Parlo di me,
naturalmente, che ho passato la vita ad occuparmi di psicologia delle
masse, di comunicazione, tenendo corsi, andando a cercare testi,
leggerli, tradurli, metterli on line, diffonderli, che a saperlo
avrei potuto investire il mio tempo sui campi di tennis per
migliorare il mio rovescio e poi, dopo una quarantina d'anni
finalmente trovare il bigino di questa esimia professoressa (22 Euro
per un bigino, un po' caro per la verità) con l'elenco delle sue
preziose letture e conseguente lezione di scienza delle comunicaione
et similia...
Insomma,
un'occasione persa pure per questa professoressa che riempie 237
pagine del suo ultimo libro che usa per definire la folla, ma non
come le stiamo vivendo noi, bensì come la videro e la definirono
letterati e intellettuali della fine del diciannovesimo secolo,
quando la disciplina pencolava tra la sociologia e l'isteria a
cavallo degli anni in cui si faceva strada un originale punto di
vista di un certo Freud, che non si sapeva nemmeno se definire
scienza...
In questo elenco di
opinioni di eminenti pensatori risalenti al 1895, salta all'occhio
l'infatuazione presa dalla professoressa nei confronti di Gustave Le
Bon, che detto per inciso io sospetto che non fosse nemmeno laureato,
un imbonitore ottocentesco, inventore del cefalometro tascabile,
della teoria della luce nera e dell'etere luminifero (sic) che
orgnizzò le colazioni del mercoledì nelle quali venivano invitati
intellettuali e pensatori dell'epoca. Gli capitò per le mani
l'edizione francese della Folla Criminale di Scipione Seghele
e da lì intraprese la teorizzazione della sua pricologia delle folle
PRIMA dell'avvento della psicologia. Fu un percorso tormentato pieno
di contraddizioni, di scambi con altri studiosi:
Applicando un
paradigma di studio scientifico derivato dall'approccio clinico delle
patologie mentali elaborato dal professor Charcot alla Salpétrière
di Parigi, Le Bon utilizza i concetti di contagio e di suggestione
per spiegare i meccanismi della folla che portano all'emergere
dell'emotività,
dell'istintualità e dell'inconscio altrimenti repressi negli
individui dal controllo sociale ordinario.
Influenza
Le Bon non fu il
primo ad analizzare la società sua contemporanea, scoprendo un nuovo
fenomeno: 'La folla'.[4]
Altri studiosi includono: il francese Gabriel
Tarde, l'italiano Scipio
Sighele e il tedesco Georg
Simmel. Tutti e tre gli studiosi scrissero opere similari
descrivendo le folle in epoca di sviluppo di nuove teorie sulla
azione
sociale. “Il primo dibattito sulla psicologia delle folle fu
tra i due criminologi, Scipio
Sighele e Gabriel
Tarde, riguardo alla determinazione della responsabilità
criminale delle folle e chi porre in arresto (Sighele, 1892; Tarde
1890, 1892, 1901).”[5]
Il libro di Scipio Sighele La Folla Delinquente fu
pubblicato in Italia nel 1891 e in Francia con il titolo La Foule
Criminelle. In tedesco fu pubblicato solo nel 1897, disponibile
per Georg Simmel, con il titolo Psychologie des Auflaufs und der
Massenverbrechen. In inglese con il titolo The Criminal Crowd
nel 1894.
Le Bon fu testimone di tre grandi eventi di massa: la comune
di Parigi (1871), l'ascesa di Georges
Ernest Boulanger, e l'affare
Dreyfus. Ognuno di questi eventi galvanizzò larghi segmenti
della popolazione. Parigi a quel tempo era una delle più grandi e
industrializzate città d'Europa, fronte di forze di antisemitismo
e estrema
destra. In particolare il Trattato
di Francoforte portò alla ribalta forze di destra. Fu questo il
contesto in cui Le Bon concepì il concetto di "folla".
Questa nuova entità che emerge dall'unione degli individui non
forma solo un nuovo corpo fisico ma una collettività
“incosciente”.
La cosa che mi ha colpito maggiormente in questo lavoro è che la
parola WEB e conseguente concetto viene usata una volta a pagina nove
e l'ultima volta a dieci righe dalla fine del saggio mentre secondo
me per essere un utile manuale di psicologia delle masse, avrebbe
dovuto usare Le Bon nelle prime dieci righe e poi avrebbe dovuto
aiutarci a dipanare la matassa della definizione di folla prtendo dal
punto di vista di oggi, non con un individuo che si schiaccia sul
nulla prendendo forza dal contatto fisico della folla che aiuta a far
sparire la razionalità eccetera eccetera (Le Bon) ma oggi che ogni
individuo si isola e non vuole contatti fisici, come si manifestano
le caratteristiche della folla nella vita virtuale di Internet?
Come si giustificano fenomeni della folla tipo Web Crowfounding,
dove la folla aiuta un progetto oppure, come si giustifica il
Flash mob che
è un raduno in
pubblico, improvvisato, organizzato tramite passaparola, dove possono
partecipare tanti sconosciuti tra loro, per creare un’azione strana
che dura pochi minuti, per poi dileguarsi. Possono
considerarsi folla?
E Salvini, che tra le rare letture, probabilmente avrà letto
qualche riassunto del Le Bon e ne applica alcune obsolete teorie,
come lo si argina, con quali strategie comunicative si può
combattere?
Queste sono le piccole cose che avrei v oluto trovare in questo
volumetto e invece le trovo in un'autrice meno paludata ma molto più
divulgatrice di una profesoressa incartapecorita ( le sue idee, off
corse, della persona non mi permetterei mai) che ancora una volta
mostra il modo obsoleto con cui la nostra Università qualche volta
tratta argomenti che meriterebbero un nuovo punto di vista.
DA LEGGERE:
Manuela Murgia
Istruzioni per diventare fascisti
Enaudi
Editore
Flash Mob: balli e raduni improvvisati
Il
Flash mob è un raduno in pubblico, improvvisato, organizzato tramite
passaparola, dove possono partecipare tanti sconosciuti tra loro, per
creare un’azione strana che dura pochi minuti, per poi dileguarsi.
Deriva dalle parole inglesi flash (veloce) e mob (moltitudine). Su
youtube se ne trovano moltissimi esempi, dalle guerre di cuscini alle
coreografie di star trek, o con azioni strane e strambe (mimare un gran
premio di formula 1, ecc.). E c’è chi organizza finti flash mob per rapinare banche!.
Una variante sono i flash mob danzanti, ovvero dei balletti più o meno
improvvisati: uno porta la radio, si attacca un pezzo, si balla per
qualche minuto e appena finisce tutti scompaiono, lasciando i passanti
nella divertita sorpresa. Vi sono flash mob amatoriali e quelli
organizzati professionalmente. Certo, è un bello spettacolo quando
arriva all’improvviso. Ma io personalmente preferisco quelli più
“amatoriali” dove chi partecipa si improvvisa ballerino e deve seguire
le indicazioni di chi ne sa di più. Questo famoso flash mob è stato
realizzato alla stazione di Antwerp, in Belgio:
https://www.magnaromagna.it/video/flash-mob-danza-curiose-esibizioni-balli-improvvisati/
Contatto visivo con l'immagine di una divinità, o con una persona reverenda, o con un oggetto sacro.
dal sanscrito: darśan vista.
Il concetto che questa parola esprime è
davvero importante, ed è qualcosa che viene vissuto molto comunemente.
In italiano non può essere reso che con ampie perifrasi, e quindi
difficilmente si trova espresso.
Il darshan è originariamente un elemento fondamentale dell'adorazione
hindu. Si ritiene che la vista dell'immagine sacra della divinità o di
un altro oggetto sacro, o il contatto visivo con il santo o con la
grande personalità abbia per il fedele un effetto ispiratore e di buon
auspicio: e già notiamo come sia un concetto che non è alieno alla
nostra cultura; rimanendo in ambito religioso ma nostrano, è comune che
vengano ricercate esperienze come vedere il papa, o andare a vedere la
tal reliquia. E un ancor più ampio respiro prende questo concetto se
inteso laicamente.
A chi non è capitato di andare a sentir parlare il proprio scrittore
preferito, ricercando uno scambio visivo? Chi non ha sentito un fremito
vedendo gli occhiali di Puccini sulla sua scrivania, o un foglio di
appunti di Manzoni? E dove sta la magia dei concerti visti dal vivo, o
del vedere coi propri occhi Amore e Psiche di Canova?
Il darshan è l'ultimo bastione sacro di un senso fisico che ha perso
gran parte della sua magia. Su internet o in tv si possono vedere video
di tutte le grandi personalità del mondo che fanno e dicono ciò per cui
sono grandi, e con un clic si possono raggiungere sterminate gallerie di
opere d'arte, documenti originali, foto di ogni luogo. Il darshan è il
contatto visivo di quando dici "Voglio vederlo dal vivo" o di quando
racconti agli amici che sei stato nel tal posto e "L'ho visto". E il
motivo per cui si vuole avere un darshan non si può liquidare facilmente
bollandolo
come superstizione, perché anche il meno superstizioso lo sente: il
darshan trasmette davvero qualcosa. Che sia una benedizione per il
giovane violinista che vede uno Stradivari, che sia un buon auspicio per
chi, all'inizio di una giornata che si annuncia terribile, intravede e
magari scambia due parole col suo idolo, che sia un'ispirazione per chi
incrocia lo sguardo della grande persona che combatte per i suoi stessi
ideali, è certo che il darshan è un fatto sacro. Riporta la vista su un
binario di dignità
altissima, la rende di nuovo capace di veicolare un'emozione che ti
prende tutto il corpo - come quando da bambino vedevi la mamma o da
ragazzino vedevi la ragazza che ti piaceva tanto. 2 luglio 2019
FULVIO ABBATE CONTRO LA “NUOVA PLEBE” CHE CONTESTA CAROLA RACKETE:
Alla fine, forte del proprio analfabetismo conseguito
e testato sui social, ciò che potremmo chiamare la nuova plebe, scacciò
dalla memoria l’antica, quella che in certe pitture barocche mostra
soprattutto Napoli, la sua storia secolare tribolata, pronta a soffocare
nel sangue le idee ordite da generosi nobili infatuati di rivoluzione,
di più, dalle “élite”, disprezzate in quanto tali.
Pensate
al duca Gennaro Serra di Cassano nel 1799, poi al conte Carlo Pisacane
nel 1857, la cui sciabola dimora adesso al Museo del Risorgimento, nel
ventre del Vittoriano. Meglio ancora se portatrici – le immonde “élite”
non certo la plebe, sia chiaro – di un pensiero ora illuministico ora
proto-socialista.
