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ALDO
VINCENT
vincentaldo@gmail.com
https://www.facebook.com/aldo.vincent
Aldo Vincent
I miei libri li trovate su
Amazon.it
http://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_noss?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=aldo%20vincent
Ho pubblicato in
E-Book il mio lavoro sul McLuhan, la comunicazione di massa e il villaggio
globale spiegato e chiarito 50 anni dopo le teorie del grande pensatore
canadese.
Mi hanno suggerito di aprire un gruppo per far conoscere il mio libro e facilitarne la lettura gratis tra gli addetti ai lavori e tecnici ella comunicazione.
Sembra che la condivisione tra gli "amici" aiuti parecchio.
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Sembra che la condivisione tra gli "amici" aiuti parecchio.
Il Gruppo si chiama MCLUHAN
E IL VILLAGGIO GLOBALE
e si trova qui:
E' gradita una visita e
graditissimi i vostri interventi.
Grazie
IL MCLUHAN E LA
COMUNICAZIONE DI MASSA
Il villaggio celeste oltre
la tv: l' ultima ipotesi di McLuhan
di Dario Fertilio
MCLUHAN E L'ORIZZONTE
POST-UMANO
Putin immobile al concerto rap: guarda
Il leader russo ospite di una trasmissione: zero
balli e mosse
http://video.corriere.it/?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=Dal
Mondo&vxClipId=2524_93058af4-d11d-11de-a0b4-00144f02aabc&vxBitrate=300
COME IL MEDIUM MODIFICA IL
SAPERE
SPARIRANNO LE CARTE
GEOGRAFICHE?
MCLUHAN E LA MASSONERIA
I LIBRI:
Letteratura e metafore della realtà
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore
Gli strumenti del comunicare
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Il Saggiatore
La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore
La cultura come business. Il mezzo è il messaggio
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore
Le radici del cambiamento. Platone, Shakespeare e
la Tv
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore
Media e nuova educazione. Il metodo della domanda
nel villaggio globale
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore
Percezioni. Per un dizionario mediologico
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore
Dal cliché all'archetipo
Autore: McLuhan Marshall
Editore: SugarCo
Il paesaggio interiore
Autore: McLuhan Marshall
Editore: SugarCo
Il punto di fuga
Autore: McLuhan Marshall
Editore: SugarCo
La legge dei media. La nuova scienza
Autore: McLuhan Marshall - McLuhan Eric
Editore: Edizioni Lavoro
La sposa meccanica
Autore: McLuhan Marshall
Editore: SugarCo
Il villaggio globale. XXI secolo: trasformazioni
nella vita e nei media
Autore: McLuhan Marshall - Powers Bruce
Editore: SugarCo
L'uomo e il suo messaggio, le leggi dei media, la
violenza, l'ecologia, la religione
Autore: McLuhan Marshall
Editore: SugarCo
La galassia Gutenberg. Nascita dell'uomo
tipografico
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore
Dall'occhio all'orecchio
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore
La città come aula. Per capire il linguaggio e i
media
Autore: McLuhan Marshall - McLuhan Eric - Hutchon
Kathryn
Editore: Armando Editore
Il Medium è il messaggio
Autore: Mcluhan Marshall; Fiore Quentin
Editore: Feltrinelli
Un consiglio per gli
appassionati: se volete capire Marshall McLuhan come studio propedeutico
leggetevi la psicologia della Gestalt, il comportamentismo e il cognitivismo.
Metto on line alcune noterelle sul McLuhan che seguono due
pubblicazioni di Guaraldi Editore:
QUESTA NON SONO IO
NEMMENO QUESTO E' UN LIBRO
Poichè questi ultimi due lavori li ho fatti AGGRATIS (cioè
l'editore non mi ha pagato una beata fava di nulla) dubito fortemente che
pubblicherò con lui un terzo volume. Ma non vorrei che andassero perse le
annotazioni che feci a suo tempo.
Sono note sparse, ad uso e consumo di quei pochi curiosi che
si interessano ai problemi della comunicazione.
