LA
GUERRA LA VINCE CHI LA RACCONTA MEGLIO?
Un
esempio di connubio tra guerra e mezzi d'informazione si ebbe con il
banchiere Henry Dunant che nel 1859 trovandosi in Lombardia per
ragioni d'affari venne coinvolto nella battaglia di Solferino e ne
ebbe un'impressione così sconvolgente da scrivere un libro che sarà
l'origine di un movimento d'opinione che sfocerà con la fondazione
della Croce Rossa a Ginevra. L'informazione di guerra prese una
imprevedibile accelerazione quando Florence Nightingale organizzò un
ospedale militare durante la guerra di Crimea (1854) e le sue
corrispondenze spedite giornalmente a Londra e pubblicate dalla
stampa inglese impressionarono talmente il pubblico da costringere il
governo ad una riforma sanitaria. Ma il più grande impatto sul
pubblico lo ottenne William Howard Russell con la descrizione, sempre
col telegrafo, delle condizioni in cui combatteva il soldato
britannico. Descrisse la battaglia di Balaclava coi soldati e i
cavalli che morivano di fame e d'abbandono suscitando una violenta
reazione alla guerra da parte del pubblico. Il telegrafo, che era
stato inventato per far arrivare in orario i treni, ebbe una prima
accelerazione delle sue applicazioni dovuta al fatto che la pioggia
danneggiasse i cavi elettrici interrati e quindi ogni capostazione
collegandosi con la Stazione Centrale comunicava le condizioni del
tempo, formando una rete d'informazioni che venne sfruttata dai
quotidiani, che allora pubblicavano solamente i bollettini di Borsa e
qualche commento politico con l'agenda dei lavori del governo.
Questo
nuovo interesse fece aumentare le tirature e di conseguenza le
tariffe delle inserzioni pubblicitarie. Con le tirature aumentarono
pure le notizie che non era più necessario andare a scovare, ma
arrivavano da sole dalla periferia, con il telegrafo. Al direttore
del giornale, bastava selezionare il materiale secondo "l'interesse
umano" cioè la sua visione di ciò che poteva essere pubblicato
e di ciò che non andava nella direzione editoriale. Con le
corrispondenze di guerra si scoperse che questo artificiale
"interesse umano" era invece la potenzialità del
coinvolgimento immediato del pubblico con la notizia. L'"interesse
umano" si mostrò per quello che in realtà era. Era nata
l'opinione pubblica.
Fu un
pubblicista, Edward Bernays, americano di origine austriaca e nipote
di Freud, che intuì alcune proprietà dell'opinione pubblica, e cioè
che la "mente collettiva" non reagiva alla parola, o almeno
non reagiva come ogni individuo attraverso il pensiero e il
linguaggio, ma lo faceva con l'immagine che la parola evocava con
reazioni che potevano farsi risalire all'istinto, alle abitudini, al
conformismo. Nacque così la sua idea di "fabbrica del consenso"
che mise in pratica durante la Prima Guerra Mondiale, i cui risultati
pubblicò nel suo libro: PROPAGANDA (1925) che divenne il manuale
delle Pubbliche Relazioni, una disciplina praticamente fondata da lui
e dal giornalista Walter Lippmann che divenne suo socio.
La
propaganda di guerra continuò con il cinematografo e i notiziari
filmati proiettati prima di ogni spettacolo, con giornalisti e
fotografi che si recavano sul posto per documentare le azioni di
guerra e pubblicarle su riviste patinate. La più celebre fu LIFE e
l'agenzia Magnum con i suoi leggendari fotoreporter.
Il
giocattolo si ruppe con il Vietnam e la televisione. Dopo
l'editoriale di Cronkite della CBS durante l'Offensiva del Tet, dove
affermava che non era possibile vincere quella guerra in Vietnam, il
presidente Lyndon Johnson affermò, "Se ho perso Walter
Cronkite, ho perso l'America moderata". Poco dopo il rapporto di
Cronkite, Johnson lasciò la corsa alla presidenza statunitense del
1968.
Per il
giornale l'informazione è una merce al di là di ogni convenienza
politica mentre alla politica servono i mezzi d'informazione per
rafforzare il consenso. Ne nasce un connubio tra il desiderio di
pubblicare ogni notizia e la convenienza del politico a filtrare solo
le notizie che gli tornino utili. In guerra, se da una parte si
rinsaldano i rapporti tra questi due poteri (la stampa sarebbe il
"Quarto Potere") contro un nemico comune, da parte della
politica si sviluppa la tendenza a far passare con vari artifizi le
notizie che facciano più comodo. Da qui le conferenze stampa dei
generali, i giornalisti embedded, gli accrediti rilasciati solo a
coloro che danno garanzie di una certa discrezionalità, eccetera, in
contrasto con una crescente domanda d'informazione da parte del
pubblico che qualche eroico corrispondente è disposto a dare anche a
costo della vita.
L'equilibrio
si rompe dopo cento anni di felice connubio, con le immagini
televisive che essendo a bassa definizione non solo sembrano non aver
bisogno di troppi commenti, ma "scaldano" l'opinione
pubblica che crede non solo che quello che vede sia tutto vero senza
mediazioni, ma addirittura che ciò che non si vede non esiste.
Se il
generale Eisenhover durante la seconda guerra mondiale potè
dichiarare:"Sarà l'opinione pubblica a vincere la guerra"
sicuro del fatto che lo Stato avrebbe gestito l'opinione pubblica
convincendola che era giusto andare in guerra, giusta la
mobilitazione generale, l'arruolamento volontario nonchè gli ottimi
risultati gestiti da una dosata manipolazione delle notizie, con la
televisione che mostrava crude immagini dal fronte e dalle università
(dove sparavano sugli studenti, non dimentichiamolo) con dibattiti,
prese di posizioni di star di Hollywood, occorrevano strategie di
comunicazione diverse.
La
guerra del Vietnam non la vinsero i vietnamiti, malgrado i loro
sforzi e sacrifici sovrumani, la persero gli U.S.A. perchè avevano
maturato QUELLA televisione. Se la Guerra Fredda (secondo il McLuhan
una guerra elettronica dell'informazione) aveva messo a punto
meccanismi di consenso ormai collaudati occultando le atrocità della
guerra in Corea, per esempio, il Vietnam era stato come il giocatore
di poker che non credeva più al bluff e puntando tutta la posta
aveva detto: "Vedo!"
