciencia, en la
física particularmente, las visiones newtoniana y cartesiana del universo como
un mecanismo en que es posible localizar un suceso en el tiempo y en el
espacio. En el campo de las artes visuales la perspectiva fue afectada por el
pensamiento lineal, y la literatura con la narración de cronológica es un
ejemplo sensacional para comprender estas traducciones de la tecnología en la
producción cultural.
Desde el
principio McLuhan tuvo algo claro, que se lo adjudica a Blake. Y esto es:
cuando varía la proporción entre los sentidos, el hombre varía. Y la proporción
de los sentidos cambia cuando cualquiera de ellos o cualquier forma corporal o
mental se exterioriza en forma tecnológica. Se extiende.
Precisamente
las extensiones son clave. Lo que se extiende ya está en nosotros, alguna de
nuestras facultades físicas o psíquicas. Porque, en los 60, mientras todos
pensaban los medios como fuentes, a McLuhan se le ocurrió pensarlos como
extensiones, producto retroprogresivo de una idea suya más amplia de la
tecnología y de categorías nuevas para pensar los modos que en formamos a la
tecnología y en la que ella nos forma.
Entonces
para McLuhan la ropa es una extensión de la piel, así como la ciudad es una
extensión colectiva de nuestra piel y la rueda una extensión primitiva del pie,
tal como hoy lo es el auto o la bicicleta. Las casas y departamentos McLuhan
los pensó como extensiones de los mecanismos de control de la temperatura del
cuerpo.
Pero lo
revolucionario del pensamiento mcluhaniano se hace evidente cuando sale a la
carga con que el libro es una extensión del ojo, la TV es la extensión del tacto y
las computadoras la extensiones de nuestro sistema nervioso central.
Lo que
exasperó a más de un académico es que McLuhan desarrollara todas estas
categorías reconociendo que carecía de una teoría formal detrás de todas ellas.
De hecho, McLuhan llegó a comparar su obra con el trabajo de un violador de
cajas fuertes. Decía que al principio no sabe qué hay dentro pero que su
táctica simplemente se trata de enfrentarse al problema y ponerse a trabajar.
“tanteo, sondeo, escucho, pruebo, hasta que los cerrojos ceden y puedo
entrar’’.
Sí hay dos
constantes en la obra de McLuhan. Una es que siempre el punto de vista es
móvil, no se embarca en teorías monocausales y la multiperspectiva es su plan.
Y la otra constante es que no se apoya en una estructura lineal. Esta
característica la llevó al extremo en El medio es el masaje. Un inventario de
efectos.
Los
medios, las tecnologías extienden. Pero también amputan dice McLuhan. Y esa
idea de amputación la mencionamos ahora porque más adelante nos va a hacer
clave para comprender Las leyes de los medios. Para McLuhan la amputación es
inevitable. Según que las leyes de los medios que elaboró junto a uno de sus
hijos, Eric, toda tecnología que extiende amputa otra facultad y hace caducar
la función de otro medio. Pero esto lo dejamos ahí que luego lo retomamos.
McLuhan,
carecía de método formal o académicamente aprobado pero siempre hacia sus
observaciones con dos preguntas clave: ¿hasta qué punto los seres humanos
dependen de un sentido más que de otro? Y ¿Qué sucede cuando la proporción de
los sentidos se modifica? Esta segunda pregunta tiene que ver con la idea
mcluhiana de que la relación entre nuestros sentidos se modifican, alterando
sus proporciones –y nuestra percepción- a partir de la emergencia de nuevos
medios.
Claramente
una de las preocupaciones de McLuhan es el cambio, la transfiguración de los
entornos a partir de la irrupción del medio eléctrico ante el medio impreso.
Poniendo
el acento en ese eje de análisis, Lewis Lapham ha presentado una comparación
sintética de las afirmaciones de McLuhan acerca de los medios impresos y
electrónicos:
Entonces:
el medio
impreso: visual, mecánico, secuencia, composición, ojo, activo, expansión, completo,
soliloquio, clasificación, centro, continuo sintaxis, expresión individual,
hombre tipográfico
el medio
electrónico: táctil, orgánico, simultaneidad, improvisación, oído reactivo,
contracción, incompleto, coro, reconocimiento, de patrones, margen,
discontinuo, mosaico, terapia de grupo, hombre gráfico
Uno de los
aforismos más conocidos y con el que se sintetiza a McLuhan casi siempre es: el
medio es el mensaje. Con esta afirmación, McLuhan nos plantea varios problemas,
porque tenemos que redefinir qué es el medio y qué es el mensaje, por qué uno
en tanto otro. Esto es desde el principio un problema porque McLuhan ha hablado
de los medios en un sentido muy amplio, poco especifico.
Tenemos
varias formas de pensar la idea "el medio es el mensaje", ya
avanzaremos con ellas a partir de la relectura que hace Scott Lash en Crítica
de la Información,
pero lo que tenemos que dejar claro, porque de eso se encargó McLuhan es que si
entendemos al mensaje solo en términos de contenido o información soslayamos la
lectura clave para comprender a los medios, que es la que intenta pensarlos en
relación a su poder para modificar el curso y funcionamiento de las actividades
y relaciones humanas.
Lo
importante para nosotros es que la inestabilidad en que McLuhan sumerge a un
abanico de categorías e ideas sobre los medios, sobre el hombre, nos ponen de
prepo a pensar y a revisar viejos conceptos.
El
supuesto mcluhaniano de que el medio es el mensaje tiene también anclaje en el
debate entre apocalípticos e integrados. Porque un bando y el otro coinciden en
que el medio es el mensaje, y se desencuentran en la lectura que hacen de sus
consecuencias. Mientras los apocalípticos ven, ante la explosión de los medios
y la expansión de las sociedades mediaticas, la amenaza narcótica y el fin de
la historia, los integrados, como McLuhan, ven el comienzo de una nueva fase
histórica, el nacimiento de un hombre nuevo. Unos ven el fin de la razón, otros
la emergencia de una nueva sensibilidad.
Con estas
ideas empezamos, y la semana que viene nos dedicaremos exclusivamente a Las
leyes de los Medios. La
Nueva Ciencia, de Eric y Marshall McLuhan.
El medio
es el mensaje: tabaneando con McLuhan
Si el
medio es el mensaje…el mensaje es el medio???… pero entonces si el medio no es
el medio, sino que es el mensaje y el mensaje no es el mensaje, sino el medio…
como es posible hablar de medio y de mensaje como entidades diferenciadas??
El
problema amaga con devorarse a si mismo puesto que parece estar afirmando que
medio y mensaje son una misma cosa, aniquilando así los propios términos que
componen la frase. Convirtiendo la explosiva y estimulante contradicción
inicial en un mero caso de onanismo mental, de alguien que se divierte
haciéndole creer a los demás que está diciendo algo original cuando en verdad
no dice nada.
Estamos
convencidos de que esto no es lo que ocurre con Marshall McLuhan.
McLuhan
sostiene que cada cultura desarrolla una cierta configuración sensorial en
función de los medios imperantes en la misma. Así, en una cultura oral la
estructura del sensorium humano estará dominada por el sentido del oído. De la
misma forma que la vista adoptará un papel central en las culturas
tipográficas.
SPIONAGGIO RUSSIA USA
Hasta ahí
no pareciera McLuhan estar afirmando nada demasiado importante, sino
simplemente que según el ambiente mediático en el que me encuentre inmerso seré
más o menos visual o auditivo.
Pero lo
interesante es que, para este canadiense profesor de literatura, la
configuración sensorial obtenida de la interacción del hombre con sus
extensiones tecnológicas no solo afecta el orden de la sensibilidad sino
también las propias estructuras del pensamiento, es decir, la concepción que
este tiene del mundo y de si mismo.
Así
planteada la cuestión el hombre crea tecnologías que al mismo tiempo recrean un
cierto tipo de hombre.
En esta
concepción no instrumental de la tecnología, embanderada por McLuhan a partir
de la afirmación de que los medios son extensiones del hombre, subyace una
antropología que corre al sujeto de la centralidad absoluta en el mundo. Dando
lugar a pensar al sujeto como maquinal y a la tecnología como humana.
Scott Lash
nos arroja un manto de claridad sobre este tema cuando, en su Crítica a la
información, nos dice: “A su juicio (el de McLuhan) el sujeto no sólo está en
el mundo con la tecnología; en su antropología mecánica, está fusionado con
ella. En la fenomenología, el sujeto intencional tiene un status diferente del
objeto. Por eso en Heidegger la estructura ontológica del Dasein es enormemente
distinta de la estructura ontológica de otros entes. En la estructura
tecnológica inmanentista los sujetos y los objetos convergen en su estatus
ontológico: los primeros tienen, por así decirlo, movilidad descendente, y los
segundos, movilidad ascendente. Para McLuhan, sujetos y objetos se fusionan”.
EL MEDIO
ES EL MENSAJE POR QUE EL MENSAJE NO ES EL MEDIO
Para
empezar a desentrañar la confusión en la que nos vimos enredados al comienzo de
este escrito, o para sumergirnos más despabiladamente en ella, diremos que el
medio es el mensaje justamente por que el mensaje no es el medio. Cómo es
eso????!!! Hacia allí vamos.
El medio
es el mensaje: El arte de estar inmerso.
Creemos
acertado señalar que en la máxima macluhaniana pueden leerse dos acepciones
que, por sus distintos niveles de inscripción, son complementarias entre si.
La primera
de ellas está relacionada con el impacto que cualquier medio produce tanto en
los individuos como en las formas en que estos se asocian.
MANDARE UNA LETTERA NELL 800
e un e-mail oggi
Esto es,
lo radicalmente importante (léase, aquello acerca de lo cual un estudioso de
los medios no puede dejar de preguntarse) son los “cambios de escala, de pauta,
de paso de ritmo que cualquier medio introduce en los asuntos humanos”. Al
decir de McLuhan, “el ferrocarril no introdujo en la colectividad humana el
movimiento, el transporte, la rueda o el camino, pero sí aceleró y amplió la
escala de las funciones humanas que acabamos de mencionar, creando clases
totalmente nuevas de ciudades y nuevas especies de trabajo y diversión”. Y a
renglón seguido agrega, “por otra parte, al acelerar el transporte, el
aeroplano tiende a disolver las formas urbanas, políticas nacidas del
ferrocarril, con absoluta independencia de aquello para lo que se use el
aeroplano”.
Esta
primera definición pone el acento en el medio como agente a nivel sociológico.
Es decir, como promotor de cambios de escala y aceleraciones que impactan en
las pautas de organización de las sociedades humanas.
La segunda
definición apunta a señalar la dinámica entre cada nuevo medio y sus
predecesores. Así, según Mcluhan, el contenido de cualquier medio es siempre
otro medio: “El contenido de la escritura es el habla, del mismo modo que la
palabra escrita constituye el contenido de lo impreso y lo impreso es el
contenido del telégrafo”.
Claramente,
esta última acepción se inscribe en un terreno mediamórfico. Es decir, señala
un patrón de comportamiento de los medios en su desarrollo e interrelación.
Ambas
definiciones atentan directamente contra la idea de continente-contenido
aplicada a los medios. La primera, haciendo implosionar la díada al afirmar que
es el medio mismo y los cambios que introduce a nivel social, y no el “mensaje”
vehiculizado a través del medio (el ya famoso entre lo comunicólogos “dice qué”
del modelo de Lasswell), lo que debemos tomar como signo, como “mensaje”. La
cosa se grafica más o menos así:
SIGNO=MENSAJE, MEDIO=SIGNO, MENSAJE=MEDIO…
EL MEDIO
ES EL MENSAJE.
La segunda
definición, por su parte se sirve de los términos continente-contenido
diciéndonos: si vamos a hablar de contenido como aquello que un medio alberga
en su interior, de ninguna manera debemos reparar en lo que se dice a través de
este (lo cual no nos señala nada acerca de las características del medio); sino
que debemos analizar qué formas tecnológicas anteriores el nuevo medio ha
absorbido. Desmenuzando un poco la cuestión, esto sería:
MENSAJE=CONTENIDO, CONTENIDO=MEDIO, MENSAJE=MEDIO…
EL MEDIO
ES EL MENSAJE
Ahora
bien, en las antípodas de McLuhan, los que pretenden dar cuenta del impacto de
los medios a partir de los análisis de contenido (entendiendo por contenido lo
que se dice a través del medio), identifican a aquel con los mensajes que
“transporta”. Pero en ese caso la identificación no resulta para nada virtuosa,
siendo, por el contrario, producto del indeseable sonambulismo tecnológico tan
fervientemente denunciado por nuestro autor.
El mensaje
es el medio: El ostinato alfabético.
Tal
sonambulismo se identifica con la mentalidad alfabética (la ABCDEmindness como
la llama Mcluhan) la cual se encuentra en una posición similar frente a los
medios a la de aquel “marinero que se sume en el abismo y especula sobre la
estructura del gigantesco torbellino, mientras éste lo engulle
ineludiblemente”. Con el simpático agregado de que cree que puede sustraerse a
su influencia, ignorando que “los efectos de la tecnología no se dan al nivel
de las opiniones o los conceptos sino que cambian las proporciones de los
sentidos o las pautas de la percepción”.
La miopía
mediática que no ve que no ve los cambios profundos que cada medio introduce, y
confunde la hondura de sus caracteres con la superficie de sus contenidos, ha
quedado al descubierto con la aparición de la luz eléctrica.
Mientras
los estudios de contenido anuncian EL MENSAJE ES EL MEDIO, la electricidad se
les cuela por el punto ciego.
Es que
para McLuhan prestarle atención a los contenidos es una pérdida de tiempo???
No, de ninguna manera. Es obvio que la televisión sin contenido o el cine sin
films que proyectar no constituirían medio alguno. Como bien señala
Piscitelli:“…muchas computadoras murieron porque fueron, por limitaciones de
software o de hardware, de reciclarse para la conexión a Internet. En síntesis,
el contenido es esencial al medio y a la existencia del medio”. Pero centrar la
atención solo en los contenidos es pasar por alto cambios que calan mucho más
hondo y que serán los que verdaderamente nos orienten en la tarea de dilucidar
el tipo de proceso en el que estamos inmersos.
La
electricidad, nos dice el autor de La galaxia Gutenberg, que es el primer medio
de comunicación sin “mensaje” (aquí nuevamente hablamos de mensaje en el
sentido de lo que se dice a través de…), ha pasado inadvertida frente a los ojos
del analista incauto, quien al mismo tiempo que se pregunta por el “dice qué”
queda enredado en la telaraña del nuevo ambiente tecnológico.
Vemos
entonces como, mientras que en McLuhan es el medio el que reclama que se le
preste atención como mensaje en si mismo, en los estudios de contenido es el
mensaje el que se disfraza de medio.
Como no
podía ser de otra manera el final de este post termina por el medio… Coda: El
medio es el mensaje por que el mensaje no es el medio.
