PRIMUM VIVERE, DEINDE GLOBALIZZARE - GUERRERA: “STIAMO PER ENTRARE IN UN INTENSO PERIODO DI "DE-GLOBALIZZAZIONE".
IL VIRUS POTREBBE PORTARE ALLA FINE DI UN'ERA DI ESPANSIONE NEI NOSTRI
ORIZZONTI ECONOMICI, CULTURALI E FISICI. UN MOMENTO STORICO IN CUI LA
SOPRAVVIVENZA CONTERÀ PIÙ DELL'ARRICCHIMENTO FINANZIARIO ED
INTELLETTUALE” - LA RECESSIONE POTREBBE SPINGERE LE GRANDI AZIENDE AD AVERE MENO DIPENDENTI E PIÙ TECNOLOGIA...
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Francesco Guerrera per “la Stampa”
Nel
giorno in cui quasi tutti - politici, investitori, cittadini - volevano
pensare al mondo dopo la quarantena del coronavirus. Nel giorno in cui i
mercati si stavano godendo le parole di Cuomo, governatore dello Stato
di New York, che a Pasquetta ha dichiarato: «Il peggio è passato». Nel
giorno in cui la povera Italia ha fatto i primi, lenti, passi verso la
riapertura, sono arrivati gli economisti a spegnere i primi barlumi di
speranza.
Parole e
numeri che fanno venire i brividi. Per chi guarda nella palla di
cristallo del Pil mondiale, il parallelo è con la Grande Depressione
degli anni '30. Lo ha detto chiaramente Gita Gopinath, la capo
economista del Fondo Monetario Internazionale, che nel suo ultimo studio
parla della prossima (e attuale) recessione come la peggiore
contrazione dell' economia dai tempi del crac del 1929. Anzi peggio,
perché nell'era della globalizzazione, questa flessione economica non
lascerà scampo a nessun Paese.
Il
settore privato le dà ragione. JP Morgan, la più grande banca Usa, ieri
ha messo da parte circa 7 miliardi di dollari per fare fronte al fatto
che società e mutuatari non ce la faranno a pagare gli interessi durante
una «severa recessione». E il mio amico Mohamed El-Erian, capo
consigliere economico di Allianz, è andato oltre, dicendo al Financial
News che c' è il rischio che l' economia mondiale cada in una vera e
propria Depressione stile anni-30. «Credo che il mercato non abbia
capito che non usciamo da questa crisi nello stesso punto in cui ci
siamo entrati» ha detto El-Erian, un tipo pacato, non solito all'
iperbole.
A
differenza della crisi del 2008, il dilemma per politici e mercati non è
solo economico, monetario e finanziario. Ci sono questioni morali,
sanitarie e sociali di straordinaria importanza. È questa confluenza tra
etica ed economia che rende le decisioni dei politici pressoché
impossibili.
Quando
parlo con capitani d'industria e banchieri, li sento scalpitare per una
riapertura al più presto. E' un sentimento comprensibile: il lockdown
attuale ha messo l' conomia del pianeta in coma. Una prolungata assenza
di attività produttive la ucciderebbe. Anche qui, le cifre sono
allucinanti. Secondo l'Office of Budget Responsibility, l'organizzazione
che fa i conti al governo britannico, il Regno Unito perderebbe il 35%
del Pil se l' economia rimanesse rintanata in casa fino a giugno. Le
conseguenze su disoccupazione, sperequazione sociale e fallimenti
societari sarebbero senza precedenti.
«Pensa
ad un mondo senza British Airways e EasyJet» mi ha detto un finanziere.
«Si può sopravvivere? Ok, ora pensa ad un mondo senza Boeing, Airbus e
aeroporti. Ancora non convinto? Va bene, ora pensa ad un mondo senza
nessuna industria manifatturiera, dove la gente non ha soldi per
comprare i pochi beni che vengono prodotti: l'Apocalisse». Ma se si
ascoltano i medici e gli scienziati, la ripartenza, anche graduale,
comporta enormi rischi umani. Senza vaccini, senza test affidabili e
senza la volontà politica di compromettere la privacy per fare
controllare il contagio a Google, Apple e compagnia, i governi che
riaprono le proprie economie giocheranno alla roulette russa.
recessione coronavirus
Qualsiasi
cosa succeda - ed è possibile che nei prossimi mesi vedremo decisioni
opposte da parte di diversi Paesi - una cosa è certa: stiamo per entrare
in un intenso periodo di "de-globalizzazione". Il commercio mondiale,
già in crisi per le tensioni sino-americane, crollerà dell' 11% quest'
anno, secondo l' Fmi.
