domenica 3 settembre 2023

 

 

 

CONSIGLI UTILI PER NON ESTINGUERSI: SEGUIRE LE TRACCE, DALLE CAVERNE ALL'INESAURIBILE ARCHIVIO DEL WEB – IL FILOSOFO MAURIZIO FERRARIS: “L'ANIMALE UMANO SI È DISTINTO DAGLI ANIMALI NON UMANI GRAZIE ALLA TECNICA, CHE PERMETTE DI CAPITALIZZARE IL PATRIMONIO DEL PASSATO. E ORA QUELL'ENORME FORZA DI REGISTRAZIONE CHE È IL WEB HA MOLTIPLICATO AL DI LA' DI OGNI LIMITE QUESTA BIBLIOTECA DI BABELE. SE C'È UN AVVENIRE PER L'UMANITÀ, DIPENDE DALL'USO SAPIENTE E GIUSTO DELLE TRACCE...”

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Maurizio Ferraris per “La Stampa”

 

PITTURE PREISTORICHE PITTURE PREISTORICHE

Che cosa significano le impronte di mani sulle pareti di una caverna? L'idea un po' ingenua, un po' superstiziosa, che tutto quello che non si capisce debba avere un significato religioso ci suggerisce che abbiamo a che fare con i residui di un rito. Ma perché non immaginare una madre preistorica che dice ai figli «smettetela, non vedete che sporcate il muro!». In entrambi i casi avremmo a che fare con delle tracce, volontarie.

 

Più in là, nella caverna, residui di cibo e punte di freccia sono tracce involontarie, che testimoniano di una vita passata. Più in qua, nel tempo, abbiamo le piramidi e i papiri coperti di geroglifici, i codici e le pergamene, le biblioteche barocche e poi quei grandi centri di produzione e distribuzione di documenti che sono le banche e le anagrafi, le Borse e gli stati maggiori, i giornali e i governi.

 

archeologi geroglifici archeologi geroglifici

Tutto questo è capitale, e nient' altro. Da pochi decenni, inoltre, quella enorme forza di registrazione che è il Web ha moltiplicato al di là di ogni limite umanamente concepibile questa biblioteca di Babele, perché con il digitale, diversamente che con l'analogico, tutto lascia traccia e tutto può divenire documento e patrimonio, costituendo l'ambito della iconosfera, ossia dell'immane produzione di tracce che ogni organismo sa usare, ma che solo l'animale umano riesce a patrimonializzare attraverso la tecnica.

 

TORRE DI BABELE TORRE DI BABELE

In questa circostanza non abbiamo a che fare con una bizzarria zoologica, ma con la risposta alla domanda sul perché l'animale umano sia distinto dagli animali non umani. Una volta esclusa l'ipotesi, ingenerosa per l'artefice, che Dio ci abbia creati a sua immagine e somiglianza, si sono succedute varie congetture. La più accreditata è stata quella per cui, diversamente dagli animali non umani, l'animale umano pensa.

 

Ma troppe evidenze empiriche ostavano a questa circostanza: un segugio segue una traccia, giunge a un bivio, annusa una delle due piste e, non sentendo odori, sceglie l'altra senza annusare, ossia ha compiuto un ragionamento; l'asino va dritto al fieno senza aver letto una riga di Euclide; il tacchino formula la legge «tutte le volte che viene il contadino mi porta da mangiare», che purtroppo è fallace giacché alla vigilia di Natale succederà qualcosa di diverso.

 

maurizio ferraris maurizio ferraris

Questo problema fu risolto da Cartesio con una mossa decisiva: gli animali sono macchine; chi non avesse mai visto un orologio penserebbe che vive, e noi commettiamo lo stesso errore tutte le volte che giochiamo con il nostro gatto. La soluzione non fu particolarmente felice, perché se risolveva il problema del paradiso delle bestie (se sono macchine e non anime non ce n'è bisogno) apriva l'ipotesi che noi stessi siamo macchine.

 

Leibniz, Kant, Hegel, Marx e tantissimi altri filosofi hanno risolto il problema dicendo che non siamo macchine, visto che abbiamo dei desideri, dei bisogni e una ragione che ci propone dei fini, tutte cose che le macchine non hanno. Nel frattempo Darwin aveva risolto il problema della differenza fra tutti gli animali, compreso l'animale umano, con la teoria dell'evoluzione: una serie di circostanze casuali ha fatto sì che gli anatroccoli diventassero anatre e non cigni e che un animale particolarmente debole e sgraziato si trovasse a riflettere sul perché di tutto ciò.