Las leyes
de los medios
La nueva
ciencia. (Perdón ¿Qué es lo científico?)
Las leyes
de los medios. La Nueva
Ciencia, es un libro de Marshall McLuhan y de su hijo Eric,
que incluimos como bibliografía para este cuatrimestre de TDCI, porque nos
viene muy bien para pensar las tecnologías, para, como nos dicen los autores,
identificar propiedades y las acciones ejercidas sobre nosotros mismos por los
tecnologías y los medios.
Se trata
de cuatro leyes empíricas, un medio practico para percibir la acción y los
efectos de las tecnologías.
Como ya
comentamos, McLuhan fue muy resistido por la academia, según él porque después
de dormir durante 500 años era lógico que los intelectuales se molestaran
cuando él y sus preguntas y sus nuevas formas de conocer los apuraban.
Pero a
decir verdad los editores de McLuhan, luego que publicara La comprensión de los
medios como extensiones del hombre, le sugirieron una reedición del libro,
menos ríspida y discontinua, con una reelaboración mas científica de sus ideas.
Entonces
la gran pregunta era como sistematizar científicamente las ideas de La
comprensión de los medios como extensiones del hombre, sin apuntar tanto a
irritar al lector como a encajar en el canon académico.
Como bien
advierte Piscitelli en sus Ensayitis "en epistemología el estilo es la
obra" (...) "lo que parecía una discusión de estilo se tradujo en el
caso de McLuhan y de otros impenitentes que vemos aparecer varias veces a lo
largo de nuestras excursiones conceptuales en una cuestión de estilo...
epistemológico. Lo que se le cuestionaba a McLuhan no es muy distinto -aunque
el arco de la epistemología que ocupan aparezca en otras latitudes- que lo
siempre se le cuestiono a Michel Foucault, a Francisco Varela a Fernando Flores
a Ludwig von Bertalanffy, a Gregory Bateson y a Thomas S.Kuhn, y a muchos otros
pensadores que seguramente Horacio Gonzalez y Tomas Abraham no dudarían en
coleccionar bajo el paraguas de los pensadores bajos, discolos, bulimicos o mas
seguramente apostatas".
Así las
cosas, tal como nos cuenta Eric McLuhan su padre se encargó de averiguar cómo
transformar aquel libro mosaico en un libro científico. Y se dedicó durante
meses a entender qué era lo científico, hasta que dio con Karl Poper: algo
científico es algo planteado en tal forma que se pueda refutar.
Eureka.
McLuhan comenzó por preguntarse ¿Qué afirmaciones podemos hacer acerca de los
medios de información que cualquiera pueda a poner a prueba -confirmar o
refutar- por sí mismo? ¿Qué tienen en común todos los medios informativos?
Así fue
como se encontraban cada vez mas cerca de aquello que después dirían, que todo
lo que el hombre hace, cada procedimiento, cada estilo, cada artefacto, cada
poema, canción, pintura, aparato, herramienta, teoría, tecnología, manifestaban
cuatro dimensiones de funcionamiento y emergencia.
Padre e
hijo trabajaron sobre La comprensión de los medios como extensiones del hombre
y rápidamente vieron las cuatro constantes, las cuatro leyes. Para ser más
precisos, estuvieron seguros al principio de tres y luego darían con la cuarta.
A fin de
comprenderlas mejor, deberíamos plantear las leyes más como preguntas que como
afirmaciones, siendo más fiel a cómo McLuhan las pensó.
- ¿Que
EXTIENDE?
- ¿Qué
vuelve OBSOLETO?
- ¿Qué
RECUPERA?
- ¿En qué
REVIERTE?
Las leyes
La primera
y más obvia fue la EXTENSIÓN,
(extensiones del hombre, tal como el subtitulo del libro). Cada tecnología
extiende una facultad física o psíquica del hombre. La idea de extensión
también podría ser reemplazada según el caso por aumenta, refuerza,
intensifica, acelera, hace posible.
Ejemplos:
La
perspectiva en el dibujo, la pintura, y la fotografía intensifica el punto de
vista singular
La
fotocopiadora posibilita la reproducción de textos a gran velocidad
La
heladera aumenta la disponibilidad de alimentos
La segunda
ley es la
OBSOLESCENCIA. Cuando un medio extiende una facultad física o
psíquica partes del entorno de lo extendido se vuelven obsoletas. Dado que hay
un equilibrio en la sensibilidad, cuando un área de la experiencia se
intensifica o eleva otra queda disminuida o embotada.
Ejemplos:
La
heladera volvió obsoleto el trabajo del hielero
El
automóvil reemplazó al caballo, y cambio los usos de los establos, herreros,
talabarteros, fabricantes de monturas. También el automóvil vuelve obsoleto al
pie, no en forma definitiva pero sí mientras se conduce, a tal punto que el pie
queda solo disponible para las funciones que le demanda el auto -frenar,
acelerar- al punto de perder, también temporalmente, su función sustancial, la
de permitirnos caminar.
La tercera
ley es la RECUPERACIÓN
A partir
de cada nueva tecnología que se incorpora en la sociedad, que extiende nuestros
sentidos, anteriores estructuras y entornos o antiguas formas de acción,
organización social y pensamiento reviven, se recuperan.
Ejemplos:
El
feminismo recupera la identidad colectiva de la sociedad matriarcal.
La
perspectiva en la pintura recupera la especialización en la alta definición.
La pipa
recupera el viaje interno contemplativo (Kant!)
La cuarta
ley: REVERSIÓN. Cuando una tecnología se lleva al limite, cuando los medios de
sobreextienden, en palabras de McLuhan "cuando son sobrecalentados",
pueden emerger características opuestas a las originales o generar una función
opuesta a la pretendida. Cada forma, llevada al limite de su potencial,
invierte sus características.
Ejemplos:
Demasiados
autos congestionan las autopistas, y la velocidad y seguridad
que
aportaban originalmente, superadoras a las del caballo se ven
revertidas.
La
hermenéutica revierte la oscuridad
Con la
forma de diagrama llamado tetrada, las cuatro leyes pueden verse del siguiente
modo:
EXTENSIÓN
| REVERSIÓN
RECUPERACIÓN
| OBSOLESCENCIA
La tetrada
de efectos de las tecnologías no presenta un proceso secuencial sino cuatro
procesos simultáneos. Los cuatro aspectos son inherentes a cada tecnología
desde el principio.
Extensión
y obsolescencia se vinculan como acción y reacción. La obsolescencia es
consecuencia directa de la extensión. El proceso de recuperación, en general,
se da después. No sucede lo mismo con la recuperación y la reversión. Y un
medio solo revierte porque se ha llevado al limite. Comenta Piscitelli al
respecto: "Para poder percibir estas sutilezas debemos recordar una y otra
vez la mecánica de funcionamiento de las tetradas y como son a la vez una
heurística y una taxonomía, una forma de descubrir y una forma de acumular
intuiciones, información y perspectivas. Las tetradas no funcionan
secuencialmente. No se trata de que un medio primero EXTIENDA, después
REVIERTA, después OBSOLESCA y finalmente RECUPERE. En los hechos todo pasa al
mismo tiempo y el recorte como siempre lo pone el observador".
Y una
aclaración practica para no hacernos trampa: A la tétrada entramos por donde
queremos, no hay entrada desacertada, pero el inicio establece cierta matriz
lógica de pensamiento. Esto es para evitar disponer las mismas estructuras en
varias leyes, y para explicar por qué podemos obtener distintas lecturas.
Las
cualidades complementarias de las leyes de los medios de McLuhan pueden
observarse cuando se las toma en pares, sean horizontales, o verticales. Por
ejemplo: el alcohol extiende la energía pero revierte en depresión. El auto
extiende la privacidad individual pero revierte la privacidad colectiva de los
atolladeros de transito. El micrófono vuelve obsoleto el espacio privado y lo
revierte en espacio colectivo.
El ejemplo
que pensó Piscitelli:
La birome
o pluma fuente con su reservorio autocontenido de tinta EXTIENDE el tiempo de
escritura continua, eliminando -OBSOLESCIENDO- la necesidad de mojar la pluma
en la tinta. El Mensaje del medio es que, el cambio que hace posible tal
capacidad nueva, es la habilidad de EXTENDER la expresión del pensamiento
continuo, sin pausas.
Sin
embargo cuando tal capacidad se EXTIENDE mas allá de un limite razonable, la
libertad de expresión REVIERTE en la verborragia, en el agarrotamiento de la
mano. Algo que dejo atrás la
OBSOLESCENCIA de la recarga permanente de tinta. Justamente
por no tener que mojar permanentemente la pluma, las pausas a las que obligaba la OBSOLESCENTE pluma
anula las periódicas interrupciones en el flujo de pensamiento que promovían la
contemplación y la reflexión mental. Así inesperadamente la birome RECUPERA un
aspecto de la escritura en arcilla.
Dada su
portabilidad y longevidad, la birome OBSOLESCE la necesidad de recurrir a la
memoria permitiendo un registro preciso e indeleble de los hechos. Esta
precisión RECUPERA la noción de los escribas. La tetrada así obtenida no tiene
ningún orden preciso de lectura o recorrido. Ya que cualquiera de los elementos
consignados puede actuar como disparador o catalizador de mayores y mejores
análisis.
Hasta acá
llegamos... Haremos un práctico con la red como objeto.
Ahh sí,
¿Leyeron los diarios, últimamente?
Para saber
más:
La era
McLuhan
Octavio Islas
What is Media Ecology?
http://www.media-ecology.org/mecology/
"Marshall
McLuhan y Arturo Jauretche: Trazando un Paralelismo entre Re-tribalización y
Barbarie"
Por
Laureano Ralón y Cristina Eseiza
http://weblog.educ.ar/educacion-tics/archives/003583.php
The McLuhan.ca web site
http://www.mcluhan.ca/
http://www.marshallmcluhan.com
Blog What is The Message?
http://www.mcluhan.utoronto.ca/blogger/blogger.html
Las
extensiones de los medios en el filme "Videodrome de David Croneneberg (I)
http://www.henciclopedia.org.uy/autores/DiazBouquillard/Cronenberg.htm
Las
extensiones de los medios en el filme "Videodrome de David Croneneberg
(II)
http://www.henciclopedia.org.uy/autores/DiazBouquillard/Cronenberg2.htm
¡Actores,
un paso más!
Carlos
Atanes
http://www.henciclopedia.org.uy/autores/Atanes/Actores.htm
Inteligencia
conectada. Derrick De Kerchove en educ.ar
Por Pablo
Mancini y Virginia Avendaño
http://weblog.educ.ar/educacion-tics/archives/002410.php
Recursos
del Espacio de innovación docente de educ.ar
Sobre la
cultura letrada y la estructura de pensamiento relacionada con la imprenta o la Galaxia Guttenberg:
Interpretar,
hipotetizar, inferir, deducir
Sobre la
cultura pos-letrada y los posibles nuevos modos de pensar, concebir, imaginar,
que surgen en relación con la primacía de los medios electrónicos:
¿Visión no
alfabética vs. Homo Videns?
Referencias:
McLuhan
para principiantes, W. Terence y Susan WillMarth
Análisis
de Marshall McLuhan, Naim Kattan, Jean Baudrillard, Edgar Morin, Paul Riesman,
Tom Nairn, Gabriel Cohn
El medio
es el masaje. Un inventario de efectos.Quentin Fiore y Marshall McLuhan
Las leyes
de los Medios.Marshall y Eric McLuhan
La
comprensión de los medios como extensiones del hombre. Marshall McLuhan
La galaxia
Gutenberg. Marshall McLuhan
También
publicado en Dialógica, el potrero de weblogs rosarino
Enlace
permanente
Comentarios
El
pensamiento de McLuhan, desconsiderado o combatido desde diversas posiciones
académicas, resiste el paso del tiempo y anticipa muchas de las claves que
enunciaron y describieron, décadas después, la sociedad de la información. Su
análisis de los usos y aplicaciones de la tecnología y su impacto sobre los
modelos y hábitos sociales se ha mantenido a través de una estela de
neo-mcluhianos, entre los que cabe destacar a Derrick De Kerckhove.
Publicado
por: Claudia el Marzo 21, 2006 08:52 PM
Dentro de
la concepción mcluhuniana, he aquí un planteamiento central:
“Todos los
medios son prolongaciones de alguna facultad humana psíquica o física”. La
rueda, el libro, la ropa, el circuito eléctrico prolongan respectivamente al
pie al ojo a la piel y al sistema central. Cuando cada sentido o facultad se
exterioriza, constituye un sistema cerrado.
Es
habitual que la mayoría de nosotros pensamos en los medios como fuentes que nos
brindan información, es decir la prensa, la radio y la televisión. Pero Mcluhan
tenía su propia concepción acerca de ellos. Para el cualquiera sea la
tecnología, todo medio es una extensión de nuestro cuerpo, mente o ser.
Esta idea
no hay que tomarla a la ligera, sino que de ella se desprende una consecuencia
muy importante: y es que con el nacimiento de nuevos medios, al modificar el
ambiente, cambian nuestra percepción sensorial, nuestra manera de pensar y
actuar. Para el autor todos los medios nos “remueven” con fuerza y nos
“modifican” enteramente. “ninguna” comprensión de un cambio social y cultural
es posible cuando no se conoce la manera en que los medios funcionan de medios.
El
planteamiento de Mcluhan se centra en una relación entre los medios
electrónicos y la condición humana y sus efectos en el campo psíquico y social
al considerar las tecnologías como prolongaciones de nuestro cuerpo y sentidos,
es posible distinguir entre los medios calientes y fríos. Los medios calientes
están llenos de información y exigen poca información del público mientras los
medios fríos son pobres en información y ricos en participación.
Así como
el medio es entendido como una extensión del cuerpo humano, el mensaje no
podría ser entonces simplemente reducido a 'contenido' o 'información', porque
de esta forma excluiríamos algunas de las características más importantes de
los medios: su poder para modificar el curso y funcionamiento de las relaciones
y las actividades humanas.
El pensamiento
mcluhaniano plantea un juego de oposiciones escasamente pertinentes
(imprente-circuito eléctrico, hot-cool) y una inclinación a reducir todo o la
pareja sensorial tecnológica. Se trata de una antropohistoria donde el hombre
es primero tribal oral, luego gutenbergullano y, finalmente, electrónico.
Mcluhan
combinó observaciones agudas y una amplia erudición con la especulación pura y
simple, todo esto enmarcado en conceptualizaciones de escaso alcance desde el
punto de vista teórico. Paradójicamente, el autor visualizo y en alguna medida
integro algunos avances epistemológicos de la ciencia moderna. Pero de manera
simultánea permaneció preso en el determinismo. En la incorporación de los
avances gnoseológicos de otros campos no siguió el pluricausalismo.
Publicado
por: andrès el Junio 5, 2006 09:03 PM
“El medio
es el mensaje” por Marshall McLuhan y Quentin Fiore.