Per
le società ciò significa passare da un lungo periodo in cui l'
imperativo era la crescita di fatturato e profitti ad un periodo in cui
la resilienza sarà all' ordine del giorno: meno impiegati, più
tecnologia e concentrazione totale sul core business, le attività
principali. Per il resto di noi, il virus potrebbe portare alla fine di
un' era di espansione nei nostri orizzonti economici, culturali e
fisici. Un momento storico in cui la sopravvivenza conterà più dell'
arricchimento finanziario ed intellettuale. Nel 2020, sarà questo l' ago
della bilancia tra Brutta Recessione e Grande Depressione.
RECESSIONE
LA DITTATURA DEL VICINO È SEMPRE PIÙ VERDE –
DOPO AVER FIRMATO L’ALLEANZA PER IL 5G CON LA CINA, PUTIN GUARDA AL
CYBERSPAZIO DI XI JINPING COME AL MODELLO DA SEGUIRE: I PROVVEDIMENTI DI
MOSCA HANNO COME OBIETTIVO LA CREAZIONE DI UNA “FRONTIERA DIGITALE”, IN
GRADO DI SEPARARE IL WEB IN CIRILLICO DA QUELLO DEL RESTO DEL MONDO –
PER CREARE UN WEB PARALLELO ALL'AUTORITÀ PER LE TELECOMUNICAZIONI
VENGONO AFFIDATI AMPI POTERI PER…
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Angelo Allegri per “il Giornale”
Era
il giugno dell' anno scorso e per sancire l' accordo si mossero i due
leader: furono il presidente russo Vladimir Putin e quello cinese Xi
Jinping a benedire personalmente l' alleanza per il 5G tra Mts, uno dei
maggiori gruppi telecom dell' ex Unione Sovietica, e Huawei, il colosso
con sede a Shenzen. Da allora l' intesa ha dato i suoi primi frutti:
nella zona di Mosca le sperimentazioni sono già iniziate.
Da
qualche anno i rapporti tecnologici tra i due Paesi nel campo del
ciberspazio sono sempre più stretti e con la recente legge sulla
regolamentazione di Internet, entrata in vigore nel novembre dell' anno,
la Russia sembra aver individuato nella Cina anche un modello. I
provvedimenti adottati a Mosca hanno come obbiettivo la creazione di una
«frontiera digitale», in grado di separare il web in cirillico da
quello del resto del mondo. Le nuove norme creano un meccanismo di
sorveglianza sul trasferimento dei dati via Internet e un controllo
centralizzato sull' infrastruttura fisica su cui essi viaggiano (reti e
apparati tecnici).
All'
autorità per le telecomunicazioni, Roskomnadzor, diventata sempre più
potente negli ultimi anni, vengono affidati ampi poteri per la
disattivazione del Web in caso di emergenza. Sempre in caso di emergenza
la Rete potrà essere di fatto staccata da quella internazionale, visto
che i «service provider» avranno l' obbligo di evitare l' instradamento
dei messaggi attraverso network situati al di fuori del territorio
russo. I service provider infine dovranno installare «apparati tecnici
per contrastare le minacce alla stabilità, alla sicurezza e all'
integrità funzionale di Internet sul territorio della Federazione
russa».
russia internet 3
La
formulazione è abbastanza vaga e non si sa bene di che tipo di
apparecchiature si tratta, ha commentato Alena Epifanova, analista del
German Council on Foreign Relations, ente di ricerca non-profit con sede
a Berlino, ma dalla legge si sa che sarà la stessa autorità a fornirle.
L' ipotesi è che si tratti di strumenti utilizzabili per controllare il
contenuto delle comunicazioni Internet, già previsti in un' altra parte
delle nuove norme.
La
Russia tenta poi, con la nuova legislazione, un esperimento mai
riuscito fino ad ora ad altri: la creazione di un sistema di
denominazione dei siti (in termini tecnici Dns, Domain Name System) del
tutto indipendente da quello attualmente in uso a livello
internazionale. La spiegazione ufficiale è il tentativo di sfuggire all'
aggressività americana, che attraverso l' Icann (per altro indipendente
dal governo Usa) gestisce l' organizzazione attuale.
Al
di là delle dichiarazioni di principio contro il colonialismo a stelle e
strisce, l' innovazione ha però senso, dice Alana Epifanova, «solo se
il Paese opta per un isolamento completo e a lungo termine del proprio
web», visto che i siti russi diventerebbero indisponibili negli altri
Paesi e viceversa.