Dunque
non era una prerogativa unica del mondo all’ombra del Vesuvio, forte
dei Masaniello o Agostino ‘o Pazzo, per chi di quest’ultimo ha memoria,
quel certo modus di reagire alla Vandea subculturale; il duca Gennaro,
colpevole di sognare la repubblica, finirà decapitato, da allora il
portone del palazzo di famiglia è rimasto doverosamente sbarrato in
faccia alla plebe, monito a una coscienza mai raggiunta, calpestata.
Uscendo
dai sussidiari di storia per ficcarci nel greve reality
post-berlusconiano odierno, va detto che la plebe remix appare sempre
più un fenomeno metropolitano globale, pronto a mostrare innanzitutto il
proprio rifiuto di ogni complessità culturale, fosse anche il semplice
“carissimo amico” della democrazia, quasi che il nuovo soggetto
prevalente abbia scelto di rispondere a ogni obiezione dialettica con un
“E ‘sti cazzi?”.
Miserie
accompagnate da un repertorio di altre citazioni degno delle “più belle
frasi di Osho”, il romanesco come lingua globale del qualunquistico
cinismo, cioè ‘sti cazzi e ancora ‘sti cazzi in luogo, che so, del
Michel Foucault dei “radical chic”.
Scendendo
nello specifico, si tratta di un soggetto sociale cresciuto nel
grottino-tavernetta di un paese che da “terribilmente sporco”, suggeriva
Pasolini, ha completato la propria transizione verso lo stato acefalo, e
questo, così pensano i gretti, ritenendo che le conquiste civili siano
una profanazione quasi anale dell’orgoglio patrio, un’imposizione giunta
dai “comunisti”, dai “sinistri”, dalle “zecche rosse”.
Propellente
per un Sessantotto della destra che strega la nuova plebe con le sirene
spiegate della Lega di Salvini e del M5S di Luigi Di Maio, forze
politiche che, in verità, mostrano un effetto-Niagara, cioè stura water,
circa un sentire ultimo diffuso e profondo razzista che stava solo in
sonno.
Questa
nuova irresistibile plebe, assente a ogni coscienza individuale, segnata
da un riflesso paranoide, come si evince dalla prosa sui social, è
assimilabile al branco di nutrie, all’istinto gregario, posseduto dalla
narrazione e dalla propaganda populista, mostrando così un background
bruciato da decenni di esposizione alla televisione commerciale.
Per
intenderci, prima di concedersi quasi eroticamente al fascino casual di
Salvini, gli stessi soggetti sono rimasti stregati dal fard di
Berlusconi. Occorre pensare che decenni di “Uomini e donne” e
“Paperissima” e “Ciao Darwin” abbiano lasciato lesioni permanenti
sull’encefalo di un paese sostanzialmente illetterato.
È
accaduto soprattutto a detrimento d’ogni sapere che non corrispondesse
al gretto egoismo piccolo-borghese. Si sappia infatti che la nuova plebe
ama innanzitutto i propri luoghi comuni, così tanto che quasi quasi
vorrebbe recintarli, di più, farli custodire da un bel muro tempestato
di punte di lancia, di modo che nessun altro, peggio se straniero, possa
giungere, presentarsi - toc toc - magari per bisogno materiale; la
nuova plebe infatti ha rimosso, in assenza d’ogni coscienza civile, la
memoria di un paese già con le pezze al culo, gli antenati costretti a
emigrare e talvolta addirittura pronti a farsi mafia fuori dai propri
confini, la plebe remix si sente rassicurata da chi garantisce di
innalzare staccionate, come quel leghista che promette un muro di 243 km
che corra sul confine est d'Italia: «È un’ipotesi che si sta valutando
col Viminale», proclama il governatore del Friuli-Venezia, Massimiliano
Fedriga, appunto. E questo «Perché noi dobbiamo dare sicurezza ai nostri
cittadini. Tranquillità nelle case, decoro nelle pubbliche vie. Ladri,
delinquenti di piccolo o grande calibro non ne vogliamo»
Avrà
costui coscienza che il racconto dell’umanità è storia di esodi e
migrazioni? Con Fedriga dobbiamo immaginare un cervello unicamente
abitato da sistemi d’allarme, porte corazzate, bloster, taser e dal
“suo” muro? Servirebbe a qualcosa ricordargli che tra i versi di Prévert
ce n’è uno, definitivo, che così inquadra certa umana meschinità:
«Quelli che in sogno piantano cocci di bottiglia sulla grande muraglia
della Cina».
E
ancora, ci scommetto che nella mente dei nostri dirimpettai razzisti in
nome dell’orgoglio identitario, c’è il proposito ulteriore di una
narrazione che serva a trasformare il nostro quotidiano in film
poliziottesco permanente, con il Capitano, il commissario, l’ispettore,
il questore, il questurino, il piantone, un Salvini, pronto a vestire
tutti questi ruoli, pronto a ordinare a gazzelle e cellulari di
sguinzagliarsi, così come alle motovedette, le pilotine, i
cacciatorpediniere laggiù in mare, magari in attesa di fare finalmente
fuoco sui barconi, sugli “stranieri”, sulle ragazze con i dread, figlie
“viziate” delle solite infami “élite”.
CAROLA RACKETE
Se
trent’anni fa, a Berlino, si festeggiava la cancellazione di un
confine, adesso, nel sentire, di più, in pugno ai leghisti e ai loro
alleati grillini sembra di vedere pronta la cazzuola, micragnosa idea di
libertà e di controllo, nella convinzione che, sebbene meschini nella
loro bassezza morale, i nostri cognati, perfino i peggiori, sono da
preferire ai poveri, neri di pelle, che vengono verso di noi con i
barconi, posto che la miseria va ritenuta un crimine in sé, non per
nulla la nuova plebe riporta in vita tra una pizzata e l’altra un
repertorio di barzellette dove brilla Bongo, “re del Bongo, e “nel culo
te lo pongo” (sic), così nei conciliaboli da Ku Klux Klan sezione di
Formello o di Trigoria o di Appiano Gentile, o perfino di Lampedusa.
Nella
convinzione che le semplici aste dalla democrazia siano roba superata -
l’ha detto anche Putin, no? – dunque resta da presidiare il mondo, i
quartieri, i bar sotto casa con occhio torvo, forte com’è d’avere
riconosciuto il nemico nei “sinistri”, negli “intellettualoidi”, i
“professorini”, dove Salvini, con cantilena minacciosa, rosario della
grettezza securitaria, è il loro Orso Yoghi; neppure Maurizio Merli, nei
panni del commissario Tanzi dei succitati poliziotteschi, aveva
ottenuto tanta fidelizzazione, pensate.
Alla
fine, in assenza di opposizioni, posto che il Pd mostra nient’altro che
una pietosa afasia, se non talvolta perfino contiguità con il pensiero
da mattinale di questura, proprio alle vituperate “élite” è spettata la
soddisfazione della risposta individuale, singola, giunta direttamente
dal cuore, risposte da “sinistri”, e tuttavia finalmente reattive
rispetto alla tracotanza del ministro degli Interni, risposte
addirittura aspre che replicano all’insulto con la medesima sostanza, e
così frutto di doveroso amor proprio, necessario narcisismo politico
ritrovato di fronte alla sensazione, appunto, di una sinistra assente,
vedi Adriano Sofri, vedi Oliviero Toscani, vedi Chef Rubio, vedi
Saviano, vedi altri che l’arroganza di Salvini ha convinto ad
abbandonare ogni galateo per salire sulle barricate. Alla fine, hanno
dovuto provvedere le “élite”, di più, proprio duca o il conte a
ristabilire una chiarezza resistenziale, dichiarando, come avrebbe detto
qualcuno, cioè un “professorone”, guerra all’ovvio e all’ottuso.
IL MONDO SECONDO JR – LO SPETTACOLARE MURALE
DIGITALE LUNGO 32 METRI DELL’ARTISTA FRANCESE JR È ESPOSTO AL SF MOMA
DOVE RIMARRÀ FINO AL 2020: “THE CHRONICLES OF SAN FRANCISCO” RACCONTA LE
STORIE DI 1.200 PERSONE E METTE SULLO STESSO PIANO MILIONARI E
SENZATETTO, SPORTIVI, DRAG QUEEN E CELEBRITÀ LOCALI – UN LAVORO
INTERATTIVO CHE CONSENTE ATTRAVERSO UN IPHONE DI CONOSCERE LE STORIE DEI
PROTAGONISTI E VEDERLI IN MOVIMENTO…(VIDEO)
-
jr all'sfmoma 9
The
Chronicles of San Francisco è l’epico murale digitale (32x5m) ideato e
creato dall’artista francese JR (classe 1983) esposto al SFMOMA nella
lobby che dà su Howard Street, dove rimarrà fino all’autunno del 2020,
quando restituirà lo spazio all’opera di Diego Rivera.
jr all'sfmoma 6
L’autore,
famoso per raccontare la storia dei luoghi attraverso i ritratti di chi
li abita, ha intervistato, fotografato e filmato per due mesi, a
partire dal gennaio del 2018, 1.200 persone in 22 location diverse. Poi
per un anno ha assemblato ciò che aveva editato. Un progetto inclusivo:
nessuno è più importante di un altro.
sfmoma 2
Tra
gli individui del microcosmo ci sono milionari e senzatetto, dignitari
come il Governatore della California Gavin Newsom e celebrità locali
quali l’attivista LGBT Cleve Jones, il cestista dei Warriors Draymond
Green, la drag queen Donna Sachet, i membri del San Francisco Gay Men’s
Chorus...Il lavoro è interattivo: con l’iPhone si possono conoscere le
storie dei protagonisti e vederli in movimento.
jr all'sfmoma 5
La
scelta dei soggetti per la maggior parte è avvenuta per caso: gli
assistenti di JR fermavano per la strada i prescelti con una pacca sulla
spalla e chiedevano loro in quale gruppo volevano poi essere inclusi:
ricchi, poveri, gay, attivisti, sportivi, tra chi applaudiva o si faceva
selfie...«Come artista», dice JR, «sono responsabile dell’orchestra ma
sei tu che decidi come vuoi essere rappresentato per sempre».