El
planteamiento que ofrecen McLuhan y Fiore, es, principalmente, el medio de
comunicación como modelador de la conducta del ser humano. Anteriormente,
cuando no existían los medios eléctricos, el ser humano vivía aislado de todo
lo que ocurría a su alrededor; la invención de la imprenta creó el pensamiento
mecánico y separado de la acción, pero con la llegada del medio eléctrico, esta
postura ha cambiado.
El medio
eléctrico ha roto las barreras comunicacionales de tiempo y espacio. Lo que
antes se llamaba público (entes aislados, con puntos de vista diferentes), el
medio eléctrico lo constituyó como masa (entes relacionados entre sí, obligados
al compromiso y a la participación). Ahora, por más que algunos quieran
conservar el pensamiento lineal y no participativo; no existen individuos
aislados, todos vivimos en una aldea global que continuamente estamos siendo
bombardeados con información nueva, una tras otra. McLuhan cita una frase muy
interesante que dice así: “Lo que sucede es que debemos vivir con los vivos”,
es decir, vivir de acuerdo a lo que verdaderamente está pasando a nuestro
alrededor, sin hacer caso omiso a los nuevos procesos comunicacionales y su
influencia en la sociedad, y dejando atrás el proceso mecánico obsoleto.
Este nuevo
enfoque afecta también al proceso educacional. A través de la enseñanza se
eliminaría por completo el pensamiento fraccionado del siglo XIX. El esquema de
la educación no puede apartarse de los nuevos cambios comunicacionales, debe
basarse en el descubrimiento de los hechos y no en una serie de instrucciones
limitativas. Debe enseñar al joven a pensar, a crear y a desempeñar tareas en
conjunto, no objetivos cerrados. Debe también familiarizar al joven con los
medios eléctricos, enseñarle sus bondades y amenazas.
El punto
más interesante del planteamiento que surge en este libro, es que el mensaje no
es simplemente la información que se transmite a través de los medios de
comunicación. No se puede obviar el hecho de que el “medio” también puede ser
el mensaje. Con la aparición del medio eléctrico, el individuo recibe
información constantemente y a éste no le queda tiempo de decodificarla, es
decir, recibe la información tal cual como fue transmitida, sin poder
analizarla y sin tener una posición frente al suceso. El medio tiene el poder
de manejar la información a su conveniencia y también tiene la facultad de
modelar la opinión de la audiencia masiva. Otra frase que cita McLuhan y que
vale la pena mencionar: “No es que no me interesen los sucesos del día, pero ha
habido tantos últimamente…”; la incesante transmisión de mensajes hace que la
información sea fugaz y los mensajes que permanecen en la conciencia del
individuo, son los que manipulan al ser humano emocionalmente, como por
ejemplo, el humor, el drama o el terror.
Actualmente,
el medio más atractivo para analizar este punto de vista es el Internet.
McLuhan tuvo la facultad de visualizar un medio donde no existe el espacio, una
especie de “feria mundial” donde se maneja la información a la velocidad de la
luz y sin restricción alguna. Con esta nueva tecnología se rompe
definitivamente el patrón aislado y limitativo; todas las personas tienen acceso
a la información actualizada y a la comunicación masiva en tiempo real. El
individuo se torna dinámico y participativo y la respuesta es inmediata.
“La
globalización del entorno” por Marshall MacLuhan y Bruce R. Powers.
En este
libro, McLuhan explica diferentes conceptos de algunos de sus trabajos. Uno de
sus argumentos dice (que las extensiones tecnológicas de la conciencia humana
se adelantaban a nuestra capacidad para comprender sus consecuencias).
Para
McLuhan el medio es el mensaje, y si es así como él lo sostiene, el mensaje
sería imposible de descifrar; porque una vez manipulado por el medio, la
información cambia totalmente, y es así como la audiencia lo percibe.
El
contenido de la Aldea
Global, está elaborado con diferentes puntos de vista, tales
como: el estético y el tecnológico. McLuhan presenta un modelo para estudiar
los impactos estructurales de la tecnología sobre la sociedad.
En la Aldea Global MacLuhan
ha analizado profundamente los impactos mundiales que causa la era de la tecnología,
en comparación a otros análisis que ha establecido; ha indagado aún más los
efectos que causa estos nuevos “impactos”.
En la Aldea Global se trata
de explicar algunas diferencias tecnológicas tales como: El espacio visual, no
es más, que un conjunto mental de la civilización occidental, una imagen que
enfatiza el funcionamiento del hemisferio izquierdo del cerebro, que sitúa la
información en forma estructural, es decir, exaltar el razonamiento
cuantitativo. El otro término es El espacio acústico, viene siendo una
proyección del hemisferio derecho del cerebro, en donde los procesos se
relacionan en forma simultánea, y ésta enfatiza las cualidades del pensamiento
de manera cualitativa.
Podemos
decir que estos son sistemas de valor que han sido interpretados durante
siglos; pero hoy en día lo acústico y lo visual están chocando ente sí, es
decir, el flujo eléctrico a producido un contacto explosivo en las diferentes
sociedades, a un nivel global, causando mundialmente impactos culturales,
obteniendo así diferentes valores.
Desde el
punto de vista cultural, lo que comienza a suceder en la actualidad es atroz,
porque sencillamente no hemos sabido interpretar los mensajes, es decir, el
proceso de interpretación de dichos mensajes han comenzado a ser pasivos, lo
cual hemos perdido el poder de analizar detenidamente el mensaje; ya que el
mensaje transmitido a través del medio comienza a transformarse y codificarse
de diferentes maneras.
Para el
estudio de los efectos tecnológicos es indispensable la interconexión, porque
es la base de la relación entre el espacio de lo acústico y lo visual.
Uno de los
principales factores que influye en la decodificación de los mensajes es el
lenguaje, ya que interviene como un poder destinado a definirnos frente a una
sociedad común y frente a los medios como tal. Se puede decir que el lenguaje
nos obliga a exponernos a diversas disciplinas que existan en otras culturas.
Se puede
decir que en la actualidad, se están acelerando los cambios tecnológicos de l
espacio visual a las del espacio acústico.
Lo que si
podemos saber de todos esto, es que una de las cosas más rápidas que suceden en
la actualidad, son los cambios tecnológicos, y como tal debemos tener previsto
la manera de manejar nuestro futuro, algo que todavía no hemos podido llevar a
cabo, y esto sucede debido al pánico que tenemos de conocer lo desconocido o
mejor dicho lo nuevo.
El medio
es el mensaje
Todo lo
que actúa, actúa con un fin. Es fácil reducir todas las acciones del hombre al
deseo de felicidad. El motivo último de nuestras acciones da sentido a todos
los motivos intermedios.
Para
entender el significado de la frase de McLuhan "el medio es el
mensaje", tenemos que recurrir a la filosofía de Aristóteles y Santo
Tomás. Marshall McLuhan escribió lo siguiente en una carta a J.M. Davey, asesor
del Primer Ministro Trudeau:
«Se ve
entonces que mi teoría de la comunicación es tomista hasta lo más profundo.
Tiene adicionalmente la ventaja de ser capaz de explicar a Santo Tomás y a
Aristóteles en términos modernos. Estamos contentos con cualquier cosa que
usemos, tan sólo porque estas cosas son extensiones de nosotros mismos». (15)
El acto
del conocimiento humano está ante todo y objetivamente dirigido a conocer las
formas de las cosas materiales. Éste es el realismo fundamental del
conocimiento humano.
El
conocimiento de los conceptos no es el motivo primero del acto de conocer, sino
que es a través de los conceptos que conocemos las cosas. Sólo después que
conocemos las cosas, podemos reflexionar y preguntarnos cómo conocemos.
Es
entonces que tomamos conciencia del rol intermediario del concepto. El concepto
es algo que necesariamente se encuentra entre el objeto de conocimiento y el
juicio del entendimiento. ´Encontrarse entre´ es ser un medio. Hay más de un
medio entre el objeto mismo y el acto de juicio que es la meta final del
conocimiento o "mensaje".
En la
visión corporal, la luz misma hace de intermediaria, luego la impresión
sensorial en el ojo, y finalmente un acto de percibir conscientemente lo que el
sentido físico está proveyendo.
En la
visión mental, la luz de la mente haciendo conocer las cosas es un medio, como
lo es el concepto o la especie en el entendimiento, y luego la mente entabla
una relación entre la especie o concepto y la realidad en un acto de juicio.
En este
proceso la mente actúa como espejo de la realidad, lo que constituye otro
sentido en el que se da un medio en el acto de conocer (16). Es común que estos
medios permanezcan ocultos durante el acto objetivo de conocer.
Si alguien
dice "Hay fuego en el edificio", no dirigimos nuestra atención al rol
intermediario de las palabras y los conceptos, sino al peligro real e
inminente, y actuamos consecuentemente.
Sin
embargo, cuando conocemos algo, simultáneamente sabemos que sabemos. Esto es lo
que se denomina reflexión concomitante, lo que significa que es un acto de
reflexión que siempre y necesariamente acompaña el acto objetivo de conocer.
Es el
elemento esencial de la conciencia. Normalmente esta reflexión forma el
trasfondo del acto de conocer. Normalmente no nos recordamos a nosotros mismo o
a otros lo implícito, como al decir "Sé que hay fuego" en vez de
"Hay fuego".
La mente o
el alma no está siempre consciente de sí misma como separada o distinta de las
otras cosas (17). El conocimiento de uno mismo no existe siempre en acto (con
la atención dirigida al alma), sino que, a través de la reflexión concomitante,
existe siempre en potencia. Cuando el alma ve su acto, se ve a sí misma. Cuando
me veo a mí mismo pensando, me veo a mí mismo.
De esta
manera, el medio se convierte en el mensaje. Esto nos lleva más lejos al
movernos, desde el conocimiento de uno mismo como imagen, hacia el conocimiento
de Dios como Aquel a cuya imagen somos creados. A través del acto de reflexión
los medios mismos se convierten en el mensaje, y así tenemos las semillas de la
teoría de McLuhan sobre la comunicación y sus efectos en las enseñanzas de
Santo Tomás.
Marshall
McLuhan fue más lejos al afirmar que sin un acto de reflexión no somos
conscientes de los diversos medios artificiales de comunicación. La palabra
impresa "bandera estadounidense" y la bandera en sí son ambos medios
de comunicación.
La palabra
impresa, sin embargo, no evoca una reacción emocional en un estadounidense,
mientras que la bandera real, o una imagen de ella, sí lo hace. Los medios de
comunicación afectan la manera en que recibimos la comunicación, y así los
medios mismos portan un mensaje. Podemos encontrar algunos precedentes de esta
observación de McLuhan en la tradición filosófica.
Platón
cuenta una fábula acerca de la invención de la escritura (18). Cuando el dios
egipcio Thot inventó la escritura, presentó su invento al rey de Tebas,
esperando ser alabado por un invento que ampliaría el poder de la memoria.
El rey de
Tebas, por el contrario, dijo que esta invención provocaría que los hombres
pierdan su memoria, pues simplemente escribirían las cosas y se las olvidarían.
Asimismo, las palabras impresas pueden caer en poder de cualquiera, quien puede
luego repetirlas y aparentar sabiduría sin saber lo que significan.
La palabra
hablada viene de la mente del maestro, y cuando el mensaje del maestro no está
claro, el discípulo puede preguntarle. Las palabras escritas, sin embargo, no
hablan cuando les hacemos preguntas.
Santo
Tomás se pregunta si acaso las realidades divinas deban estar veladas por medio
de palabras oscuras y nuevas (19). Al enseñar, el maestro debe procurar que el
discípulo no aprenda cosas antes de estar listo para ello.
Sus
palabras deben ser medidas más bien para ayudar que para estorbar a sus
estudiantes. Él tiene además la responsabilidad de evitar que gente de malas
intenciones reciba el conocimiento de materias difíciles de entender.
Como dice
el Señor: "No deis a los perros lo que es santo" (Mt 7,6). Se puede
ser discretos al hablar. Podemos decir cosas al entendido que no le
mencionaríamos a las muchedumbres.
Un libro
escrito, sin embargo, puede caer en manos de cualquiera, y por eso no es
posible evitar por medio del silencio que la verdad sea distorsionada o mal
usada. Se pueden expresar realidades difíciles por medio de palabras nuevas,
para que incluso si la persona equivocada lee el libro, no haga ningún
progreso.
Santo
Tomás aborda también la pregunta de por qué Nuestro Señor no puso su doctrina
por escrito (20). Dos de los más grandes maestros entre los gentiles, Pitágoras
y Sócrates, no escribieron nada.
Lo que se
escucha queda grabado en el alma del oyente, y lo que se escribe está para ser
leído. Nuestro Señor enseñó como quien tiene autoridad (ver Mt 7,29), no como
los escribas y fariseos. Asimismo, la excelencia de la doctrina de Cristo no
podía ser contenida en meras palabras escritas, como recuerda San Juan Apóstol
cuando dice que ni todo el mundo bastaría para contener los libros que se
escribieran para contar lo que Cristo hizo (ver Jn 21,25).
Si Cristo
hubiese puesto por escrito algo, muchos habrían pensado que no habría más en su
doctrina que lo que está contenido en lo escrito. Podría hacerse notar también
que no es meramente el número de cosas que Cristo hizo y enseñó lo que no puede
ser contenido en meras palabras escritas, sino además la calidad.
Cuando
ocurre algo totalmente distinto a cualquier cosa anterior, descubrimos que las
palabras que usamos son inadecuadas, pues las palabras evocan imágenes tomadas
de la experiencia común.
Con una
argumentación similar, Santo Tomás nos enseña que la Nueva Ley no es una ley
escrita (21). La Ley
de Moisés fue escrita en tablas, pero la
Ley de Cristo está escrita en los corazones de los hombres.
La Nueva ley es principalmente la gracia del Espíritu Santo que es dada al fiel
de Cristo. Esta ley no es otra cosa que la presencia misma del Espíritu Santo.
Las cosas que están escritas en la Sagrada Escritura no son la Nueva Ley en sí, sino
que nos disponen a creer en la
Nueva Ley, o que nos dan indicaciones específicas acerca de
cómo aprovechar la gracia que constituye la Nueva Ley.
McLuhan
conjetura que la idea protestante de la sola Scriptura fue el resultado de los
nuevos medios de la imprenta. Cuando las Escrituras eran transmitidas en
documentos escritos a mano, era fácil entender que el documento es un medio.
Cuando
miles de libros podían ser impresos exactamente de la misma manera, este poder
técnico impresionó tanto a la gente que idolatraron la tecnología, de modo que
el poder de la imprenta parecía tener más autoridad que la autoridad viviente
del Magisterio.
Finalmente,
Santo Tomás consideró el rol de la música en la comunicación (22). Unas mismas
palabras tienen un efecto diferente cuando son habladas que cuando son
cantadas.
La música
tiene un efecto emocional, tanto para el cantor como para el oyente, y por eso
por medio de la música nuestros corazones son remitidos a Dios. Diversas
melodías tienen efectos diferentes en las emociones de los que cantan y de los
que escuchan, un hecho conocido ya por Pitágoras. La melodía y el modo de
cantar es meramente un medio, pero el medio mismo porta un mensaje.
