venerdì 8 dicembre 2017
D'AGOSTINO ALLA SAPIENZA
ODIO CITARMI
MA IO LO SCRISSI AI TEMPI DELL'USCITA DEL MIO PRIMO VOLUME SU MARSHALL MCLUHAN, CHE UN GIORNO IL SITO DAGOSPIA E IL SUO AUTORE ROBERTO D'AGOSTINO SAREBBE STATO CITATO NELLE AULE UNIVERSITARIE....
DAGO IN CATTEDRA: LA LEZIONE ALLA SAPIENZA SU ‘RIVOLUZIONE DIGITALE: PARADISO O INFERNET?’ - ‘SIAMO DAVANTI ALLA PRIMA RIVOLUZIONE GLOBALE SENZA DISSENSO. MA PER GRAN PARTE DEGLI INTELLETTUALI DEL ‘900, ORFANI DEL LORO RUOLO DI LEADER, SIAMO DI FRONTE A UN “INFERNET”, COME TUONÒ UMBERTO ECO, CHE DÀ “DIRITTO DI PAROLA A LEGIONI DI IMBECILLI” - FAKE NEWS, WEINSTEIN, ZIZEK, VATTIMO - VIDEO
VIDEO - LA PRIMA PARTE DELLA LEZIONE DI DAGO AGLI STUDENTI DI LETTERE DELL'UNIVERSITA' LA SAPIENZA
La lectio di Dago alla Sapienza - Rivoluzione tecnologica: infernet o paradiso?
1. DAGO PROF DI DIGITALE ALLA SAPIENZA
R.S. per il ‘Corriere della Sera - Roma’
Il
viaggio tra la fine del Medioevo analogico e il nuovo Rinascimento
digitale, senza paletti e recinti, tra informazione, tecnologia e belle
arti, ha una sua guida vulcanica e da sempre ossessivamente curiosa. Una
e trina: il Roberto D' Agostino del sito Dagospia, quello del programma
Dago in the Sky (in onda ogni martedì, alle 21.15, su Sky Arte HD), si è
presentato in versione accademica alla facoltà di Lettere dell'
Università La Sapienza di Roma, dove terrà una lezione dal titolo
Rivoluzione digitale: Paradiso o Infernet?.
La
sua domanda è: «Se deleghiamo i pensieri alle app o a un software
diventiamo stupidi come criceti sulla ruota? Ci aspetta un nuovo mondo,
una terra promessa di pace e speranza, o siamo destinati a essere
travolti da un gigantesco esaurimento nervoso? Quel che è certo è che l'
uomo, così come lo conosciamo, prossimamente non esisterà più. Nel bene
e nel male, il ventunesimo secolo ha per protagonista la tecnologia,
una nuova ideologia che niente ha da spartire con gli ideali».
2. RIVOLUZIONE DIGITALE - PARADISO O INFERNET?
Appunti per la lezione agli studenti della facoltà di Lettere della Sapienza, di Roberto D’Agostino
In
un mondo di 7 virgola 7 miliardi di esseri umani, per almeno tre
Internet è il miglior strumento per cambiare il mondo che sia mai stato
inventato. E il segreto del web è semplice. Mentre la letteratura isola,
la televisione esclude, il cinema rende passivo lo spettatore, il mondo
digitale include. Mi attiva perché è condivisibile in tempo reale con
il mondo intero.
E
malgrado i rischi e i pericoli, quella di internet è la prima
rivoluzione globale senza dissenso. Piace a tutti: poveri, ricchi,
bianchi e neri, uomini, donne e tipi intermedi. È una rivoluzione
facilmente comprensibile: tutti hanno capito che Internet, attraverso
computer e smartphone, è una protesi che ci regala dei superpoteri, che
ci permettono non di essere se stessi bensì di creare se stessi.
Nella
stagione del trasferimento della vita reale nel mondo digitale, i
social network sono la più importante e vitale forma di aggregazione. I
social ti fanno sentire parte di qualcosa – un evento, una situazione,
una storia. E ci forniscono una filosofia di salvezza alla paura di
correre verso il nulla: una identità digitale.