NOTA N.2
Abbiamo inserito con i media elettrici i nostri corpi fisici
in sistemi nervosi estesi. Tutte le tecnologie precedenti, che sono protesi
delle mani, dei piedi, dei denti, del controllo termico del nostro corpo – le
città sono protesi del nomadismo – con l'avvento del computer vengono tradotte
in sistemi d'informazione. Lo stesso computer è la protesi del cervello ma a
differenza delle altre estensioni dei nostri sensi, esso genera un
"campo", che con tutta la tecnologia elettromagnetica, richiede
dall'uomo una docilità profonda come quella della meditazione poichè egli si
trova ora con il cervello fuori dal cranio ed i nervi fuori dalla pelle. L'uomo
deve servire questa nuova tecnologia con la stessa dedizione da servomeccanismo
con la quale serviva tutte le altre, come la canoa, il mulino, la stampa a
caratteri mobili, e tutte le altre estensioni dei suoi organi fisici. La
differenza però è che tutte le altre tecnologie erano frammentarie e parziali,
mentre questa elettronica è totale, immediata, istantanea e compatta. L'avvento
del Web poi ha fatto sì che il nostro cervello fuori dal cranio sia diventato
un punto neuronico collegato ai miliardi di altri punti neuronici sulla
superficie della Terra costituendo la massa cerebrale più estesa oggi
conosciuta nell'Universo.
Prosegue il McLuhan:
"Queste nuove tecnologie elettriche che estendono i
nostri nervi ed i nostri sensi in un discorso globale, possono avere grande
influenza sul futuro del linguaggio perchè non hanno bisogno delle parole così
come il calcolatore non ha bisogno dei numeri. Sono nuove tecnologie che aprono
la strada a nuovi processi della consapevolezza, su scala mondiale e senza
bisogno di verbalizzare. Se il linguaggio con la mitica Torre di Babele è stato
una tecnologia che ha diviso e frammentato, oggi i computer sono in grado di
tradurre un linguaggio o un cifrario in qualunque altro. Una sorta di
condizione pentecostale di unità e comprensione totale. E' facilmente
prevedibile che la prossima fase non sarà più quella di tradurre ma di superare
i linguaggi a favore di una consapevolezza cosmica assai simile all'inconscio
collettivo, una condizione di "imponderabilità" che secondo i biologi
promette l'immortalità fisica e che potrebbe avere un parallelo in una
condizione di averbalismo capace di assicurare un periodo di pace e armonia
collettiva.
Aldo Vincent
«L’uomo elettrico è un super-angelo»
Nell’era dell’elettronica la Chiesa sarà
costretta a «disincarnarsi» e rafforzerà il senso di comunità
«Viviamo in una situazione globale in cui ogni
evento modifica e interagisce con altri eventi. Non in un tempo
"remoto", né in un tempo di là da venire, ma "al tempo
stesso". In altre parole, ciò che accade oggi interagisce con le cose che
avvengono proprio OGGI, non domani». Così il sociologo canadese Marshall
McLuhan spiegò, in una conferenza tenuta nel 1959 all'Università di Toronto, la
caratteristica fondamentale dell'«"atmosfera del villaggio globale del
Ventesimo secolo"». Nato a Toronto nel 1911 e morto nel 1980, McLuhan è
noto come uno dei più grandi studiosi dei mezzi di comunicazione di massa. Le
sue rivoluzionarie teorie, riassunte in espressioni poi entrate nel linguaggio
comune, come «villaggio globale» o «il medium è il messaggio», si fondano sulla
convinzione che i media elettronici, in particolare la televisione, abbiano
sull'individuo un impatto di portata assai maggiore rispetto a quello dei
messaggi che trasmettono. Ancor prima dell'avvento di Internet, McLuhan offrì
dunque una chiave di lettura della storia basata sull'evoluzione dei mezzi di
comunicazione, divenendo un punto di riferimento fondamentale per i teorici
della Rete.
Forse non tutti sanno che questo studioso che
seppe anticipare le inquietudini dei nostri tempi era un fervente cattolico,
che per tutta la vita non smise mai di indagare sul senso profondo della fede,
sui meccanismi che regolano il culto, sull'influenza dei mezzi di comunicazione
sulla Chiesa. A illuminare questo McLuhan privato, profondo conoscitore della
Bibbia e lettore appassionato di san Tommaso e sant'Agostino, Balzac e
Rabelais, Chesterton e Buber, ha pensato la casa editrice Armando pubblicando
il volume La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione (220 pagine, 16,00
euro). Curato dal figlio di McLuhan, Eric, e dal sacerdote polacco Jacek
Szlarek, il libro raccoglie una serie di testi - lettere, discorsi di
conferenze, interviste e articoli - che documentano l'evoluzione del pensiero
di McLuhan sulla religione. Un'evoluzione che parte dalla sua conversione dal
protestantesimo al cattolicesimo.
McLuhan aveva vent'anni quando, in una lettera,
confidò alla madre Elsie come egli fosse perennemente a «caccia di religione».