 

maurizio ferraris maurizio ferraris

Tutto risolto? Niente affatto, perché resta da spiegare perché proprio noi siamo diventati umani e gli altri animali no. È per via della massa cerebrale? No, i delfini hanno un cervello più grosso e performante del nostro. È perché abbiamo sentimenti cooperativi? Le termiti ci battono cinque a zero. È perché siamo dotati di linguaggio? Già Aristotele notava che non solo gli uccelli sono dotati di linguaggio, ma si esprimono in dialetti diversi. È perché siamo dotati di immaginazione? Non abbiamo evidenze sull'immaginazione degli animali non umani, e, in effetti, abbiamo desolanti evidenze circa la scarsa immaginazione degli animali non umani, ma questa risposta ha il difetto della tautologia.

 

Diretta e più amichevole erede della definizione dell'umano come animale dotato di ragione, la tesi secondo cui l'umano è l'animale dotato di immaginazione si limita a constatare un fatto, ma non spiega né perché proprio noi abbiamo più immaginazione degli altri animali (posto che sia vero), né perché l'immaginazione costituisca questo gran vantaggio competitivo.

 

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Perché posso benissimo immaginarmi un umano che vola, ma se non c'è una catena di trasmissione culturale che da Icaro porta a Leonardo, ai fratelli Wright e alle masse disperate in aeroporto, perché il volo è stato annullato, l'immaginazione sarebbe servita a ben poco. E di che cosa è composta questa trasmissione culturale? Dello spirito del mondo che vaga sulle acque? No, dalle eredi di quelle tracce, volontarie e involontarie, che si trovano nelle caverne.

 

Contrariamente alla superstizione che vuole l'umano perfetto e poi corrotto e alienato dalla tecnica, noi siamo umani proprio perché, diversamente da tutti gli altri animali, siamo stati in grado di capitalizzare le tracce esteriorizzandole, riproducendole e trasformandole in tecnica.

 

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Perché gli animali non umani sono bravissimi a interpretare le tracce di altri animali, per esempio, e alcuno di loro, quelli con il pollice opponibile, sono in grado di crearsi degli strumenti, per esempio un bastone per far cadere i frutti da un albero. Si tratta, in questo caso, di una produzione intenzionale di tracce: si modifica un oggetto naturale e gli si conferiscono i caratteri di uno strumento tecnico.

 

Solo, il quadrumane non si porta dietro il bastone, lo lascia sotto l'albero, magari ripromettendosi di usarlo in un'altra occasione. L'umano, invece, se lo porta nella caverna, e incomincia a produrre tracce prive di valore immediato, ma forse destinate a trasmettere alle generazioni future delle competenze tecniche (si pensi all'abbondanza delle scene di caccia, e alle ossa su cui si annotano calendari lunari).

 

Poi, superata la fase dei cacciatori-raccoglitori, le tracce divengono computo dei beni, ossia sistemi di scrittura che in seguito evolveranno in strumenti di comunicazione. In entrambi i casi si tratta di capitalizzazione di averi e di saperi, che progressivamente, dall'esterno e non dall'interno, costituendo un ambiente umanizzato attraverso la tecnica, ci ha resi più o meno sensibili, colti, ambiziosi, immaginativi.

 

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Quello che noi siamo, in altri termini, non è un sovrappiù rafforzato dalla tecnica, è un supplemento nei due sensi del termine: un di più, che viene però a supplire ai difetti di animali non particolarmente dotati. Ma che, attraverso la forza della capitalizzazione, della conservazione e della trasmissione delle tracce, sono diventati capaci di evolvere ai ritmi vertiginosi della cultura invece che a quelli, parsimoniosi, della natura. Fosse dipeso da lei, saremmo probabilmente estinti da evi.

 

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Grazie alla tecnica e alla capitalizzazione che permette siamo cresciuti e ci siamo moltiplicati, e siamo nelle condizioni, tecniche, scientifiche e politiche, di prevenire tanto le catastrofi ambientali quanto le disuguaglianze sociali, grazie al nuovissimo patrimonio dell'umanità che ci viene offerto dal Web, instancabile archivista e capitalizzatore delle nostre forme di vita, come ci insegnano le piattaforme commerciali ma come possiamo imparare facilmente se solo ne abbiamo la volontà politica e scientifica.

 

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Se c'è un avvenire per l'umanità, dipende dall'uso sapiente e giusto delle tracce, del passato (da dove veniamo), del presente (chi siamo) e del futuro (dove andiamo, e soprattutto dove vogliamo andare). Ecco la sfida che ci attende, ma esito a usare questo sostantivo non solo perché è abusato, ma soprattutto perché le sfide si vincono o si perdono, e noi non possiamo permetterci di perdere la sfida sul nostro futuro. -