Habetudo
sensus y la necesidad de ascetismo
Mientras
más necesario sea para la vida humana el objeto de un apetito, más fuerte será
tal apetito. Mientras más fuerte sea el apetito, más necesitará el control de
la razón. El ascetismo apunta a restaurar la armonía interna del hombre, la que
se conoce como la virtud de la templanza.
A su vez,
la virtud de la templanza preserva en buen estado la virtud de la prudencia,
que es la capacidad de tomar decisiones correctamente.
La
prudencia requiere de un conocimiento verdadero de cómo son las cosas, y por
ello requiere de la memoria, y a partir de la memoria la prudencia llega a una
comprensión correcta de cómo son las cosas.
Estos son
elementos cognoscitivos de la prudencia. La prudencia tiene también un elemento
volitivo, que es la capacidad de tomar una decisión ni muy precipitadamente, ni
muy dubitativamente. La interferencia de apetitos descontrolados puede opacar
la memoria y el entendimiento, y puede influenciar indebidamente la acción de
la voluntad (23).
Tradicionalmente
el énfasis en el ascetismo ha estado en los dos apetitos más íntimamente
relacionados con la existencia humana, el apetito por la auto-preservación, que
tiene su exceso en la gula, y el apetito por la preservación de la especie, que
es deformado en el exceso de la lujuria. El apetito por el conocimiento puede
también exceder sus límites racionales y adecuados.
Esto
encierra una paradoja. El apetito por el conocimiento parecería ser la razón
misma. ¿Cómo podría alguien actuar en contra de la razón al tratar de ser más
razonable? La primera consideración que hay que hacer es que el deseo de
conocimiento es en un sentido el más fuerte de los deseos humanos.
Analicemos
la filosofía eudemonista de Aristóteles, su doctrina de que toda acción humana
tiene a la felicidad por causa final. La felicidad no puede ser la mera
posesión de algo, pero implica que conozcamos con plena conciencia que poseemos
lo que nos hace felices (24).
Aristóteles
hace notar también que todos los hombres por naturaleza desean el conocimiento.
No tenemos un deseo de conocer simplemente como medio para un fin que no es el
conocimiento, sino que la sensación misma nos es placentera. De entre todos los
sentidos, dice Aristóteles, la vista es el que nos brinda mayor placer en tanto
nos provee de los mayores detalles acerca de las cosas (25).
¿Pero cómo
puede el deseo de conocimiento llevarnos por mal camino? San Agustín cuenta la
historia de cómo su amigo Alipio asistió a los juegos de gladiadores en Roma, y
estaba decidido a cerrar sus ojos en el momento de la muerte del perdedor (26).
Había
decidido que incluso si sus amigos habían traído su cuerpo a los juegos, no
podrían forzar su mente a disfrutarlo. Cuando la muchedumbre aclamó con voz
potente, no pudo resistir, y abrió los ojos, diciéndose a sí mismo que aunque
viese el espectáculo, aún así estaría por encima de él y lo despreciaría en su
corazón. Sin embargo, en contra de lo que se había propuesto, terminó
disfrutando en su corazón del espectáculo.
La verdad
es un bien en sí misma. Incluso la verdad acerca de un mal es un bien. La mente
busca conocer la verdad, y la relación de la mente con la realidad que se
denomina verdad es también el primer y más esencial elemento del conocimiento
moral. Como escribió Karol Wojtyla en 1958, cuando era profesor de filosofía:
El
principio de que uno debe permanecer en armonía o de acuerdo con la realidad,
tanto la realidad objetiva como la subjetiva, en la propia actividad, es la
medida del realismo en el conjunto de la filosofía práctica, y en particular en
la ética. Las normas éticas se basan en la realidad. La misma facultad de la
razón, que a través del conocimiento llega a la realidad misma, define también
los principios de la actividad (27).
Cualquier
cosa que atropelle nuestra relación cognoscitiva con la realidad objetiva
reduce asimismo nuestra capacidad de actuar como agentes morales. Si el uso de
los medios electrónicos de comunicación, o incluso de medios más antiguos como
los medios impresos, cambia de alguna manera nuestra relación con la realidad
objetiva en el acto de conocer, nos encontramos ante una cuestión de índole
moral.
Marshall
McLuhan tomaba ideas de Aristóteles cuando observaba que la conciencia existe
como una proporción o ratio entre sensaciones (28). Aristóteles citaba el saber
médico de su época al observar que los estímulos sensoriales son dolorosos
comparados con un estado neutral o no-sensorial (29).
Por
ejemplo, cuando abandonamos un lugar oscuro, la luz repentina nos es dolorosa.
Sin embargo, nos habituamos a cierto nivel de sensación, y por lo tanto caer
por debajo de ese nivel o excederlo nos es doloroso. En el nivel más básico,
podemos habituarnos a cierta temperatura, o a cierto nivel de sonido. En otro
nivel, podemos habituarnos a cierto nivel o calidad de información en nuestra información
sensorial.
Si tenemos
el hábito de leer periódicos todos los días, y luego nos mudamos a un país
extraño o vamos a la selva, la falta de noticias es al inicio dolorosa. Después
de un tiempo nos acostumbramos, y luego cuando regresamos al mundo de la
información, inicialmente encontramos dolorosa la abundancia de eventos
reportados, hasta que nos volvemos a acostumbrar.
Nuestra
dependencia de un flujo constante de información proveniente de todos los
rincones del mundo representa un problema de adicción, y me aventuraría a decir
que puede implicar los mismos mecanismos químicos que se encuentran en la
adicción a las drogas.
Los
efectos de los medios electrónicos en el entendimiento a través de su efecto en
los sentidos pueden ser comprendidos por analogía con otro estado alterado de
la conciencia: el sueño. El entendimiento es superior a los sentidos. Las
potencias inferiores de los sentidos están ordenadas al entendimiento (30).
De alguna
manera, el entendimiento gobierna a los sentidos, pues la voluntad es el
apetito del entendimiento. Por medio de la volición, el entendimiento tiene en
sí mismo el poder de dirigir su atención hacia los objetos presentados por los
sentidos, o de apartarla de ellos. En otro sentido, el entendimiento depende de
los sentidos en cuanto a su operación.
Éste
recibe los objetos de su atención inicialmente de los sentidos, y los objetos
originales en el entendimiento se basan en la cosa sensible. Por ello, cuando
los sentidos no funcionan del todo bien, se dificulta la operación del
entendimiento (31).
En varias
etapas del sueño, la operación del entendimiento es estorbada en diverso grado,
en tanto son diversamente estorbados los sentidos externos e internos. En el
sueño profundo, la imaginación no funciona en absoluto. En otra etapa, el poder
de la imaginación está aún dificultado, pero funciona parcialmente, y pueden
aparecer imágenes distorsionadas.
Las
imágenes son más regulares en tanto la imaginación funciona más. En el sueño
más ligero, el sentido común o unitivo funciona parcialmente, y quien duerme
empieza a distinguir entre sus sueños y las cosas reales. Es capaz de percibir
la diferencia entre las imágenes del sueño y sus propios pensamientos (32).
Puede
asimismo evocar imágenes diversas de las del sueño (33). Pero incluso en la
etapa del sueño lúcido, el poder de juicio del entendimiento está obstruido.
Una persona que estando dormida trata de razonar según los pasos lógicos de un
silogismo, dice Santo Tomás, al despertar siempre reconocerá que hubo alguna
falla en su raciocinio. Joseph Keogh teorizó que sus estudiantes que miraban
televisión habían en realidad substituido el sueño por la televisión (34).
Cuando
aparentemente estaban pensando, el proceso mental no era el proceso lineal y
silogístico de un persona letrada. El niño que ve televisión podría contemplar
una asociación de ideas en su mente con la misma pasividad con que vería
televisión.
La
principal apreciación de McLuhan fue que un medio de comunicación tiene un
efecto definido en quien lo ve independientemente del contenido de sus mensajes
manifiestos. Con respecto a la televisión, la observación de McLuhan fue
confirmada por científicos de la General Electric, quienes descubrieron que las
ondas cerebrales de un televidente se alteran de la misma forma al ver
televisión, sin relación alguna con el contenido visto.
El efecto
mensurable de la televisión era el mismo sea que la persona estuviese viendo la
programación o los comerciales (35). Los experimentos fueron repetidos por
otros que esperaban descalificar la hipótesis de McLuhan de que "el medio
es el mensaje", tan sólo para encontrar confirmados los descubrimientos
(36). El cerebro reacciona de la misma determinada forma ante la televisión
como un medio en general. La variedad de contenido no tiene ningún efecto
específico que pueda medirse.
Los
activistas muestran a menudo gran preocupación por los efectos morales del
contenido de la televisión y de otros medios. Están justamente preocupados
acerca de malos modelos de comportamiento y de la alta incidencia de la
violencia y la sensualidad sexual.
También
están legítimamente preocupados por la manera en que la opulencia retratada en
la televisión puede hacer sentir insatisfecha con su condición material a la
gente. Reconozco que estas preocupaciones son legítimas, pero la preocupación
principal debería estar en el medio mismo.
Los medios
electrónicos tienen en sí mismos un efecto narcotizante en quien abusa de
ellos. Hoy, cuando los gobiernos y las corporaciones internacionales luchan
contra la comercialización de estupefacientes, nadie se siente movido a
contrarrestar los efectos negativos de los medios electrónicos.
Los medios
electrónicos perturban las relaciones normales de la familia y de la comunidad
basadas en el contacto físico y en la proximidad, conduciendo a un sucedáneo de
comunidad donde la gente tiene la ilusión de ser como ángeles. La gente en sus
relaciones queda reducida a ser piezas de una información desarticulada sin
contexto ni substancia.
No
distinguimos entre el uso de la morfina como ayuda para la inspiración (Edgar
Allan Poe), y su uso como un escape de condiciones intolerables (un usuario en
un barrio bajo estadounidense). El uso abundante de tales drogas es peligroso y
adictivo en ambos casos. Sin embargo, no aplicamos la misma prudencia con
respecto a los medios de comunicación.
El nivel
de sensación presente en nuestras vidas afecta nuestro juicio intelectual.
Santo Tomás de Aquino habla de dos casos relacionados de debilidad intelectual
derivados de un desequilibro en el campo sensorial.
El primero
es el entumecimiento del sentido intelectual (habetudo sensus), que se produce
por la inmersión en los placeres de la comida. El segundo es la ceguera
intelectual (caecitas mentis), que se produce como resultado de excesivos
placeres sexuales (37).
El
entumecimiento del sentido intelectual todavía deja en funcionamiento al
entendimiento. Sin embargo, lo que un corazón puro puede percibir rápidamente,
el de sentido entumecido tiene que esforzarse por verlo. Su entendimiento
carece de poder de penetración. En el caso de la ceguera intelectual, el
entendimiento es completamente incapaz de considerar las realidades
espirituales.
Apliquemos
esto al efecto de los medios de comunicación. Ellos sirven para proveernos de
mayores cantidades de información. Esto se ve claramente en los medios
impresos, pues la cantidad de información difundida por medio de libros y
periódicos es mucho mayor que la que uno podía aprender por medio de la
conversación en una sociedad pre-letrada.
Pero se ve
más aún en el caso de los medios electrónicos, donde no sólo somos provistos
del mundo por medio de símbolos, sino que somos provistos de las sensaciones
auditivas y visuales del mundo entero. Los medios no seguirían creciendo si no se
diese un inmenso apetito de conocimiento. Y tal como se da hoy en día, ese
apetito se encuentra desordenado.
Si la
verdad es un bien, e incluso la verdad acerca de las cosas insignificantes o
malas es un bien comparado con la falsedad acerca de las mismas cosas, ¿cómo
entonces puede la verdad representar un peligro? La mente humana tiene como fin
conocer la verdad. Aristóteles enseñó que cuando conocemos algo, de alguna
manera nos hacemos ese algo, y de alguna manera hacemos ese algo (38).
El
conocimiento es la existencia del objeto conocido en el sujeto que conoce, en
el cual el objeto forma o informa al sujeto como conocedor. Cada persona tiene
una sola mente, y esa mente pude conocer sólo una cosa a la vez.
Si
pensamos varias cosas a la vez, es tan sólo porque las hemos aprehendido como
una cierta unidad, como cuando al conocer el todo de alguna manera confusa
conocemos las cosas que se encuentran enlazadas en una unidad relacional (39).
En el
conocimiento mismo se da una jerarquía de valores. El valor más elevado es el
conocimiento de Dios, y los demás valores relacionados al conocimiento se
encuentran por debajo de él. Una mente distraída en asuntos menores no puede
conocer a Dios.
Podemos
extraer de esto algunas conclusiones prácticas. En primer lugar, es necesario
hacernos conscientes del efecto de cualquier medio en nuestra relación
cognoscitiva con la realidad, y de su efecto en nuestros apetitos.
En segundo
lugar, debemos reconocer que la tecnología es algo bueno en sí mismo, pues
forma parte del mandato de Dios al hombre de someter la tierra. Pero debemos
reconocer que si nos vamos a fiar de la tecnología para resolver todos los
problemas humanos, nos estamos convirtiendo en idólatras. La idolatría pone al
hombre en un nivel inferior al del ídolo, y esto trae como resultado un
desorden personal y social.
En tercer
lugar, el uso correcto de la tecnología significa que debemos además
contrarrestar sus atracciones. La tecnología de las comunicaciones atañe al
apetito más fundamental del hombre, el apetito de su auto-realización por medio
del conocimiento. Sin embargo, la mera cantidad de información puede
distraernos del conocimiento que tiene verdadero valor.
La actitud
más peligrosa es la de aquél que se sienta ante el televisor o la computadora
sin una actitud crítica.
Puesto que
la máquina está encendida, éste adopta una postura pasiva y receptiva. Las
prácticas cristianas del ayuno y la abstinencia son tal vez fácilmente
comparables con la limitación consciente de nuestro uso de los medios, y ésta
es necesaria para la salud mental y moral.
Hugh
McDonald
(http://www.vaxxine.com/hyoomik/),
nacido en 1956 en Canadá, es Licenciado en Filosofía por la Universidad Católica
de Lublín (Polonia). Actualmente se dedica a la traducción al inglés de obras
de la Escuela
de Filosofía de Lublín, a la enseñanza en la Universidad de Niágara
y a la reflexión filosófica.
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Notas
15.
Letters of Marshall McLuhan, seleccionadas y editadas por Matie Molinaro,
Corinne McLuhan, William Toye; Oxford University Press, 1987. El trasfondo
tomista y aristotélico del trabajo de McLuhan es tratado brevemente en Brigid
Elson, In Defence of the Human Person: The Christian Humanism of Marshall
McLuhan, en The Canadian Catholic Review, mayo de 1994.
16. Ver
Santo Tomás de Aquino, De veritate, q. 18, a. 1, ad 1.