Una caccia motivata da una «propensione precipua della mente a cercare la
verità e dell'anima, che ispira la nostra stessa vita, a cercare ciò che le ha
dato tale vita». Alla fine egli scelse il cattolicesimo perché fu affascinato
da una caratteristica dell'interpretazione cattolica dell'esperienza cristiana:
la sua «carnalità». «La "mia" sete di "verità" era sensuale
in origine - scrive McLuhan. - Volevo una soddisfazione materiale per la
bellezza che la mente può percepire». Solo l'esperienza cattolica, che «non
disprezza e non mortifica ingiustamente quegli attributi e quelle facoltà che
Cristo si degnò di assumere», poteva rispondere a questo bisogno di una
religiosità concreta, fisica, che esaltasse le facoltà che permettono all'uomo
di creare il gioco e la filosofia, la poesia e la musica, l'allegria e
l'amicizia.
Nel cattolicesimo McLuhan vide l'esemplificazione
vivente della sua scoperta più celebre: «Il mezzo è il messaggio». Il messaggio
religioso non può essere capito dagli uomini se viene separato dalle sue
manifestazioni sensibili, comunicato al di fuori dei dogmi, dei riti, delle immagini
dell'arte religiosa, veicoli insostituibili del senso del sacro. «La fede è un
tipo di percezione, un senso come la vista, l'udito o il tatto, ed è tanto
reale e concreta quanto i sensi».
Lo stesso concetto di carnalità che ispirò la sua
conversione al cattolicesimo fu il filo conduttore delle sue riflessioni sui
mezzi di comunicazione di massa e sui loro rapporti con la religione. L'età
della tecnica, sostiene McLuhan, è una società della «disincarnazione»: «Chi
viaggia sul ritmo delle onde magnetiche è in qualche modo nello stesso tempo
ovunque. L'uomo elettrico è un "super-angelo". (?) L'uomo elettronico
non ha essenza carnale; è letteralmente disincarnato. Ora, un mondo
disincarnato come quello in cui ci troviamo a vivere è una minaccia formidabile
per la Chiesa incarnata e i teologi non si sono ancora nemmeno degnati di
gettare uno sguardo su un simile problema».
Quello che i teologi non hanno capito è che
l'avvento di nuovi sistemi di comunicazione non solo riguarda anche la Chiesa,
ma fa parte della sua stessa storia, dal momento che la Chiesa è fondata sulla
comunicazione di un messaggio: la Parola di Dio. Ma la Parola ha bisogno di
mezzi materiali per essere diffusa, e se un tempo questo mezzo era unicamente
la Bibbia, parola scritta che ogni fedele poteva vedere con i propri occhi,
nell'era del telefono e della radio la potenza di questo mezzo è messa in
pericolo.
Nell'era elettronica l'umanità torna a uno stadio
pre-alfabetico di vita tribale, in cui «ascoltare è credere». Quando l'alfabeto
si trasformò in immagine e l'uomo fu catapultato dall'invenzione della stampa
nella Galassia Gutenberg, «vedere era credere». Ma il primato del visivo,
sancito dall'invenzione che permise a ogni cristiano di accedere direttamente
al messaggio divino, è stato cancellato dall'introduzione del telegrafo, che ha
fatto del mondo il luogo del «tutto all'improvviso» e più ancora dalla radio e
dalla televisione, mezzi non più solo visivi, come la scrittura a stampa, ma
anche e soprattutto uditivi. La trasformazione di un globo di villaggi in un
villaggio globale culmina con l'era del satellite - e, diremmo noi, di Internet
e delle Web cam, - che ha trasformato il mondo in un teatro globale nel quale
la differenza tra spettatori e pubblico viene meno.
In simile contesto, anche la Chiesa dovrà
sottoporsi allo stesso cambiamento epocale al quale altre istituzioni si sono
già rassegnate, e avviare una «decentralizzazione amministrativa». «Per dirla
in termini di tecnologia informatica, stiamo andando verso una cottage economy,
dove le più importanti attività industriali possono essere gestite da una
piccola postazione personale, collocata ovunque nel pianeta. Vale a dire che i
progetti, le attività più importanti e tutto il resto potranno essere
programmati da individui dai posti più lontani». Tutto ciò si rifletterà anche
sulla Chiesa, la cui struttura burocratica e amministrativa perderà importanza,
ma che invece vedrà rafforzato, in un mondo sempre più interconnesso e
policentrico, quel senso della comunità che ha sempre cementato la tradizione
cristiana: la cultura elettronica è, infatti, una cultura del coinvolgimento
totale, che poco spazio lascia al concetto di identità individuale. Grazie
all'elettronica, l'umanità è veramente totalizzata e «ognuno simultaneamente nello
stesso posto è coinvolto con qualcun altro». Parole che fanno riflettere, in
tempi in cui quelle nuove tecnologie destinate a unire il mondo diventano
spesso strumenti usati per dividere i popoli.
