"E' vero, i social possono far male". Prima (parziale) ammissione di Facebook
Due ricercatori di
Zuckerberg, David Ginsberg e Moira Burke, contestano le critiche
recenti. Ma riconoscono che "un uso passivo è pericoloso". Il rimedio?
"Interagire di più attraverso il network"
ROMA - Non è un’ammissione, ma in qualche modo le somiglia. In un lungo articolo firmato da David Ginsberg e Moira Burke,
entrambi ricercatori di Facebook, si affronta il tema dell'effetto
negativo che potrebbe avere sulle persone il social network più
frequentato al mondo. Le voci critiche ultimamente si sono moltiplicate e
l’azienda ha deciso di rispondere. Nell’era dominata degli smartphone,
dove Facebook regna, l’accusa e che si rischia l'isolamento e una vita
senza più alcun vero confronto. “Connessi ma soli” scrisse la psicologa
Sherry Turkle nel 2012, quando nelle librerie uscì il suo Alone Together: Why We Expect More from Technology and Less from Each Other.
Una posizione tornata di moda da quando gli attacchi hanno cominciato
ad arrivare anche da figure che all’interno della multinazionale di Mark
Zuckerberg rivestono o rivestivano cariche importanti. Chamath Palihapitiya,
assunto nel 2007 e diventato vice presidente, pochi giorni fa ha
parlato di “strumenti che stanno distruggendo il tessuto sociale della
società”. Salvo poi fare parziale retromarcia. E prima di lui Sean Parker,
fondatore di Napster ed ex presidente del social network di Zuckerberg,
aveva sostenuto che Facebook sfrutta le fragilità psicologiche delle
persone. L’apocalittico Antonio Garcia-Martinez, anche lui ex manager di Facebook e autore di un saggio sorprendente intitolato Chaos Monkeys, ha più volte ripetuto che l'azienda mente sulla sua reale abilità di influenzare le persone.
David Ginsberg e Moira Burke alcune di queste tesi le espongono e ne
espongono altre, quelle del sociologo Claude Fischer ad esempio, che
sottolineano invece i benefici che la tecnologia ha portato. In estrema
sintesi i due ricercatori spiegano che il problema sta nel consumo
passivo e snocciolano tutte le funzioni che la compagnia ha aggiunto nel
tempo per arginare la tendenza all'isolamento riscontrata in certi
casi. “Stiamo lavorando per rendere Facebook un mezzo per interagire e
meno un luogo dove passare il tempo”, dicono. E ancora: “Di recente
abbiamo investito un milione di dollari per capire meglio la relazione
fra media tecnologici, crescita dei giovani e benessere”. Perché alla
fine, concludono, tutto dipende da come la tecnologia viene usata.
Quindi dipende dalle persone e non da Facebook.
Mark Zuckerberg, a capo di Facebook
Condividi
Difficile che basti a chetare le acque. Come notano sul New York Times,
dalle elezioni presidenziali di fine 2016 si è rotto qualcosa:
l'immagine di Zuckerberg e compagni non è più quella di un tempo. Il
ruolo giocato dal social network come mezzo di propaganda prima, avendo
collaborato attivamente con il team digitale di Brad Parscale al
servizio di Donald Trump, l’essere sotto accusa per l’elusione delle
tasse poi e ora la sua presunta pericolosità che spingerebbe
all’isolamento, sono i segni di un anno difficile. E l’articolo di David
Ginsberg e Moira Burke dimostra che a Facebook lo sanno bene.
Nessun commento:
Posta un commento