La fondazione si occupa di una biblioteca mondiale, lotta alla malaria, benessere dei bimbi poveri del Terzo Mondo e ultimamente l'ho visto girare con un pacco di merda per un progetto energetico. Tutto bene. Io mi chiedo però perchè questo signore più ricco del mondo con 100 miliardi di dollari di patrimonio personale, abbia il diritto legale di non pagare le tasse come i comuni mortali per permettere agli Stati sovrani di ridistribuire la ricchezza con servizi adeguati e invece dobbiamo accontentrci della sua beneficenza, dopo aver evaso i normali doveri fiscali.
Mi chiedo anche cosa succederebbe se uno di questi Tycoon invece di orientare le proprie elemosine verso i meno fortunati, decidesse invece di convogliare i propri soldi verso il male, nuove armi, guerre, presa di potere,, ricatti alla Spectre per dirne una.
Perchè la fantascienza alcune volte è solo aver guardato il futuro come racconto, e qualche vlta come allarme...
BEZOS PIGLIATUTTO - AMAZON E' IL NUOVO
GRANDE INDIZIATO DELLE AUTORITÀ ANTITRUST E PRIVACY - CI SONO GLI
ACQUISTI ONLINE, CERTO. MA È PURE IL PIÙ GRANDE PROVIDER DI SERVIZI IN
CLOUD AL MONDO, SU CUI PASSANO PURE I VIDEO DI NETFLIX; HA L'ASSISTENTE
VOCALE ALEXA E GLI SMART SPEAKER ECHO; PRODUCE ABITI, FILM E SHOW TV E
LI DISTRIBUISCE; PUBBLICA LIBRI, EBOOK E PODCAST; E POI RICONOSCIMENTO
FACCIALE; VIDEOGAME IN STREAMING; NEGOZI, SUPERMERCATI, CENTRALI
ELETTRICHE
-
C'
è un nuovo Grande indiziato da parte delle autorità antitrust e dei
garanti della privacy di tutto il mondo. E il suo nome è Amazon. Dopo
anni nei quali a finire sotto la lente delle authority - europee, in
primis: e poi statunitensi - sono stati Google (tre sanzioni in tre
anni, solo dalla Commissione Ue) e Facebook (la cui reputazione è stata
talmente colpita nel corso del suo biennio horribilis, il 2017-2018, da
spingere il suo fondatore ad annunciare una rivoluzione nel modello di
business dell' azienda), l' attenzione inizia a concentrarsi anche sulla
società fondata da Jeff Bezos.
jeff bezos
E
la causa è anzitutto nel sempre più vasto scollamento tra quello che
per tutti è Amazon - il marchio che ha reso gli acquisti online una
pratica naturale, e ubiqua - e quello che davvero è Amazon: un' azienda
quasi impossibile da evitare. Per chiunque si muova online, ma anche
fuori dal mondo della Rete.
Un'
esagerazione? No: e basta dare un' occhiata all' ampiezza dell' impero
con il rassicurante logo del sorriso. Ci sono gli acquisti online,
certo: dove Amazon veste la molteplice veste di negozio, negoziante e
postino. C' è il mondo della pubblicità online, affamata della
profilazione garantita dal gigante di Bezos, e che per Amazon vale 2,7
miliardi di dollari, secondo i conti del primo trimestre 2019, con una
crescita del 36% rispetto all' anno precedente (negli ultimi trimestri
2018 era andata ben oltre il 100 per cento e sta iniziando a dare
fastidio a Google e Facebook, che fino a qualche anno fa si spartivano
il mercato).
Ma c'
è molto, molto di più: Amazon è il più grande provider di servizi in
cloud al mondo, tramite Amazon Web Services, vero motore di ricavi dell'
azienda (qui lo scontro è con Microsoft e, ancora, Google). E se la
dizione «servizi in cloud» vi sembrasse generica, pensate che ogni volta
che guardate un film su Netflix, o usate l' app di messaggistica Slack,
lo state facendo sui server di Amazon.
L'
azienda di Bezos sta dietro l' assistente vocale Alexa e gli smart
speaker Echo (leader mondiali e «in guerra» con Apple e, ancora,
Google). Ha dato vita a marchi di abiti; produce film e show tv e li
distribuisce con la sua tv (sulla quale decide quali contenuti dei
concorrenti ospitare o meno, esattamente come fanno i rivali, obbligando
i consumatori a dotarsi di più dispositivi e servizi); pubblica libri
(che offre sui suoi ereader, i Kindle) e podcast; offre tecnologie per
il riconoscimento facciale; è leader mondiale di videogame in streaming;
possiede negozi fisici, catene di supermercati, centrali elettriche.
Amazon dà lavoro a oltre 600 mila persone: più del doppio di Google,
Facebook e Microsoft messe insieme.
jeff bezos e mackenzie tuttle 1
Il
punto, per dirla con le parole di Christopher Mims del Wall Street
Journal, è che le dimensioni di Amazon sono un problema per la stessa
Amazon. E le spine - almeno dal punto di vista regolatorio - sono di tre
tipi, come spiega Giovanni Pitruzzella, ex Garante per la concorrenza
del mercato in Italia dal 2011 al 2018. «Ci sono anzitutto rischi di
abuso di posizione dominante, per i quali ad esempio l' autorità
italiana ha aperto un' istruttoria su Amazon poche settimane fa», spiega
al Corriere. «C' è poi il tema dell' uso dei dati, sia sotto il profilo
della concorrenza, sia sotto quello della privacy. E infine c' è quello
delle clausole contrattuali, di fronte alle quali i consumatori
potrebbero trovarsi in condizione di impotenza».
Quello
dell' Antitrust è il tema più caldo, per Bezos. La Commissione europea
ha lanciato un' indagine, ormai vicina alla conclusione, sull' utilizzo
dei dati da parte della piattaforma: il sospetto è che il «centro
commerciale» Amazon utilizzi le informazioni che ha sui «negozi» che
ospita per anticiparne le contromosse, e favorire la vendita diretta di
prodotti da parte del suo negozio. «Il Garante italiano - spiega
Pitruzzella - ha indicato come ormai oltre la metà dei consumatori,
quando deve fare acquisti online, si muova direttamente su Amazon: un
tempo si utilizzavano i motori di ricerca».
JEFF BEZOS ALLA PARTENZA DEI LAVORI PER L AEROPORTO DI AMAZON
E
il problema rischia di acutizzarsi con il diffondersi degli assistenti
vocali nelle case dei cittadini: non potendo il consumatore osservare
con un solo colpo d' occhio più offerte, cresce il peso delle prime
risposte date dall' assistente a qualsiasi richiesta. Insomma: l'
attività dell' antitrust nell' epoca degli smart speaker prende il via
con due domande, secondo Pitruzzella: «Con quali criteri funziona l'
algoritmo? Cosa pone in evidenza, e in base a quali caratteristiche?».
Legato
a doppio filo al tema degli assistenti vocali, ma non solo, c' è l'
altro fronte rovente: quello della protezione dei dati personali. «Che
uso ne viene fatto», si chiede il Garante europeo per la Privacy,
Giovanni Buttarelli, confermando come Amazon sia «il nuovo grande
indiziato» delle autorità. Nel corso delle ultime settimane, la casa di
Seattle è stata accusata negli Usa di violare la privacy dei bambini con
gli smart speaker Echo Dot Kids; in un altro caso, è emerso che una app
(di Amazon: Neighbors) collegata ai citofoni intelligenti (di Amazon:
Ring) consente agli utenti di ricevere informazioni su «attività
sospette» e «crimini» commessi nel proprio quartiere, notificate in
tempo reale.
AMAZON E IL SUO AEROPORTO
Non
solo: Amazon dispone, negli Stati Uniti, di una licenza per vendere
farmaci, e Alexa permette di dialogare con una app, Livongo, che
monitora i livelli del sangue. Si tratta, spiega ancora Buttarelli, di
dati estremamente sensibili, per i quali la protezione va tenuta a
livelli più alti. E ancora, un brevetto depositato sempre negli Usa
rivela l' intenzione del colosso di far registrare ai suoi smart speaker
tutto quello che sentono, senza dover essere chiamati in causa dal loro
possessore con la parola d' ordine (e di controllo) «Alexa», come
accade adesso. Ed è di fronte alla rapidità di questi sviluppi, continua
il Garante, che spesso «il diritto non è del tutto pronto, e la
cassetta degli attrezzi a disposizione delle autorità rischia di essere
inadeguata».
dipendenti amazon 8
Di
fronte alle accuse, i giganti web rispondono sottolineando la propria
adesione alle norme vigenti - a partire dal regolamento europeo per la
protezione dei dati personali - e l' efficienza dei propri servizi,
giustificazione ultima del loro successo (e del loro potere).
Pitruzzella e Buttarelli non sembrano sicuri che possa bastare.
«Internet è come Giano, ha due volti», spiega l' ex Garante.
dipendenti amazon 10
«Da
un lato ha aumentato enormemente le possibilità di scelta, e l' offerta
di servizi, molti dei quali gratuiti. Dall' altro, a fare da motore a
quei servizi sono dati personali per i quali è necessario chiedere e
garantire la massima tutela: per evitare posizioni monopolistiche, e per
proteggere davvero i cittadini».
Come testimone del secolo, come raccoglitore di effluvi comunicativi, ma soprattutto come portatore sano delle idee di Marshal McLuhan, lascio alla Storia la mia analisi sulle tecniche di comunicazione che hanno portato al successo clamoroso un esimio nullafacente e le ragioni per cui verrà distrutto dal ridicolo.
Punto primo: per continuare a leggere la mia analisi bisogna concordare con me su di un punto: Salvini non sa un cazzo, non capisce un cazzo, non impara un cazzo, l'unica cosa in cui è un geniaccio inarrivabile, lui e la fazzolettata di comunicatori che per lui lavora ventiquattro su ventiquattro, e la raccolta del consenso.
Secondo: per raccogliere consenso in questo paese quasi indecifrabile occorre una campagna elettorare continua, senza soluzione di continuità, e per fare questo e ottenere un consenso esponenziale, lui ha raccolto un elenco di aspettative, paure, aspirazioni del popolo, che ha ottenuto dai sondaggi da cui si abbevera più volte al giorno.
Terzo, ripetendo gli argomenti come un mantra si è avvicinato alla forma di governo attuale e ha messo questi argomenti in un contratto, che non è un preogramma di governo ma una lista, l'elenco delle aspirazione di due partiti che non si sopportano . Poi ogni volta che è stato ospitato nelle televisioni ormai amiche (la televisione è un mezzo che si lega ad un padrone anche senza alcuna richiesta in proposito) e sui social, si è esibito ripetendo elenchi di titoli che richiamano ad un probema o ad un programma, tipo immigrazione, sicurezza, lavoro, prima gli italiani, flat tax, giustizia, eccetera.