17. Ver
Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, q. 93, a. 7, ad 4.; ver también
de él mismo, Expositio super librum Boetii de Trinitate, q. 1, a. 3.: Santo Tomás enseña
que los medios en el acto de conocer no están en sí mismos, aparte de los demás
objetos, abiertos a la inspección directa. Nadie entiende que entiende a menos
que primero entienda alguna otra cosa que es inteligible. No podemos conocer
acerca de la luz de nuestra mente a menos que primero estemos viendo algo más
en esa luz.
18. Ver
Platón, Fedro, 274-275.
19. Ver
Santo Tomás de Aquino, Expositio super librum Boetii de Trinitate, q. 2, a. 4.
20. Ver
Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, III, q. 42, a. 4.
21. Ver
Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 106, a. 1
22. Ver
Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 91, a. 2.
23. Ver
Josef Pieper, Las virtudes fundamentales, Rialp, Madrid 1976
24. Ver
Santo Tomás de Aquino, Summa contra gentiles, III, c. 25-37; Summa theologiae,
I-II, q. 1-4; Aristóteles,
25. Ver
Aristóteles, Metafísica, I, i. 980a 22 - 980b 1.
26. Ver
San Agustín, Confesiones, VI, 8.
27. P.
Karol Wojtyla, Elementary Etyczny [Introducción a la Ética], Znak, Cracovia
1979, una colección de artículos que aparecieron en el Tygodnik Powszechny
[Semanario Católico entre 1957 y 1958. La traducción al inglés es del autor.
28. Ver
Aristóteles, De Anima, II, ix-x. 422a 20 - 424a 35; McLuhan, Understanding Media, cap. 4 "The Gadget
Lover".
29. Ver
Aristóteles, Ética a Nicómaco, VI, xiv. 1154b 6-10.
30. Ver
Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I, q. 65, a. 2.
31. Ver
Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I, q. 84, a. 8, ad 1.
32. Ver Santo
Tomás de Aquino, Summa theologiae, I, q. 84, a. 8, ad 2.
33. Ver
Aristóteles, De somniis, I, 458b 15-20.
34. Ver Barrington
Nevitt y Maurice McLuhan (eds.), Who Was Marshall McLuhan, Comprehensivist
Publications, Toronto
1994, p. 63.
35. Ver Letters of Marshall McLuhan,
seleccionadas y editadas por Matie Molinaro, Corinne McLuhan, William Toye;
Oxford University Press, 1987: "Letter to Hugo McPherson, Professor of
English at McGill", 1970. En la carta, McLuhan se
refiere a descubrimientos que fueron publicados luego en el Journal of
Advertising Research, Vol. II, n. 1, febrero de 1971, "Brain Wave Measurement of Media
Involvement".
36. Ver The Global Village, cap. 3 "Plato
and Angelism".
37. Ver
Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 15, a. 1-3; q. 46, a. 1-3.
38. Ver
Aristóteles, De anima, III, v-vi, 430a 10-20.
39. Ver
Santo Tomás de Aquino, Summa theologiae, I, q. 84, a. 4
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IL MIELISMO
Ho
mandato a Vaffa… pure Wikipedia
Beh,
diciamo che si tratta di una piacevole evoluzione, visto che da quando
frequento il Web sono stato espulso più o meno benevolmente da TUTTI i Siti,
club, circoli letterari, scritture creative, insomma ogni luogo del Web
italiano dove mi sono affacciato coi miei scritti.
Questa
volta non è la stessa cosa, poiché ero stato invitato a postare nella sezione
universitaria il mio corso sul McLuhan che nella vita mi ha dato tante
soddisfazioni, che se venni cacciato dalla Rizzoli dove tenevo corsi di
formazione perché il massmediologo canadese era ritenuto troppo a sinistra, è
bastato aspettare qualche decennio perché la Direzione Centrale
del Poder Popular, l’organo politico più potente in Cuba, sospendesse il mio
corso perché il McLuhan viene ritenuto troppo “a destra”, diciamo cosi’.
Insomma,
per farla breve ho accettato di mettere qui:
la
sintesi di alcune mie lezioni sul McLuhan e tutto è andato bene finchè ho
postato una sorta di critica sul “Mielismo” fenomeno contemporaneo di
distorsione della comunicazione che a torto o ragione fa capo a Paolo Mieli,
immarcescibile direttore-manager della Rizzoli e del Corriere della Sera.
Quando mi accorsi che per ben tre volte il mio post era stato cancellato (la
macchina scrisse: “per vandalismo”) mi rivolsi al mio amico Carlo che mi disse
che in fondo non era una cosa importante, visto che “Il mielismo” non si può
considerare una vera e propria lezione universitaria ma piuttosto uno sfogo
personale da postare sul mio blog personale.
Così li ho mandati tutti a vaffanbocca e amen.
Peccato, perché il fenomeno merita di essere analizzato e quindi
lo metto sul mio blog personale, insieme con alcuni scritti che ho trovato sul
Web, che mi hanno convinto che non parlarne è un danno per la comunicazione
italiana.
In realtà esiste una lezione accademica sul mielismo e la trovate
qui:
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI MILANO BICOCCA
FACOLTA’ DI SOCIOLOGIA ANNO ACCADEMICO 2002 2003
Corso di storia del
giornalismo e comunicazione sociale
Prof Francesco Abruzzo
Modulo 9 Il Mielismo ( dal 1990 rilancio de La Stampa…)
Da parte mia, eccovi la lezione “censurata”:
11/8/07
Questa noterella è
scritta ad uso e consumo del mio amico Carlo che presso l’Università di Bologna
tiene un corso di laurea triennale in Scienze della Comunicazione – Corso di
Comunicazione Giornalistica, che gentilmente mi ha fatto leggere le tesine dei
suoi studenti, da cui si evince che sì, questi giovani sanno analizzare il
fenomeno, ma che secondo me a tutti sta sfuggendo “lo zoccolo duro” di questa
controversa comunicazione giornalistica (non solo italiana) che contraddistingue
la società moderna.
Per corroborare la tesi
che sto esponendo avevo preso le copie del Corriere vecchie di un mese ed ho
cominciato a sfogliarle. Mi sono fermato dopo una sola settimana ( ho fatto un
elenco in calce) perché questa lettura,
se sprovvista dal requisito dell’immediatezza causa incontenibili assalti di
noia (non solo il Corriere, bada bene. Io ne parlo solo perché al momento è
l’unica edizione “on demand” che mi arriva su questo scoglio tropicale).
Partiamo dal nostro
beneamato McLuhan che a proposito dei giornali diceva che se le pagine del libro contengono la storia segreta delle elucubrazioni
mentali dell’autore, il giornale, proprio per la sua disposizione a mosaico e
indipendentemente dai contenuti, lascia intendere che quello che viene
riportato sia una sorta di storia segreta della comunità, quello che i
direttori in seguito chiamarono l’”interesse umano” che è poi ciò che accade
quando una serie di informazioni, cioè di differenti punti di vista anche in
contraddizione tra di loro, vengono ordinati in forma di mosaico su di un’unica
pagina trasformando il giornale in una sorta di confessione di gruppo che
necessita di una partecipazione continua e collettiva.
Stiamo assistendo ad un cambiamento dei
giornali che sempre alla ricerca di incrementi della loro tiratura (i lettori
sono sempre quelli, aumentano le testate, da qui la lotta) ci ritroviamo con i
giornali americani che hanno via via perso il tono sensazionalistico della
stampa popolare (avvistamenti di camion sulla luna, invasione di
extraterrestri, vitelli a tre teste...) per approdare a toni più letterari e
d’opinione, mentre da noi si assiste sempre più ad uno scivolamento delle
notizie verso il pettegolezzo e il dietrismo.
Nel caso del Corriere della Sera (scusate la
sineddoche, ma ho già spiegato ampiamente il perché) il punto focale è che la
proprietà ha deciso di affidarne la direzione a Paolo Mieli, intellettuale
luminoso e degno per carità, ma che oggi ha assunto nell’ambito della RCS una
funzione di manager e non di giornalista e da qui un occhio alla tiratura e
agli inserzionisti (anche politici) con la conseguente “deriva” giornalistica
che gli fa pubblicare “quello che vuole la gente” e così davanti alle valige
perse di Fiumicino ci mette la testimonianza di Sofia Loren, ai bimbi
sodomizzati ci aggiunge l’intervista a Barbareschi, agli incendi dolosi ci
mette di quella volta che la
Cucinotta…
A proposito poi dei fenomeni che la gente
comincia a considerare inaccettabili, ecco che compare un articolo consolatorio
degli incendi in Grecia, delle valige perse a Timbuctu, della cocaina al
parlamento inglese, tanto per avvalorare l’ipotesi che incazzarsi non serve a
nulla, tanto tutto il mondo è paese…
Mi fermo qui, perché l’argomento è ostico e
meriterebbe una conferenza a parte.
Un abbraccio.
Aldo Vincent
Corriere
della Sera
27/6/07
Sezione ESTERI:
Restituito alla famiglia Gawronski il palazzo
espropriato dai comunisti
Sezione
CRONACHE
Il premio Viareggio è antifascista?
Armani: camicia aperta e gilet
28/6/07 Sezione ESTERI
Il capo del fondo monetario lascia per amore
Sezione
CRONACHE
Agnelli contro Margherita, Andrea non firma
Valentino: i miei 45 anni da stilista
30/6/07 Sezione ESTERI
Le nozze transex che scuotono il Pakistan
Io trans a Teheran
CRONACHE
Camicia bianca e mezze maniche in Cina
Non è più libera l’orsa
Corsa alle cantine d’autore
3/7/07 PRIMO PIANO
Intervista a John Elkan
POLITICA
/Una via per Craxi
Berlusconi insulta Prodi
CRONACHE
Il torero bambino che divide la Spagna
5/7/07 ESTERI
La ministra tedesca: amo una donna
CRONACHE
Messa in latino: i dubbi
Armani: le mie giovani 50enni
Presentazione della 500
7e9/7 CRONACHE
Kate e William ci riprovano
Le sigarette si spengono da sole
Valentino: a Roma star e principesse
La bella Nancy (Dall’Olio) vuole lavorare con
Blair
La flotta di Berlusconi
Cinque killer per Harry Potter
Seno nuovo in un’ora
ESTERI
La moglie del candidato USA è troppo sexi
Il principe giapponese è alcolizzato
10/7/07 POLITICA
Prodi e la pipì con Tony Blair
ESTERI
All’autore di Gorky Park non piace la Russia di Putin
Fuorionda del prete di Radio Marija: la first
lady è una strega
11/7 POLITICA
Il figlio di Bossi all’Isola dei famosi
ESTERI
Il senatore USA ammette: ho peccato
CRONACHE
Polemica sulla mostra omosex
Lo stilista
Curiel: licenzio le modelle troppo magre
12/7 ESTERI
Ho sposato il figlio di Osama
I figli di Jan Fleming e il nuovo 007
CRONACHE
Coco aggredito per gelosia
Rissa al Billionaire
13/7 CRONACHE
Il Papa passeggia in Cadore
Beckam salverà il calcio USA
Blahhhhh
Dal Corriere del 11/8
PRIMO
PIANO (di fianco alle crisi delle Borse) quando la Regina d’Inghilterra perse
2.200 miliardi)
POLITICA
In Calabria la Cardizzone
sfida il successore dell’ex leader da cui ha avuto un figlio
CRONACHE
La Mondaini
ha faticato a salire sul treno
Gli occhiali Persol, Ray-Ban e
Web
La Canalis si innamora sempre
degli uomini sbagliati
Dal
corriere del 14/8
ESTERI
Il figlio di Pinochet vende i vestiti del padre
DA DAGOSPIA:
Roberto D’Agostino (uno che se ne intende) scrive:
“
Dite a
Paolino Mieli che l’occhialuto marchio “Web” non è per niente “storico” (al
pari di Ray-Ban e Persol), ma solo un’invenzione del duo Della Valle-Montezuma.
Insomma, l’articolo del Corriere di sabato 11 agosto è un’affettuosa marketta.
“
Corriere della Sera del 25 Agosto. Pagine di cultura.
UTOPIA
D’EUROPA
Dal
Manifesto Spinelli all’appello di Napoletano
Per un’autentica costituzione dell’Unione
Quella
lunga strada
iniziata a Ventotene
………………………………………………………………………………………………………………
Sfida al
lettore:
Riuscite
a vedere qui sopra dove sta l’imbroglio?
………………………………………………………………………………………….
INDAGATO IL FIDANZATO
E’
curioso che uno strumento come l’avviso di garanzia, nato per la tutela di ogni
cittadino di fronte all’Autorità Giudiziaria, si sia nel tempo trasformato in
una gogna mediatica.
Prendiamo
questo fidanzatino che ha trovato la sua ragazza assassinata. Il suo racconto
non soddisfa gli inquirenti che per poter procedere con perquisizioni e
ulteriori indagini HANNO L’OBBLIGO di iscrivere nel registro degli indagati la
persona che era stata interrogata solamente come a conoscenza dei fatti.
Per
quale ragione questa sindrome di COGNE faccia scattare all’unisono i nostri
sensazionalistici giornali e TV, affamati di mostri da sbattere in prima
pagina, non è dato di capire.
Tra
l’altro, l’operazione è perfettamente inutile perché, se la memoria non
m’inganna, è dai tempi del caso Montesi che se l’indiziato non confessa il
delitto, dopo miliardi di parole dette, tonnellate di carta e inchiostro
stampate, chilometri di interviste e ospitate da Vespa con modellini, ricostruzioni
e improbabili esperti, la
Magistratura non ha mai condannato l’evidente omicida.
………………………………………………………………………………………………………..
http://www.olschki.it/Plus/htm/2003/52888/52888.htm#mielismo
mielismo
s. m.
Il modo di fare e di concepire il giornalismo,
lo stile giornalistico di Paolo Mieli. • Inventore, appunto, di un particolare
trasversalismo giornalistico che prende il suo nome, il cosiddetto
"mielismo", ma anche di un genere storico assolutamente originale,
quello che si dipana quindicinalmente sul nostro giornale (Stampa, 17 maggio
2001, p. 25, Società e Cultura) · la
Lega non manda giù soprattutto la nomina di [Paolo] Mieli. Il
commento del capogruppo alla Camera, Alessandro Cè, è stato diplomatico:
"Probabilmente si sarebbe potuto far di più". A sparare a zero sulla
scelta di Mieli è stato invece mandato il quotidiano del partito. La Padania lo ha definito
"camaleontico giornalista, inventore del mielismo cerchiobottista"
tra i cui bersagli c'è "sempre stata la Lega". (Giornale di Brescia, 10 marzo 2003,
p. 1, Prima pagina).
Formanti: Mieli (Paolo) | -ismo
In:
QUARANTOTTO 2001 (attestato in un articolo di Indro Montanelli del 1997).