Le tecnologie digitali non innescano rivoluzioni rispetto
alla definizione dell’essere umano. Ciò può essere meglio espresso ponendo le
seguenti due domande allo scopo di comprendere le soggettività contemporanee:
che cosa è l’essere umano? come si è concepito l’essere umano? Ora rispetto
alla prima delle due domande, lo scenario mediale attuale non offre particolari
e nuove risposte ovvero ci rende unicamente meglio consapevoli dell’assenza di
risposte. Infatti, porre la domanda nei termini su indicati significa puntare
su una definizione ipostatizzabile
(“l’essere umano è…”), una definizione accreditata in virtù di diversi motivi
sino all’emergere di una definizione alternativa che, a sua volta, scalzando la
precedente, riesce a presentarsi come la
definizione ultima. Questa è la modalità di porre le domande e dare le risposte
propria alla metafisica occidentale. Ma proprio questa volontà di ergere una
definizione valida toto caelo e lo scacco a cui sempre questa
volontà è andata incontro, dovrebbero far riflettere a sufficienza sul fatto che
la domanda è mal posta e di conseguenza ogni risposta è impossibile a darsi. I
tentativi di definizione dell’essere umano non mettono capo a nulla se non al
fatto che è impossibile qualsiasi definizione. Una impossibilità dettata non da
un deficit di capacità conoscitiva, ma dalla ricchezza della nostra conoscenza.
Più conosciamo l’essere umano, più ci accorgiamo che esso non è affatto
un’entità fissa e data una volta per tutte (per cui il problema sarebbe quello
di trovare la giusta definizione). Ciò che chiamiamo “essere umano” è segnato
da confini porosi e mobili, da relazioni costituenti con l’alterità, da
un’assenza di essenza immodificabile. In questo senso, l’essere umano ha sempre
oltrepassato sé stesso (o meglio le definizioni che hanno cercato di
de-finirlo), è sempre stato un oltre-uomo, un post-uomo. Non era affatto
necessario attendere l’epoca contemporanea e le sue tecnologie per sapere di
questo vuoto pieno che ha alimentato il nostro continuo divenire. L’essere umano
non è, diviene e perciò non è riconducibile ad un’etichetta fissa composta da
alcune caratteristiche universali.
Oggi le tecnologie ci permettono di comprendere questa
apertura costitutiva dell’umano e, dunque, la contingenza storica di tutte le
definizioni sinora fornite. Ma così perveniamo alla seconda domanda: come
abbiamo compreso e come comprendiamo oggi l’essere umano? Rispetto a questa
domanda, al contrario che nel caso della precedente, prendere in considerazione
i media è necessario e produttivo. Rispetto a questa domanda, al contrario che
nel caso della precedente, è possibile segnare delle fratture nel nostro
comprenderci. È dato osservare, infatti, una profonda differenza tra un
pensiero dell’umano, legato ai media alfabetici, e un sentire l’umano, legato
ai media elettrici.
I media e i sensi
Tale differenza può essere colta riflettendo sul rapporto
tra i media e i sensi. Possiamo affermare che storicamente il senso della vista
è stato quello maggiormente eccitato e potenziato – anche se l’espansione della
funzione di un solo senso è possibile per qualsiasi di essi (tesi, questa,
disconosciuta da McLuhan). La tecnologia dell’alfabeto e quella della stampa a
tipi hanno contribuito in modo decisivo a questa proliferazione della vista.