Grazie
al Web, attraverso i social (Facebook, Youtube, Instagram, Twitter,
etc) ci possiamo creare un'altra identità, un avatar, magari
photoshoppato, quindi falso, ma appagante, da postare al resto del mondo
che risponde con i like, gli emoji e i follower.
A causa di aspettative svalvolate, la vita è sempre stata una battaglia tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.
L’enorme
successo di Internet che ritroviamo in qualsiasi classe sociale, ha
origine dalla sua capacità, attraverso i social network, di creare un
mondo parallelo a quello reale. Tutti amano la Rete perché è diventata
un sollievo, anche un placebo, a tale insoddisfazione che nessuna
ideologia/religione, nel corso della storia, è riuscita a cancellare.
(Del
resto, perfino i nostri antenati greci, che hanno inventato
praticamente tutto, dalla politica alla letteratura, dall’arte allo
sport, hanno sentito la necessità di inventarsi e nutrirsi di un
mitologico mondo parallelo affollato di avatar che portano il nome di
Marte e Giove, Venere e Mercurio, al fine di quietare la propria
insoddisfazione)
la lezione di dago alla sapienza 4
I
social fanno uscire la tua faccia dall’anonimato (Facebook), ti mettono
in pista e ti fanno sentire unico e nello stesso tempo parte di una
comunità, protagonista di un evento, di una situazione, di una storia.
Il diario della vita in pubblico. Un modo di annotare il passaggio di
cose e di emozioni. Mi serve una memoria istantanea, una specie di
"pensiero visivo”, una pubblicità immediata di me stesso che spieghi
agli altri non ciò che sono ma ciò che vorrei essere. Questo è il titolo
perfetto del millennio digitale: Io sono la mia fiction. E Instagram,
attraverso il selfie, è oggi la via più semplice per consegnare agli
altri una immagine diversa di se stessi.
In
un mondo globalizzato che non dà lavoro né assicura benessere, gli
internauti devono fare affidamento sul proprio “marchio”. La
smaterializzazione dell'immagine – la sua trasmigrazione dal reale al
digitale, dalla carta al display - diventa l’arte di costruire il
proprio Brand, il proprio marchio personale. Io sono di fatto il
presidente, amministratore delegato e responsabile marketing
dell’azienda chiamata “Io Spa”. Un processo che richiama alla memoria
gli anni Ottanta della “Me Generation”, descritta da Tom Wolfe, e “La
cultura del narcisismo” di Chris Lash.
La
creazione del proprio “brand” ha a che vedere con un'esperienza
interiore di sé, piuttosto che uno stato oggettivo di essere famoso. Da
Andy Warhol che nel marzo 1968 dettò la celebre frase “Saremo in futuro
tutto famosi per 15 minuti”, siamo passati al ragazzino che vuole essere
famoso per 15 amici.
Imploderà
l’impero delle app? No, perché la tendenza generale, alla faccia di
haters e di trolls, è una spinta piuttosto forte al “pensiero positivo”.
C’è una frase di uno youtuber americano con un bottino di 50 milioni di
follower che sintetizza questa modalità. Intervistato fa una
dichiarazione che sorprende il giornalista: “Io non voglio essere me
stesso. Io voglio essere la pizza”. Prego? La pizza? “Sì, perché tutti
amano la pizza. Ed io voglio essere amato da tutti’’.
la lezione di dago alla sapienza 1
Ecco.
Noi vogliamo solo essere amati, pensiamo che ce lo meritiamo perché ci
consideriamo unici. In questa frase, allo stesso tempo geniale e cinica,
c’è l’essenza della ‘’filosofia’’, se così possiamo dire, digitale. Far
parte di comunità in cui gli sms hanno preso il posto delle molotov e
twitter al posto delle pietre. Non è un caso che Facebook ha sempre
rifiutato di introdurre accanto a “like” il segno del “non mi piace”.
Ed
è anche per questo che i giornali non vendono più. I quotidiani
appartengono filosoficamente al secolo ideologico, quindi devono imporre
una linea al lettore, hanno la “verità” in tasca, salgono in cattedra e
sparano opinioni che mi dicono che sono un incivile perché seguo il
Grande Fratello Vip, un ignorante perché non mi sintonizzo sui talk
politici, che sto sbagliando tutto della mia vita perché mi diverto con
Malgioglio... Bene: ho speso un euro e mezzo, perché mi devi trattare a
pesci in faccia?