Chissà se è la sinistra ad aver capito qualcosa del mielismo o
il mielismo (inteso come sinonimo di un certo terzismo, non di un certo
giornalismo) ad aver capito qualcosa di sinistra.
Dice, in sostanza, che se il Pci avesse avuto Napolitano come segretario e non
Berlinguer e avesse seguito la strada "migliorista" oggi avremmo
avuto D"Alema quale terzo presidente "socialista dopo Giuseppe
Saragat e Sandro Pertini". Cosa che è politica e non storia. E",
appunto, mielismo e neppure terzismo.
http://treviso.typepad.com/se_una_notte_dinverno_un_/2005/11/laltra_o_la_pri.html
"Someone has to
have a different point of view" (Ted Nelson)
November 08, 2005
L'altra (o la
prima) faccia del mielismo
Caro Paolo Mieli, chi di noi giornalisti non sogna di fare uno
scoop di quelli che lasciano il segno? Per quanto mi riguarda, ammetto la
smisurata invidia che ho provato leggendo dell'eccezionale colpo di Carlo
Rossella, che – tra un'inchiesta scottante e un reportage avventuroso – ha
scoperto che il papa ha cambiato sarto.
Scoop che il Corriere ha giustamente celebrato come "secco ed
essenziale". Poi ho letto come nascono questi gossip d'alto bordo:
"Volteggiando tra champagne e vele, chiacchiere e cene, con un occhio a
Oscar Wilde e uno a Evelyn Waugh", ed è svanita ogni mia residua speranza.
Eppure da quando il Corriere esce con la nuova veste grafica a
colori, speravo di aver fatto qualche progresso. Con crescente interesse ho
colmato le mie lacune su Bridget Jones che torna single, su Carré Otis che
"ha detto addio agli eccessi", sulla "casalinga disperata che
ora è trans".
Ho compensato l'aumento del prezzo con la rinuncia a vari
settimanali, dato che il tuo giornale ci anticipa puntualmente i servizi più
interessanti: "Domani su Chi i figli di Marina Berlusconi",
"Scoop di Oggi sulla Ferilli" oppure "Il nuovo look della
signora Pavarotti su Chi". Dalle confessioni di Alberto di Monaco al
"re delle conigliette che ormai fa tenerezza" il Corriere ci ha
fornito una lunga serie di news di grande spessore.
Naturalmente ho approfittato anche dei consigli utili sul
cambiamento del look. Non tanto di quelli con titoli come "Dallo scialle
spunta il seno nudo" oppure "Schiena nuda, la frontiera (democratica)
della seduzione", ma di quelli tipo "L'uomo nuovo è übersexual".
È così che ho scoperto con ovvia soddisfazione che io, che porto la camicia
fuori dai pantaloni, sono "in". E prontamente la vostra pagina della
cultura mi ha avvertito con un titolone che "Torna il gusto del
sesso".
E anche le pagine di scienza hanno finalmente abbandonato il loro
linguaggio troppo serio con titoli suggestivi come "La pornoclinica dei
panda".
Così non mi sono meravigliato di trovare il volto di Jennifer Lopez sulla prima
pagina del Corriere. Naturalmente ho pensato a uno scoop tipo: Sgarbi seduce la Lopez nei Musei vaticani.
Invece no.
La notizia era: Jennifer girerà un film in una città messicana.
Sarebbe però ingeneroso criticare questa scelta: il sorriso di Jennifer è certo
più piacevole di quello di Buttiglione o Fassino.
Ma la soddisfazione più viva e profonda l'ho vissuta sfogliando
quell'autentico gioiello che è Stylemagazine, il "mensile dedicato alle
passioni e ai piaceri dell'uomo di oggi". Dico solo: ci voleva. Tutti noi
sentivamo bruciare quella fiammella di rivincita contro il sesso debole che il
sabato ci obbliga a portarci a casa quel chilo di carta che è Io Donna. Su
Style mi si è svelato un mondo nuovo di cui non capisco come ho potuto fare a
meno finora.
"L'elicottero acquistabile ai grandi magazzini", per
esempio. O il "bisturi che toglie il pensiero e la ruga". E
naturalmente ora sono tormentato da quella domanda di Style così secca ed
essenziale: "Meglio la villetta o la barca?", nonché dalla scelta di
"Quell'intimo che piace a lui". Sono convinto che su quelle pagine
patinate, fra una foto di Jennifer Lopez e una della Santanchè, Francesco
Alberoni troverà lo spazio giusto per le sue dotte disquisizioni su sesso ed
erotismo, che seguo con crescente entusiasmo da un quarto di secolo.
A questo punto, caro direttore, permettimi una domanda: ora che i
lettori maschi hanno un mensile tutto loro, non potresti tentare di rompere
lentamente con quel principio (forse un po' da taliban) che t'impone di non
affidare mai un editoriale a una donna?
Gerhard Mumelter
(corrispondente dall'Italia del quotidiano austriaco Der Standard.
Nato nel 1947 a
Bolzano, vive a Roma dal 1996)
E' un po' di tempo che osservo e scrivo sul mielismo e le
contorsioni della stampa moderna.
(Tra l'altro, i miei contributi all'universita' di Wiki sul mielismo vengono
regolarmente cancellati, la macchina dice PER VANDALISMO)
Inzomma, io ricordo, quando ero un povero immigrato siciliano in Lombardia, che
i giornali, quando c'era un fatto di cronaca nera in cui era coinvolto un
meridionale, scrivevano: il 23enne Antonio Pîscetta, CALABRESE, e se per
esempio una rapina in banca la facevano dei settentrionali mettevano solo le
sigle al posto del nome e non ne menzionavano la provenienza.
A me pare che la cosa si stia ripetendo, che quando un ubriaco e' rumeno o
extra, lo citano con tutto il nome e indirizzo, se e' DEI NOSTRI ehehehe
non ci mettono un kazzo.
Mi sbagliero'? Chizza'...
Eccovi il pezzo del corriere di oggi:
Ubriaco,
investe e uccide un motociclista
Denunciato un 33enne a cui era
già stata ritirata tre volte la patente. Morto un altro centauro finito fuori
strada a Brescia
|
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CREMONA
- Un automobilista cremonese è stato denunciato per omicidio
colposo e guida in stato d'ebbrezza dopo avere investito e ucciso nel corso
di sorpasso azzardato un motociclista, morto sabato sera all'ospedale
maggiore di Crema (Cremona). L'incidente è avvenuto nella mattinata di sabato
sulla strada che da Soncino (Cremona) porta a Orzinuovi (Brescia). All'automobilista,
che guidava una Toyota, era già stata ritirata la patente tre volte tra il
novembre 2002 e il febbraio 2004.
|
Corriere Della sera
lunedì 15 Ottobre 2007
Tragedia nel
napoletano
UBRIACO IN AUTO
UCCIDE BIMBO DI 10 MESI
Ragazzo ubriaco
provoca un incidente….
FUGGE E TRAVOLGE
L’AUTO
AVEVA ASSUNTO
COCAINA
L’agente immobiliare
che ha provocato un incidente stradale uccidendo una donna e ferendone
gravemente altre due, non era solo ubriaco, ma aveva assunto cocaina…
Corriere della Sera
martedì 16 Ottobre 2007-
UBRIACHI E DROGATI
IN AUTO, ALTRI TRE UCCISI
GIOVANE INVESTITA A
CHIETI, DUE UOMINI TRAVOLTI A REGGIO EMILIA E LATINA
Qualche bicchiere di
troppo sono costati la vita a Valter Corghi…
…l’autista viene
sottoposto al test dell’etilometro… patente ritirata.
Storia simile quella
di Lorena Mucci, 27 anni, di Pescara. La sua vita finisce sotto le ruote di una
Punto blu. Alla guida una donna, Alevtina Tchourmak 34 anni, cittadina russa…
lanciata in una folle corsa lungo una strada di Francavilla…
(L’autista di cui
non si fa il nome, è evidentemente un italiano, mentre la cittadina russa…
N.d.Vincent)
Appropò:
Ricordate nulla
della strage di Erba, di quella famiglia uccisa dai vicini di casa?
E ricordate
l’articolo del Corriere della sera dell’11 Dicembre 2006 che ricostruiva i
fatti, i sospetti e le indagini?
Ve lo ripropongo:
E’ successo a Erba,
nel comasco
UCCIDE QUATTRO PERSONE E BRUCIA LA CASA
Tre donne e un
bambino ritrovati senza vita nell’appartamento in fiamme. Caccia al convivente
tunisino di una delle quattro vittime.
ERBA (Como) – E’
proseguita per tutta la notte, finora senza esito, la caccia al 25enne tunisino
Abdel Fami Marzouk, il pregiudicato, uscito dal carcere per l’indulto,
ricercato per l’atroce massacro avvenuto lunedì sera in un appartamento di via
Diaz, nel centro di Erba, nel Comasco.
Marzouk, secondo gli
investigatori, è scomparso dopo aver ucciso a coltellate alla gola e in altre
parti del corpo la moglie Raffaella Castagna di 30 anni, il figlio Yousef di
due anni, la suocera Paola Galli 60, e una vicina di casa Valeria Cherubini
50enne, accorsa assieme al marito al
grido delle prime vittime. Anche il marito della vicina Mario Frigerio di 60
anni è stato colpito dal pluriomicida, ora è ricoverato in condizioni molto
gravi per le coltellate e per le ustioni provocate dall’incendio appiccato
dall’assassino prima della fuga. Il tunisino è scappato a bordo di un furgone
poi ritrovato poco prima della mezzanotte a Merone, paesino tra Como e Lecco
nei pressi dell’abitazione del fratello di Fami Marzouk…
….
Ricorderete che
l’accusato si trovava in Tunisia e non poteva essere l’autore del delitto…
Paolo Mieli II, un anno dopo
Lunedì, 07 novembre 2005
|
Come si divide il teatrone della politica italica? Destra,
sinistra e centro-Mieli. Il vigile urbano di Montecitorio. Almeno visto
dall’interno grigio di via Solferino (e dintorni politici). Con i diessini
Massimo D’Alema (che si nega da un anno alle interviste) e Piero Fassino (o
fessino visto come si è prestato in passato alle ragioni del mielismo in
chiave anti-Baffino) che, esasperati dallo spiazzante giochino grancentrista,
all’unisono mandano al diavolo il direttore Mieli, da una parte.
Dall’altra c’è Berlusconi che non sa a quale santo votarsi per mandarlo in
pensione nella casetta di Creta con la diletta Bambi. E in tanti adesso a
Montecitorio si chiedono quanto durerà il suo romanissimo Pappa & Ciccia
(e cicoria) con Francesco Rutelli.
Già, è tempo di bilanci al Corrierone. Mancano infatti poche settimane al
giorno che santificherà l’anno primo del Grande Rientro di Rieccolo Paolino
nella stanza della Treccani. Quella che una volta fu occupata dal mitico fondatore
del giornale, Luigi Albertini.
Tutto accadde alla vigilia di Natale del 2004. L’azienda, orfana dei Romiti
appena estromessi dal quartier generale di Crescenzago (e alle prese con
l’ambizioso progetto full color), su ispirazione del prode e prodiano “Nanni”
Bazoli e per iniziativa delle “ballerine” Montezemolo-Della Valle-Tronchetti
decise (giustamente) di silurare Folli de Follis.
E di rimettere in pista l’uomo delle lettere (intese come corrispondente dei
lettori) che proprio il neo amministratore delegato, Vittorio Colao
Meravigliao, invece, aveva deciso di mettere in un angolino. Con mossa
azzeccata Mieli mandò al rogo il progetto full color modello “Week-end”
ideato dall’improvvido trio d’improvvisatori Colao-Folli-Fiengo. E la sua
sciamana, Maria Laura Rodotà.
LA RESURREZIONE DEL BUDDA DI CARTA.
Fuori Folli e dentro Mieli. Venerdì 24 dicembre 2004 il “Corriere” pubblica
il suo primo editoriale-editto dal titolo secco come uno spumantino d’annata
(a male): “La libertà di stampa”. Ma il Budda di via Solferino si dimentica
di scrivere quale sarà il nuovo cartiglio che dovrà ispirare la ciurma
impegnata ai remi della testata: “Quello che ieri non era oggi è”. Che,
tradotto in pratica quotidiana, per i redattori significa un umiliante lavoro
di ripresa degli articoli apparsi sui giornali concorrenti o di nicchia (dal
citatissimo “Foglio” all’ignota “Europa”; dalle “Ragioni del Socialismo” al
“Messaggero”; dal “Riformista” al “Secolo d’Italia”).
“Ben presto ci siamo trasformati nell’”Eco della stampa” del compianto prof.
Furgiuele. Forse perché la direzione pensa che non siamo capaci grado di
procurarci notizie originali”, osservano irridenti e perplessi in via
Solferino.
L’ARTE ARTRITICA DEL COPIA & INCOLLA.
Il record del Copia&Incolla (così l’hanno ribattezzato nelle varie
sezioni redazionali) si è registrato mercoledì 2 novembre. Mentre la
direzione impazzava in tv (Mieli da Rossella sul Tg5 a promuovere la
manifestazione del “Foglio” contro l’Iran; Battista ospite dell’”Infedele” di
Lerner e Riotta a far “Markette” da Chiambretti), il primo giornale italiano
“riprendeva” e “sviluppava” l’iniziativa pro Israele del “Foglio” (pag.5);
l’inchiesta di “Repubblica” sul Nigergate (pag.9); l’intervista di
Confalonieri all’”Unità” (pag.13); la riunione degli ex attori di Nanni
Moretti pubblicata dal “Riformista” (pag.12); i guai di Deutsche Bank
rivelati dal “Wall Street Journal” (pag.33) e l’intervista a Woody Allen di
“Vanity Fair” americano (pag.45).
“Ci sarà pure una ragione se abbiano bucato la notiziola del ritorno all’ora
solare...”, sorride ironico uno dei tanti “pesi morti” sistemati in quella
che una volta era la stanza dei redattori capo.
IL CORRIERE IN-FOGLIATO E S-FIENGATO.
Ma le sorprese non sono finite per la ciurma di via Solferino, che da pochi
giorni ha rinnovato la sua rappresentanza sindacale. Dopo essere
sopravvissuto a ben nove direttori Raffaele Fiengo va in pensione. Arrivano
(o in parte ritornano) Elisabetta Soglio, Gabriele Dossena, Marco Letizia e i
romani Daria Gorodisky e Pietro Lanzara. Ma il nuovo quintetto di
sindacalisti (impegnato a trattare con l’azienda il premio di produzione)
ancora deve incontrare il direttore-Budda.
Venerdì 4 novembre, ecco la sorpresa, lo Sceicco dell’Oasi del Viminal, Magdi
Allam, si autocelebra (“Sono stato la prima personalità (sic) musulmana
d’Italia a intervenire a una imponente manifestazione pubblica per difendere
il diritto d’Israele all’esistenza...”) sia sul “Corriere della Sera” (che lo
paga profumatamente in petroldollari) sia, gratis et amore di Allah, sul
“Foglio” di Giulianone Ferrara. Alla faccia dell’esclusiva richiesta a tutti
gli altri colleghi.