Eric Havelock e Marshall McLuhan hanno spiegato abbondantemente e
definitivamente questo passaggio. L’alfabeto e la stampa a tipi hanno
instaurato sistemi chiusi e, quindi, un deciso squilibrio sensoriale: ciò è
stato comunque psichicamente e socialmente sopportabile in virtù della lentezza
e della limitata dimensione caratterizzanti queste tecnologie. La loro
cosificazione del linguaggio, la loro oggettivazione della parola hanno
correlativamente fatto emergere il soggetto parlante. Il predominio della vista
ha permesso l’emergere, la costruzione dell’individuo occidentale con il suo
punto di vista, unico e fisso, sulla realtà a lui esterna. L’individuo
costruito, imperniato sul senso dominante della vista è indivisibile, è
integro. Gli occidentali hanno sempre sentito come un loro peculiare privilegio
questa integrità e, di conseguenza, hanno sempre cercato di preservarla. David
H. Lawrence ha scritto: “ci sono sempre quelli che temono per il nocciolo
integro in se stessi, per quell’integrità che può venire preservata grazie
all’ignoranza o alla religione o alla cessazione del pensiero” (citato in
McLuhan, McLuhan, 1988: 154). Il dominio della metafisica, come direbbe Martin
Heidegger, trova qui la sua ragion d’essere e l’esposizione più completa dei
suoi risultati: si genera a questo punto quella caverna dell’interiorità, quel
luogo consacrato dove custodire le essenze o le idee. Platone fu l’iniziatore
dell’individuo come soggetto. Egli, pur apparentemente avversando la nascita e
la diffusione della scrittura, fu il gran demolitore del tribalismo greco, del
teatro mentale dell’emisfero destro in cui imitazione, risonanza,
memorizzazione poetica dominavano. Per Platone gli uomini “invece di
identificarsi con ciò che dicono, debbono distaccarsene, diventare il
«soggetto» che si stacca dall’«oggetto» e lo riconsidera, lo analizza e lo
valuta, invece di limitarsi a «imitarlo»” (Havelock, 1963: 45). L’emergere di
questo soggetto, con la sua coscienza, segna una divisione interiore profonda e
lacerante tra un io attore e un io osservatore, con quest’ultimo posto in
posizione di predominio. Il tentativo di Platone era quello di fondare una polis individualizzata. In questo sforzo
fu aiutato (o meglio istigato) dall’alfabeto il quale generò un ambiente
visivo, fatto di qualunque cosa (dall’architettura alle strade alla pittura) e
capace di agevolare il predominio dell’emisfero sinistro o lineare. La
diffusione dell’alfabeto, attraverso l’istruzione, permise l’affermazione ad
Atene di un nuovo individualismo democratico e competitivo.
Questo carattere individualistico delle istituzioni
greco-romane affascinò naturalmente il mondo cristiano, poiché la rivelazione
cristiana, con la sua dottrina della resurrezione, s’incentra sulla
responsabilità personale di ciascun individuo. Il cristianesimo si lega all’idea
di una sostanza del sé metafisica, individuale e indipendente, e la sancisce
definitivamente. Addirittura McLuhan arriva a chiedersi se “il Dio che quella
cultura [che aveva trovato un senso nelle categorie di Newton, ndr] aveva
adorato non era esageratamente a immagine di un certo tipo d’uomo? Non era
troppo razionalizzato, una specie di divinità ad uso dei deisti?” (McLuhan,
1999: 73). Il periodo umanistico-rinascimentale segnò l’apogeo dell’individuo,
che “sta facendo” (Leon Battista Alberti) e che si pone come “modello de lo
mondo” (Leonardo da Vinci). Giovanni Pico della Mirandola, esaltandone la
dignità, ne mostra la volontà onnipotente capace di ricondurre a sé e di
plasmare il mondo intero.
Nonostante Havelock e McLuhan abbiano individuato e segnalato
il momento di emergenza (la Grecia alfabetizzata) e di consolidamento (l’Europa
tipografica) di questo soggetto-individuo, in una perlustrazione della cultura
postalfabetica, elettrica, digitale non mancano le circostanze in cui si
rinviene la persistenza di una simile concezione del soggetto. Già in un
apripista dell’era dei computer, dell’era cibernetica, quale è stato Norbert
Wiener, è dato ritrovare quella che può essere descritta come una costante
della modernità, proprio di quella modernità che ha creduto nella scienza e che
si è ritrovata, anche in virtù dell’impresa scientifica, a credere
nell’individuo. In altri termini, la scienza mentre ha compreso sempre più a
fondo il mondo fisico, è stata incapace di affrontare e interpretare il mondo
sociale. Se la presenza di questa contraddizione è comprensibile agli albori
dell’impresa scientifica moderna, la quale nasce proprio in concomitanza e
forse in conseguenza dello sviluppo del soggetto moderno, del cogito cartesiano, questa stessa
presenza è difficile da accettare nell’ambito della scienza del Ventesimo
secolo, di un secolo che in varie forme ha rigettato quel soggetto. In
definitiva è sconsolante l’osservazione, giustamente compiuta da Katherine
Hayles, che per Wiener il pensiero della cibernetica era un mezzo per
rilanciare l’umanesimo liberale e non per superarlo (Hayles, 1999: 7).