Nella
stagione del trasferimento della vita reale nel mondo digitale, i
social network sono la più importante e vitale forma di aggregazione,
anche in politica. Barack Obama nel 2008 per sua stessa ammissione non
avrebbe vinto la sfida elettorale se non avesse avuto un formidabile
team di gestione dei social network, lui riuscì a mobilitare 18 milioni
di giovani per fare la differenza contro lo sfidante McCain, grazie
all’uso di Facebook, aggregando le persone su Facebook.
giulio perrone roberto d agostino mirella serri
Il
social inventato da Zuckeberg sta per toccare i due miliardi di
adesioni sull’intero pianeta e dunque abbiamo una collettività
transnazionale che risponde ad un proprio linguaggio. La prima cosa che
si fa appena si entra in un social è quella di rovesciare in pubblico la
nostra vita privata. E lo si fa con piacere. Perché noi siamo ciò che
raccontiamo agli altri, dall’’’Odissea’’ di Omero a “Mille e una notte”
passando per il “Decamerone” di Boccaccio, ognuno di noi è una
costruzione letteraria. Io sono la mia fiction. Per questo diffondiamo
sui social la nostra autobiografia, testo e foto e video, edulcorata e
corretta, ovviamente. Vogliamo i like, vogliamo i followers, i
cuoricini: sono loro che ci danno un’identità sociale.
giulio perrone roberto d agostino mirella serri (2)
Per
gran parte degli intellettuali del ‘900, invece, orfani del loro ruolo
di leader, Internet è piuttosto un “infernet”, un inferno, come tuonò
Umberto Eco, che dà “diritto di parola a legioni di imbecilli che prima
parlavano al bar dopo un bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto
di parola dei Premi Nobel”.
E
scatta l’allarme rosso: Internet è un paradiso o un inferno? Se
deleghiamo i pensieri alle app o a un software diventiamo stupidi come
criceti sulla ruota? Ci aspetta un "nuovo mondo", terra promessa di pace
e speranza, oppure siamo destinati ad essere travolti da un gigantesco
esaurimento nervoso? Ciò che la Silicon Valley vuole costruire è un
paradiso per i robot?
Davvero con Internet, la Storia, con la esse maiuscola, è finita tra le fiamme dell’inferno?
L’anno
che cambiò la faccia del mondo e il percorso della storia fu il 1989.
Viene giù il Muro di Berlino, da una parte. Dall’altra, Tim Berners-Lee
inventa la Rete, il Web, Internet. Nel 1989, finisce un’epoca, ne inizia
un’altra. Fantastica e sconcertante, tempestata di clic, di siti, di
immagini. E nulla fu come prima. In tutti i campi, dal lavoro all’amore,
dalla cultura alla politica.
mirella serri
Siamo
entrati in un nuovo rinascimento che sta cambiando tutto, a partire dal
nostro modo di essere. Come fu l’arrivo dei caratteri stampa mobile di
Gutenberg che mise fine al Medioevo e apri’ le porte a Leonardo e
Michelangelo. In questo passaggio tra due epoche, dall’analogico al
digitale, viviamo un senso di caos per la decadenza del nostro vecchio
sistema.
E se
proviamo a puntare il nostro sguardo verso il futuro, vediamo questo
orizzonte di polvere, è la polvere che si alza quando crolla tutto e
finisce un’epoca. Questa polvere poi lentamente si deporrà e si vedrà
qualche cosa di nuovo. Il passaggio dal Medioevo al Rinascimento, del
resto, durò un secolo.
La
tecnologia ha cambiato la nostra vita esattamente come è avvenuto
nell’800 e nel 900. L’arrivo del treno fu una grande rivoluzione,
l’arrivo della macchina fu una grande rivoluzione e adesso siamo alla
vigilia di innovazioni superiori a quella che la nostra immaginazione
può tentare di descrivere.
la lezione di dago alla sapienza 7
Stiamo
andando verso un mondo completamente nuovo dove i protagonisti saranno i
robot. Grazie all’intelligenza artificiale, i computer ci battono a
scacchi, guidano le macchine, fanno la pizza e nella prossima società
cibernetica, preparatevi: avremo computer nel cervello e le macchine
saranno più intelligenti degli esseri umani.
