“GLI ALGORITMI INCONSCI SARANNO PIÙ POTENTI DELL’UOMO” - LO STORICO YUVAL HARARI: “IN QUESTO SECOLO LE INTELLIGENZE ARTIFICIALI CI RENDERANNO IMMORTALI, MA POI SARANNO LORO A GOVERNARE LA TERRA. LA RIVOLUZIONE HI-TECH STA CREANDO LA CLASSE DEI SUPERFLUI: PERSONE DISOCCUPATE E INOCCUPABILI”
Mai
come oggi l’umanità è riuscita a contenere violenza e epidemie, e i
progressi della medicina sembrano destinati ad allungare la vita a
piacimento. Eppure proprio sulla strada che, grazie a ingegneria
genetica e intelligenza artificiale, ci porterà a traguardi mai sognati
prima, potremmo perdere noi stessi.
È
l’ammonimento dello storico israeliano Yuval Harari, docente presso
l’Università Ebraica di Gerusalemme, membro dell’Accademia israeliana
delle Scienze e autore del saggio Homo Deus: a Brief History of Tomorrow
(Harvill Secker, pp. 448, l’edizione italiana uscirà per Bompiani nel
2017). Harari è diventato una star della saggistica internazionale con
il bestseller Sapiens (tradotto in 30 lingue, uscito in Italia per
Bompiani con il titolo Da animali a dei, breve storia dell’umanità), che
ricostruiva il modo in cui l’uomo ha conquistato il dominio sul
Pianeta.
YUVAL HARARI - HOMO DEUS
Un
corso tratto dal libro, distribuito online dall’università telematica
Coursera, la più famosa del mondo, è stato seguito da oltre 100 mila
persone. La sua previsione del futuro parte da considerazioni molto
ottimistiche.
«Per
la prima volta nella storia sono più le vittime degli eccessi nel cibo
che quelle della denutrizione. Si muore di più per la vecchiaia che per
le malattie infettive. Nelle società antiche una fine violenta toccava
fino al 15 per cento delle persone. Oggi siamo sotto l’1. L’umanità ha
un potere senza precedenti».
Per fare cosa?
«In
questo secolo punteremo all’immortalità. O meglio, tenderemo a vedere
la morte come un banale problema tecnico. Del resto già nel 2013 Google
ha lanciato la società Calico che ha la missione di combattere
l’invecchiamento e – come dicono i fondatori – “risolvere la morte”».
E questo è un bene per tutti. O no?
«Di
fatto quello che si prospetta è un tipo di progresso che può minare la
democrazia. Mi spiego: la medicina finora ha avuto come obiettivo la
guarigione dei malati. È un traguardo che, in qualche modo, risponde a
criteri di uguaglianza: una volta che sei sano, sei sano allo stesso
modo sia che tu sia ricco sia che tu sia povero.
Se
il nuovo obiettivo della medicina sarà invece – com’è probabile – il
potenziamento dell’essere umano, per esempio attraverso interventi
genetici, allora chi potrà permetterselo si potenzierà più degli altri.
Il divario tra privilegiati e no potrebbe allargarsi a dismisura
arrivando persino a codificarsi nel Dna. Oggi c’è ancora mobilità
sociale ed economica. Ma sarà più difficile avere “mobilità genetica”:
una volta che i potenti saranno più intelligenti, più forti, più sani
avremo una classe di “semidei” che metterà a dura prova il concetto di
democrazia».
Ma una trasformazione in senso elitario della medicina non incontrerebbe opposizione nella società?
«Non
credo, perché la promessa di riuscire a sconfiggere tutti i mali grazie
zie a strumenti potentissimi come l’intelligenza artificiale e la
speranza di poter prevenire difetti e vulnerabilità grazie alla
manipolazione genetica sono troppo allettanti per far sorgere dubbi.
robot
Pensi
solo ai vantaggi che un’intelligenza artificiale come Watson di Ibm ha
sui medici umani: potrà avere a disposizione all’istante tutta la
conoscenza medica acquisita nella storia e aggiornarsi in tempo reale
con ogni nuovo studio pubblicato, in teoria potrà anche consultare dati e
statistiche da ogni ospedale del mondo.
Potrò
dargli come input tutto il mio genoma e quello dei miei familiari e
indossare sensori che gli manderanno dati 24 ore su 24 sulle mie
funzioni vitali. Questo “medico artificiale” potrà combinare tutti
queste informazioni insieme per diagnosi di una precisione
impressionante.
Certo,
non siamo ancora a questo punto, perché rimangono molti problemi da
risolvere. Ma poi, una volta sviluppato un “medico artificiale”, in
realtà ne avremo infiniti, perché potremo creare all’istante tante copie
del programma, mentre per formare un medico umano servono anni per ogni
individuo. Il prezzo di tutto questo è la privacy? Ma tra la salute e
la privacy la gente sceglierà sempre la prima».
Siamo nelle mani degli algoritmi.
«Proprio
così. Se grazie alle enormi quantità di dati che raccolgono già oggi –
uno studio mostra come Facebook ci conosca più dei nostri amici – e che
raccoglieranno sempre di più, i computer saranno in grado di darci
consigli utili sulle scelte importanti della nostra vita, chi sarà così
sciocco da rinunciare a questi vantaggi?».
Ma a che prezzo?
ROBOT 2
«Un
trasferimento di autorità dagli umani agli algoritmi. Che è un
passaggio storico. Nel corso della storia l’intelligenza è sempre stata
accompagnata dalla consapevolezza. I soli esseri altamente intelligenti,
e quindi capaci di curare malattie, giocare a scacchi e guidare
veicoli, ossia gli umani, erano esseri consapevoli. Ora però
l’intelligenza si sta affrancando dalla consapevolezza. Abbiamo
algoritmi – inconsapevoli di sé stessi – che giocano a scacchi, guidano
veicoli, diagnosticano malattie meglio di noi.
Perché
tutti questi compiti si basano sul riconoscimento di schemi, una
capacità in cui gli algoritmi eccellono. La fantascienza dà per scontato
che per poter superare l’intelligenza umana i computer dovranno
sviluppare anche la consapevolezza. La scienza dice un’altra cosa: ci
potrebbero essere diverse vie alternative che conducono alla
superintelligenza, e solo alcune di queste passano attraverso la
consapevolezza.
Per
fare le cose – pensi alle auto senza pilota o i robot – l’intelligenza è
obbligatoria, la consapevolezza solo facoltativa. E potrebbe diventare
addirittura un lusso o un impedimento. Dopo migliaia di anni in cui
l’uomo ha concentrato il potere nelle sue mani, tra pochi decenni
algoritmi inconsci potrebbero essere molto più potenti di noi. E la
maggior parte dell’umanità potrebbe diventare economicamente inutile e
politicamente impotente».
Con quali risvolti?
«La
rivoluzione industriale ha creato la classe lavoratrice urbana, la
rivoluzione dell’intelligenza artificiale sta creando la classe dei
superflui: persone disoccupate e inoccupabili. È un po’ come è successo
per gli eserciti: quelli del Ventesimo secolo si fondavano sul
reclutamento di milioni di soldati attraverso la leva obbligatoria,
mentre quelli del Ventunesimo contano su numeri ridotti di soldati
d’élite potenziati da droni, robot e software. Oggi la maggior parte
delle persone è militarmente inutile.
Presto
la stessa cosa potrebbe accadere nell’economia civile. Ma se le masse
non saranno più utili a nulla – cosa mai successa prima – come potrà
reggere l’idea della democrazia? Nel Ventesimo secolo le élite, in
democrazia come nei regimi autoritari, hanno investito molto per dare
alle masse sanità, istruzione e welfare, perché le masse erano
fondamentali: servivano soldati e lavoratori in salute.
Ma
se oggi gli umani non servono più, allora le élite perderanno ogni
incentivo a investire nell’istruzione e nel benessere delle masse. Poi
anche le élite saranno sorpassate dall’intelligenza artificiale, che
potrebbe rimpiazzarci come specie dominante sul Pianeta. Non sarà
l’Apocalisse, ma l’apertura di un capitolo completamente nuovo negli
annali della vita. Che non riusciremmo a immaginare nemmeno nei sogni
più strani, visto che anche i sogni sono prodotto di chimica organica,
mentre la realtà sarà guidata da menti inorganiche».
E che fine farà l’Homo Deus?
ex machina
«Pensiamo
a come è cambiato il nostro rapporto col mondo. Il
cacciatore-raccoglitore dell’antichità era animista: adorava il vento,
il sole, l’orso, il bosco. Con l’invenzione dell’agricoltura l’uomo ha
iniziato a cambiare la natura e si è inventato un Dio a sua immagine
che, ponendolo al vertice della creazione, giustificasse il suo dominio
sugli animali. Con il pensiero umanista, poi, l’uomo venera sé stesso.
Ora però, sulla nuova strada verso la divinità, ci imbatteremo nella
nostra irrilevanza. I computer ci renderanno immortali proprio quando
saranno così potenti da renderci anche inutili e obsoleti».
DNA
futuri accoppiamenti fatti con dna
test del dna
FOREVER YOUNG - UN GRUPPO DI RICERCATORI AMERICANI E SPAGNOLI E’ RIUSCITO, PER LA PRIMA VOLTA, A RIPROGRAMMARE LE CELLULE IN MODO DA RINGIOVANIRLE QUEL POCO CHE BASTA A CANCELLARE I SEGNI DELL'INVECCHIAMENTO SUL DNA - ECCO COME
Si
torna giovani, si torna sani, si vive più a lungo. Basta riportare le
lancette dell' orologio biologico indietro, ma indietro di poco, e non
pretendere di fare un balzo nel passato, ma soltanto un piccolo passo.
Lo ha dimostrato un gruppo di ricercatori americani e spagnoli che per
la prima volta sono riusciti a riprogrammare le cellule in modo da
ringiovanirle quel poco che basta a cancellare i segni dell'
invecchiamento sul Dna.
Ma
solo quel poco, e senza far perdere loro l' identità di cellula adulta,
per esempio, della pelle, del muscolo o del sistema nervoso. Il trucco,
si legge nello studio pubblicato ieri dalla rivista Cell, è lo stesso
che si usa per produrre le cellule staminali pluripotenti, per cui il
giapponese Shinya Yamanaka è stato premiato con il Nobel della Medicina
nel 2012. Ed è un trucco basato sulla possibilità di regolare l'
espressione (cioè l' accensione o lo spegnimento) di alcuni geni chiave
senza toccarne la struttura: l'intervento si definisce perciò non
"genetico" ma "epigenetico".
TEST LABORATORIO
La
ricerca fornisce diversi elementi di entusiasmo. Per Juan Carlos
Izpisua Belmonte del Salk Institute di La Jolla, in California, che ha
diretto l' esperimento, il principale è ovvio: «Abbiamo mostrato che l'
invecchiamento è un processo plastico, e non avviene necessariamente in
un' unica direzione». Anzi: può essere regolato.
In
questo caso lo si è visto sia su cellule in vitro che su topolini da
laboratorio, agendo nella stessa maniera. Cioè si è giocato sui
cosiddetti fattori di Yamanaka senza però dare loro un via libera
completo, perché se lo si fosse fatto si sarebbe osservato un
ringiovanimento delle cellule eccessivo che, come mostrato da ricerche
precedenti, provoca lo sviluppo di particolari tipi di tumori originati
dalla degenerazione dei tessuti embrionali.
In
questo caso invece i ricercatori sono riusciti a regolare l'azione dei
fattori dall' esterno attraverso l' introduzione di uno speciale
interruttore che rispondeva a un antibiotico, il quale a sua volta
poteva essere somministrato o non somministrato dai ricercatori stessi.
Così la riprogrammazione è stata fatta durare solo un paio di giorni,
invece che due o tre settimane come di consueto. In futuro, spiegano gli
scienziati, si potrebbe anche provare con durate diverse o con una
riprogrammazione intermittente, perché la ricerca è soltanto all'
inizio.
Comunque,
intanto, il risultato è stato abbastanza clamoroso: le disfunzioni
cellulari legate all' età sono chiaramente diminuite, le cellule hanno
recuperato la struttura e la funzione di epoche della vita precedenti, e
i tessuti sono tornati vitali come un tempo.
Ma
il dato davvero notevole della ricerca è che le stesse modifiche sono
state osservate anche in vivo, cioè nei topolini di laboratorio, nei
quali si è notato non soltanto un miglioramento delle funzioni di
ciascun organo, ma anche un beneficio complessivo, misurabile, in questo
caso, in settimane di vita.
Lo
si è calcolato con precisione sperimentando il sistema su topini
geneticamente predisposti a un invecchiamento precoce e calcolando che
la loro vita si allungava mediamente del 30 per cento: da 18 a 24
settimane. Che è come se a noi regalassero, più o meno, vent' anni di
vita in salute.
dna
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