Antonio Caronia (Caronia, 1996: 167-168) mostra, invece,
come i due pilastri della concezione identitaria (identità come zoccolo duro)
vengano denunciati dalla nuova dimensione tecnologica delle reti. Infatti, sia
la stabilità della forma corporea sia l’isolabilità del flusso mentale
individuale mostrano il loro limite come pilastri dell’identità “in quanto
percezione di se stessi come processo continuo e, appunto, individuabile”. La
fluttuazione del corpo e la connessione delle menti, oltre che il superamento
della dicotomia corpo/mente, mostrano l’impossibilità di applicare oggi i
meccanismi di identificazione vigenti nel neolitico (che arriva a comprendere
la modernità industriale). Purtroppo, la cultura digitale non sempre ha colto
questa denuncia, anzi alcuni tra i suoi principali propugnatori hanno finito
semplicemente con il reimpostare, su basi neotecnologiche, la questione del
soggetto così come lasciata in eredità dalla modernità, basti pensare a un
teorico della prima ora quale George Gilder (Gilder, 1990-1994).
Immaginatevi un
anfibio
Ben diversa è invece la visione mcluhaniana. L’estensione
dei sensi, la loro esteriorizzazione, la conquista del senso del collettivo,
del buon senso, la perdita dei confini rigidi dell’individualità sono tutti
aspetti legati al ruolo forte giocato dalla corporeità. È possibile rinvenire
nell’interpretazione mcluhaniana della fruizione televisiva un elemento
decisivo per delineare la figura del post-uomo: la spersonalizzazione del sentire. La tesi che la fruizione
televisiva sia tattile e immersiva e non visiva e frontale è una delle
intuizioni più produttive e note del nostro autore. La distinzione tra media
caldi e media freddi ha segnato, nella sua accettazione o nel suo rifiuto,
molti discorsi mediologici. Oltre allo spostamento dalla lettura (elaborazione
di concetti) al sentire (emergenza di percetti), possiamo cogliere anche
un’ulteriore slittamento: dal sentire autoriferito del soggetto al sentire
spersonalizzato. Di questo sentire non si può cioè predicare l’appartenenza
piena al dominio del soggetto: il telespettatore non riesce a controllare le
risposte tattile, submuscolari del suo corpo alle sollecitazioni del tubo catodico.
Si instaura un rapporto eteroriferito tra un corpo non più controllabile e
racchiuso all’interno di schemi mentali e un apparecchio, una macchina. Interno
e esterno collidono e si confondono: lo spettatore televisivo “è bombardato da
atomi che rivelano l’esterno come interno in un’avventura incessante tra
immagini annebbiate e contorni misteriosi” (McLuhan, 1964: 349). Il fatto che
McLuhan leghi questa riflessione sulla fruizione televisiva alla descrizione
del rapporto tra guidatore e automobile, permette di richiamare anche i
rapporti perversi ma intimi tra corpi e veicoli descritti da James Ballard in Crash (Ballard, 1973). Ma la strada ad
una visione del post-uomo è aperta dallo stesso McLuhan allorché, osservando il
corpo elettrizzato, immaginificamente scrive: “cercate di immaginarvi un
anfibio con la sua corazza posta all’interno e gli organi posti esteriormente.
Così è l’uomo elettronico con il suo cervello all’esterno della scatola cranica
e il suo sistema nervoso a fior di pelle; una creatura simile può essere
soltanto di cattivo umore e rifuggire dalla violenza diretta. Può essere
paragonata a un ragno abbandonato e rannicchiato nella sua ragnatela sonante
che risuona assieme a tutte le altre ragnatele. Non è fatto di carne e sangue,
ma è solo un elemento, effimero, di una banca di dati, facilmente dimenticato e
perciò frustrato” (McLuhan, Powers, 1986: 126).