Quarto. A questo punto ad ogni domanda lui riponde con elenchi di
parole che il popolo riconosce con il riflesso di Pavlov e quindi lui non ha bisogno di alcuna campagna elettorale perchè mentre gli altri dormono o abbaiano alla luna, lui la campagna elettorale la fa ventiquattro su ventiquattro.
Per semplificare faccio un esempio:
Va in televisione e il giornalista che lo ospita una settimana sì e l'altra pure, gli porge (questo tipo di giornalisti sa solo porgere) la domanda :
"Signor ministro, le piace la pasta asciutta?"
e lui risponde: "Ehm, la pastasciutta, la pastasciutta, bacioni a tutti oi rigatoni, gli spaghetti, le penne i ravioli (mentre elenca mostra le dita della mano come gli ha insegnato Berlusconi) con la pasta che sia italiana perchè io mi guadagno lo stipendio andando nei ristoranti, nelle trattorie, nei fast food, anche ai baracchini per strada, ma l'importante che siano italiani, perchè chi non ha la licenza può provocare problemi igienici che poi portano la cacarella, le intossicazioni, le allergie che poi dobbiamo curare negli ospedali, nei poliambulatoi, nelle farmacie che sono gestite dagli italiani, che insieme ai poliziotti, carabinieri, pompieri, crocerossine, tutti italiani che... (continua)
QUAL È IL SEGRETO DEL SUCCESSO DI SALVINI? –
LA CHIRICO LO HA CHIESTO A VERDELLI, MOLINARI, FONTANA, ANNUNZIATA,
ENZO RISSO, LUCA RICOLFI, MALCOM PAGANI, EMANUELE TREVI – DAGO: “BREXIT,
TRUMP E GLI EXPLOIT M5S E LEGA SONO LA RISPOSTA ALLA CRISI D’IDENTITÀ
DI OPERAI E IMPIEGATI PRODOTTA DALLA GLOBALIZZAZIONE. LA SINISTRA HA
SCAMBIATO BACI E BACETTI CON IL CAPITALISMO, OGGI SI È RIDOTTA A
PALADINA DELLE MINORANZE: GAY, DONNE, MIGRANTI, NERI. E I LAVORATORI,
ABBANDONATI, SONO ANDATI A DESTRA”
-
matteo salvini annalisa chirico (2)
Quali
sono gli ingredienti del successo salviniano? Il vicepremier, che ha
mutato per sempre i connotati del partito che fu di Umberto Bossi,
adesso punta dritto a Palazzo Chigi: un’ascesa apparentemente
irresistibile. “Salvini ha invertito i rapporti di forza all’interno
dell’esecutivo già da diversi mesi - dichiara al Foglio il direttore di
Repubblica Carlo Verdelli - Pur avendo ottenuto metà dei voti grillini
alle politiche del 4 marzo, il leader della Lega ha imposto l’agenda sin
dal principio. Ha condotto una campagna elettorale interminabile in un
paese che si conferma assai instabile. Si assiste, da alcuni anni, a
clamorosi sbandamenti: dal 40 percento di Renzi si è passati all’exploit
grillino delle scorse politiche e adesso al fenomeno Salvini”.
Verdelli
Il
rischio è una rapida evaporazione. “In realtà, paragonato ai leader
precedenti, noto un approccio diverso in Salvini. Berlusconi, per
esempio, ha fatto sognare gli italiani con il messaggio: potete
diventare come me. Salvini dice: io sono uno di voi. La stanzetta
immortalata nella notte del voto potrebbe appartenere a ogni italiano.
Non è più la politica dall’alto, è la politica da dentro”.
Matteo
Renzi è solitamente indicato come il primo leader della
disintermediazione in Italia. “Salvini è andato oltre, sul presidio dei
social network è di qualche anno avanti su tutti. Il capo del Carroccio
adopera, forse inconsapevolmente, il rasoio di Occam, vale a dire la
semplificazione massima del messaggio. Renzi si muoveva in uno schema
più consueto, Salvini invece innesca un processo di immedesimazione
senza precedenti. Quanto possa durare, è difficile dirlo. Per adesso,
sta arrostendo i 5 stelle a fuoco rapido: la Tav è forse l’ultimo totem
grillino sopravvissuto, e lui ha chiarito che va fatta, detta l’agenda
come se avesse vinto le politiche, non le europee”.
salvini berlusconi
Ad
un occhio attento, anche l’Europa appare come uno spauracchio utile per
la propaganda. “Lui lo ha capito e fa di tutto per provocarla. Se
dovessi dire, il primo avversario di Salvini è se stesso: deve evitare
la bulimia di sé e far tesoro di quanto capitato a Renzi”.
luciano fontana
Ecco,
i due Matteo. Gemelli diversi, veri disruptor della politica italiana
degli ultimi anni. Vicini d’età, lontani d’idee, artefici di scalate
imprevedibili. “Presentano elementi comuni nell’attitudine verso
l’elettore e verso il potere – commenta il direttore del Corriere della
sera Luciano Fontana – Li caratterizza l’estrema personalizzazione del
comando. Il partito di Renzi era il partito di Renzi e della sua
cerchia, idem quello di Salvini.
La
classe dirigente diffusa della Lega, gli Zaia e i Fontana, sono
presenti sul territorio ma quasi mai hanno una parola importante nella
determinazione della linea politica nazionale. Nemmeno Giorgetti ha la
forza di incidere: Salvini pretende sempre l’ultima parola. Tra l’ex
segretario dem e il leader leghista esistono profonde diversità
culturali e programmatiche ma entrambi hanno dimostrato una notevole
capacità di semplificazione. Sono figli di Berlusconi che non viveva
nell’era digitale ma in quella televisiva, e non è un caso che sia Renzi
che Salvini abbiano partecipato da concorrenti ai programmi televisivi
delle reti Mediaset”.
matteo salvini pollice verso a renzi
La
parabola renziana a Palazzo Chigi è durata 1000 giorni, quella
salviniana potrebbe rivelarsi anch’essa una meteora? “Com’è noto,
Giorgetti gli ha consigliato di tenere una foto di Renzi sulla
scrivania. Oggigiorno il sistema è caratterizzato dalla volatilità del
voto che ha perso connotazioni ideologiche, le tendenze elettorali sono
evanescenti, si esauriscono in fretta. Paragonato a Renzi, però,
Salvini ha due elementi che giocano in suo favore e potrebbero rendere
più stabile il consenso per la Lega: innanzitutto, lui aspira ad essere
l’erede di Berlusconi, e in Italia il voto per il centrodestra è sempre
stato rilevante; in secondo luogo, il suo partito ha un radicamento
molto esteso al nord”.
gli elettori del pd non distinguono renzi da salvini fanpage alla leopolda 17
Il
partito di Bossi era alla canna del gas, oggi tocca il 34 percento. È
solo un fatto di comunicazione? “Salvini ha saputo sfruttare la sua
straordinaria capacità di mettersi in sintonia con le paure degli
italiani sui dossier sicurezza e immigrazione, e con le loro aspirazioni
più profonde, a partire dal desiderio di veder riaffermata l’identità
nazionale in contrapposizione al mostro della globalizzazione e delle
tecnocrazie europee. Inoltre, il vicepremier leghista sa dominare le
piazze fisiche e virtuali, sta sul digitale come nessun altro. Gli ha
giovato la competizione con un alleato di governo particolarmente debole
sul piano delle competenze amministrative e di governo, e
sull’organizzazione territoriale del movimento”.
io sono matteo salvini il libro pubblicato dalla casa editrice vicina a casa pound
MATTEO RENZI SALVINI QUIZ
I
5 Stelle hanno dimezzato i voti, al sud il reddito di cittadinanza non è
bastato a frenare l’emorragia di consensi. “Le modalità e l’entità del
sussidio non sono stati ritenuti soddisfacenti, tanto più in un pezzo
d’Italia dove l’economia vive anche di aggiustamenti non tutti in
chiaro...A mio giudizio, si è fatta strada l’idea che i soldi non
debbano essere concessi o regalati senza il lavoro”. Quante probabilità
assegnerebbe alla durata del governo da uno a dieci? “Non mi spingerei
oltre il tre. Magari sia Di Maio che Salvini ritengono che durerà ma
esistono difficoltà strutturali che lo rendono improbabile, se non
impossibile”.
lucia annunziata
Per
Lucia Annunziata, direttore di HuffPostItalia, “il segreto del successo
salviniano è che si fonda su un dato vero, reale, tangibile: la
costruzione del consenso. Emblematici sono i risultati ottenuti a Torre
Maura nella periferia romana, a Melendugno (il comune del gasdotto Tap),
nella Val di susa dei No-Tav, e poi a Capalbio, a Riace, a Lampedusa…. i
santuari dell’antisalvinismo hanno votato per Salvini”.
Per
i 5Stelle un tonfo clamoroso. “I grillini dovevano essere la modernità
del post-ideologico, invece sono apparsi come persone senza capacità in
balia di un’onda che li sballottava a destra e a sinistra. Casaleggio
padre li aveva collocati nell’orizzonte della fine delle ideologie, ma
nella realtà attuale l’ideologia è tornata ad essere uno strumento di
consenso. La verità è che anche noi giornalisti continuiamo a trattare i
cittadini come fossero dei cretini: al tempo di Berlusconi li
dipingevamo come manipolabili dalla tv, oggi dai social network e dal
pericolo fascista.
luigi di maio balcone
Più
banalmente, i cittadini capiscono il senso di una promessa, e Di Maio è
stato rovinato dalla ‘balconata palingenetica’ in cui annunciava
l’abolizione della povertà. Salvini ha piuttosto utilizzato il fascismo
non come un fine in sé ma come un mezzo per parlare anche a quei ceti
popolari”. Quanto durerà il sodalizio di governo? “Non prevedo una crisi
a breve. I 5 stelle contano per il 33 percento in Parlamento: perché
dovrebbero rinunciarvi? E perché Salvini dovrebbe consegnare quella
percentuale all’opposizione? Il leader leghista non ha fretta: Renzi
aveva un partito contro, la sua era una scalata non amichevole; il
vicepremier invece ha il partito dietro, non deve difendersi dai
nemici”.
Enzo Risso
In
pochi lo conoscono, perché è uomo di proverbiale riservatezza, ma Enzo
Risso, direttore scientifico dell’Istituto di ricerche Swg, è il
sondaggista più ascoltato da Salvini. Il leader leghista gli scrive più
volte al giorno, se non gli scrive lo chiama, quel che conta è la
consultazione permanente per sapere come vanno i polls, che dice il
campione su questo e quel tema, in che direzione fluttua l’opinione
pubblica. “Lo slogan ‘Prima gli italiani’ – spiega al Foglio lo studioso
che è anche docente di Teoria e analisi delle audience all’Università
La Sapienza di Roma - sintetizza il racconto che gli italiani vogliono
sentirsi raccontare: tutela e difesa del paese, prima di tutto. Con le
elezioni europee Salvini ha portato a compimento la trasformazione del
centrodestra: l’identità neoliberista di quello berlusconiano viene
archiviata a favore di una identità protezionistico-primatista.
SALVINI ROSARIO
Se
Berlusconi incarnava il sogno del benessere per tutti, la libertà di
arricchirsi, il mito della concorrenza, il centrodestra a traino
leghista nasce in seguito alla sconfitta del liberismo a livello
globale, ed esprime l’esigenza di tutelare le persone dai guasti del
libero mercato e dagli eccessi europeisti tecnocratici. E’ un
centrodestra difensivo che punta sull’Italia per cambiare. L’asse
politico è cambiato: quello destra/sinistra viene riassorbito
dall’opposizione tra comunità aperta e comunità chiusa”.
salvini rosario
Nel
governo l’ala leghista ha cannibalizzato quella grillina. “Nel paese
circola una parola d’ordine: stabilità. La gente sente che la crisi sta
arrivando, e ha paura. I 5 stelle hanno perso perché i loro continui
attacchi a Salvini hanno diffuso l’idea di instabilità”. Salvini è
entrato in polemica con le gerarchie vaticane a causa dell’ostensione di
simboli religiosi, madonnine e rosari. “Dalle nostre rilevazioni emerge
che le uniche polemiche che negli ultimi mesi hanno un po’ intaccato la
spinta a favore di Salvini sono state la partecipazione al Congresso
mondiale delle famiglie a Verona e lo scivolamento eccessivo nel dialogo
con Casa Pound. Questi eventi hanno infastidito gli elettori moderati
indecisi che guardavano con interesse a Salvini e che sono stati
recuperati solo successivamente, quando il leader è tornato a indossare
la giacca del buon senso.
Salvini e il Papa
Il
confronto anche aspro con le gerarchie vaticane si è rivelato una
echo-chamber, insomma una bolla iperamplificata priva di ricadute in
termini di consenso. Il papa parla ai suoi, ma i suoi non sono elettori
di Salvini. Solo il 12 percento degli italiani cattolici dichiara di
lasciarsi orientare dalle indicazioni della Chiesa nelle proprie scelte
politiche”.
maurizio molinari premio e' giornalismo 2018
Religione,
tradizioni, valori. Per il direttore de La Stampa Maurizio Molinari
l’analisi post-voto non può prescindere dalla parola “identità”. “Il
sovranismo, risultato vincente in questa tornata elettorale, esalta le
identità tribali in contrapposizione alla globalizzazione. Contano le
radici che sono nazionali, cattoliche e bianche. L’Italia è un paese
laboratorio, l’unico dell’Europa occidentale dove populisti e sovranisti
governano insieme; rispetto al 4 marzo, l’identità populista ne è
uscita indebolita, e la risposta è nel crocefisso che Salvini tiene in
mano. Il sovranismo esalta le radici etnico-nazionali del paese mentre i
populisti grillini sono un movimento di protesta soprattutto economico.
La casa madre dei pentastellati è rappresentata da un sito internet: la
loro identità è eterea, quella sovranista è materica. Salvini esalta le
radici cattoliche della nazione”.
FRANCIS FUKUYAMA - IDENTITA
A
dispetto di qualche attrito con gli alti prelati… “In realtà, ciò lo
rafforza nella costruzione del consenso, così come la partecipazione al
Congresso veronese delle famiglie. Esiste una parte della Chiesa,
soprattutto americana, che anela il ritorno alle radici autentiche del
cristianesimo. Papa Francesco appartiene alla stagione di Barack Obama,
non a quella di Donald Trump. E Salvini, con la sua scelta valoriale,
evoca il linguaggio sui ‘valori cristiani’ che distingue il presidente
degli Stati uniti, Bolsonaro in Brasile, Orban in Ungheria e Putin nel
legame con la Chiesa ortodossa in Russia”.
La
parabola salviniana è assimilabile a quella renziana? “Paragonare i due
è un errore. L’Italia fluida che ha ingoiato Salvini è la genesi della
protesta che poi si è espressa il 4 marzo. Renzi ha ignorato le due
ragioni che hanno portato alla vittoria di sovranisti e populisti:
disuguaglianze e migranti. La risposta salviniana alle ragioni della
rivolta è l’esaltazione delle radici, il che costituisce di per sé una
narrativa, non la soluzione dei problemi. Se Salvini non elaborerà una
risposta efficace, sarà anch’egli travolto”.
malcom pagani
Il
più criticato, il più votato. Su questo strano paradosso si sofferma il
vicedirettore di Vanity Fair Malcom Pagani: “Il successo elettorale
salviniano è frutto del lato cieco della sinistra che già ai tempi di
Berlusconi riusciva a ignorare un fenomeno travolgente esorcizzandolo
per il semplice fatto che non gli era simile, che non appariva
abbastanza educato per i suoi standard. Lo snobismo che portava ad
osservare Berlusconi come un parvenu mentre lui accumulava milioni di
voti si perpetua con il leader leghista che mangia la trippa e d’estate
va in vacanza a Milano Marittima, esattamente come milioni di italiani;
questa cosa lui l’ha monetizzata apparendo volutamente più gretto e
basico di quanto non sia.
WILLIAM DAVIES
La
politica, del resto, è anche teatro, rappresentazione di sé. La
sinistra soffre di un riflesso pavloviano: quando non sai come
contrastare un fenomeno, gridi al fascismo. Sia chiaro: Salvini afferma
cose volutamente sgradevoli, ha sdoganato temi e battaglie storiche
della Lega che un tempo erano indicibili, oggi paiono di senso comune.
Siamo alla caduta della vergogna. E’ impossibile essere d’accordo con
lui su tutto, ma è altrettanto impossibile concordare con chi addita
come fascista il diverso da sé”.
Salvini
è il primo vero leader della disintermediazione totale. “Chiama i
cittadini ‘amici’, non ‘elettori’. Ha saputo abbattere ogni filtro, cosa
che la sinistra non ha mai fatto: Renzi non è mai andato a Milano
marittima ma si è chiuso nel palazzo con le pizze di cartone. Salvini
invece sembra incastrato in un moto perpetuo senza sosta, gira l’Italia
come facevano i politici Dc degli anni Cinquanta. Di Maio avrebbe fatto
meglio a comportarsi da alleato fedele: quando si è spinto sullo stesso
campo ne è uscito ridicolizzato.
luca morisi, matteo salvini e lo staff della lega festeggiano la vittoria alle europee
Perché
il ‘politico’ puro esiste, e Salvini è certamente uno dei politici più
formidabili degli ultimi quarant’anni. Ha la capacità di immedesimarsi
nelle altrui richieste, esprime concetti semplici, a volte odiosi, a
volte detestabili, sempre sospettabili di cinismo o di egoismo, ma
dotati di una presa popolare enorme. Berlusconi aveva il vizio di forma
del miliardario, lui no”.
E
nel processo di disintermediazione con gli elettori gioca un ruolo
decisivo la squadra di esperti informatici che anima quotidianamente la
“Bestia”, sotto la sapiente guida di Luca Morisi. “Non si può
comprendere il fenomeno Salvini senza considerare il potere di Internet
che ha creato un mondo parallelo - afferma Roberto D’Agostino, fondatore
di Dagospia, primo sito d’informazione online in Italia - L’inedita
ascesa di Salvini, in tempi così rapidi, è stata resa possibile dal
fatto che oggi l’informazione non viaggia sui tg delle ore 20 né sulla
carta stampata.
Dago ph Porcarelli
È
chiaro che l’analisi non si esaurisce nella comunicazione: gli scenari
trionfanti del populismo annoverano, a livello globale, passaggi
cruciali come Brexit, la vittoria di Trump e l’exploit italiano del 4
marzo. Questi eventi sono, in breve, la risposta alla crisi d’identità
prodotta dalla globalizzazione. La sinistra ha scambiato baci e bacetti
con il capitalismo, oggi si è ridotta a paladina delle minoranze più o
meno oppresse: gay, donne, migranti, neri. Su Twitter Gad Lerner,
sconvolto dalla vittoria leghista, ha scritto che sarebbe colpa delle
‘classi subalterne’, proprio così. Insomma, è colpa degli zoticoni che
non leggono i suoi libri.
È
la vecchia idea che il suffragio elettorale non si addice agli incolti.
Queste menti illuminate un tempo potevano primeggiare perché la gente
normale era passiva, non aveva strumenti per farsi sentire. Oggi invece
siamo tutti attivi, abbiamo tutti diritto di parola nella piazza
virtuale del web”.
dagospia and friends a oxford
Salvini
e il clero: lei ha scritto che, dopo Di Maio, il secondo sconfitto di
questo voto è papa Francesco. “L’elemosiniere del Vaticano che riattiva
la luce del palazzo romano occupato compie una provocazione, roba da
gruppettari. Io avrei sognato un populismo di sinistra ma i cosiddetti
progressisti sono rimasti arroccati in una torre d’avorio”. Oggi le
leadership evaporano rapidamente, succederà anche a Salvini? “Vedo una
grossa differenza rispetto a Renzi che era arrivato al 40 percento
sborsando i famosi 80 euro. Il vicepremier leghista non ha distribuito
mance, non si è intestato il reddito di cittadinanza, cavallo di
battaglia grillino. Salvini si è guadagnato il consenso per i risultati
delle politiche su immigrazione e sicurezza, e in un’epoca in cui il
nazionalismo imperversa a livello globale, dal Canada all’India, ha
fatto sentire le persone parte di una comunità. Il suo farsi interprete
di un sentire profondo, e reale, potrebbe preservarlo dalla
estemporaneità”.
luca ricolfi 5
Secondo
Luca Ricolfi, professore di Analisi dei dati all’Università di Torino e
presidente della fondazione Hume, “il risultato di Salvini conferma che
gli italiani assegnano uno spazio ristretto a formule politiche più
educate, moderate, come fu l’esperienza di Mario Monti e com’è oggi il
partito di Silvio Berlusconi. C’è un massiccio apprezzamento per il modo
diretto, e ancorato al senso comune, con cui Salvini si rivolge agli
elettori.