GIORNALE PARTITO O SPARTITO?
Intanto, dopo la bacchettata di Fassino (“Mieli se vuol fare politica si
candidi”) per capire da che parte (politica) sta il Corriere servirebbe
Freud. In un anno il direttore ha scritto soltanto due editoriali (tre in
tutto dal suo ritorno in via Solferino). Uno in occasione della morte del
Papa e l’altro sull’Europa dopo la bocciatura della costituente.
Dopo che il condirettore Paolo Ermini è finito nel cono d’ombra a fare il
lavoro “sporco” e a dettare ai romani gli “spartiti” (in primis la coppia di
retro scenisti Meli-Verderami) provvedono soprattutto i due vice Pigi
Battista (suo braccio secolare) e l’economo della virgola, Dario Di Vico.
Gran combattente quest’ultimo. Soprattutto ai tempi ferragostani dell’assalto
al Corriere dei “furbetti del quartierino”. Un mostrare di muscoli agevolato
dal fatto che dietro le sue spalline si muovevano tutti i pattisti forti
dell’Rcs.
Ma anche lui si fa stritolare dal mielismo. Ospitando in prima pagina,
giovedì 3 novembre, una articolessa del prof. Gregorio Gitti. Noto non
soltanto per occupare una cattedra ma anche per essere il genero del
banchiere-padrone Giovanni Bazoli, avendone sposato la figliola Francesca.
Con buona pace di Gondoleta Stella e del prof. Sabino Cassese, che sul
giornale sparano palle di fuoco contro il nepotismo, il genero(so) Gitti è
anche figlio di quel “Ciso” noto esponente della sinistra del mesto
Martinazzoli. Tutti frequentatori dell’esclusivo Paolino Budda Bar.
da www.dagospia.it
|
……………………………………………………………………..
Archivio del 16 Febbraio, 2007
Una ventina d’anni fa avevo un direttore che faceva sempre il
cinico sull’annoso dilemma della cronaca rosa e delle copertine tette-culi.
Sosteneva che se si ricevono decine di lettere di protesta di
lettori incavolati per un articolo troppo leggero o per una copertina troppo
sexy, significava che si era fatto centro: nulla indigna i lettori come quello
che il loro inconscio brama leggere, diceva.
Pensavo a questa cosa qualche giorno fa, ascoltando chi
mugugnava nel Web per lo spazio dato da “Repubblica” al carteggio
Lario-Berlusconi.
Ci ripenso ora che in Rete un po’ monta la polemica tra Luca Sofri e
il Corriere.it
sull’eccesso di tette e cazzeggio nel sito del nobile quotidiano:
Il problema però non credo sia il sito del Corriere, ma semmai
il particolare Dna della stampa italiana, che non ha mai visto la divaricazione
di quella anglosassone (testate “autorevoli” da una parte, tabloid dall’altra).
E mescola da decenni - spesso con successo - i temi seri e quelli faceti.
Nel boom di Repubblica - fine anni Settanta - c’era molto di
questa capacità di mixare alto e basso: sezione culturale di eccelso livello e
paginate trash sugli amori di Carolina. Poi è venuto il “mielismo”, quella cosa
per cui si chiedeva ad Alba Parietti un parere sullo scudo spaziale di Ronald
Reagan. E poi ancora Carlo Verdelli, che qualche anno fa ha risvegliato dal
coma Vanity Fair con una formula nella stessa scia (e il suo cocktail è stato
particolarmente riuscito).
Nella stampa cartacea a rendere equilibrato il mix sono stati
gli inserzionisti pubblicitari, con buona pace di chi ne ha orrore. Gli
inserzionisti cosiddetti alti - gli Armani, i Prada, quelli che sganciano tanto
insomma - non amano mescolarsi a un universo di tette e cazzate, sicché portano
i giornali a moderarne l’uso, o almeno a confezionare prodotti in cui il pop è
dipinto di glamour (e infatti quel mio direttore tanto cinico alla fine lo
hanno mandato a casa, perché il giornale non piaceva ai pubblicitari).
In tivù invece questo meccanismo darwiniano non è quasi mai
scattato. Sul piccolo schermo - che vive di inserzionisti assai diversi
rispetto al cartaceo - la spazzatura ad audience alta non ha allontanato gli
spot, anzi. Almeno fino a oggi.
In Internet, per ora, non lo sa nessuno che cosa succederà. Se
cioè il mercato pubblicitario - che nel Web italiano è ancora ai vagiti -
preferirà un sito basso ad alto traffico o un sito alto a traffico più basso, o
una via di mezzo più o meno bilanciata.
Forse è anche per questa incertezza sul futuro mercato
pubblicitario dei siti di news che il Corriere.it con una mano offre tette e
culi e con un’altra le giustifica accampandone valore culturale e dimensione
internazionale.
……………………………………………………..
Buon
2005, con la fantasia dell’informazione - di Giulietto Chiesa
(7011 letture)
Paolo Mieli più Gianni Riotta più Pigi
Battista al Corriere. Costanzo che si candida, hyphen, per la presidenza Rai.
Lucia Annunziata in pectore per L'Unità. La Repubblica - che, per leggerla
senza tristezza, bisogna aspettare Eugenio Scalari la domenica - è diventato
un giornale che crede alle armi di distruzione di massa (in Irak) e, quando
Berlusconi demolisce il potere giudiziario, titola così: "E' passata la
riforma".
Questo è il
quadro informativo che ci attende nel caso (sempre meno sicuro) che il
centro-sinistra sostituisca Berlusconi alla guida del paese. Questo è
comunque il quadro informativo-cerchiobottista che i moderati (sempre più
moderati) del centro-sinistra stanno componendo per condurci al grande
scontro finale. Che è davvero un grande scontro finale, ma che loro
considerano un episodio, da gestire mediante il "bipolarismo mite",
di una normale alternanza di potere, senza rendersi conto che quegli altri
non hanno alcuna intenzione di rispettarla, l'alternanza, e andranno giù a colpi
di maglio televisivo, violando tutte le regole, come del resto stanno già
facendo.
Insomma - come scrive Cordero -
"oppositori morbidi", che "accreditano l'avversario",
facendocelo passare come "normale", o addirittura
"interlocutore possibile". Non hanno compreso che questo è ormai il
tempo del ferro e del fuoco e, per questo, D'Alema docet, vanno a un centro
inesistente. Il pendant informativo-comunicativo è appunto l'inciucio con
tutti i peggiori "centristi" dell'informazione manipolata: con il
massimo responsabile della degenerazione infotainment di questi ultimi due
decenni e oltre, cioè Costanzo; con i cantori delle guerre giuste (cito
Franco Cardini) Annunziata, Riotta e Gibi Battista; con l'inventore autentico
del mielismo revisionista storico, alleato naturale di Platinette con la
barba (cito Marco Travaglio), e compagno di merende di Rossella 2000,
approdato al TG5.
Ecco la squadra
che dovrebbe accompagnarci al dopo Berlusconi! Ve lo figurate il risultato?
Ma questo - bisogna esserne consapevoli - è anche il quadro (invero
desolante) dei settori più progressisti della società italiana. L'opposizione
politica a Berlusconi è quella miseria che sappiamo, ma quella
imprenditoriale non è più saggia e lungimirante. Chi
potrà mai spiegare loro che it's the crisis, stupid? Che questo paese, come
il resto del mondo, non si può salvare con la "cultura Ferrari"? E
che è giunto anche per loro il momento del nuovo modo di produrre
(sostenibile) e di consumare (meno e diverso)?
Chi spiegherà
loro la differenza esistente tra inciucio cerchiobottista manipolatorio e una
grande riforma intellettuale e morale di questo paese? Chi spiegherà loro che
devono studiare molto più attentamente Silvio Berlusconi, e dargli retta
quando rivela che "tutto avviene in televisione"?
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20.12.2004
NON
DELUDETECI
di
Bds (Barbiere della Sera)
Sia
Mieli che De Bortoli sono due professionisti di eccellente levatura, e questo
lo sapevamo già, ma ciò che più conforta è che al vertice di due voci così
vitali della carta stampata arrivano, e questo è meno scontato, due giornalisti
con la schiena dritta
Due ex direttori del Corriere della Sera assumono la direzione di due
prestigiosi quotidiani. Paolo Mieli torna al comando di via Solferino e
Ferruccio De Bortoli salirà tra pochi giorni sul trono del Sole 24 Ore, il più
importante giornale economico del paese.
Annotiamo pure, dunque, che il vecchio moloch di via Solferino continua a
offrire sul mercato dei direttori il meglio che c’è in giro.
Sia Mieli che De Bortoli sono due professionisti di eccellente levatura, e
questo lo sapevamo già, ma ciò che più conforta è che al vertice di due voci
così vitali della carta stampata arrivano due giornalisti con la schiena
dritta.
Non era mica così scontato.
Mieli è l’inventore del mielismo corrieristico, quello stile un po’ sbarazzino
che negli anni ’90 ha rifrullato la vecchia immagine del giornalone milanese e
è il principe del terzismo, quell’atteggiamento di equidistanza politica che
talvolta, bisogna dire anche questo, scade nel cinismo, ma che comunque è
servito a liberare molti giornalisti dal vizio del facile assoggettamento
intellettuale.
De Bortoli è nato e cresciuto nel Corriere della Sera e ha diretto il giornale
con autorevolezza e dignità, proprio quella dignità che nei giorni scorsi ha evocato Claudio Magris sempre sulle colonne del Corsera.
(Anzi, a Magris, per ringraziarlo del suo bel pezzo, dedichiamo l’ultima
ricetta di Gelsomina che trovate in home page).
Mieli e De Bortoli non sono tipi che hanno paura. Per chi desiderasse
rinfrescarsi la memoria consigliamo di andarsi a rileggere le cronache della
tormentata candidatura di Paolo Mieli alla presidenza della Rai, fulminata nel
momento in cui dichiarò l’intenzione di far tornare in attività Enzo Biagi e
Michele Santoro e da una indegna campagna della Padania.
Consigliamo inoltre, per ciò che riguarda De Bortoli, di rileggere
l’affascinante carteggio con l’avvocato di Berlusconi Niccolo’ Ghedini che è
riprodotto integralmente nel libro “Regime” (Gomez-Travaglio).
Qui dal Barbiere, per ciò che vale, cioè molto poco, non possiamo che essere
contenti nel vedere che due così riprendono la regia di due voci essenziali
della società italiana. E vorremmo già che ci siamo, chiedere loro un paio di
favori.
A Mieli ci piacerebbe ricordare che il terzismo non è cinismo politico né
relativismo. In numerose occasioni, nel periodo più recente, i concetti di
giusto e sbagliato sono apparsi con grande chiarezza nella vita politica del
Paese. Il terzismo non deve essere un alibi per non dire chiaro e forte ciò che
è giusto e ciò che è sbagliato.
Di De Bortoli pubblichiamo in questa stessa pagina la prefazione che ha firmato
per un libro edito da Bompiani. Ciò che De Bortoli scrive a noi sembra sacrosanto e
confidiamo che questo sia il suo manifesto editoriale.
A entrambi inoltre chiediamo una cosa. Una guerra senza quartiere
all’informazione televisiva.
Per due motivi. Il primo è che mai si era visto in questo Paese un simile
livello di rimbambimento mediatico veicolato dalle televisioni. Chi ha
avuto modo di assistere, magari per caso, a alcuni programmi (per esempio
“Punto e a Capo”, di Giovanni Masotti e Daniela Vergara), o a un po’ di Tg ha
visto cose che gli umani hanno visto solo nell’Unione Sovietica di Breznev.
Poiché purtroppo il 90 per cento degli italiani è informato dagli schermi della
Rai o di Mediaset, che almeno il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore sparino a
cannonate contro questa umiliazione degli intelletti.
Il secondo motivo è figlio del primo. E’ necessario che la carta stampata,
anch’essa in buona parte annichilita dal potere, ritrovi coraggio e
indipendenza, riescano a infrangere lo starpotere televisivo nel mercato
pubblicitario. Corriere e Sole debbono dare il buon esempio.
Non deludeteci.
BIOGRAFIA
Figlio di Renato Mieli, muove i primi passi nella carta
stampata da giovanissimo: a 18 anni lavora all'espresso,
dove rimane per circa vent’anni. La sua idea di giornalismo
cambia col passare degli anni. La militanza in Potere Operaio,
movimento politico sessantottino
della sinistra extraparlamentare, influenza i suoi
esordi. Da posizioni estremiste, Mieli passa presto a toni moderati durante gli
studi di storia
moderna all’Università, dove i suoi maestri sono Rosario Romeo
(studioso del Risorgimento)
e Renzo De Felice
(storico italiano del Fascismo).Fondamentale
nella sua formazione anche la figura di Livio Zanetti, suo direttore all'Espresso.
Nel 1971 fu tra i firmatari del documento
pubblicato sul settimanale L'espresso
contro il commissario Luigi
Calabresi e di un altro pubblicato ad
ottobre su Lotta Continua in cui esprimeva solidarietà
verso alcuni militanti e direttori responsabili del giornale inquisiti per istigazione a deliquere a causa del contenuto
violento di alcuni articoli, impegnandosi a «combattere un giorno con le armi
in pugno contro lo Stato»[1][2].
Nel 1985 è la volta di "La Repubblica",
dove rimane per un anno e mezzo, fino al suo approdo alla "Stampa",
della quale il 21
maggio 1990 diventa
direttore. È in questi anni che Mieli affina il suo modo di fare giornalismo,
che con un neologismo verrà in seguito da alcuni definito "mielismo",
che prenderà forma soprattutto con il suo passaggio al "Corriere
della Sera" (10
settembre 1992). In
sostanza il nuovo direttore, come già aveva sperimentato con successo alla
"Stampa", prova a svecchiare il giornale della borghesia
lombarda, alleggerendone foliazione e contenuti con l'utilizzo di linguaggio,
personaggi e tematiche della televisione, che in questi anni sta sottraendo
ingenti quote di lettori alla carta stampata. Con il cambiamento il
"Corriere" non perde ma anzi consolida la sua autorevolezza. In
particolare durante "Tangentopoli"
cerca di porsi in maniera equidistante dai poteri pubblici e privati.
Il 7 maggio 1997 Mieli lascia la
direzione del quotidiano lombardo, al suo posto va Ferruccio
De Bortoli. Mieli diventa direttore editoriale del gruppo Rcs e dopo la scomparsa di Indro Montanelli
si occupa della rubrica giornaliera "lettere al Corriere", dove
dialoga con i lettori su temi prevalentemente storici. In virtù dei suoi studi
e della sua passione per la materia, è infatti anche uno storico.
Nel 2003 è stato considerato come
possibile presidente della RAI,
ma la sua nomina durerà soltanto pochi giorni, quando rinuncia non sentendo
attorno a lui, per motivi definiti "di ordine tecnico e politico",
l'appoggio necessario alla sua linea editoriale.