Questa visione del post-uomo, al di là di alcune
connotazioni negative che andrebbero sviscerate, è da McLuhan inserita nel
solco che si scava tra due diverse e contrapposte opzioni evolutive che segnano
l’adattamento della nostra vita psichica e biologica alla velocità del
cambiamento tecnologico: l’inumano e l’uomo nuovo. La prima opzione è
individuata nell’esito estremo dell’industrializzazione, nel momento in cui la
“macchina invisibile”, il sistema di cui l’uomo non è più padrone, sovverte la
sua stessa umanità. Guardati in quest’ottica, i media si configurano come un
“poderoso impianto di distacco” (McLuhan, 1999: 194), come il “grande sistema
del Ciò che vuole il pubblico”
(Wyndham Lewis citato in McLuhan, 1999: 195). In questa condanna nei confronti
del “secolo del materialismo” è evidente l’influenza del cattolicesimo. Ma è
anche evidente il rifiuto degli esiti nefasti della dottrina dell’azione,
dell’“uomo dell’azione (fronte bassa, mascella d’acciaio, sguardo di pietra,
cuore di marmo)”, dell’super-ismo a cui ha messo capo il mondo moderno che
“procede attraverso la dialettica della violenza per privazione della materia
stessa” (McLuhan, 1999: 2003). McLuhan avverte che ogni attesa rigenerativa nei
confronti del superuomo è destinata allo scacco, poiché “oltre il secolo
dell’uomo comune ci sono secoli di uomini sempre più comuni” (McLuhan, 1999:
203). Rispetto a questa possibile deriva, la risposta mcluhaniana (sempre
inseparabile dalla sua fede cattolica) sembra a prima vista molto
conservatrice: egli propone un nuovo umanesimo capace di riconoscere
l’eccellenza umana e la necessità del “ritorno degli uomini all’attività
razionale”. “La cosa più poetica del mondo è la coscienza umana ordinaria. Mi
sembra da subito che questo sia un fondamento molto democratico e profondamente
cattolico per qualunque Umanesimo. È cruciale per noi comprendere questa
questione nell’era dei cosiddetti mass
media” (McLuhan, 1999: 170). Dichiarazioni di questo tipo hanno
giustificato letture del pensiero del mediologo canadese in chiave di umanesimo
antropocentrico: è il caso nostrano di Gianpiero Gamaleri. Il quale però, pur
evidenziando l’attenzione centrata sul “fattore uomo” (Gamaleri, 1976: 36, 79),
sul primato dell’uomo, non può non riconoscere che si tratta di “un uomo capace
sempre più di modificare la propria conoscenza e la propria azione in
conseguenza dei nuovi equilibri sensoriali stabiliti dai media” (Gamaleri,
1976: 79). Ma questa metamorfosi continua provocata dai media dichiara la fine
della comprensione dell’uomo definito “da un nucleo solido, una base permanente
e stabile del suo essere” (Abbagnano, 1967) e padrone del proprio destino. Dichiara
l’impossibilità di stabilire un modello “normale” di uomo in base al quale
escludere quelle che sono state dette a lungo “anormalità” (cfr. McLuhan, 1964:
25-26).
A questo punto, però, qualcosa non quadra: da un lato, si
è detto che McLuhan apre la strada ad una visione del post-uomo, paragonandolo
ad un anfibio o ad un ragno; dall’altro, si leggono richiami a un nuovo
Umanesimo. Ci si potrebbe fermare qui, segnalando la compresenza di spinte
eterogenee, finanche opposte nel nostro autore. Ma la questione è ben più
complessa e riguarda il modo in cui McLuhan pensa la religione: il
cristianesimo per lui è essenzialmente religione della carne. Su questa base,
che in altra sede andrà sviluppata, si deve comprendere come l’eccellenza umana
sia fondata essenzialmente su un elemento di coniugazione e vicinanza con
l’alterità, sia essa la carne degli animali o quella del mondo. L’uomo per
McLuhan è eccellente in quanto si apre all’ibridazione, si coniuga e si estende
(anche nei media, anche grazie ai media). La razionalità o coscienza non è
definita, inoltre, con le categorie astratte della metafisica, ma è
concretissima (del corpo, dei sensi) capacità di mettere in relazione e non di
dividere e astrarre: “la razionalità o la consapevolezza è in se stessa una ratio o un rapporto tra le componenti
sensorie dell’esperienza, e non qualcosa di ‘aggiunto’ a quest’esperienza”
(McLuhan, 1964: 122).
Una mediologia matura e normale non può dunque che
assegnare questo ruolo decisivo alla funzione mediatrice del corpo. Non si può
che constatare come in McLuhan una tale esplicita assegnazione sia una
conseguenza affatto necessaria del suo tentativo di denunciare la scissione tra
medium e messaggio, proposta e imposta per oltre due millenni sulle nostre
squadrate lande. Una tale assegnazione ribadisce ancora come l’orizzonte di
comprensione della natura umana che ci è aperto dai media non-alfabetici, sia
essenzialmente legato ad un luogo -- il nostro corpo. È questo luogo che noi
siamo, e non invece un punto (di vista) esterno che dall’alto lo governa o lo
percorre. E, nello specifico, un luogo non dato una volta per tutte, ma sempre
in continua e radicale mutazione. Un luogo che però si nega alla vista (al
dominio della vista) più noi ci approssimiamo ad esso. ( antonio.tursi@unimc.it )
PERSONAGGI Il celebre studioso dei mass media si
convertì al cattolicesimo. Un saggio svela il rapporto tra la fede e le sue
teorie
Il villaggio celeste oltre la tv: l' ultima
ipotesi di McLuhan
CREDO E SCIENZA La Chiesa gli sembrava vicina
alla percezione immediata dei sensi
Un uomo si alza prima dell' alba e scende le
scale senza rumore. Sfila un volume rilegato in oro dallo scaffale della
biblioteca, lo sfoglia, prende note alla luce della lampada. Il libro è la
Bibbia; e lo studioso notturno è Marshall McLuhan, celebre in tutto il mondo
come esperto dei mass-media, profeta della società elettronica all' insegna
dello slogan «il mezzo è il messaggio». Sì, proprio il teorico della necessità
di «staccare la spina» per non ingigantire la portata delle sfide
terroristiche, l' uomo cui tutti ricorrevano negli anni settanta e novanta come
a una specie di oracolo laico del nuovo credo elettronico, in realtà era un
mistico, un lettore notturno di libri sacri, a suo agio soprattutto in
meditazione e preghiera. Il ragazzo precoce e tormentato si era trasformato
rapidamente in un giovanotto pronto a mettersi «in caccia di Dio» (scriveva
così alla madre in lunghe lettere toccanti e appassionate) e infine in uomo
maturo profondamente convertito al cattolicesimo: un salto vertiginoso per lui,
educato in famiglia secondo i principi di un protestantesimo severo. La
dottrina della chiesa di Roma gli si era presentata come una rivelazione
luminosa, capace di dare significato a tutta la vita. Questa dimensione
nascosta di Marshall McLuhan, in realtà la sola intimamente vissuta, ci viene
rivelata in un libro che raccoglie saggi e interviste da lui rilasciate, in
epoche diverse, sul tema della religione e dei mass-media. Introdotti da una
memoria del figlio Eric, gli scritti di La luce e il mezzo possiedono un
fascino rivelatore, perché ci consentono di mettere improvvisamente a fuoco un
ritratto che credevamo noto e acquisito. Non può che sorprendere il profilo di
questo McLuhan privato, dedito alle letture comparate della Bibbia in molte
lingue (latino, francese, tedesco, italiano, spagnolo oltre all' inglese),
profondo conoscitore degli amatissimi Chesterton e Cervantes, ma anche di san
Tommaso e san Francesco, non meno che di Rabelais e Balzac. Un McLuhan attento
nel mettere a raffronto le moderne tecniche di riproduzione e amplificazione
dei messaggi (come ad esempio i microfoni nelle chiese) con i classici sentiti
come autentica vocazione: la Summa Teologica di san Tommaso e la Summa Contra
Gentiles, entrambe naturalmente in latino. Questa era dunque, come ci
suggerisce già il titolo del libro, la "luce" capace di illuminare il
"mezzo" elettronico secondo McLuhan: la fede religiosa. Ma non
bisogna figurarsi una specie di eremita laico, giacché il pensiero di McLuhan
possedeva un' altra caratteristica insolita e controcorrente: il cattolicesimo
gli pareva preparare l' incontro con la tecnologia. Nel senso che, a suo
parere, la fede nella chiesa romana mostrava di possedere quelle
caratteristiche di "carnalità", intesa come amore per la vita e il
piacere sensuale, che giudicava una premessa indispensabile alla comprensione
dei nuovi mezzi elettronici. E dunque il gioco e la filosofia, la poesia e la
musica, l' allegria e l' amicizia, l' arte sacra e lo stesso rito eucaristico
della messa gli apparivano affini alla radio e alla televisione (chissà, oggi,
quali legami avrebbe trovato con internet e i cd-rom). Ed ecco la stranezza: in
una specie di rovesciamento della prospettiva sociologica tradizionale (quella
sostenuta da Max Weber), il profeta della modernità tecnologica ripudiava l'
etica capitalista protestante, astratta, basata sulle idee e sui concetti più
che sulle emozioni sensuali, condizionata dalle proibizioni e dai divieti. E
invece esaltava la modernità del cattolicesimo, in cui gli sembrava di
ritrovare il paradigma perfetto della sua scoperta più importante: «il mezzo è
il messaggio». E la spiegava così: gli uomini non possono cogliere il
"messaggio" se lo separano dalle sue manifestazioni concrete, a
cominciare dai dogmi, dai riti, dalla capacità tutta cattolica di amare le cose
concrete e le immagini. «La fede è un tipo di percezione, un senso come la
vista, l' udito o il tatto ed è tanto reale e concreta quanto i sensi»: ecco il
lascito di Marshall McLuhan. Più di vent' anni dopo la sua scomparsa, il senso
vero di quel "messaggio" può finalmente essere compreso sino in
fondo.
Dario Fertilio
Il libro: Marshall McLuhan, «La luce e il mezzo»,
editore Armando, pagine 220, euro 16
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