Un
chip, impiantato sotto la pelle, funzionerà per timbrare il cartellino,
aprire porte, azionare il pc, fare la spesa. Entro il 2029 sarà realtà,
la cosiddetta ‘singolarità tecnologica’, cioè quando i computer,
tramite software e robot, avranno un livello umano di intelligenza,
potranno evolversi e migliorarsi da soli.
Siamo
prigionieri di un algoritmo, ostaggi di un software, sempre a caccia di
una connessione wi-fi. Una sfida che molti considerano un incubo.
Non c’è dubbio che ogni svolta tecnologica comporta dei grandi pericoli, dei grandi rischi.
giulio perrone roberto d agostino mirella serri (1)
La
tecnologia può falcidiare e distruggere il mercato del lavoro, produrre
milioni di disoccupati e quindi fomentare scontento malumori,
rivoluzioni proteste, violenze, un vero e proprio terremoto sociale.
Non
c’è nessun dubbio che questo è il rischio che noi abbiamo davanti, la
società dei robot che è alle nostre porte e che sta già arrivando
annienta e distrugge progressivamente il ruolo degli esseri umani nel
mondo del lavoro, quindi la sfida è rispondere a questo rischio,
tentando di ripensare il lavoro, il tempo libero, l’equilibrio fra
macchine ed esseri umani. È uno dei passaggi più difficili, ma non
abbiamo alternativa, che passarci attraverso e inventare una nuova forma
di convivenza.
Il
vero punto debole è che le tecnologie creano una fascia di esseri umani
che non è in grado di adoperarle, e che viene quindi emarginata,
spazzata via, distrutta, lacerata, trasformata in prodotto di scarto.
Sul
piano dei rischi c’è il trasferimento della socializzazione dalla
realtà reale a quella virtuale. Noi lo vediamo tutti i giorni, noi
viviamo in una grande stagione di proteste e appena può la gente va a
votare e vota contro, chiunque sia e chiunque rappresenti
l’establishment, ma nelle università non ci sono più movimenti di
protesta, i sindacati si sono indeboliti, ogni tipo di associazionismo è
in calo.
studenti (3)
Come
è possibile che non ci siano cortei di protesta nelle grandi città
dell’occidente se viviamo la stagione della protesta? Perché la protesta
si è trasferita da forma aggregata associata nella realtà reale, in
forme di amici o gruppi sui social network. Questo porta ad una
desocializzazione degli individui che secondo alcuni studiosi del
comportamento comporta molti rischi.
Soprattutto
sul piano dello sviluppo delle identità. Completamente scollegate dalla
realtà. Ovvero uno pensa di essere qualcosa solo e solamente perché il
social network ci rappresenta in quella maniera. Questo è il rischio.
Qual è invece l’opportunità? L’opportunità è che grazie al social
network uno riesce ad entrare in contatto con persone che possono avere
simpatie ed interessi comuni anche se vive in un’altra latitudine.
studenti (4)
In
tutto il mondo, dal deserto del Sahara sotto le tende dei beduini, nei
villaggi africani, nei villaggi del Bangladesh, in un’isola sperduta,
chiunque può accedere alla biblioteca di Babele, alla biblioteca totale.
Basta connettersi con la rete e c’è la totale disponibilità della
cultura, dei libri, della lettura a tutti. Questo non può non produrre
qualcosa che noi adesso non possiamo neanche immaginare.
L'uomo
è la misura di tutte le cose, queste erano le parole d'ordine, le
leggiamo nei libri di testo, nei libri di lettura. E che cos'altro è
internet, la rete, se non questo? L'affrancamento del singolo dalla
dittatura o comunque dai condizionamenti di una lettura imposta, di una
lettura a priori, di una lettura che viene fornita da altri anche
semplicemente dal punto di vista delle notizie.