Dal 24 dicembre 2004 Paolo Mieli è tornato a
dirigere il "Corriere
della Sera" sostituendo Stefano Folli.
L'8 marzo del 2006, con un editoriale, ha
dichiarato che il suo giornale avrebbe auspicato una vittoria elettorale dell'Unione e di Romano Prodi
(tramite un crollo di Forza Italia accompagnato da un rafforzamento di AN e
UDC) alle successive elezioni politiche. L'editoriale ha suscitato
aspre polemiche non solo tra gli esponenti della Casa
delle Libertà a causa dell'abbandono del cosiddetto
"terzismo" da parte della testata. Un famoso precedente è quello di Indro Montanelli
che, su Il Giornale,
consigliò nel 1976 di
"turarsi il naso" e votare Democrazia
Cristiana contro il pericolo di una possibile affermazione del Partito Comunista di Enrico Berlinguer.
L’ANCHOR-MAN E L’INFORMAZIONE
Chi si ricorda di Antonio Russo?
Era uno dei tanti angeli invisibili che per
Radio Radicale aiutava i profughi in Cecenia e mandava notizie. Attratto dalle
sirene del Maurizio Costanzo Show, andò a mostrare la sua faccia e ad
illustrare la sua meritevole attività. La conseguenza fu che al primo viaggio
in Cecenia, lo catturarono e lo pestarono fino alla morte. L’Ordine dei
giornalisti gli diede la qualifica di giornalista post-mortem e amen.
Ricordando questo episodio, quando la
redazione di Italia News, il quotidiano con le notizie sul satellite, mi chiese
una foto da far passare durante la mia intervista, io che ci ho ancora qualcosa
da fare ad Haiti e non vorrei qualche speciale attenzione, ho mandato la foto
di Carlo Gubitosa, alla faccia della corretta informazione. Vabbè...
Tecnicamente le cose si sono svolte così: mi
hanno chiamato al telefono alle otto, l’ora americana della messa in onda (in
Italia va alle 13,00) e dopo alcune prove tecniche mi hanno lasciato appeso al
telefono in attesa di intervenire.
La trasmissione, più o meno è strutturata in
questo modo: il conduttore Piero Di Pasquale che è anche il direttore del
programma, apre fagocitando i titoli del TG1 e la notizia d’apertura (alla
mezz’ora lo farà col TG2) poi dalla sua redazione passano le notizie
dell’ultima ora, quindi a intervalli regolari sempre dalla redazione, le
notizie dagli interni, esteri e regionali. L’ospite o gli ospiti in studio
insieme con alcuni corrispondenti Rai collegati dalle varie sedi, sviluppano
quello che Di Pasquale ha eletto il tema del giorno. La trasmissione risulta
asciutta ed essenziale con qualche sbavatura dovuta probabilmente più a pressioni
politiche per un minuto di visibilità, ma tutto sommato credo si possano
considerare peccatucci veniali.
Certamente saprete che rimanendo appesi al
telefono durante una trasmissione in diretta non è possibile rimanere accanto
al televisore per non innescare un fastidiosissimo “effetto Larsen” che fischia
dolorosamente nelle orecchie, pertanto ho seguito il tutto al telefono perdendo
parti essenziali del discorso. Credo il tema del giorno vertesse attorno alla
comunicazione e alle difficoltà del dare notizie dai luoghi “caldi”. In studio c’era un rappresentante di reporters sans frontieres.
A TRE MINUTI dalla fine del programma,
finalmente la chiusa tanto necessaria in un buon pezzo giornalistico: “Ma
esiste pure un’informazione alternativa costituita dai “bloggers” e ne abbiamo
DUE in linea!”
Pensate, due bloggers (tra cui un neofita) che
spiegano il Web e i blog in tre minuti!
Infatti, finiamo di declinare le nostre
generalità e la trasmissione finisce.
E’ successo però un fatto che ha spiazzato
Piero Di Pasquale: approfittando del minuto messomi a disposizione dichiaro che
hanno “bucato” una notizia. Intendiamoci bene, questo è un colpo basso.
“Bucare” una notiza – cioè non registrarla e lasciarsela sfuggire- è una delle cose che maggiormente irrita una
redazione. Il direttore non si lascia sorprendere e mi sfida: “E allora ce la
dia lei, la notizia!” ed io in una sintesi disperata parlo della tempesta
tropicale che ha colpito l’isola (un centinaio di morti) mettendo in ginocchio
la popolazione che non era stata allertata dal governo. Oso pure un paragone
con il regime di Cuba che in casi analoghi si dimostra attrezzatissimo.
Questo mio intervento voleva dimostrare che
noi del Web NON siamo l’informazione alternativa bensì l’informazione l’altra.
E basta.
Vediamo di capirci meglio: ogni giorno “le
agenzie” cioè le entità che in nome delle varie associazioni giornalistiche
mettono in circolo le notizie, raccolgono circa 20.000 fatti più o meno
interessanti di cui parlare e dirama un bollettino diciamo con le duemila
notizie di rilievo secondo la nostra cultura e il nostro vissuto. Di queste
duemila, contatele se ne avete il tempo, i giornali ne mettono una dozzina in
prima pagina ed i telegiornali sono confezionati con una quindicina di queste.
E le altre? Chi ha detto che le altre non
siano interessanti, almeno per qualcuno?
Ecco, nel Web succede proprio questo fenomeno:
il commento (QUASI SEMPRE CONTRO CORRENTE) alle notizie ufficiali, la ricerca
di vari approfondimenti (il Web ha una memoria lunghissima) e diffusione di
alcuni fatti che non vengono trattati dalla stampa ufficiale.
Ma abbandoniamo il caso personale e vediamo di
analizzare la funzione di Piero Di Pasquale alla luce del McLuhan.
Conservo ancora una lezione di Maurizio
Costanzo che in un corso di comunicazione affermava: “Come chiaramente scritto
dal McLuhan, la televisione è figlia della radio...”
Nulla di più sbagliato. Intanto perchè il
massmediologo canadese non ha mai scritto una cotanta corbelleria, infatti se
la radio è l’estensione dell’orecchio e deriva dal telegrafo e dal telefono, la
televisione è una protesi dell’occhio e rappresenta l’evoluzione del fumetto,
dell’icona e dei geroglifici!
La televisione in sè stessa non esisterebbe se
non ci fosse la società che si rispecchia in essa, che è un flusso continuo di
immagini senza approfondimento e senza profondità.
In questo flusso continuo si è inserito tra
gli altri Piero Di Pasquale che prima con NEXT ed ora con ITALIA NEWS si è
trasformato da “portatore sano di notizie” (la definizione è un po’ grottesca,
spero mi perdonerete) ad anchor-man che è una figura prettamente televisiva di giornalista
testimonial che con la sua faccia ed il suo lavoro in qualche modo GARANTISCE
l’approfondimento che, badate bene, è sempre “viziato” dalle sue convinzioni
personali.
Torniamo alla mia intervista. In pratica
cos’ha fatto Di Pasquale? Ha raccolto tutto il mondo fuori da sè e
FAGOCITANDOLO, lo ha restituito ai fruitori come televisione pura!
Ora, la domanda è questa: in un mondo dove
predomina la polemica sul relativismo (anche storico) non sarà un’imprudenza
lasciare che alcuni anchor-men abbiano la facoltà di indirizzare (influenzare?)
con le loro opinioni il pubblico televisivo?
La risposta la lascio a voi, ma mi permetto di
farvi notare che nella storia della moderna televisione, non esistono Anchor-men
che abbiano tradito il loro mandato e quei pochissimi che sono stati scoperti
ad alterare anche di un ette i fatti per derivarne vantaggi (anche d’opinione)
personali, sono stati prima sbeffeggiati e poi si sono dissolti come nebbia al
sole, scomparendo dal video.
Aldo Vincent
PRIMA APPENDICE
Approfitto dell’argomento per collegarlo al
recente dibattito su Wikipedia, che lo dico subito mi trova in una posizione
minoritaria, la qual cosa non mi preoccupa perchè ormai so per esperienza che
chi ha ragione un’ora prima degli altri è destinato ad avere torto per un’ora e
visto che tutti i posti erano occupati, come Bertold Brecht mi sono seduto
pazientemente dalla parte del torto.
L’idea di un’enciclopedia universale aperta a
tutti i contributi, senza una redazione preparata ed un illuminato direttore
responsabile dell’opera non ha senso, o almeno non ha il senso illuminista
dell’Enciclopedia.
E’ tutt’altra cosa. Così come il grande flusso
di informazioni anche contradditorie che imperversano sul Web sono una cosa
buona, ve lo dice uno che si batte da anni per questo. Però questa informazione
perde molta parte della sua funzione se non cerca di interfacciare con
l’informazione canonica, quella ufficiale che con tutti i suoi difetti
rappresenta la parte essenziale del tessuto sociale.
Voglio dire, benvenuti i blog e l’informazione
“altra” ma che non si chiuda in un circuito di adepti, cerchi invece di aprirsi collaborando coi
professionisti dell’informazione. Magari non lasciandosi semplicemente
fagocitare, come succede ora (...e adesso andiamo a vedere sul nostro sito le
domande dei nostri ascoltatori....) ma sperando che seri professionisti
dell’informazione come Piero Di Pasquale si accorgano di noi...
Aldo Vincent
SECONDA APPENDICE
Eppure,
sul Web ed il fenomeno dei bloggers, nei avrei avute di cose da dire. Non certo
per una rigorosa ricostruzione storica, che non spetta certo a me. Ma la mia
esperienza arriva subito dopo le BBS, con gli eroici ragazzi di Arpanet, gli
spocchiosi gestori di Fabula, l’elitario Granieri e il suo Amelia, primo
tentativo di salotto letterario, il primo Golem gestito (a pagamento) da
Umberto Eco e Gianni Riotta che in seguito insieme con Bartezzaghi pubblicarono
per Einaudi un libricino scritto con i contributi del Web.
Il secondo
Golem, questo della Rai con lo straordinario Nicoletti, e poi Punto Informatico
e Affari italiani i primi quotidiani italiani sul Web, Rodrigo Vergara di
Arcoiris il primo tentativo di televisione su Internet, Angie la spiritosissima
casertana e le sue ricette. Il Dr. Zap, al secolo Prof. Antonio Zappulla,
docente di una facoltà universitaria a Bologna che sta studiando la funzione
terapeutica della risata e raccoglie tutte le spiritosate che girano sul Web
catalogandole per aregomenti. Il mitico Davide Ruda di Firenze, con un percorso
professionale che lo ha portato da Dada a Supereva, a Clarence ed ora vende via
Web gingles per i telefonini...
A
proposito di Davide Ruda, avrei ricordato che quando ero a Teheran e stavo
organizzando una rete di bloggers che comunicassero col mondo in lingua
inglese, si offrì per comprare un dominio e gestire a sue spese un Sito Web:
www.ciaoteheran.com .Andatelo a visitare (se esiste ancora visto che con
l’arrivo al potere di quest’ultimo presidente, non abbiamo rinnovato il
dominio) e confrontatelo con www.italia.it
che approssimatamente ha la stessa struttura di ipertesti.
Vi sembra
quasi uguale? Sappiate che questo ultimo Sito sta per essere chiuso per
sfinimento e che è costato al contribuente 40 milioni di Euro mentre Davide, ha
fondato, progettato e gestito il nostro Sito con gli spiccioli del suo
stipendio.
Avrei
parlato anche della dolce Antonella, a suo tempo molto legata a Antonio Russo
di Radio Radicale, che si è messa in testa di fare la giornalista e per pagarsi
gli incerti inizi, suona il violino ad ore al Santa Cecilia e gestisce www.censurati.it
.
Certo avrei
citato Riccardo Orioles mitico giornalista siciliano che scrive ogni giorno
contro la mafia, e a viso aperto attraversa il mondo con il suo cappellaccio,
la pipa ed il mantello come un personaggio ottocentesco.
Mamma mia,
quanta gente conosco!
Questa è
la contraddizione del Web: va a finire che hai una pletora di amici sparsi per
il mondo, tutti quanti con una @ nel
loro indirizzo, poi magari non saluti nemmeno il tuo vicino di pianerottolo.
Eppure, tutte le volte che ho incontrato persone conosciute tramite il Web,
non ho avuto sorprese, è stato un poco come conoscersi da sempre perché
scambiarsi opinioni dai blog e sui blog scopre un poco l’anima, e quando ci si
incontra è quasi un sollievo.
Avrei parlato della satira sul Web, la più feroce perché senza limiti, da
Artefatti, a LiberazioneT, Boxer, Cartaigienica, Bastardidentro, Cactus, Godere
con la lingua, Helios, Bengodi, Marc Bernardini che ci chiese contributi
taroccati dei manifesti di Berlusconi, poi ricevemmo una lettera di diffida da
Mursia perché dopo la pubblicazione su carta i tarocchi erano sotto copyright e
ci veniva impedito di usare i NOSTRI lavori per non incorrere in non so quali
sanzioni…
Avrei parlato di quella che Piero Di Pasquale ha definito “informazione
alternativa”: Come Don Chisciotte, Luogo Comune, Antibufala, Disinformazione,
Indymedia, Peacelink, Reporter Associati, Misna, Le notizie viste dal didietro,
Ciccsoft, Haramlik…
Forse avrei parlato pure dei famosissimi, come Dagospia, Sabelli Fioretti,
Votantonio, Gattomammone e forse avrei parlato pure di Beppe Grillo, e del
botto che ha fatto stupendo il mondo con la mobilitazione dei suoi bloggers.
Badate bene, quelli che parlano del fenomeno “grillino” non hanno capito quasi
nulla. Il fenomeno non è il blog di Beppe Grillo ma Grillo stesso, che ha
organizzato il più grande spettacolo italiano del dopoguerra. E il più
redditizio, dopo l’invenzione dell’Orchestra Italiana di Renzo Arbore.
Grillo ha mobilitato tanta folla per quello che è lui, non il suo blog. La
dimostrazione è Adinolfi che con gli stessi mezzi e lo stesso blog si è
presentato alle primarie del Partito Democratico incassando percentuali da
prefisso telefonico!!
Avrei parlato dei nostri politici, che hanno quasi tutti aperto dei blog ma
che non riescono a gestire (primi fra tutti, D’Alema, Prodi e Rutelli) mentre
il troppo sottovalutato Di Pietro (ricordo che fu il primo ad entrare nelle
aule dei tribunali con i suoi computers) Franceschini, la Margherita, la famiglia
Fo, Storace e pochissimi altri, si danno da fare.
Avrei parlato anche di…
Massì, perché sto perdendo tempo con i miei ricordi? Di noi, per il
momento, si interessano solamente quelli che ancora ci definiscono “ il
fenomeno dei bloggers”
Ma quale fenomeno?
Aldo Vincent
Il corso sul McLuhan lo trovate qui:
Questa lezione e’ invece qui: