IL VOLTO DELLA FOLLA
di Michela Nacci
Accidenti che occasione persa!!
Parlo di me, naturalmente, che ho passato la vita ad occuparmi di psicologia delle masse, di comunicazione, tenendo corsi, andando a cercare testi, leggerli, tradurli, metterli on line, diffonderli, che a saperlo avrei potuto investire il mio tempo sui campi di tennis per migliorare il mio rovescio e poi, dopo una quarantina d'anni finalmente trovare il bigino di questa esimia professoressa (22 Euro per un bigino, un po' caro per la verità) con l'elenco delle sue preziose letture e conseguente lezione di scienza delle comunicaione et similia...
Insomma, un'occasione persa pure per questa professoressa che riempie 237 pagine del suo ultimo libro che usa per definire la folla, ma non come le stiamo vivendo noi, bensì come la videro e la definirono letterati e intellettuali della fine del diciannovesimo secolo, quando la disciplina pencolava tra la sociologia e l'isteria a cavallo degli anni in cui si faceva strada un originale punto di vista di un certo Freud, che non si sapeva nemmeno se definire scienza...
In questo elenco di opinioni di eminenti pensatori risalenti al 1895, salta all'occhio l'infatuazione presa dalla professoressa nei confronti di Gustave Le Bon, che detto per inciso io sospetto che non fosse nemmeno laureato, un imbonitore ottocentesco, inventore del cefalometro tascabile, della teoria della luce nera e dell'etere luminifero (sic) che orgnizzò le colazioni del mercoledì nelle quali venivano invitati intellettuali e pensatori dell'epoca. Gli capitò per le mani l'edizione francese della Folla Criminale di Scipione Seghele e da lì intraprese la teorizzazione della sua pricologia delle folle PRIMA dell'avvento della psicologia. Fu un percorso tormentato pieno di contraddizioni, di scambi con altri studiosi:
Applicando un paradigma di studio scientifico derivato dall'approccio clinico delle patologie mentali elaborato dal professor Charcot alla Salpétrière di Parigi, Le Bon utilizza i concetti di contagio e di suggestione per spiegare i meccanismi della folla che portano all'emergere dell'emotività, dell'istintualità e dell'inconscio altrimenti repressi negli individui dal controllo sociale ordinario.
Influenza
Le Bon non fu il primo ad analizzare la società sua contemporanea, scoprendo un nuovo fenomeno: 'La folla'.[4] Altri studiosi includono: il francese Gabriel Tarde, l'italiano Scipio Sighele e il tedesco Georg Simmel. Tutti e tre gli studiosi scrissero opere similari descrivendo le folle in epoca di sviluppo di nuove teorie sulla azione sociale. “Il primo dibattito sulla psicologia delle folle fu tra i due criminologi, Scipio Sighele e Gabriel Tarde, riguardo alla determinazione della responsabilità criminale delle folle e chi porre in arresto (Sighele, 1892; Tarde 1890, 1892, 1901).”[5]
Il libro di Scipio Sighele La Folla Delinquente fu pubblicato in Italia nel 1891 e in Francia con il titolo La Foule Criminelle. In tedesco fu pubblicato solo nel 1897, disponibile per Georg Simmel, con il titolo Psychologie des Auflaufs und der Massenverbrechen. In inglese con il titolo The Criminal Crowd nel 1894.
Le Bon fu testimone di tre grandi eventi di massa: la comune di Parigi (1871), l'ascesa di Georges Ernest Boulanger, e l'affare Dreyfus. Ognuno di questi eventi galvanizzò larghi segmenti della popolazione. Parigi a quel tempo era una delle più grandi e industrializzate città d'Europa, fronte di forze di antisemitismo e estrema destra. In particolare il Trattato di Francoforte portò alla ribalta forze di destra. Fu questo il contesto in cui Le Bon concepì il concetto di "folla".
Questa nuova entità che emerge dall'unione degli individui non forma solo un nuovo corpo fisico ma una collettività “incosciente”.
George Lachmann Mosse, professore di storia alla University of Wisconsin-Madison, sostiene che le teorie fasciste sulla leadership che emersero durante gli anni'20 devono molto alle teorie di Le Bon sulla psicologia delle masse. Adolf Hitler lesse The Crowd[6] e il suo Mein Kampf fu steso seguendo la tecnica di propaganda proposta da Le Bon.[7] Benito Mussolini fece uno studio approfondito dei lavori di Le Bon, rileggendo spesso il libro.[8]
(Wikipedia)
La cosa che mi ha colpito maggiormente in questo lavoro è che la parola WEB e conseguente concetto viene usata una volta a pagina nove e l'ultima volta a dieci righe dalla fine del saggio mentre secondo me per essere un utile manuale di psicologia delle masse, avrebbe dovuto usare Le Bon nelle prime dieci righe e poi avrebbe dovuto aiutarci a dipanare la matassa della definizione di folla prtendo dal punto di vista di oggi, non con un individuo che si schiaccia sul nulla prendendo forza dal contatto fisico della folla che aiuta a far sparire la razionalità eccetera eccetera (Le Bon) ma oggi che ogni individuo si isola e non vuole contatti fisici, come si manifestano le caratteristiche della folla nella vita virtuale di Internet?
Come si giustificano fenomeni della folla tipo Web Crowfounding, dove la folla aiuta un progetto oppure, come si giustifica il Flash mob che è un raduno in pubblico, improvvisato, organizzato tramite passaparola, dove possono partecipare tanti sconosciuti tra loro, per creare un’azione strana che dura pochi minuti, per poi dileguarsi. Possono considerarsi folla?
E Salvini, che tra le rare letture, probabilmente avrà letto qualche riassunto del Le Bon e ne applica alcune obsolete teorie, come lo si argina, con quali strategie comunicative si può combattere?
Queste sono le piccole cose che avrei v oluto trovare in questo volumetto e invece le trovo in un'autrice meno paludata ma molto più divulgatrice di una profesoressa incartapecorita ( le sue idee, off corse, della persona non mi permetterei mai) che ancora una volta mostra il modo obsoleto con cui la nostra Università qualche volta tratta argomenti che meriterebbero un nuovo punto di vista.
DA LEGGERE:
Manuela Murgia
Istruzioni per diventare fascisti
Enaudi
Editore
Flash Mob: balli e raduni improvvisati
https://www.magnaromagna.it/video/flash-mob-danza-curiose-esibizioni-balli-improvvisati/
Darshan
Contatto visivo con l'immagine di una divinità, o con una persona reverenda, o con un oggetto sacro.
dal sanscrito: darśan vista.
Il darshan è originariamente un elemento fondamentale dell'adorazione hindu. Si ritiene che la vista dell'immagine sacra della divinità o di un altro oggetto sacro, o il contatto visivo con il santo o con la grande personalità abbia per il fedele un effetto ispiratore e di buon auspicio: e già notiamo come sia un concetto che non è alieno alla nostra cultura; rimanendo in ambito religioso ma nostrano, è comune che vengano ricercate esperienze come vedere il papa, o andare a vedere la tal reliquia. E un ancor più ampio respiro prende questo concetto se inteso laicamente.
A chi non è capitato di andare a sentir parlare il proprio scrittore preferito, ricercando uno scambio visivo? Chi non ha sentito un fremito vedendo gli occhiali di Puccini sulla sua scrivania, o un foglio di appunti di Manzoni? E dove sta la magia dei concerti visti dal vivo, o del vedere coi propri occhi Amore e Psiche di Canova?
Il darshan è l'ultimo bastione sacro di un senso fisico che ha perso gran parte della sua magia. Su internet o in tv si possono vedere video di tutte le grandi personalità del mondo che fanno e dicono ciò per cui sono grandi, e con un clic si possono raggiungere sterminate gallerie di opere d'arte, documenti originali, foto di ogni luogo. Il darshan è il contatto visivo di quando dici "Voglio vederlo dal vivo" o di quando racconti agli amici che sei stato nel tal posto e "L'ho visto". E il motivo per cui si vuole avere un darshan non si può liquidare facilmente bollandolo come superstizione, perché anche il meno superstizioso lo sente: il darshan trasmette davvero qualcosa. Che sia una benedizione per il giovane violinista che vede uno Stradivari, che sia un buon auspicio per chi, all'inizio di una giornata che si annuncia terribile, intravede e magari scambia due parole col suo idolo, che sia un'ispirazione per chi incrocia lo sguardo della grande persona che combatte per i suoi stessi ideali, è certo che il darshan è un fatto sacro. Riporta la vista su un binario di dignità altissima, la rende di nuovo capace di veicolare un'emozione che ti prende tutto il corpo - come quando da bambino vedevi la mamma o da ragazzino vedevi la ragazza che ti piaceva tanto.
FULVIO ABBATE CONTRO LA “NUOVA PLEBE”
CHE CONTESTA CAROLA RACKETE:
Alla fine, forte del proprio analfabetismo conseguito
e testato sui social, ciò che potremmo chiamare la nuova plebe, scacciò
dalla memoria l’antica, quella che in certe pitture barocche mostra
soprattutto Napoli, la sua storia secolare tribolata, pronta a soffocare
nel sangue le idee ordite da generosi nobili infatuati di rivoluzione,
di più, dalle “élite”, disprezzate in quanto tali.
Pensate
al duca Gennaro Serra di Cassano nel 1799, poi al conte Carlo Pisacane
nel 1857, la cui sciabola dimora adesso al Museo del Risorgimento, nel
ventre del Vittoriano. Meglio ancora se portatrici – le immonde “élite”
non certo la plebe, sia chiaro – di un pensiero ora illuministico ora
proto-socialista.
Dunque
non era una prerogativa unica del mondo all’ombra del Vesuvio, forte
dei Masaniello o Agostino ‘o Pazzo, per chi di quest’ultimo ha memoria,
quel certo modus di reagire alla Vandea subculturale; il duca Gennaro,
colpevole di sognare la repubblica, finirà decapitato, da allora il
portone del palazzo di famiglia è rimasto doverosamente sbarrato in
faccia alla plebe, monito a una coscienza mai raggiunta, calpestata.
Uscendo
dai sussidiari di storia per ficcarci nel greve reality
post-berlusconiano odierno, va detto che la plebe remix appare sempre
più un fenomeno metropolitano globale, pronto a mostrare innanzitutto il
proprio rifiuto di ogni complessità culturale, fosse anche il semplice
“carissimo amico” della democrazia, quasi che il nuovo soggetto
prevalente abbia scelto di rispondere a ogni obiezione dialettica con un
“E ‘sti cazzi?”.
Miserie
accompagnate da un repertorio di altre citazioni degno delle “più belle
frasi di Osho”, il romanesco come lingua globale del qualunquistico
cinismo, cioè ‘sti cazzi e ancora ‘sti cazzi in luogo, che so, del
Michel Foucault dei “radical chic”.
Scendendo
nello specifico, si tratta di un soggetto sociale cresciuto nel
grottino-tavernetta di un paese che da “terribilmente sporco”, suggeriva
Pasolini, ha completato la propria transizione verso lo stato acefalo, e
questo, così pensano i gretti, ritenendo che le conquiste civili siano
una profanazione quasi anale dell’orgoglio patrio, un’imposizione giunta
dai “comunisti”, dai “sinistri”, dalle “zecche rosse”.
Propellente
per un Sessantotto della destra che strega la nuova plebe con le sirene
spiegate della Lega di Salvini e del M5S di Luigi Di Maio, forze
politiche che, in verità, mostrano un effetto-Niagara, cioè stura water,
circa un sentire ultimo diffuso e profondo razzista che stava solo in
sonno.
Questa
nuova irresistibile plebe, assente a ogni coscienza individuale, segnata
da un riflesso paranoide, come si evince dalla prosa sui social, è
assimilabile al branco di nutrie, all’istinto gregario, posseduto dalla
narrazione e dalla propaganda populista, mostrando così un background
bruciato da decenni di esposizione alla televisione commerciale.
Per
intenderci, prima di concedersi quasi eroticamente al fascino casual di
Salvini, gli stessi soggetti sono rimasti stregati dal fard di
Berlusconi. Occorre pensare che decenni di “Uomini e donne” e
“Paperissima” e “Ciao Darwin” abbiano lasciato lesioni permanenti
sull’encefalo di un paese sostanzialmente illetterato.
È
accaduto soprattutto a detrimento d’ogni sapere che non corrispondesse
al gretto egoismo piccolo-borghese. Si sappia infatti che la nuova plebe
ama innanzitutto i propri luoghi comuni, così tanto che quasi quasi
vorrebbe recintarli, di più, farli custodire da un bel muro tempestato
di punte di lancia, di modo che nessun altro, peggio se straniero, possa
giungere, presentarsi - toc toc - magari per bisogno materiale; la
nuova plebe infatti ha rimosso, in assenza d’ogni coscienza civile, la
memoria di un paese già con le pezze al culo, gli antenati costretti a
emigrare e talvolta addirittura pronti a farsi mafia fuori dai propri
confini, la plebe remix si sente rassicurata da chi garantisce di
innalzare staccionate, come quel leghista che promette un muro di 243 km
che corra sul confine est d'Italia: «È un’ipotesi che si sta valutando
col Viminale», proclama il governatore del Friuli-Venezia, Massimiliano
Fedriga, appunto. E questo «Perché noi dobbiamo dare sicurezza ai nostri
cittadini. Tranquillità nelle case, decoro nelle pubbliche vie. Ladri,
delinquenti di piccolo o grande calibro non ne vogliamo»
Avrà
costui coscienza che il racconto dell’umanità è storia di esodi e
migrazioni? Con Fedriga dobbiamo immaginare un cervello unicamente
abitato da sistemi d’allarme, porte corazzate, bloster, taser e dal
“suo” muro? Servirebbe a qualcosa ricordargli che tra i versi di Prévert
ce n’è uno, definitivo, che così inquadra certa umana meschinità:
«Quelli che in sogno piantano cocci di bottiglia sulla grande muraglia
della Cina».
E
ancora, ci scommetto che nella mente dei nostri dirimpettai razzisti in
nome dell’orgoglio identitario, c’è il proposito ulteriore di una
narrazione che serva a trasformare il nostro quotidiano in film
poliziottesco permanente, con il Capitano, il commissario, l’ispettore,
il questore, il questurino, il piantone, un Salvini, pronto a vestire
tutti questi ruoli, pronto a ordinare a gazzelle e cellulari di
sguinzagliarsi, così come alle motovedette, le pilotine, i
cacciatorpediniere laggiù in mare, magari in attesa di fare finalmente
fuoco sui barconi, sugli “stranieri”, sulle ragazze con i dread, figlie
“viziate” delle solite infami “élite”.
CAROLA RACKETE
Se
trent’anni fa, a Berlino, si festeggiava la cancellazione di un
confine, adesso, nel sentire, di più, in pugno ai leghisti e ai loro
alleati grillini sembra di vedere pronta la cazzuola, micragnosa idea di
libertà e di controllo, nella convinzione che, sebbene meschini nella
loro bassezza morale, i nostri cognati, perfino i peggiori, sono da
preferire ai poveri, neri di pelle, che vengono verso di noi con i
barconi, posto che la miseria va ritenuta un crimine in sé, non per
nulla la nuova plebe riporta in vita tra una pizzata e l’altra un
repertorio di barzellette dove brilla Bongo, “re del Bongo, e “nel culo
te lo pongo” (sic), così nei conciliaboli da Ku Klux Klan sezione di
Formello o di Trigoria o di Appiano Gentile, o perfino di Lampedusa.
Nella
convinzione che le semplici aste dalla democrazia siano roba superata -
l’ha detto anche Putin, no? – dunque resta da presidiare il mondo, i
quartieri, i bar sotto casa con occhio torvo, forte com’è d’avere
riconosciuto il nemico nei “sinistri”, negli “intellettualoidi”, i
“professorini”, dove Salvini, con cantilena minacciosa, rosario della
grettezza securitaria, è il loro Orso Yoghi; neppure Maurizio Merli, nei
panni del commissario Tanzi dei succitati poliziotteschi, aveva
ottenuto tanta fidelizzazione, pensate.
Alla
fine, in assenza di opposizioni, posto che il Pd mostra nient’altro che
una pietosa afasia, se non talvolta perfino contiguità con il pensiero
da mattinale di questura, proprio alle vituperate “élite” è spettata la
soddisfazione della risposta individuale, singola, giunta direttamente
dal cuore, risposte da “sinistri”, e tuttavia finalmente reattive
rispetto alla tracotanza del ministro degli Interni, risposte
addirittura aspre che replicano all’insulto con la medesima sostanza, e
così frutto di doveroso amor proprio, necessario narcisismo politico
ritrovato di fronte alla sensazione, appunto, di una sinistra assente,
vedi Adriano Sofri, vedi Oliviero Toscani, vedi Chef Rubio, vedi
Saviano, vedi altri che l’arroganza di Salvini ha convinto ad
abbandonare ogni galateo per salire sulle barricate. Alla fine, hanno
dovuto provvedere le “élite”, di più, proprio duca o il conte a
ristabilire una chiarezza resistenziale, dichiarando, come avrebbe detto
qualcuno, cioè un “professorone”, guerra all’ovvio e all’ottuso.
Salve signora signore
RispondiEliminaSono il rappresentante di un GRUPPO composto da operatori
economica. Questo gruppo è coinvolto in varie attività
come:
Fornire prestiti a tutti coloro che si trovano in difficoltà finanziarie
investire in progetti molto coerenti e redditizi
Per sicurezza, fiducia e trasparenza, ecco il
procedura da seguire
devi recarti nella nostra base per:
Contattare uno dei nostri rappresentanti e il nostro consulente
finanziario (un incontro e uno studio del tuo progetto)
Nota l'esistenza dei fondi che ti saranno resi disponibili
Redazione e firma del contratto con il notaio
Infine le formalità bancarie per il trasferimento di fondi
Questo processo richiede al massimo 72 ore per eseguire tutto
In caso di domande, siamo qui per rispondere
Grazie per la comprensione e rispondici rapidamente
Email: kemalllare@gmail.com