°
A
detta degli esperti, era cominciato tutto con JF Kennedy, ex
corrispondente di guerra che usò la televisione er incarnare
l'immagine di un'America giovane e progressista. Con lui nacque il
news management, una struttura capace di generare fatti avvenimenti
che facciano notizia ai quali far partecipare opinionisti, politici
personalità eminenti, con lo scopo di alimentare il consenso. Il 25
Gennaio 1961 il discorso di Kennedy in televisione venne seguito
dalla sbalorditiva (per quei tempi) cifra di 60 milioni di
ascoltatori. Nel 1963 la CBS raddoppiò il tempo dei propri
notiziari, nel 1967 quasi tutta la televisione americana era a colori
ma le notizie dal Vietnam - una guerra che si trascina dal 1954 senza
che gli americano avessero notizie precise se non quelle che
l'America era intervenuta in appoggio al Vietnam del Sud per arginare
il comunismo - vengono date solo dalla stampa. Francois Sully un
fotoreporter coraggiosissimo caduto durante uno dei suoi famosi
reportages, scrisse sull'americano Newsweek (1962) che l'impresa
americana nel Vietnam era destinata a fallimento ma nessuno ci fece
caso fino alla crisi del Tonchino, dove Lindon Johnson, poco esperto
della materia, resuscitò lo staff del news management per dichiarare
la famosa "escalation": i comunisti hanno attaccato
l'America, dobbiamo difenderci! Che da quel momento pose le notizie
dal Vietnam nei palinsesti di tutte le reti televisive.
All'inizio
i mezzi di comunicazione assecondarono la fabbrica del consenso e da
qui nasce l'errore di Westmoreland di lasciare via libera ad ogni
richiesta con accrediti rilasciati un po' a tutti. I corrispondenti
iniziano ad assecondare la marcia trionfale, con servizi sui buoni
boys, gli atti di coraggio, le armi da guerra e la tecnologia
avanzata, mentre il nemico si descrive sempre più efferato e
crudele, l'ambasciatore americano a Saigon dichiara che i vietcong
tagliano la testa ai prigionieri e le espongono su bastoni fuori dai
villaggi per terrorizzare la gente.
Orrori
non se ne mostrano, nè da una parte ma nemmeno dall'altra, così gli
anchormen parlano del coraggio dei nostri ragazzi, dei bambini
vietnamiti raccolti in un orfanotrofio di fortuna che vengono
intervistati e parlano della loro fame, della famiglia distrutta. La
presentazione di un eroe:
"I
coraggiosi hanno bisogno di leader. Questo, signori, è un leader di
uomini coraggiosi. Si chiama John Bellemor. E' di Charlotteville,
Lousiana. È sposato e padre di 4 figli. Sono i migliori soldati del
mondo. In effetti, sono i migliori uomini del mondo. Sono ben
preparati, ben disciplinati ...
...La
loro motivazione è formidabile. Sono venuti qui per vincere"
Per
McLuhan il Vietnam è la "prima guerra televisiva". Lo
spettatore ha la sensazione di partecipare alla guerra. Partecipa "ad
ogni fase della guerra, e le azioni principali vengono ora combattute
in ogni casa americana"
All'inizio
il Vietnam in televisione segue lo schema dei film western anni
cinquanta, con la violenza rappresentata con altri costumi, in
un'altra epoca, da uomini integri che usano la violenza e causano
morte e distruzione ma con altissimi ideali, quali la libertà, la
giustizia, l'onore.
In
questo tipo di rappresentazione stereotipata, persino la critica è
sospetta: Nel 1965 Un notiziario della catena televisiva ABC riferiva
alcuni avvenimenti inerenti pacifisti americani introducendo il
servizio con queste parole: "Mentre gli americani combattono e
muoiono in Vietnam, vi sono alcuni in questo paese che simpatizzano
con i Vietcong..."
I
danni alla popolazione civile in televisione diventano "strategia
del terrore", se causati dal nemico, fatale errore (danno
collaterale), se causati dai nostri ragazzi. ..
Nascono
dibattiti sull'efficacia dei massicci bombardamenti vietnamiti in
rapporto ai danni causati alla popolazione. Nell'Agosto del 1965 la
CBS mostra un attacco di marines nel villaggio di Cam Ne dove
bruciano tutto con i lanciafiamme, donne vecchi bambini, case e
raccolti:"non c'è dubbio che il fuoco militare americano può
ottenere una vittoria qui. Ma ci vorrà ben più di una promessa del
presidente per convincerli che noi siamo dalla loro parte" è il
commento al filmato a cui fanno seguito centinaie di chiamate di
protesta per la sfacciata propaganda comunista a sostegno del
nemico...
Nel
1967 si approssimano le elezioni e la strategia è quella di
intensificare la comunicazione per instillare uno spirito da vigilia
della vittoria. Ma arriva l'offensiva del Tet di cui abbiamo già
parlato, e quando i vietnamiti entrano nel recinto dell'ambasciata
americana di Saigon, a Cronkite non rimane che dire sbigottito: "Ma
che diavolo sta succedendo? Non stavamo vincendo noi?" Dopo di
che vola nel cuore del Vietnam e in diretta annuncia che la guerra è
un bagno di sangue. Segue la NBC che documenta lo sfacelo: ora gli
americani sanno di aver perso la guerra.
Dove
avvenne la svolta? Nelle telecamere a spalla. Prima c'erano
telecamere sul treppiede, con pesantissimi cavi video che andavano ad
una consolle, mentre altri cavi coassiali si inserivano in un mixer
video. Decine di telecamere se ne stavano pacifiche di fronte ad una
scrivania dove un generale teneva la giornaliera conferenza
stampa.Con la telecamera a spalla bastava un aiuto operatore (e a
volte nemmeno quello) per trasportare il mixer, e i giornalisti
iniziarono ad avventurarsi sul teatro di guerra e a documentare le
atrocità.
Westmoreland
dichiarò che la guerra era stata vinta sul campo ma persa nei
salotti americani, mentre 700 inviati vaganti per tutto lo scacchiere
di guerra mostrarono alla nazione che Nixon annunciava il progressivo
disimpegno nel conflitto mentre intensificava i bombardamenti. Il
colpo di grazia lo diede il New York Times pubblicando le carte
segrete del Pentagono che documentarono gli inganni ed i
condizionamenti dell'opinione pubblica da parte dei militari. (La
Commissione d'Inchiesta del Senato accertò tra le varie
responsabilità che sul Vietnam, Laos e Cambogia, gli americani
avevano scaricato quattro milioni di tonnellate di bombe pari a
centotrenta volte l'atomica su Hiroshima, il doppio di tutte le bombe
sganciate nella seconda guerra mondiale....)
°
Prima
di continuare con la nostra analisi fermiamoci per analizzare la
guerra del Vietnam secondo la visione del McLuhan. Ci troviamo
davanti due generali che appartengono a due schieramenti, che
potremmo definire in questo modo: visivo quello occidentale, con
Westmoreland generale uscito da West Point dove ha studiato le
strategie matematiche e visive come quella degli scacchi: un
obiettivo, uccidere il Re, con la strategia di avanzare togliendo di
mezzo ogni ostacolo, con priorità all'attacco dei pezzi più
pregiati. Contro di lui il generale Giap, auditivo, che non ha nessun
obiettivo se non quello di indebolire TUTTO il nemico accerchiandolo,
secondo i dettami della scuola di guerra di Sun Tzu, teorico del
quinto secolo a.C.
Westmoreland
è un generale formatosi sulle teorie della seconda guerra mondiale e
dello sbarco in Normandia con tutti i suoi sprechi. Convince il
presidente Johnson all'escalation, chiede 540.000 uomini, subisce un
numero impressionante di perdite tra le sue truppe e avanza con
l'obiettivo di distruggere quanto più nemico possibile per
assoggettare il territorio.
Giap
invece combatte come si fa nel gioco del "Gò" antichissimo
gioco aristocratico cinese (mentre lo xiangqi, gli scacchi erano
considerati gioco popolano) che ha come obiettivo conquistare spazi
sulla scacchiera col minor numero di pedine possibili.
Giap
si rende conto che i massicci bombardamenti sul territorio servono
per preparare il terreno alle truppe di terra ed è lì che dopo ogni
bombardamento fa confluire le sue truppe addestrate alla guerriglia.
Giap non vince nessuna battaglia ma le gravi perdite americane e lo
spreco di energie aprono squarci irreparabili nell'opinione pubblica
americana.
Anche
l'offensiva del Tet, il Capodanno vietnamita, è un gioiello di
inganno e strategia secondo il maestro Sun Tzu: gli ordini per il
generale Giap sono suicidi, occupare Saigon con un attacco frontale,
ma egli prepara invece un attacco contemporaneo contro un centinaio
di villaggi minori, il giorno del Capodanno dove ha fatto sapere che
ci sarà una tregua. Gli americani mandano parte delle truppe in
licenza e si preparano a guardare i fuochi artificiali, che
arriveranno con l'attacco ad uno dei villaggi, dove confluiranno le
truppe americane in soccorso lasciando scoperti gli altri centri dove
Giap ha preparato l'offensiva.
Il
resto è storia.
°
Con
l'avvento dei satelliti per la telecomunicazione si fa largo la CNN
di Turner che riesce a fornire immagini e notizie immediatamente dal
luogo degli avvenimenti. Succede, per fare qualche esempio, che l'ex
presidente Carter, osservatore delle elezioni a Panama, per
comprendere cosa stesse accadendo nel Paese, si chiude nel suo
albergo e rimane incollato ai notiziari della CNN che registrano
violenti scontri nelle strade. Gorbachov va a New York e comunica al
mondo il disarmo unilaterale dell' URSS, fino all'uragano di New
Orleans quando il sindaco della città in diretta con la CNN
continuava ad indicare la sua finestra per dire che là non stava
succedendo nulla di grave e la giornalista spazientita gli gridò:
"Chiudi quella maledetta finestra, accendi la televisione e
sintonizzati su CNN !" capovolgendo di fatto la realtà a cui si
riferiva il sindaco (la sua ovviamente) e la potenza
dell'informazione contemporanea a cui attingere.
Questo
flusso costante di informazione modificò anche il modo di comunicare
dei politici, Regan da attore incallito, usò perfettamente il mezzo
per inondare il mondo di sue immagini "spontanee" e di
avvenimenti costruiti a tavolino.
Iniziò
pure quella tendenza della politica ad usare avvenimenti mediatici
quali vertici coi vari capi di Stato, conferenze internazionali sul
disarmo e ancora oggi conferenze dell'ONU o riunioni periodiche dei
presidenti Europei, che usano il mezzo per creare avvenimenti che
alla lunga hanno dimostrato solamente di essere una passerella
mediatica per i protagonisti.
Come
ampiamente teorizzato dal McLuhan nel villaggio globale non conta
l'assenza del contenuto ma è il contenitore (l'avvenimento
televisivo) che si fa messaggio perchè la televisione non si limita
a narrare l'evento ma si fa essa stessa protagonista, creandolo.
Intanto
la guerra continua e si intuiscono le prime reazioni dei militari nei
confronti dei media. La guerra delle Falklands (1982) è la prima
guerra televisivamente invisibile. Partono con la flotta solo una
trentina di giornalisti "embedded", tutti inglesi, che
registrano gli avvenimenti durante una conferenza stampa giornaliera
con i vari comandanti, devono far controllare i loro pezzi dallo
Stato Maggiore prima dell'invio, che vengono ricontrollati all'arrivo
dal Ministero della Difesa. Di fatto, TUTTI i giornalisti sono
diventati un'unica fonte d'informazione che dipende dai vari
portavoce dei militari.
Nel
1983 c'è una forte fibrillazione in Medio Oriente, gli israeliani
invadono il Libano, c'è la strage di Sabra e Shatila, l'ONU accusa
Israele di violare i diritti umani nei confronti dei Palestinesi e
questi avvenimenti lasciano senza copertura televisiva l'attacco
americano di Grenada. Pure l'invasione di Panama non viene
documentata dalla televisione tutta impegnata con la rivoluzione
rumena. Il raid sulla Libia invece (1986) entra nella categoria delle
nuove guerre tecnologiche, coi satelliti, puntamento elettronico,
comandi a distanza bombadamenti rapidi e isolati che non danno
nessuna possibilità all'informazione.