La
strada, comunque, sembra tracciata, dice Alana Epifanova: «Nel prossimo
futuro la Russia dovrà cooperare ancora più strettamente con la Cina
per sviluppare tecnologie che le consentano di raggiungere i suoi
obiettivi. Dovrà anche coordinare con il Paese asiatico la sua politica
di Internet a livello internazionale».
vladimir putin 3
Il
tema sollevato dai cinesi all' Itu di Ginevra, quello di un nuovo
protocollo Internet che sostituisca quello utilizzato negli ultimi
decenni (vedi l' articolo a fianco), sembra provare la tesi dell'
analista del German Council of Foreign Relation. Tra le adesioni subito
raccolte da Pechino c' è anche quella russa.
PENSAVAMO CHE INTERNET AVREBBE APERTO I
REGIMI. INVECE SONO I REGIMI A CHIUDERE INTERNET (E AI GOVERNI
OCCIDENTALI PIACE ASSAI) - LA CINA PROPONE ALL'ONU DI RIVEDERE LE REGOLE
DEL WEB. PER DARE PIÙ POTERI DI CONTROLLO AI SINGOLI STATI. ORA CON IL
TRACCIAMENTO DA CORONAVIRUS DAREMO LE NOSTRE VITE E CARTELLE CLINICHE IN
MANO A GOVERNI E GIGANTI ONLINE, IL PASSO SUCCESSIVO…
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Angelo Allegri per “il Giornale”
La
prima riunione si è svolta in settembre, l' ultima poche settimane fa,
in febbraio. Nella sede dell' Itu di Ginevra, l' organismo che fa capo
all' Onu e che stabilisce gli standard internazionali nel campo delle
telecomunicazioni, sono arrivati in entrambi i casi non più di una
dozzina di tecnici e dirigenti cinesi: rappresentanti di Huawei, la
società cinese all' avanguardia nel settore, dirigenti delle due
maggiori società di telefonia del Paese, un pugno di funzionari del
governo. Secondo il resoconto del Financial Times, hanno organizzato una
presentazione usando il software più utilizzato per questo tipo di
eventi, Powerpoint, e hanno parlato di come sarà Internet tra dieci
anni: ologrammi, oggetti controllati a distanza, auto senza conducente.
La
tesi esposta è che il web come lo conosciamo oggi, e come si è
sviluppato fino a qui, in maniera spontanea fino all' anarchia, non
basta più. Anche l' internet protocol (in sigla Ip) il linguaggio di
base che fa parlare tra loro tutte le reti di telecomunicazioni diffuse
nel mondo, consentendo il trasferimento per mille rivoli dei pacchetti
digitali, è inadeguato e va sostituito. Al suo posto, hanno detto i
cinesi, bisogna introdurre un nuovo protocollo, un «New Ip», più
razionale e ordinato, che consenta di gestire meglio il sistema, senza
le falle e le incongruenze dell' attuale.
Linguaggio
tecnico, materia per iniziati. Almeno all' apparenza. Perché è bastata
la presentazione della delegazione asiatica per fare suonare tra i
rappresentanti di alcuni Paesi occidentali un campanello d' allarme.
Olandesi, britannici, svedesi hanno sottolineato i rischi di un
approccio «cinese» al web; la prossima riunione dell' Itu dedicata a
questi temi, in programma in India nel mese di novembre, si annuncia un
po' più «calda» del solito.
LA SVOLTA
A
spiegare pubblicamente meglio di altri la ragione del contendere è
stato uno dei consulenti del governo svedese all' Itu, uno dei pionieri
di Internet nel mondo, Patrik Fälström: «Oggi l' architettura del web
rende molto difficile, quasi impossibile per chiunque fornisca l'
accesso alla Rete, controllare o regolare i contenuti o i motivi per cui
si accede». Nel progetto cinese si punta a correggere quello che è
visto come un difetto. Il documento presentato a Ginevra parla di un
sistema «disegnato dall' alto verso il basso», che consenta e promuova
«meccanismi per lo scambio di dati tra i governi».
Il
timore di molti esperti, citati sempre dal Financial Times, è che «con
il nuovo protocollo i service provider, i fornitori di accesso alla
Rete, di solito statali, vengano ad ottenere il controllo e la vigilanza
su ogni terminale collegato e che siano in grado di monitorarlo ed
eventualmente limitarlo».
In
un recente intervento Fabio Rugge, il diplomatico italiano che è anche
responsabile del Centro per la Cybersicurezza dell' Ispi di Milano, ha
spiegato natura e caratteristiche degli schieramenti in campo: «L'
Occidente vede Internet come una infrastruttura neutrale in cui i
contenuti non possono essere limitati, perché centinaia d' anni di
battaglie per i diritti umani e la libertà d' espressione oggi si
giocano online, i regimi autocratici vedono invece Internet come una
minaccia alla loro presa sul potere, e i server per i social media
situati al di fuori del loro controllo come un rischio intrinseco per la
loro sopravvivenza». Non è un caso che sulla proposta di un nuovo
protocollo Internet i cinesi abbiano dovuto fare i conti con l'
opposizione occidentale e che abbiano invece incontrato i favori di
Paesi come la Russia, l' Arabia e, pare, anche l' Iran.
Non
c' è dubbio che siano proprio i governanti di Pechino i precursori e i
più coerenti sostenitori del concetto di «sovranità digitale»,
contrapposta all' utopia originaria di un' Internet senza frontiere.
IL MURO C' È ANCORA
Sin
dagli anni Novanta i cinesi hanno creato quello che è conosciuto come
Great Firewall (il termine, ironico, è stato, coniato dalla rivista
Wired), una grande muraglia digitale che impedisce ai cittadini l'
accesso a informazioni scomode, o considerate tali, per il regime.
Vietati i siti religiosi o quelli che parlano del Dalai Lama, vietati il
New York Times o le informazioni di Bloomberg, vietati social come
Facebook o Twitter o la possibilità di accedere a Youtube.
Decine
di migliaia di tecnici statali vegliano sulla censura, altrettanti sono
impiegati per nutrire i social locali di post pro-governativi.
Partiti in ritardo rispetto ai cinesi, ma in grande recupero, sono i russi.
Esattamente
come i governanti di Pechino stanno cercando di dare vita a una propria
Internet separata (vedi anche l' altro articolo in questa pagina). Tra i
tanti pregi (ovviamente se li si guarda dal punto di vista di un regime
autoritario) un sistema di comunicazione parallelo consente tra l'
altro di potere procedere senza problemi al cosiddetto shutting-down, lo
«spegnimento» di Internet, in modo da evitare la circolazione di
notizie o l' organizzazione di eventuali proteste.
CHIUDO TUTTO
La
pratica, per quanto spesso inosservata, è tutt' altro che rara.
KeepItOn, organizzazione internazionale che si occupa di libertà
digitale, ha censito 25 Paesi in cui sono accaduti episodi di questo
tipo nel corso del 2018 e 33 l' anno scorso, segnalando tra l' altro che
i periodi di «buio informativo» tendono a farsi più lunghi.
Da
rilevare che metà delle chiusure si è verificata in India (una
democrazia), dove viene decisa di solito a livello locale, per soffocare
disordini, mentre una sola vicenda ha fatto scalpore a livello
internazionale, quella del Kashmir, dove lo shut-down è servito al
premier Modi per ridurre i problemi di ordine pubblico dopo avere
privato dell' autonomia lo Stato con la maggiore presenza musulmana. Il
Paese che ha effettuato più chiusure a livello nazionale è l' Algeria,
mentre il controllo del web con il «blocco» dei social è stato
fondamentale per consentire a Nicolàs Maduro di conservare il potere in
Venezuela.
«Ma
come è possibile per un governo chiudere Internet?», si è chiesto
Samuele Dominioni, ricercatore del già citato Ispi, in un paper apparso
pochi giorni fa. «Un bottone di spegnimento non esiste. Interrompere
ogni tipo di connessione a livello locale o nazionale, richiede qualche
livello di controllo governativo sulla struttura di Rete».
Per
fermare il traffico di dati e informazioni ci sono varie possibilità:
tra le altre chiudere i rubinetti a cui si collegano i navigatori
(internet service provider), gli snodi di scambio (internet exchange
points, Ixp) o agire sui cosiddetti nomi di dominio (il sistema, in
sigla Dns, trasforma gli indirizzi dei siti scritti secondo il
protocollo di internet in testi leggibili: per esempio con il suffisso
.it per quelli che sono in Italia). Chiudere Internet è possibile, ma
non facile, conclude Dominioni.
Lo
sanno bene i cinesi che, nonostante le migliaia di censori a libro paga
del ministero degli Interni e della cosiddetta «Amministrazione del
cyberspazio», faticano sette camicie per controbattere i «trucchi» di
chi cerca di accedere ai siti occidentali. Un nuovo protocollo Internet
può rendere più facile il loro compito.
LA SCUOLA CHE VERRÀ – RIPORTARE IN CLASSE
OTTO MILIONI DI STUDENTI A SETTEMBRE VUOL DIRE PENSARE FIN DA ADESSO
MISURE SUL DISTANZIAMENTO SOCIALE: SI IPOTIZZANO TURNI IN CLASSE MATTINA
E POMERIGGIO O, DOVE NON SI PUÒ, LEZIONI MISTE IN AULA E A CASA,
LEZIONI PIÙ BREVI, UTILIZZO DEL SABATO PER LA DIDATTICA E CANTIERI
APERTI IN ESTATE PER RECUPERARE CLASSI ED EDIFICI – UNA RIPARTENZA CHE
COSTA TRE MILIARDI E…
lezioni virtuali
didattica online
scuola superiore
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scuola
LA SCUOLA CHE VERRÀ – RIPORTARE IN CLASSE
OTTO MILIONI DI STUDENTI A SETTEMBRE VUOL DIRE PENSARE FIN DA ADESSO
MISURE SUL DISTANZIAMENTO SOCIALE: SI IPOTIZZANO TURNI IN CLASSE MATTINA
E POMERIGGIO O, DOVE NON SI PUÒ, LEZIONI MISTE IN AULA E A CASA,
LEZIONI PIÙ BREVI, UTILIZZO DEL SABATO PER LA DIDATTICA E CANTIERI
APERTI IN ESTATE PER RECUPERARE CLASSI ED EDIFICI – UNA RIPARTENZA CHE
COSTA TRE MILIARDI E…
Corrado Zunino per “la Repubblica”
Chiudere
con l' anno scolastico in corso e guardare a settembre. Il mondo della
scuola chiede alla ministra Lucia Azzolina, e ancor più al governo
guidato da Giuseppe Conte, di iniziare a dedicare - subito, che non c' è
tempo da perdere - tempo e intelligenze, progetti straordinari e
risorse all' altezza alla scuola italiana. Per provare a riportare in
classe otto milioni e mezzo di ragazzi a settembre.
Non
si è ascoltato altro, in questi primi trentatré giorni di clausura,
quaranta giorni di istituti chiusi (che diventano cinquantadue se la
prospettiva è quella di Codogno e Vo'), che un impegno ministeriale
ventre a terra sulla didattica a distanza. Settantacinque milioni di
euro per portare computer e tablet a chi non li ha, e ancora molti
studenti non sono stati raggiunti.
È
stata una politica lodevole, «senza alternativa», come ha recentemente
detto la ministra dell' Istruzione, un' azione che ha spinto in avanti
conoscenze e pratiche di docenti e studenti, ma la lezione a distanza,
«non può bastare ». Il mondo della scuola - a cui si aggiungono
psicologi, educatori, le famiglie - chiede un piano straordinario per un
anno di nuovo in classe.
E
indica le ipotesi da percorrere per garantire le distanze sociali tra
gli studenti, i 900 mila insegnanti e i 200 mila amministrativi
impegnati: turni in classe mattina e pomeriggio o, dove non si può,
lezioni miste in aula e a casa, quindi lezioni più brevi, utilizzo del
sabato per la didattica e cantieri aperti in estate per recuperare
classi ed edifici che hanno bisogno di interventi non strutturali.
lezioni virtuali3
Per fare tutto questo servono risorse nuove. Tre miliardi, almeno.
Task
force e cronoprogramma «La lezione a distanza non può bastare ». Sono
le parole del sottosegretario all' Istruzione, Giuseppe De Cristofaro,
negli ultimi tempi critico con l' agire della ministra e pronto a
ricordare come il Consiglio superiore di sanità, per voce del suo
presidente Locatelli, abbia detto esplicitamente che è il caso «di
posporre la riapertura delle scuole al prossimo anno».
Se
ne riparla a settembre, sì, partita chiusa. Come ripartire, allora? Il
sottosegretario De Cristofaro dice: «Bisogna fare tutti gli sforzi
possibili per riportare in classe docenti e discenti. La didattica a
distanza ha colmato il vuoto, ma ogni giorno amplifica le disuguaglianze
che già a scuola esistono. Il ministero deve insediare al più presto
una task force e costruire un cronoprogramma per i prossimi quattro mesi
e mezzo. È il momento di trovare tre miliardi per la scuola italiana,
che nelle ultime stagioni ha avuto scarsa attenzione. Questa pandemia ha
dimostrato che i pilastri dello Stato sono il sistema sanitario e il
sistema dell' istruzione.
Dobbiamo
mettere in discussione quello che abbiamo fatto fin qui, tagli. E
portare a casa i concorsi avviati con un percorso rapido che guardi a
chi già insegna».
Tre miliardi, ecco. Sono
quelli che ha investito nel 2015, attraverso la "Buona scuola", il
governo Renzi. Con quelle risorse sono stati assunti 86 mila docenti, si
sono dati premi agli insegnanti più impegnati e bonus cultura a tutti
quelli in ruolo. Due miliardi - 1,977 milioni, esattamente - è la cifra
che era riuscito ad ottenere il penultimo ministro, Lorenzo Fioramonti
(li ritenne insufficienti e sotto Natale si dimise). Serve quel livello
di risorse, e serve da settembre.
Rischio
caos Francesco Sinopoli è il segretario della Federazione dei
lavoratori della conoscenza della Cgil, il sindacato più grande nella
scuola. Dice: «Oggi la ministra dimentica totalmente che per recuperare
quanto perduto in tanti mesi saranno necessari forti investimentinel
tempo scuola, organici docenti e amministrativi, laboratori, edilizia
scolastica e sicurezza. Tre miliardi sono la base di partenza per
tornare in classe a settembre con il distanziamento sociale, ma si può
anche salire.
scuola superiore 1
Dovremo
investire sul rinnovo del contratto e sull' aumento in busta paga
perché già sappiamo che i carichi di questa rinascita peseranno sulle
spalle dei nostri docenti, sottopagati. Ad oggi non sappiamo nulla:
quale organizzazione didattica ci sarà, per quale ciclo scolastico,
banalmente quale investimento sulla sanificazione degli istituti e sui
dispositivi di sicurezza si farà. Di questo la ministra con noi non
parla. Ci ha convocato per domani per comunicazioni sui concorsi, ma il
sindacato non è qui per prendere comunicazioni, vogliamo discutere. Come
hanno fatto in Fca arrivando a un accordo per la ripresa della
produzione. No, all' incontro non ci presenteremo».
scuola
L'
ultima rivendicazione dei cinque sindacati - data 17 febbraio, la
vigilia dell' epidemia - chiedeva più dei 100 euro lordi indicati da
Fioramonti e un investimento pluriennale di 16 miliardi di euro: «Un
punto di Pil sull' istruzione».
Come
provare a organizzare il futuro prova a dirlo Lucio Ficara, docente di
Matematica e Fisica in un liceo di Reggio Calabria, e giornalista della
"Tecnica della scuola" a nome di diversi insegnanti: «Si può prevedere
un' organizzazione con turni mattutini e turni pomeridiani. Per esempio,
per le superiori, prime e seconde in classe dalle 8 alle 13 e il
triennio dalle 14 alle 19. Per non fare lavorare i docenti il doppio
delle 18 ore settimanali attuali, sarebbe necessario ridurre la lezione a
40 minuti, come accade in molti Paesi europei, elevando il monte ore di
ogni "prof" al massimo possibile per legge, 24 ore settimanali».
lezioni virtuali 1
Per
ricompensare questo sforzo emergenziale (durerebbe un anno, forse anche
solo sei mesi) serve un rinnovo del contratto vero, da fare subito.
Fioramonti l' anno scorso parlava di 100 euro lordi il mese: «Facciamo,
almeno, 100 euro netti in più in busta paga ». Che resteranno anche
quando l' emergenza sarà finita e le ore di insegnamento rientreranno a
18 a settimana.
Carmela
Palumbo, storica capo dipartimento del vecchio Miur, immagina
realizzabile una dinamica mista, da "scuola capovolta": spiegazioni
online e verifiche (orali e scritte) a scuola, a gruppi. «Si può
immagine l' uso del sabato mattina, questo magari da casa».
Un
grande piano dovrebbe mettere tutti i fondi di istituto, sono 800-900
milioni, su questo progetto di rifondazione: priorità alle materie di
programma. E recuperare all' insegnamento i 50 mila docenti che la
"Buona scuola" aveva messo su un potenziamento mai realizzato.
liceo classico didattica online 1 liceo lezioni virtuali 6 istituto tecnico 1 istituto tecnico istituto tecnico 2 lezioni virtuali 2
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