Non è
soltanto un fatto di comunicazione. I vari esponenti politici sono in
completa confusione, esprimono concetti astratti e poco comprensibili
per la gente comune. Fanno eccezione soltanto Di Maio, che usa un
linguaggio comprensibile ma paludato, e poi Salvini e Giorgia Meloni,
capaci di maggior chiarezza”. La Lega ha espugnato alcune roccaforti
della sinistra, ha primeggiato nelle periferie, ha vinto in luoghi
simbolo della resistenza anti-salviniana.
GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI BY CARLI
“La
concretezza è la prima risorsa del leader leghista. Ha scelto temi
molto sentiti dai cittadini e su cui solo lui, e Meloni, parlano chiaro,
gli altri farfugliano: l’immigrazione e la domanda di sicurezza e
legalità. Gli italiani, inoltre, non hanno creduto al racconto della
crisi proposto dalle élites. Quando persone come me e lei ricordano che
non possiamo sforare i conti e che non dobbiamo metterci contro
l’Europa, questa posizione non appare credibile, la gente la rifiuta.
I
sovranisti lo hanno capito, tuonano contro la presunta austerity che in
Italia non si è mai vista, Salvini addita un colpevole perché gli
italiani non vogliono riconoscere le proprie responsabilità e i
sacrifici che li attendono, meglio prendersela con l’Europa”. La
dialettica con la Chiesa non pare aver penalizzato il leader leghista.
“Al direttore di Repubblica che, ospite a Porta a Porta, lo incalzava su
questo punto, Salvini ha replicato: ‘Io mi occupo degli ultimi tra gli
italiani, sono pagato per questo’. Un politico, è il suo ragionamento,
deve difendere gli interessi del popolo che va a rappresentare in
Parlamento.
emanuele trevi
La
visione, cara a certi progressisti, secondo la quale dovremmo occuparci
dell’umanità intera, non è condivisa. La maggior parte delle persone
pensa che dobbiamo occuparci della nostra comunità, e poi, se avanza del
tempo, di Burundi e Burkina Faso. Il papa è popolare nel mondo dei
massmedia dove il politicamente corretto è ancora dominante, ma molti
considerano questo pontefice come capo della sinistra e non della
Chiesa. Non c’è niente di più politicamente corretto del papa, perciò
l’industria della comunicazione tende a sopravvalutarne l’influenza”.
Grillo e Di Maio
Non
può essere tacciato di salvinismo lo scrittore Emanuele Trevi: “Provo
una gioia un po’ assurda, lo ammetto. Il motivo è che alla vittoria
della Lega ha fatto da contraltare la débâcle grillina, e tra i due
nemici io ho scelto il secondo perché, per dirla con Flannery O’ Connor,
i 5 Stelle sono persone che vivono in un mondo che dio non ha mai
creato. Preferisco anteporre un principio di realtà: per quanto mi
faccia orrore il pensiero di Salvini, riesco a concepirlo nella mia
stessa realtà, mentre i grillini abitano un mondo altro dove regnano
microchip e scie chimiche, si rincorrono chiacchiere da bar
sull’economia, si diffonde una violenza quasi terroristica contro i
vaccini. Per me questa è la fine della civiltà.
matteo salvini annalisa chirico
I
fascisti, in fondo, li abbiamo già conosciuti in passato, è possibile
affrontarli sullo stesso terreno e poi sconfiggerli. E’ invece precluso
il confronto con i Grillo e con i Trump: il loro obiettivo è sostituire
la nostra realtà con una immaginaria. Così, tra i due nemici, scelgo
quello fascista perché incarna un male eterno che in una prospettiva
umanistica può essere abbattuto. Il mondo salviniano è abitabile
contrastandolo, quello grillino è inabitabile”.
FENOMENOLOGIA DI PAMELA PRATI CON ANNESSI E CONNESSI
Chi ci salverà, chi si salverà da Mark Caltagirone?
Si perdoni qui l'approccio smaccatamente autobiografico,
tanto più deprecabile quanto più in voga e scontato al tempo dell'ego;
ma debbo confessare che anche stavolta sono stato ispirato da questo
frammento di Elemire Zolla: “Da un'epoca si travalica in un'altra quando
le idee, i sentimenti, le immagini ossessive o consolatrici più diffuse
incominciano ad appassire (...) Che cosa sta per sostituirsi, in tali
momenti, agli antichi dei, alle vecchie costumanze? Per saperlo – così
suona l'impegnativo incoraggiamento – bisognerà visitare i luoghi meno
raccomandabili, gente che si sarebbe tentati di scartare come prossima
alla follia”. Appunto.
Sempre per non mettere le mani avanti, aggiungo un minimo sindacale
d'imbarazzo nell'esordire su Doppiozero recando in dono la vicenda di
Pamelona Prati, già starlette ultrasessantenne del Bagaglino televisivo,
che esclusa dai circuiti del glamour, e aggravata da ulteriori tristi
problematiche, come si dice a proposito di fragilità psicologiche e
faccende economiche, per rientrare nel giro ha voluto e/o dovuto
inventarsi un matrimonio fasullo con una persona, Mark Caltagirone,
quello da cui qui si cercherebbe scampo, ma che non esiste proprio. Però
in fondo sì.
Tale scelta pseudo-nuziale le ha comportato in effetti una mole
considerevole di articoli, copertine, esclusive, interviste e comparsate
nelle reti televisive, specie Mediaset. Ma dopo che il giochetto è
stato scoperto da Dagospia, anche dolori, malori, lacrime, confessioni e
rotture, tutto vissuto adeguatamente coram populo, là dove la rete e i
social network s'incrociano con la tv in un mefitico, enigmatico
interscambio.
Oleodotti, figli e infarti: il mondo di Mark
L'idea di base, temeraria come un esperimento sociale, è che questo
inedito interscambio abbia prodotto qualcosa, uno spazio grigiastro, una
comunità mezza vera e mezza falsa, una dimensione che non esiste, ma ha
effetti sulla realtà. Proprio ciò che vanno cercando i politici di
questo tempo e in prospettiva il potere.
Ciò che colpisce e atterrisce – ma per fortuna fa anche un po' ridere
– è la meticolosa cura con cui, a partire dai cognomi, vedi la dinastia
editorial-palazzinara dei Caltagirone, vengono costruiti i personaggi
inesistenti destinati a interagire con quelli veri.
Il mondo di Mark, ma anche il modo in cui la sua non-esistenza è
venuta scandalosamente allo scoperto, consente in effetti di osservare
il laboratorio nel quale prendono vita creature che sono e insieme
appaiono un po' facsimili, un po' fantasmi, un po' prototipi, un po'
ologrammi, comunque dotati di vita propria. Dai loro falsi profili
social si dipartono per entrare a far parte della vita, alla conquista
dei cervelli altrui, tra normalità ed emotività, tran tran e colpi di
scena, secondo un modulo per cui ogni scambio che ottengono con la gente
reale (foto, like, faccette, commenti, chat con terzi) diventa una
prova della loro esistenza.
Anche se non si vede, il Mark di Pamela è bello, vive fra l'Italia,
la Costa Azzurra e l'America, possedendo una magnifica villa a Miami.
Anche se non è parente dei veri Caltagirone, è nello stesso giro,
costruisce centri commerciali in Cina e oleodotti in Libia. Ha ottenuto
riconoscimenti in Albania. È ovviamente pieno di soldi, regala costosi
braccialetti, in un empito racconta di aver baciato l'imminente anello
nuziale, come Salvini il crocifisso del rosario, scrive altre romantiche
e appassionate dichiarazioni. È un modello d'innamorato.
Sempre sui social e sulle “indiscrezioni” fatte filtrare dopo i primi
sospetti le finte nozze, ovviamente celebrate da un cardinale di Santa
Romana Chiesa, vengono accreditate con finte partecipazioni, finte liste
d'invitati, finti contratti con finti wedding planner, finti tulipani
pervenuti dall'Olanda, finta cerimonia di addio al nubilato tenutasi in
Egitto, ma forse era una Spa nei pressi di Formello. Con Pamelona, Mark
aveva già – e qui la cosa presentava margini d'ambiguità – figli in
affidamento: numero due orfanelli italo-spagnoli, ciascuno dotato di
autonomo profilo Facebook con congrua dotazione di foto fasulle e
veritieri interscambi. Uno dei bambini è Sebastian, ama il calcio, è
laziale, “un principino biondo” secondo un'idealtipica descrizione di
passaggio. Mentre la bambina si chiama Rebecca e vuole fare la
ballerina; ripresa dall'alto in tutù, risulterà poi la figliola di un
avvocato sardo, a tratti spacciato – come del resto un altro signore
presente in ottenebrato video con un berrettino rosso – come il vero
Mark Caltagirone. Che in altri profili, attenzione, nel frattempo si era
sdoppiato in “Marc” e triplicato in “Marck” Caltagirone e appariva in
foto, ora rubate, ora pixelate, ora pubblicate senza che si vedesse il
volto, anche se poi si è scoperto che il torso, fasciato da un abito
grigio, apparteneva a Gianni Sperti, che non c'entra nulla, pur
risultando celebratissimo coprotagonista del programma “Uomini e donne”
di Maria De Filippi.
E insomma. A un dato momento, sulla spinta meritoria di Dagospia, si
comincia dunque a rinfacciare a Pamela che il suo sposo non esiste. E
infatti: perché non si fa vedere? Perché nel frattempo, risponde lei
addolorata, ha avuto un infarto. E così anche la malattia, con il suo
sinistro gravame, entra nella storia, dove tutto tocca il cuore e al
tempo stesso ogni certezza si arrampica sui vetri, rinviando la verità a
data da destinarsi con finta riprovazione e spontaneo, generale
sollievo degli addetti ai lavori.
Da Pirandello a Lele Mora
Debbo ahimè proseguire con l'ego, per assumermi la responsabilità di
un punto di partenza dal quale ora che sono in pensione, libero cioè
dalle incombenze della cronaca militante, ha preso il via il mio smodato
lavoro di voyeur pedinatore e osservatore ficcanaso.
Anche in questo caso provo a tenerla alta e a riscattare l'imminente
caduta chiedendo se queste folate d'irrealtà, questi prolungati
cortocircuiti tra verosimile e bugiarderia non facciano squillare
campanellini più propriamente artistici: a parte la figura di Elena
Ferrante, che di recente ha anche firmato l'appello a favore
dell'insegnamento della storia, mi è venuto in testa Pirandello e
l'inconciliabilità dei punti di vista in “La signora Frola e il suo
genero Ponza”; come pure qualche spunto di impostura borgesiana tipo
l'inverosimile Tom Castro; per non dire i personaggi immaginari, ma fin
troppo impressivi, di diversi film, dall'illusoria diva di “S1mOne” all'invisibile gangster Keyser Söze di “I soliti sospetti”.
Per tenerla bassa, d'altra parte, portando in giro il mio “Invano: il potere in Italia da De Gasperi a questi qua”
(Feltrinelli), mi capita di presentarmi come un giornalista politico la
cui parabola professionale ha fatto in tempo a delinearsi “da Aldo Moro
a Lele Mora”. Le implicazioni di quest'ultimo nella rotolata giù per la
china della vita pubblica nazionale emersero nella torbida stagione del
tardo-berlusconismo, per via del ruolo esercitato all'interno dei
grandi scandali sessuali. Ma per chi avesse avuto la perversa passione
di agganciare le vicende del potere con le delizie della cronaca rosa e
giudiziaria, già nel 2007, dalle parti dell'affaire Vallettopoli, fu
possibile seguire le res gestae di Lele Mora riscontrandovi
quanto bastava a intuire, oltre a una certa puzza di bruciato foriera di
prossimi e sicuri incendi, un indispensabile salto di fantasia nel suo
ufficio di agente di spettacolo, mercante di umane ambizioni, demiurgico
burattinaio, abilissimo a spedire chiunque in tv (e talune sciagurate,
purtroppo per lui e per loro, nelle feste del bunga bunga).
Tuttora il suo personaggio mostra una sua impudente grandezza, figlia
del tempo e dei suoi tratti equamente distribuiti fra il gossip, il
corporeo e il religioso, per cui durante la reclusione perse qualcosa
come 40 chili, così come ebbe una potente e forse anche comprensibile
crocca mistica. L'anno scorso, richiesto alla radio di esplicitare il
proprio coinvolgimento nel rapporto con Fabrizio Corona, se l'è cavata
dichiarandosi orgogliosamente cittadino di “Bombolandia”. Di recente è
stato pizzicato in un campo rom che trafficava con una partita di
champagne di sospetta derivazione. Ma prima che ci si perda
definitivamente, l'impressione è che le avventure di Mark e Pamela nel
cyber-spazio non sarebbero potute avvenire senza il magistero primigenio
di Mora cui si può almeno in parte far risalire l'incrocio non solo fra
gossip e potere, ma anche di quanto accade nei pressi del binomio, fra
il cielo e la terra dei famosi, e quindi on line, dentro la rete, ma anche in prossimità del piccolo schermo.
Caccia, pesca e dopamina
Il punto è che il modello di Lele, quel suo costruire personaggi per
darli in pasto alla tv secondo parti prestabilite, non solo ha fatto
scuola, come scrivono i giornalisti, ma si è pure evoluto là dove
nell'ultimo e acceleratissimo decennio la tecnologia della persuasione
ha anch'essa fatto – per usare un'altra tipica espressione – passi da
gigante.
Con il che si è lieti di annunciare, con il consueto scrupolo degno
di miglior causa, che l'idea delle finte nozze di Pamelona con
l'inopinato Mark Caltagirone è il frutto di una nuova generazione di
agenti di spettacolo che potrebbero idealmente definirsi le “nipotine”
di Mora. Si tratta di due giovani donne, a nome Eliana Michelazzo e
Pamela Pericciolo, già “corteggiatrici” di “Uomini e donne”, passate
convenientemente dall'altra parte del broadcasting alla guida di
un'agenzia battezzata “Aicos Management”. Con le adeguate credenziali e a
un prezzo che (ancora) non è dato sapere la coppia Aicos, che sarebbe
la marca delle evolute sigarette a freddo, si è messa a disposizione
della Prati con la piena e sperimentata consapevolezza che la partita
dell'oggi – e oggi è già domani – si gioca tutta sull'antico rapporto
fra predatori e allocchi, come pure su quello che la natura stabilisce
tra pescatori e pescato.
Sono in effetti i social media campi venatori e di pesca per
eccellenza, densi come appaiono a occhio nudo di solitudini e vanità da
solleticare, e quindi di richiami, lusinghe, gabbie, trappole, esche e
reti a strascico.
Un giornalista esperto, fra i primi in Italia a indagare con brio e
intelligenza sui meccanismi psicologici della Rete, Gianluca Nicoletti,
ha spiegato bene che alcuni sentimenti comuni sono provocati dalla
deprivazione sensoriale, uno stato indotto in chi condivide un ambiente
artefatto e costruito dal pc.
Chi passa ore e ore in quella realtà immersiva si procura, in altre
parole, effetti simili a quelli che stimola la dopamina, fondamentale
neurotrasmettitore dell'umore e dell'emotività. Ogni volta che si riceve
un "Mi piace", o un retweet, o un complimento, un'attenzione, una foto
dedicata, l'organismo rilascia una piccola scarica di dopamina, con il
risultato che alla lunga si crea un fenomeno di dipendenza. “Così il
nostro bisogno di social-gratificazione cresce nel tempo – conclude
Nicoletti – esattamente come accade a un cocainomane, o come
convenzionalmente accade in una fascinazione amorosa”. Che tanto più in
pubblico vive di trasporti, rimbalzi, gelosie, amnesie, ambiguità e
tradimenti.
La centralità di Barbara D'Urso
La Gazzetta Ufficiale dei dibattiti social è costituita da quei
rotocalchi che in un tempo ormai abbastanza lontano si liquidavano “da
parrucchieri”. Non saprei dire quando esattamente siano entrati nelle
mazzette dei giornalisti politici (i più scrupolosi). Ma a occhio e
croce direi che anche in questo caso è accaduto all'apice dell'età
berlusconiana, a partire dalla sua seconda vittoria alle politiche del
2001, quando Sua Emittenza, il Signore di Arcore, una volta assurto a
Palazzo Chigi ha sentito la necessità di imporre un modello estetico di
comando regale, affidandolo a quel genere di dispositivi di
consacrazione mediatica. Come avviene nelle dinastie titolate, i vari
“Chi”, “Novella 2000”, “Eva 3000”, “Diva e donna” e “Dipiù” ci hanno
dato dentro con i berlusconidi, arrivando spassosamente anche molto in
là, tipo l'intervista al cugino prete del Cavaliere, parroco a Lomazzo,
provincia di Como, pure raffigurato con oggetti sacri.
Nel frattempo il gossip (vulgo: pettegolezzo) andava configurandosi
come un indispensabile specchio entro cui prendeva luogo e corpo una
specie di nuova, composita ma in fondo omogenea aristocrazia fatta di
Vip dello spettacolo, dello sport e della politica e sorvegliata dai
medesimi rotocalchi e dai primi siti gossipivori con modalità che – vedi
l'indiscreto Dagospia con i suoi vistosi Cafonal – ricordavano un po'
il sistema carcerario del Panopticon.
Come succede non di rado ai giornalisti, temo di essere insieme
pedante e impreciso. Per quanto possa fare schifo, questo vivere in
pubblico e sotto il fuoco dei media offrendosi ai dardi della più varia
malevolenza rispondeva comunque all'annullamento dei confini tra la
sfera pubblica e quella privata. E se la “vetrinizzazione sociale”, come
definita da valenti studiosi come Vanni Codeluppi, si affermava senza
trovare ostacoli, e se il concetto di gossip diveniva oggetto di seri
studi politologici, è pure vero che in molti ambiti, fra cui quello del
potere, l'antico contegno e anzi direi la vergogna stessa andava a farsi
benedire. Per cui si spiega come al giorno d'oggi Barbara D'Urso, che
nella storia di Mark Caltagirone ha inzuppato il pane a più non posso,
si è naturalmente sostituita a Bruno Vespa nel ruolo
mediatico-cerimoniale del potere; e nelle interviste che vanno in onda a
“Domenica live” ecco che i leader, i presidenti e i ministri
dell'alleanza nazional-populista le danno del tu (“Senti, Barbara...”),
benevolmente ricambiati, e dopo si fanno anche la foto abbracciati in
vita, e al momento dello scatto, soffusa di lux perpetua, lei guarda in
camera piegando le labbra in una specie di bacio di legittimazione.
Amen.
Fantasmi truffaldini
Ha proclamato Barbara D'Urso in una delle tante trasmissione dedicate
alla saga: “Ci sono tante donne che sono fidanzate con persone che non
esistono”. E ancora: “Ho tante amiche che sono convinte di avere un
fidanzato solo perché ci parlano su Facebook”. E può anche darsi.
Da anni la rete ha aggravato il peso dell'intimità e al tempo stesso
dilatato a dismisura le possibilità di condivisione. In un'atmosfera
euforica e sdolcinata, ma anche dolorosa e talvolta non priva di un
retrogusto cospirativo – ah, l'eredità del melodramma! – il regime del
trash ha ben concimato il terreno per la fioritura di fake che sui
social e sulle piattaforme di dating operano a mezza via tra la menzogna
social e la vera truffa sentimentale; per cui in effetti molte
poverette ammettono di aver avuto palpitazioni e intrattenuto relazioni –
pure con scambio di porno domestico – con persone che nel migliore dei
casi operano alla tastiera sotto mentite spoglie (richiestissimi gli
uomini in uniforme militare). L'equivalente dei raggiri economici, tipo
l'ex ministro del Tesoro dello stato africano che ha messo da parte un
ricco tesoro, ma siccome non può attingervi, ha incaricato un
intermediario, di norma un parente prossimo, di spillare qualche
centinaio di euro a qualche gonzo per sbloccarlo – donde il bengodi, la
cuccagna e l'eldorado.
Da quel che è dato capire, il principale bacino d'utenza nell'ambito
della manipolazione sentimentale, il nucleo incandescente di questa
umanità di predoni e predati, sembra comunque composto da un certo
numero di morti e morte “di fama”, come con sprezzante efficacia li ha
designati Dagospia: aspiranti e reduci del Grande Fratello, naufraghi e
renitenti alla leva delle isole dei famosi, corteggiatrici e tronisti
dei programmi di Maria De Filippi, detta “la Sanguinaria”, e altri
ambiziosi cercatori di fortuna provenienti dalle discoteche, scuole di
ballo, palestre, centri estetici, di benessere e di ricostruzione delle
unghie, compagnie di biker e – attenzione! – gruppi politici sparsi e
lampeggianti per l'Italia profonda della periferia. Ognuno di essi con i
suoi spregiudicati agenti 2.0 ai quali si affianca un milieu fatto di
blogger raccattati, improbabili influencer, social media manager di
serie C1, spin doctor pizza & fichi, ma che di sicuro sono in grado
di inventarsi profili e sanno benissimo come nutrirli di balle per
aumentarne l'attività e generare vere e proprie comitive che possono
sempre servire, allargandosi e attivandosi per esempio in vista di
momenti caldi ed elezioni. A riprova dell'accelerata contiguità o forse
ormai dell'avvenuta osmosi tra vita vissuta, gossip, ricerca di
popolarità, perdita di tempo e post-militanza politica all'ombra dei
social.