Le
cose vanno meno bene ai militari americani nell'operazione "Restore
Hope" in Somalia, (1992) anche se iniziano con i cameramen
sbarcati prima delle truppe per riprendere l'epico sbarco dei
marines, le riprese sono così smaccatamente "cinematografiche"
da lasciare perplesso il pubblico televisivo che poi si renderà
conto della reale situazione con i documentari sulla fame di quei
bambini e sull'ultimo attacco alle truppe che causò la ritirata USA.
Anche
la rivoluzione rumena del 1989 con l'enfasi delle riprese televisive,
i massacri dei soldati di Ceucescu, le fosse comuni, gli scontri
violenti dei manifestanti, si rivelarono tutti una solenne montatura
e il pubblicò cominciò a smaliziarsi da qui la necessità dei
militari di ridurre l'informazione giornalistica fino ad escluderla
completamente.
Il 2
agosto 1990 Saddam Hussein invade il Kuwait che con la delegazione
statunitense chiede la convocazione del Consiglio di Sicurezza ONU
che approva la risoluzione 660 dove si condanna l'invasione, si
richiede il ritiro delle truppe dal Kuwait e non ottenendo nessuna
risposta da parte di Saddam, stabilisce severe sanzioni economiche
contro l'Iraq. Seguono varie vicende tipiche della propaganda
pre-bellica. Saddam si protegge con scudi umani, accarezza la testa
di un bambino ostaggio, il che fa inorridire i telespettatori di
mezzo mondo, dalla parte opposta 34 nazioni aderiscono alla
coalizione contro l'Iraq, Tarek Aziz invia un messaggio alla Lega
Araba rivendicando la proprietà del petrolio kuwaitiano, Saddam
minaccia di colpire i pozzi petroliferi e il prezzo del greggio
sbalza a 40$ al barile, finchè il 17 Gennaio 1991 viene dato il via
a "Dwaert Storm" la più grande mobilitazione militare del
dopoguerra.
Durante
la fase di preparazione del consenso alla guerra, Craig Fuller, capo
della "Hill & Knowlton" consigliere politico di Bush e
capo del suo staff durante la Presidenza Reagan, prepara falsi
filmati, false interviste in cui si testimoniava che Saddam Hussein,
novello Hitler (definizione vincente) faceva staccare le incubatrici
dei figli dei kuwaitiani e altre angherie, riuscì ad ottenere il
consenso del Paese. Dopo di che si moblitò per evitare di ottenere
il deprecabile "effetto Cronkite" che fece perdere in
consenso sulla guerra del Vietnam, e proprio per cancellare le
immagini di quella umiliante fuga, due giorni dopo la conquista della
capitale, le televisioni filmarono la discesa dagli elicotteri di
marines sull'ambasciata di Kuwait City facendo scrivere nella prima
pagina del Wall Street Journal: "Vittoria! Esorcizzati i demoni
del Vietnam!" e "Siamo la nazione più potente del mondo e
questo sarà l'inizio del secolo americano" Che fosse l'inizio
del secolo americano è dubbio, che fosse invece l'inizio di un nuovo
modo per diffondere l'informazione di guerra, questo è certo.
Intanto
tutti i corrispondenti di guerra dovevano firmare alcune condizioni,
quali quella di non filmare morti o feriti, di non recarsi in nessun
luogo senza permesso e scorta militare, di non dare informazioni
logistiche, su equipaggiamenti sulle forze in campo. Proibizione
assoluta di descrivere le operazioni militari, la dislocazione delle
truppe, di fornire dati sulle perdite, di nominare la base da cui
trasmettevano i loro servizi. Il 98% dei giornalisti era americano,
gli altri neozelandesi, inglesi e canadesi. Questo svuotamento totale
dell'informazione è peggiorata anche dal nuovo modo di fare la
guerra, aerea, missilistica, satellitare, con droni e bombe
intelligenti. Sembrerebba un'altra guerra oscurata, ma qui sta la
novità, i giornalisti vengono inondati giornalmente da un'apparente
ricchezza d'informazioni realizzate dal news management
dell'esercito: mappe satellitari, proiezioni di obiettivi colpiti da
bombe con telecamera (Dove? Come? Quando? Mistero) conferenze stampa
di generali in tenuta mimetica, bacchette, diagrammi, schemi,
videate, riprese notturne. Con questo materiale, con qualche tenda
alle spalle, i corrispondenti danno le notizie. E' tutto.
Conclusa
l'offensiva, approfittano dell'intervallo di una partita di baseball
molto seguita per mostrare immagini dei soldati irakeni che con le
mani alzate si arrendono pacificamente, mentre l'inviato di un
giornale di provincia scrive dalla portaerei dove ascoltando i piloti
degli aerei descrive una carneficina di soldati irakeni in fuga. Ma è
solo una piccola voce di provincia che si confronta con il massiccio
bombardamento mediatico dal tono trionfalistico delle televisioni
"embedded" pure loro che finalmente possono presentare una
guerra con un copione come ai bei tempi del cinematografo di
propaganda, con l'Ultimatum dell'ONU, i discorsi allucinati di
Saddam, i soldati impazienti di dare una lezione al dittatore, le ore
d'attesa nelle tende ordinate, col rancho abbondante, con le visite
delle autorità con le canzoni sguaiate, e poi la perfezione dei
movimenti delle forze armate, la precisione delle armi intelligenti,
gli obiettivi colpiti, il nemico piegato, la resa... tutto senza
sangue.
E i
generali eroi di guerra, la gente che cena e vede il conflitto alla
televisione, anchormen che ne parlano nei loro salotti virtuali, la
testimonianza dal vivo dei giornalisti tornati in studio con qualche
filmato di colore, qualche visita alle truppe riescono ad unificare
in un unico abbraccio un Paese che non vede la guerra ma il suo
racconto, che la guerra in queste condizioni non è invisibile, ma
solo immaginaria.
C'è
da chiedersi a questo punto se si sia trattato di una guerra vera e
propria o del miglior spettacolo in prime time messo in onda, ma
anche da questa apoteosi di falsa informazione avviene qualcosa che
"raffredda" il mezzo. Ancora una volta si tratta della CNN
che ormai non ha più un profilo nazionale ma servendo tutto il
mondo, sente l'esigenza di servirlo in modo completo, e i mezzi ce li
ha. E se è praticamente impossibile seguire dal vivo una guerra
rimanendo appostati (embedded) con l'aggressore, invece è possibile
trasmettere le telecronache da Bagdad, dal punto cioè dove le bombe
arrivano. E il risultato è dirompente. I primi bombardamenti
sull'iraq sono tutti mirati a far saltare tutto l'apparato
trasmittente iracheno, ma la CNN con una nuova tecnologia (un'antenna
portatile che trasmette direttamente via satellite) non solo
documenta al mondo che è iniziata la guerra, ma lo fa PRIMA
dell'annuncio ufficiale della Casa Bianca.
Inizia
una nuova era dell'informazione di guerra, con l'inviato ancora al
centro dell'informazione registrando l'attacco amico e col punto di
vista del nemico!
Prima
c'erano solo giornalisti chiusi in un albergo dall'altra parte del
fiume, che mostravano scie luminose, crepitii di armi da fuoco,
rumore di esplosioni e solite letture di bollettini forniti dai
militari sul movimento delle truppe.
Adesso
che tutti sono stati espulsi dall'Iraq, l'unico rimasto Peter Arnett
della CNN va ad intervistare Saddam Hussein, scova una fabbrica di
latte in polvere combardata, un ospedale, un villaggio, mostrando che
le bombe intelligenti tanto intelligenti non sono e che le
"operazioni chirurgiche" altro non sono che violenti
bombardamenti a tappeto..
Occorre
una riflessione. Ci troviamo a questo punto con la consapevolezza che
le riprese della CNN sono censurate da Saddam (la scritta in sovra
impressione è chiara) mentre quelle americane sono pilotate dal
Pentagono. Ci sono riprese fasulle da parte dell'una e dall'altra
parte che verranno smentite da esperti ma a guerra finita. Allora
cosa fare? Come reagire?
In una
sua conferenza sulla comunicazione Emanuele Severino diede una
spiegazione plausibile. Disse che la grande massa d'informazione che
arriva al pubblico lo mette in condizione di non potersi più
affidare ad una fonte che lui ritiene portatrice incontestabile della
Verità il cui concetto lui colloca nella mente in una sorta di campo
tra il percepito e il non realizzato, insieme al concetto di Libertà,
Pace... Sottraendo tutto ciò che per il soggetto è impossibile, e
togliendo il poco probabile, rimane nella mente una sorta di campo
dove tutto è probabilmente plausibile, salvo smentita. E' l'unica
maniera – dice il McLuhan – con cui la nostra mente si difende
dalla narcosi dovuta al bombardamento su di un solo organo di
percezione.
Se i
generali sono preparatissimi di fronte all'ultima guerra combattuta,
un po' meno di fronte alla prossima, lo stesso si potrebbe dire di
Peter Arnett, il giornalista che annunciò al mondo la guerra del
Golfo prima della Casa Bianca, quello che intervistò Osama Bin Laden
e Saddam Hussein, l'uomo che vinse un Pulitzer per le sue cronache
dal Vietnam, che venne licenziato dalla CNN dopo un documentario dove
mostrava l'uso di gas nervino da parte degli americani, ora con la
NBC, forte della sua popolarità sfida l'estabilishment americano e
concede un'intervista alla TV irachena in cui afferma:
«Gli
americani stanno riscrivendo il piano di guerra, perché il primo è
fallito a causa della resistenza irachena. Le nostre trasmissioni da
qui, con le vittime civili, stanno avendo un impatto negli Stati
Uniti, dando argomenti agli oppositori della guerra. Cresce
l'opposizione a Bush, e a come sta conducendo questo conflitto».
Licenziato.Era
il 31 Marzo 2003.
«Ho
detto essenzialmente quel che noi tutti sappiamo sulla guerra» si
giustificò.Ma lo sdegno americano non si manifestò per il contenuto
del discorso ma sull'aver concesso un'intervista al "nemico".
«Sono
dichiarazioni che denotano una totale ignoranza», dichiarò la Casa
Bianca. «Meriterebbe l'accusa di altro tradimento», aggiunse il
senatore repubblicano Jim Bunning. E addio a Peter Arnett che non si
era reso conto che con la guerra del Kosovo i rapporti tra la guerra
e la comunicazione erano completamente cambiati. Intanto perchè
negli USA erano state affinate le tecniche di PSYOP, cioè
"operazioni psicologiche" per pianificare e convogliare
informazioni preventive sui pericoli del "nemico" nei
confronti dell'intera umanità e sull'utilità di un prossimo
conflitto, influenzando le emozioni, le motivazioni, i processi
raziocinanti di critica e l'atteggiamento dell'opinione pubblica nei
confronti dei governi, organizzazioni, gruppi da cui dipendono.
Opportunamente
applicate, non solo possono ridurre il morale delle forze avverse ma
possono creare pure dissidenza tra la popolazione. Sul fronte
interno, riescono a rafforzare il potere usando quattro tecniche:
strategica, operativa, tattica e di consolidamento del potere
militare e politico nei Paesi occupati. Anni dopo il conflitto, siamo
venuti a conoscenza via Web, a cura del Coordinamento per la
Jugoslavia [http://marx2001.org/crj
] sulla base di materiale fornito dalla Transnational Foundation for
Peace and Future Research (TFF) - http://www.transnational.org
di un documento della National Security Decision Directive (NSDD) N.
133 dal titolo: "La politica degli Stati Uniti in Jugoslavia",
catalogata come "confidenziale" resa pubblica nel 1990 che
confermava in larga parte la NSDD 54 del 1982, il cui obiettivo
includeva "estesi sforzi per promuovere una 'rivoluzione
pacifica' volta a rovesciare i regimi e i partiti comunisti, al fine
di integrare i paesi dell'Europa dell'Est nell'economia di mercato".
1)
Il 5
Novembre 1990, un anno prima della disintegrazione "etnica"
della Repubblica Federativa e Socialista di Jugoslavia, il Congresso
americano aveva approvato il "Foreign Operations Appropriations
Law" 101-513 per il 1991, che imponeva alla Jugoslavia la
restituzione immediata di tutti i prestiti, prospettando una
redistribuzione separata dei crediti ad ogni repubblica federata a
condizione di "libere elezioni" separate e in misura dei
risultati elettorali repubblica per repubb lica (ossia, privilegiando
i partiti e le coalizioni di governo secessioniste e
filooccidentali)? Fu questo l'inizio della fine: il provvedimento
impose alla RFSJ una destabilizzazione tanto radicale da
"preoccupare" la stessa CIA, che in un rapporto di poco
posteriore mise in guardia il Congresso contro una possibile guerra
civile nei Balcani ("New York Times", 28\XI\1990).
2)
Con la
guerra del Kosovo per la prima volta non vi furono differenze tra
bersagli militari e civili, smentendo persino il codice di guerra
fascista del 1941 dove i giornalisti erano dichiarati neutrali. Dove
non osavano le potenze dell'Asse osarono le democrazie occidentali!
E alla
distruzione di depositi di carburanti, centrali elettriche, piste
aeroportuali, ponti e quant'altro possa indebolire il nemico, la NATO
aggiunse il bombardamente della stazione televisiva di Belgrado con
giornalisti e personale operante uccisi mentre stavano trasmettendo.
Alle proteste del governo Serbo, fecero seguito le giustificazioni
dei militari americani che asserirono che con i tempi correnti le
televisioni vanno considerate armi belliche.
Solo
anni dopo il conflitto, a causa di morti per leucemia da parte di
soldati italiani impiegati per la bonifica di alcuni territori, si
scoperse che i bombardamenti erano avvenuti con proiettili a base di
uranio impoverito. Quali danni alla popolazioe e all'ambiente non si
è mai saputo. (Lo stesso successe per la guerra del Golfo. Vi furono
anche morti e invalidità permanenti tra i soldati americani
probabilmente dovute a vaccinazioni sperimentali e una misteriosa
serie impressionanti di morti per radiazioni probabilmente dovute
all'esplosione di una bomba nucleare a basso potenziale).
3)
Dopo
che l'Albania dichiarò la sua disponibilità ad accogliere basi
logistiche NATO sul suo territorio, al confine albanese cominciarono
a rafforzarsi le truppe jugoslave. Le notizie vennero invertite così
che al pubblico sembrò che le truppe NATO si fossero collocate in
albania A CAUSA dell'infoltirsi delle truppe nemiche.
4)
Tutti
i commentatori occidentali forniscono "notizie dal campo"
tutte le notizie dalla parte avversa sono "non confermate"
tra le quali ci mettono di tutto, dalle bugie, alle paure della
gente, alle false atrocità... Ogni tanto dispacci di agenzia
sconfessano le notizie non confermate, ma è troppo tardi, dove c'era
il fumo -pensa la gente – ci dev'essere un po' di arrosto. Un
esempio: il 27 Aprile 1999 il Ministro della Difesa tedesco Rudolph
Sharping mostra al mondo le foto di un massacro, come prova
dell'ennesima mattanza serba contro civili e aggiungendo particolari
agghiaccianti su come le vittime sarebbero state uccise. Verrà
sconfessato, poichè le foto risultarono essere le stesse diffuse
dall'esercito Jugoslavo tre mesi prima, come documentazione
(confermata) di un'operazione antiguerriglia avvenuta il 29 Gennaio
1999 nel paesino di Rogovo. Armi e divise UCK erano sparite dai
"ritagli" di Scharping, e la stampa darà ben poca eco
alle smentite.
5)
Le
conferenze stampa si svolgevano di solito in questo modo: uno speaker
dirigeva lo show, selezionava le domande, dava le risposte
preconfezionate e nessuno viene mai colto di sorpresa, c'è sempre
una risposta eloquente per tutto, dopo di ché lo speaker tronca: "il
prossimo"! Dal 24 marzo in poi, nel corso delle conferenze
stampa ufficiali, i rappresentanti della stampa libera non hanno mai
fatto domande approfondite sul trattato di Rambouillet, non hanno mai
messo in dubbio la legalità dell'azione NATO, non hanno mai chiesto
conto delle sue vere motivazioni o dei suoi effetti destabilizzanti.
Quando vengono mostrate loro foto o riprese video di "fosse
comuni" (riprese da grande altezza, con le sepolture
accuratamente allineate in fila una per una, proprio c ome nei
cimiteri normali!) o di bersagli bombardati, di cui viene detto loro:
"Questo è un deposito di munizioni, questa è una base
militare, etc.", nessuno di loro chiede mai: "Come facciamo
a essere sicuri che lo è davvero? Dalle immagini non risulta ch e
obiettivi sono..."
(Tutte dichiarazioni raccolte dal
Centro Italiano per la Jugoslavia)
La
notte ra il 19 e il 20 Marzo 2003, allo scadere dell'ultimatum con
cui George Bush intimava a Saddam Hussein di lasciare l'Iraq per
scongiurare "una guerra altrimenti inevitabile" i
telespettatori di tutto il mondo assistettero in diretta ai primi
bombardamenti su Bagdad con giornalisti che facevano le loro eccitate
telecronache ammassati con le telecamere sulle terrazze degli
alberghi al di là del fiume. C'è da dire che già da tempo il
presidente Bush Jr. Aveva messo in atto una strategia mediatica per
convincere gli alleati ONU a partecipare all'aggressione
mascherandola come estrema difesa contro armi di distruzioni di massa
(che commissioni specializzate avevano già definito inesistenti)
movimenti di truppe e carri armati (che i satelliti russi avevano
smentito). Storico l'intervento di Colin Powell presso l'ONU dove
mostrava una fialetta con una polverina bianca che definiva antrace,
e grafici che illustravano inesistenti depositi d'uranio, di
arricchimento, con mezzi che trasportavano materiale fissile.
Malgrado lo spiegamento dei mezzi di persuasione però si produsse
una spaccatura all'interno stesso del Consiglio di Sicurezza e solo
una massiccia campagna di pressioni fece scendere in campo
l'Inghilterra (schierata dal primo momento con gli USA), la Spagna
(che si ritirerà quasi subito) l'Italia e altri stati che ambivano
ad entrare nell'Unione Europea e percorsero la strada dello scambio.
In tre settimane l'esercito ben equipaggiato annullò le stremate
forze irachene ed entrò in Bagdad. La propaganda aveva detto che il
popolo iracheno avrebbe accolto a braccia aperte gli invasori lieti
della fine di un regime repressivo, e invece solo qualche ragazzino e
qualche curioso. Qui avvengono due episodi televisivi che dovrebbero
far riflettere: prima di abbattere la grande statua di Saddam gli
americani gli coprono la faccia con una bandiera a stelle e strisce e
questo raggela il mondo, ma solo per pochi minuti, la bandiera verrà
sostituita con una irachena e le immagini spariranno per sempre. Il
secondo episodio avviene dopo qualche giorno dall'invasione. Le
televisioni danno l'annuncio di un aereo americano abbattuto dalle
forze irachene e di due piloti che risultano dispersi lungo il fiume.
Gli iracheni si armano con quel poco che è rimasto e corrono in
massa sulle rive del fiume e sparano in acqua , tutti, ad ogni
ondeggiare dell'acqua, alla faccia del popolo che avrebbe accolto a
braccia aperte gli americani. Da ricordare invece la gag tragicomica
del ministro dell'informazione di Saddam Hussein, MohamedAl Sahaf che
in diretta alle televisioni occidentali dichiarava che Bagdad non era
caduta mentre andava in onda il rumore dei cingolati che passavano
alle sue spalle.
Anche
questa più che una guerra combattuta è una guerra raccontata dagli
alberghi e dai giornalisti embedded.
Non si vedono i carri
armati- carterpillar che seppelliscono vivi centinaia di soldati
iracheni che si sono illusi di fermare i mezzi corazzati scavando
trincee. Non si vedono i tiri al bersaglio sui vecchi carri armati
iracheni non idonei a quella guerra, non si vedono le stragi di
soldati e civili con bombe guidate da una tonnellata (e dal costo di
un milione di dollari) l'una, non si vedono viveri di supporto alla
popolazione alla fame lanciati dagli aerei con le stesse confezioni
gialle delle bombe cluster con le mine antiuomo, non si vedono le
stragi di bambini vittime di quelle mine.
Il 1
Maggio si vede solo il presidente Bush che con grave sprezzo del
ridicolo (lui forse riformato, forse imboscato al servizio militare)
scendere sulla portaerei vestito da pilota e dichiarare finita la
guerra. Che finita non è, ma ci ha lasciato le immagini stereotipate
della guerra degli americani così come le avevamo viste dei film in
bianco e nero. L'avanzata degli eroici marines, gli accampamenti
ordinati, il vento del deserto, la cattura di Saddam in una buca,
tutto sfatto e con la barba incolta, i video con le bombe
intelligenti, i breefing dei colonnelli, le visite di Bush che mangia
alla mensa dei soldati, ma la prima volta che saltano fuori le
immagini delle bare dei soldati americani morti, riprese dai
telefonini, è uno scandalo che torce le budella del paese. E lo
stesso con le immagini delle torture ai prigionieri. Sempre coi
telefonini, il nuovo mezzo rapido d'informazione: le foto sono
digitali ed è facile trasformarli in un codice adatto al Web e da
qui alle televisioni ed ai giornali, invertendo per la prima volta il
flusso delle notizie che non sono più unidirezionali.
I
militari comunque hanno capito che la comunicazione serve a fare la
guerra che la vince chi la racconta meglio.
Roberto
DI NUNZIO, consulente per le strategie della comunicazione e delle
relazioni internazionali, docente di Analisi dei media e di Tecniche
sociali dell’Informazione presso la Link Campus University of Malta
di Romanel suo: "‘Cyberwar - la guerra dell’Informazione’,
Le nuove guerre" rileva: «...come la potenza di un esercito non
sia più determinata solamente dalla capacità di mobilitazione,
dalle risorse economiche, tecnologiche e industriali o dalla capacità
e precisione di fuoco, ma anche dalla capacità di controllare la
percezione dell’informazione e la rappresentazione degli eventi.
Per dare senso all’azione diventa indispensabile, all’interno e
all’esterno di un conflitto, rappresentarla, ricostruirla con una
copertura mediale globale che influenzi tutti i possibili attori o
recettori» e gli americani, con la seconda guerra del golfo avevano
affinato tutte le tecniche necessarie, purtroppo con un clamoroso
punto debole: il presidente Bush che sbagliò clamorosamente tutta la
comunicazione perchè resosi conto di non aver l'appoggio mondiale
come suo padre, reagì con l'arroganza della potenza egemone,
parlando solo agli americani, dimenticando gli alleati al di là
dell'oceano che peraltro erano anche i più vicini all'Islam e alle
sue probematiche avendo per secoli negoziato, mediato, e fatto affari
con esso. I risultati furono non solo all'interno del Consiglio di
Sicurezza ma in tutto il mondo prese piede e si organizzò uno dei
più potenti movimenti pacifisti di tutti i tempi che grazie alla
televisione satellitare riuscì adorganizzare una manifestazione di
piazza globale, con i telegiornali di tutto il mondo che per
ventiquattro ore mandarono in onda le immagini della gente che
acendeva in piazza a manifestare con la scansione del fuso orario.
Una nota di colore fu che tutte le manifestazioni di piazza del mondo
quel giorno furono baciate da una radiosa giornata di sole. Non
piovve in nessuna località mandata in onda, dando la sensazione di
una manifestazione, gioiosa, solare serena come una passeggiata
all'aria aperte.
Ma nel
breve periodo questo movimento pacifista globale non servì a molto,
contro
una retorica manichea che fece leva sugli americani con concetti
biblici come il Male, rappresentato dal nemico da combattere con le
forze del Bene, cioè americane, la guerra venne chiamata con enfasi
biblica prima di prendere un nome definitivo senza echi apocalittici
e religiosi. Bush si mostrò convinto che l'America fosse l'unica
speranza rimasta per liberare il mondo dal Male e lui, che ogni
mattina ascoltava Dio che gli parlava, era convinto di essere il
giusto mandante per questo immane compito. Verrebbe da dire: Got mit
Uns, per l'autoelevazione dell'america al ruolo di "Guardiano
della democrazia in questo mondo".
«Bush
ritiene che il nostro paese stia diventando sempre più dissoluto, e
che l’unica soluzione possibile – parole terribili, possenti e
quasi sacre – sia quella di lottare per il predominio del pianeta.
Dietro alla frenesia di dichiarare guerra all’Iraq si nasconde il
desiderio di instaurare una robusta presenza militare nel Medio
Oriente, che possa servire da trampolino di lancio per impadronirsi
del mondo intero» (Norman Mailer, Perchè
contesto il presidente ).
Malgrado
il fiume di parole e di menzogne, il mondo ebbe l' impressione che si
fosse scatenata una guerra in attesa di trovarne le ragioni.
«nessuno,
dai tempi di Lyndon Johnson in Vietnam, aveva sperperato tanto, in
vite umane, danaro pubblico, retorica e prestigio dell'America, per
ottenere così poco» (Vittorio Zucconi, La Repubblica 2004)
Eppure,
secondo gli americani, la guerra la stavano vincendo e Bush aspettava
solamente i risultati sul campo per riguadagnare percentuali
dignitose di consenso, ma invece arrivarono ancora una volta i
telefonini e il Web mandò in giro per il mondo le immagini dei
soldati americani che torturavano e deridevano i prigionieri di
guerra ad Abu Ghraib. L'esercito americano che aveva la presunzione
ideologica di guidare il mondo per riportare la democrazia in quelle
terre, fu sorpreso con le mani nella marmellata e il poco
"rivestimento morale" che teneva insieme quella che il
mondo sapeva essere un'occupazione armata per insediarsi sul
territorio e sfruttare i giacimenti, andò a farsi benedire. Un po'
come se una pattuglia della polizia avesse puntato il suo faro su un
uomo in clergyman che stava rapinando il benzinaio.
°
ROBERT FISK del Los Angeles Times in
un suo recente articolo scriveva:
Mi sono accorto a quale enorme
pressione sono sottoposti i giornalisti americani nel medio Oriente
quando sono andato a salutare un collega del Boston Globe. Egli era
ben contento di andarsene perché - ed era uno dei motivi principali
- nei suoi articoli non doveva più forzare la verità per compiacere
i lettori più esigenti del suo giornale.
“Per esempio
quando ho definito il Likud un “partito di destra, subito l’editore
mi ha chiesto di non usare più quell’espressione, perché molti
lettori avevano protestato. E allora? Bastava non chiamarlo più
‘partito di destra.’' … Così imparai che questi ‘lettori’
erano considerati dalla redazione del giornale amici di Israele, però
mi risultava anche che il Likud, con Benjamin Netanyau, era proprio
un ‘partito di destra’ come lo è sempre stato.
Non è il solo “aggiustamento
semantico” del conflitto (guai a pronunciare la parola guerra) tra
Israeliani e Palestinesi. Gli insediamenti illegali di ebrei, e solo
di ebrei, nel territorio arabo erano chiaramente delle “colonie”
e così sono sempre stati chiamati finchè I quotidiani hanno
cominciato ad usare la parola “insediamenti” rispolverata al hoc,
perchè prima era considerata sconveniente, tanto che al suo posto
veniva usata la parola “periferia ebrea” o, in alcuni casi,
‘avamposti’. Così come quelli che nelle primissime cronache
venivano definiti come “territori occupati” ora erano diventati
“territori palestinesi contesi” così come scrivevano le
ambasciate americane in Medio Oriente, su istruzione di Colin Powell.
Il “muro”, è l'imponente
costruzione di cemento il cui scopo, secondo le autorità di Israele,
è quello di impedire agli attentatori suicidi palestinesi di mietere
vittime innocenti fra la popolazione civile israeliana. Il suo
tracciato però non segue i confini di Israele nel 1967 ma penetra
profondamente nei territori arabi. E' un muro, e lo si può vedere
nelle farie foto che girano sul Web. Ma I giornalisti americani ed
israeliana lo chiamano “fence” steccato, recinto di sicurezza,
barriera di sicurezza. Anche se la barriera di cemento armato ò più
alto del muro di Berlino...
Scrive Robert Fisk;
L’effetto semantico di questa
operazione di depistaggio giornalistico è chiaro. Se il territorio
palestinese non è più terra occupata ma oggetto solo di una disputa
legale che può essere risolta nelle aule di un tribunale o in una
discussione all’ora del tè, allora un ragazzo palestinese che
lancia sassi contro i soldati israeliani in questi territori è uno
che, chiaramente, non si sta comportando in modo corretto. Se una
colonia ebrea costruita illegalmente in territorio arabo viene
definita amichevolmente ‘periferia’, allora i palestinesi che
osano attaccarla stanno compiendo un atto terroristico senza senso.
...
E naturalmente non c’è motivo di
protestare contro uno ‘steccato’ o ‘una barriera di sicurezza’,
dal momento che si tratta di parole che evocano lo steccato di un
giardino oppure l’entrata di un complesso residenziale privato
recintato. Così se i palestinesi protestano violentemente contro
questi manufatti allora vengono automaticamente considerati delle
persone generalmente malsane. E così, semplicemente con l’uso
della nostra lingua, li condanniamo.
Queste sono regole non scritte che
vengono seguite in tutta la regione. I giornalisti americani hanno
usato spesso le stesse definizioni dei funzionari USA nei primi
giorni di guerra in Irak, definendo coloro che attaccavano gli
americani ‘ribelli’, ‘terroristi’ o ‘ultimi seguaci’
dell’ex regime. I giornalisti americani hanno adottato
obbedientemente, e grottescamente, pari pari il linguaggio del
secondo pro-console USA in Irak, Paul Bremer III.
La televisione americana, intanto,
continua a presentare la guerra come una contesa senza spargimento di
sangue in cui gli orrori del conflitto, corpi mutilati dai
bombardamenti aerei, cadaveri strascinati nel deserto dai cani
selvatici, non vengono minimamente rappresentati in TV. Gli editori
di New York e Londra si preoccupano che la sensibilità dei
telespettatori non venga ferita, che venga loro risparmiata la
‘pornografia’ della morte (ciò che è esattamente la guerra) e
che i morti, che noi abbiamo appena ucciso, non vengano ‘disonorati’,
facendoli vedere. Il modo schizzinoso con cui vengono trattati gli
atti di guerra la rendono più facile da sopportare e i giornalisti
da lungo tempo sono ormai diventati i complici del governo nel far
accettare dai telespettatori la morte e il conflitto. I giornalisti
televisivi sono così diventati una arma letale in più della guerra.
….
La BBC
ha inviato un comunicato in cui
invita i suoi giornalisti a non esprimere giudizi o commenti sui
fatti che accadono nel mondo. Questo, spiega Richard Sambrok
direttore dell'emittente televisiva britannica, per salvaguardare la
reputazione di servizio pubblico d'informazione imparziale.
Piu' volte il primo ministro Blair ha contestato servizi della Bbc perche' raccontavano troppo la verita'.
Piu' volte il primo ministro Blair ha contestato servizi della Bbc perche' raccontavano troppo la verita'.
….
Nessun commento:
Posta un commento