La
tecnologia è una nuova ideologia che, a differenza del capitalismo o
del socialismo, non ha niente a che vedere con un ideale o con un
programma di governo. Ecco uno strumento, un software, un algoritmo
velocissimo che deride la lentezza dei nostri pensieri. Nell’Impero
Digitale, la storia non è più "orientata" verso un “pensiero unico” ma è
multimediale, ipermediale, transmediale.
Il
nostro è un mondo di modernità ad alta velocità, nel quale il fatto che
le cose cambino non ha più bisogno di essere spiegato dal Censis o
dall’Istat. Piuttosto sarebbe meglio riprendere in mano il “Pensiero
debole” del filosofo Gianni Vattimo, saggio fondamentale del
postmoderno, pubblicato da Feltrinelli nel 1983, un saggio che si
inalbera sulle macerie ideologiche degli anni ’70, in contrapposizione
alle varie forme di pensiero forte dell’Otto-Novecento - in primis il
marxismo,.
Con
Internet il pensiero debole diventa fortissimo. Il Web, come il Pensiero
Debole, si presenta in maniera esplicita come una forma di nichilismo,
vocabolo che Vattimo considera "una parola chiave della nostra cultura".
Con questo termine, che Vattimo usa in maniera positiva e propositiva,
egli intende la circostanza in cui, come aveva profetizzato Nietzsche
per indicare l'inevitabile decadenza della cultura occidentale e dei
suoi valori, "l'uomo rotola via dal centro verso la X", ossia quella
specifica condizione di assenza di fondamenti in cui viene a trovarsi
l'uomo postmoderno in seguito alla caduta delle ideologie e delle verità
stabili.
E
il tempo impiegato a scavare per trovare la “verità” è tempo perso
perchè il mattino dopo un nuovo futuro è già qui, e quella “verità” non
serve a nulla. E’ la tecnologia stessa a includere il cambiamento che
per decenni è stato sinonimo di progresso. Le cose via via miglioravano.
La storia aveva una direzione. Oggi il discorso è più complesso. La
linearità delle cose - l'esistenza cioè di un inizio e di una fine - è
un'invenzione occidentale.
La
Rete permette a tutti noi di navigare come su una tavola da surf,
cavalcando le onde ed evitando i venti contrari, e permettendo di
restare attaccati alle correnti dell’attualità. Con un colpo di mouse,
abbiamo a disposizione un'enorme fonte di informazione, un'infinita
memoria generale. Nell'era dei big data, le risposte dipendono
unicamente dalle domande.
E
le famigerate fake news dove le mettiamo? Le mettiamo in quel posto
perchè i grandi mezzi di comunicazione sono le vere, grandi fucine di
balle spaziali. Da sempre. È li che vendono preparate, cucinate, diffuse
o nascoste, a seconda degli interessi dei proprietari dei giornali.
L’informazione in Rete può essere vera o falsa, o entrambe le cose, ma
in Rete è impossibile sostenere una menzogna per lungo tempo.
Osserviamo
il caso Weinstein: Il New York Times aveva tutti i documenti necessari a
pubblicare l’inchiesta dieci anni fa. Non è finita in pagina a suo
tempo perché Weinstein investiva in pubblicità e finanziava la politica.
Convenienza e pressioni hanno nascosto il segreto di pulcinella.
roberto d agostino (1)
In
un saggio del filosofo Zizek si racconta di una maledizione cinese. Se
si odia veramente qualcuno, lo si maledice così: "Che tu possa vivere in
tempi interessanti!". Storicamente i “tempi interessanti” sono stati
periodi di mutamenti, di guerre e lotte per il potere. Oggi, con la
rivoluzione innescata dalla tecnologia e da internet stiamo chiaramente
dentro a una nuova epoca di tempi interessanti. Quindi inquietanti,
conflittuali, difficili. Ma eccitanti. Perché la nuova fonte di potere
non è il denaro nelle mani di pochi, ma l'informazione nelle mani di
molti.
Quello che è
certo è che l’uomo, così come lo conosciamo, prossimamente non esisterà
più. E non c’è dubbio che il sentimento di gran lunga più diffuso oggi
sulla terra non è la paura del futuro. E' il timore di quello che
avverrà domani mattina.
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