E Silvia Sbrigoli prometteva le “Zigulì”
Forse è perché alla fine uno si illude di aver capito e al tempo
stesso brancola nel buio. Ma certo, pur con le peggiori intenzioni, sono
rimasto sorpreso quando ho preso atto che una certa Silvia Sbrigoli
prometteva le caramelle “Zigulì” a Sebastian Caltagirone. E che c'era un
altro tipo, Ivan Lazio, che si dava da fare intorno al futuro e
brizzolato meta-sposo di Pamelona; o quando mi sono reso conto che
pronubo un tale Stefano Codispoti, la vicenda aveva preso una strana
piega calabrese. S'era in effetti materializzata da quelle parti, luogo
d'origine dell'agente Perricciolo, una deputata di Fratelli d'Italia che
veniva indicata come la precedente fidanzata dell'inesistente Mark, con
evidenze di sintomatica uniformità. Così come aveva preso a
tambureggiare contro di lei una esponente del Pd, pure calabrese, non si
capiva se in nome della trasparenza, della verità o di che altro.
In ogni caso, per ovvie ragioni, la prudenza nel giudizio era sorella
della diffidenza, per cui mi appariva tutto vero, nel senso che ogni
post lasciava una reale traccia in rete, ma nel contempo anche tutto
falso; o meglio, fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni.
Più esattamente: la sarabanda in espansione sembrava riassumere
tenendoli insieme, come ha scritto Andrea Minuz sul Foglio del sabato,
brandelli di palinsesto, oltre che idee e sotto-idee televisive: “Chi
l'ha visto?” (che poi ha dedicato una puntata a Mark), “Mi manda
Lubrano”, “C'è posta per te”.
A tutte le ore, siti e televisioni presentavano impossibili trame,
inutili colpi di scena, assurde peripezie e vacui inghippi annegandoli
in un mare magnum di chiacchiere con la partecipazione di “analisti” per
lo più sconosciuti, ma di bella presenza ed elementare linguaggio,
Giovanni Ciacci, Georgette Polizzi...
Con temerario rimando storico aggiungerei che la quantità e qualità
di bizzarri testimoni ricordava un po' il circo che quasi settant'anni
orsono si trascinò appresso, nei memoriali per la stampa e dentro le
aule giudiziarie, il caso Montesi: l'ex soubrette Giobbengiò, la
scrittrice Caramello, “Giovanna la Rossa”, una misteriosa signora
soprannominata “la Dromedaria” e il preteso agente del Cominform Piero
Pierotti. Ma a parziale compensazione comparivano nella saga
caltagironesca anche due cani, a nome Oscar e Benito, entrambi tuttavia
enigmaticamente recanti in foto una medaglietta con la croce celtica.
Epifania della famiglia Coppi e di Giò Inolem
Debbo ripetermi, lo so bene. I processi di reciproco accreditamento
social si moltiplicavano con ritmi inusitati gonfiandosi e sollecitando
reazioni in un gioco di scambi, specchi, rifrazioni e rimbalzelli sempre
più arduo da seguire, anche perché a getto continuo confluivano novità
hard: potenziali aggressioni con l'acido, per dire, e relative azioni
legali (l'avvocato di Cagliari presentava denuncia perché fatto passare
come Mark Caltagirone).
A un dato momento, con lieto sgomento, ho realizzato che con
sfacciata precisione e ribalda sicurezza le due agenti avevano da tempo
dato vita e immesso in rete un'intero nucleo parentale inesistente il
cui cognome, Coppi, evocava un grande ciclista, ma soprattutto un
celebre avvocato.
Ben 10 (dieci) anni era durata la relazione che la Michelazzo
sosteneva di aver avuto con tale Simone Coppi, incontrato, no, anzi
visto in realtà una sola volta, a Fontana di Trevi, anche se la
certificazione del legame era delegata alla foto di un tatuaggio, con
tanto di date e svolazzi grafico-epidermici.
Oltre a Simone, che esercitava la professione di magistrato e come
tale aveva avuto a che ridire con un ex corteggiatore tradito dalla
fidanzata, esisteva molto in teoria anche Davide Lorenzo Coppi, di cui
si veniva a sapere che possedeva un imponente acquario di pesci
tropicali a capo del letto e che era impegnato a sostenere come
volontario i bambini di Haiti colpiti dal terremoto. Quindi c'era anche
il cugino Danny Coppi, presumibilmente Daniele; e dulcis in fundo Hellen, pure Coppi e presumibilmente niente.
In tale grazioso contesto apparve l'ennesimo fake, dal nome invero
piuttosto sbrigativo di Giò Inolem. Non ci voleva molto a capire che se
il nome poteva essere un'abbreviazione di Giorgia, il cognome era
indubitabilmente Meloni alla rovescia. E qui, come si dice all'estenuato
pubblico, mi avvierei alla conclusione.
Verso la minoranza assoluta
Posto che quasi certamente Giorgia Meloni nemmeno lo sa, debbo
confessare di aver guardato ogni volta con sospetto al numero mostruoso e
sempre crescente di follower che gli odierni politici vantano su
Facebook, Twitter e Instagram.
È uno scetticismo antico e ben radicato che di sicuro ha a che fare,
oltre che con le debolezze umane, con l'anagrafe professionale:
l'eccessiva proliferazione del tesseramento dei partiti nella Prima
Repubblica e la smodata sopravvalutazione dei dati nei sondaggi
preelettorali nella Seconda. Per cui mi pare di poter concludere che
nella Terza, questa di oggi, è del tutto inverosimile che Salvini, Di
Maio, Zingaretti, Meloni e compagnia cantante abbiano milioni e milioni e
milioni e milioni di seguaci, moltissimi dei quali intervengono quasi
sempre a loro sostegno.
Neanche a farlo apposta, proprio nelle settimane dell'affare
Caltagirone sono cominciate a venire fuori le prime spontanee e timide
verifiche sulla reale entità della partecipazione alla vita di questi
politici perennemente on line. Sono calcoli ancora imperfetti, a
campione e artigianali, seppure di buon senso, ma tempo verrà per più
puntuali e scientifiche rilevazioni.
Da quel poco che si capisce, gli odierni campioni dei social hanno di
gran lunga oltrepassato l'improntitudine dei signori delle tessere
democristiani (che comunque se le pagavano) e la spudoratezza
demoscopica di Berlusconi, che si gloriava di percentuali pazzesche, per
cui era quasi inutile fare le elezioni e votare (d'altra parte il
Cavaliere era anche il proprietario di agenzie di raccolta dati, quando
non acquistava a caro prezzo quei cialtroneschi numeri a suo
vantaggio).
E insomma, per farla breve: il sospetto è che oltre il 65 per cento
dei follower, comprendendo nella categoria le simpatiche figure dei
troll e degli haters, sono fasulli – e tanto più fasulli in quanto non
costano nulla. Si dice a Roma, a proposito di chi si fa bello: quattrini
e santità, metà della metà.
A occhio, la perfida rima trova conferma e sviluppo nella tecnologia
della rete. Sempre in singolare coincidenza con le vicissitudini di
Pamelona e le sue agenti (con cui ha litigato) si è potuto leggere che
on line esistono e funzionano da tempo, attraverso calcoli neurali, dei
veri e propri generatori di figure perfettamente realistiche, ma
immaginarie. Cioè uno fa click e viene fuori un volto, ma perfetto –
posso garantire che l'esperienza vale la pena. C'è anche da dire che a
scanso di equivoci, chi ha inventato e messo a punto il modello ha avuto
la simpatica idea di intitolare il sito: “This person does not exist”.
Più facile, rapido e meno costoso della clonazione.
Ho pensato dunque: con questo sistema, da Mark in poi, la conquista
del 51, ma forse anche del 101 per cento è a portata di mano. Poi, con
più calma, mi è venuto il dubbio che anche in quel caso ci si potrà
consolare – guarda te! – con Machiavelli: “Perché si trova questo
nell'ordine delle cose, che mai non si cerca fuggire uno inconveniente
che non si incorra in uno altro”.
Il darshan è originariamente un elemento fondamentale dell'adorazione hindu. Si ritiene che la vista dell'immagine sacra della divinità o di un altro oggetto sacro, o il contatto visivo con il santo o con la grande personalità abbia per il fedele un effetto ispiratore e di buon auspicio: e già notiamo come sia un concetto che non è alieno alla nostra cultura; rimanendo in ambito religioso ma nostrano, è comune che vengano ricercate esperienze come vedere il papa, o andare a vedere la tal reliquia. E un ancor più ampio respiro prende questo concetto se inteso laicamente.
A chi non è capitato di andare a sentir parlare il proprio scrittore preferito, ricercando uno scambio visivo? Chi non ha sentito un fremito vedendo gli occhiali di Puccini sulla sua scrivania, o un foglio di appunti di Manzoni? E dove sta la magia dei concerti visti dal vivo, o del vedere coi propri occhi Amore e Psiche di Canova?
Il darshan è l'ultimo bastione sacro di un senso fisico che ha perso gran parte della sua magia. Su internet o in tv si possono vedere video di tutte le grandi personalità del mondo che fanno e dicono ciò per cui sono grandi, e con un clic si possono raggiungere sterminate gallerie di opere d'arte, documenti originali, foto di ogni luogo. Il darshan è il contatto visivo di quando dici "Voglio vederlo dal vivo" o di quando racconti agli amici che sei stato nel tal posto e "L'ho visto". E il motivo per cui si vuole avere un darshan non si può liquidare facilmente bollandolo come superstizione, perché anche il meno superstizioso lo sente: il darshan trasmette davvero qualcosa. Che sia una benedizione per il giovane violinista che vede uno Stradivari, che sia un buon auspicio per chi, all'inizio di una giornata che si annuncia terribile, intravede e magari scambia due parole col suo idolo, che sia un'ispirazione per chi incrocia lo sguardo della grande persona che combatte per i suoi stessi ideali, è certo che il darshan è un fatto sacro. Riporta la vista su un binario di dignità altissima, la rende di nuovo capace di veicolare un'emozione che ti prende tutto il corpo - come quando da bambino vedevi la mamma o da ragazzino vedevi la ragazza che ti piaceva tanto.