MURI
E MURAGLIE
Non
so che fine hanno fatto gli abitanti di via Anelli a Padova, quelli
che hanno eretto un muro per circoscrivere un nucleo di persone
provenienti da paesi extra comunitari. Le cronache non ne hanno più
parlato, come su tutto si fosse compiuto. Certamente non sarà
cresciuto il loro senso di sicurezza, e nemmeno diminuita la loro
ansia. Certamente sono convinti di aver tracciato un confine tra loro
- il mondo giusto e non inquinato - dai barbari.
Eppure
basterebbe leggere la Storia, da Gerico al Vallo d’Adriano, alla
Linea Maginot, al Muro di Berlino e quest’ultimo di Gaza eretto da
Israele, per capire che i muri, le muraglie non sono mai serviti a
nulla, se non a tentare di tracciare questa linea di demarcazione tra
i noi e i loro e separare due mondi. Inutilmente. Poi ci sono i muri
ideologici erano le arti, le congreghe, le camarille, le logge, gli
albi professionali, i gruppi massonici, oggi sono il colore della
pelle, il taglio dei capelli, e tutto ciò che alla vista suona
diverso in greco Xeno, che fa paura, in greco phobos. Da qui:
xenofobo.
Ma
ripassiamo per un attimo quello che abbiamo visto fino ad ora.
Abbiamo
detto che ad un certo punto, a causa probabilmente di una innovazione
tecnologica ( i primi barbari scesero cavalcando con morso e staffe)
entrano nelle sacre cattedrali dove gesti antichi hanno
cristallizzato nel tempo la nostra cultura facendocela apparire
inamovibile, e senza nessun rispetto per la sacralità dei gesti
dovuti, scompigliano tutto dando scandalo.
Successe
dopo la caduta dell’impero romano, che orde di barbari entrassero
nelle cattedrali e violentassero suore su altari dopo averne cosparso
il marmo con le ostie consacrate. Successe pero’ che alcuni invece
si soffermarono a rimirarne le bellezze per tentare poi di riprodurle
nei loro paesi, con scarsi risultati, a prima vista, perché le
altissime pareti che erigevano erano troppo sottili e fatte coi
mattoni invece che con le pietre massicce. Ma i barbari inventarono
il gotico e allora cambiarono tutto il concetto di architettura.
Mi
spiego?
Vi
ricordate? Avevamo parlato dei viticultori, questi antichi eredi di
ducati o contee che se ne stanno appollaiati nelle ville sulle cime
delle loro colline piene di vitigni, antichi come loro, che fanno
vini che vengono catalogati da maestri con voli pindarici di
descrizioni che non capisce nessuno, producendo prodotti quasi
inaccessibili…
Ecco,
un giorno arrivano i soldati americani e se ne tornano in America con
qualche tralcio di vite, e approfittando di una novità tecnologica
che è l’aria condizionata, scoprono che la vite germoglia in
qualsiasi punto e che il trucco sta nel tenere la temperatura
costante in cantina per la fermentazione del mosto. Capita così che
se passate per Napa Valley in California, e vi fermate a sorseggiare
il loro vino, scoprirete che laddove dalle nostre parti il vitigno
era sostenuto da legni particolari, legato con vegetali specifici, e
nei solchi del terreno il contadino ci faceva crescere piante
speciali per aromatizzare, qui in mezzo al deserto con vitigni tenuti
insieme col filo di ferro, botti nuovissime, bolliture e altre
scandalose manovre, fanno un vino che non avrà i quarti di nobiltà
di quelli europei, ma ne vendono molto ma molto di piu’, ed è
buono!
Sto
divagando.
In
realtà in questa conversazione volevo toccare il tema della
comunicazione ( e ti pareva!) perché i muri che erano stati eretti
per oltre un secolo, con il giornale che a mosaico metteva in una
pagina tutto l’estratto del mondo che ci immaginiamo, mentre
giornalisti iscritti ad un albo (di origine fascista) erano gli unici
depositari di una tecnica che permetteva loro di discernere il grano
dall’oglio e di propinarci la loro “Verità Rivelata Quotidiana”,
una innovazione tecnologica – INTERNET – li ha rasi al suolo.
Il
Mc Luhan diceva che leggere il giornale la mattina era come
immergerci in un caldo bagno di schiuma delle nostre proprie
convinzioni. Ed era così, perché ognuno comprava il giornale che
RAFFORZASSE le opinioni che già aveva del mondo, della politica, del
sistema ecc. anche se i giornalisti in fondo avevano ampiamente
dimostrato di essere ben lontani dai cavalieri duri e puri
dell’informazione ma che piuttosto erano loro ad inquinare le
notizie frammentandole con le loro opinioni che la maggior parte
delle volte erano eterodirette dal direttore o dall’editore.
Oggi
però molte persone non comprano UN giornale, ma con lo stesso prezzo
possono leggere TUTTI i quotidiani che vogliono, non solo, ma possono
interagire col giornale non solo correggendo notizie apparentemente
oscure o frammentarie, ma fornendo agli stessi giornalisti link per
andare a quel paese ad aggiornarsi ( si intende un paese estero dove
di solito l’informazione è meno inquinata). Il giornale non ci
perde, rimanendo on line perché alla minor credibilità e di
conseguenza a minori copie vendute, il profitto dell’azienda
prospera attraverso i gadget che il giornale fa vendere.
Per
ora.
Ma
tutto è in movimento, e coloro che manipolano la comunicazione non
sono contenti che una elite di nuovi e giovani intellettuali (è una
nuova elite intellettuale, formata dal nuovo media, elite solo per
ora, perché si espande in modo esponenziale) possa dissentire in
modo virtuale perché si affacciano già nel Web nuovi personaggi
(Beppe Grillo, Di Pietro, Barak Obama) in grado di far emergere il
consenso dagli impalpabili vicoli virtuali e riversarlo nelle piazze.
Da
qui una lotta, sottile e sotterranea che ci vede impegnati…
°
Sociologi
e filosofi dibattono oggi sulla identità nazionale,
sull'appartenenza, sull'individuo reale o virtuale, nel tentativo di
spiegare come il fenomeno Internet abbia modificato i nostri
comportamenti individuali e collettivi. Non essendo queste scienze
esatte, la discussione di protrarrà ancora per anni senza che alcuno
riesca a portare argomenti decisivi. Pure io entro in questo
dibattito sicuro di portare solamente un'opinione che vale per quello
che è, appunto un'opinione. Io condivido col McLuhan la convinzione
che se si vogliono trovare soluzioni diverse occorre partire da
diversi presupposti, un po' come: è nato prima l'uovo o la gallina
che egli risolse in modo brillante affermando che la gallina altro
non è che l'espediente inventato dall'uovo per diffondere altre uova
sul territorio. Allo stesso modo, secondo me, occorre accettare per
presupposto che il Medio Evo sia finito con l'invenzione della stampa
a caratteri mobili che con i libri dal contenuto e prezzo omogeneo,
aveva diffuso una lingua omogenea facendo nascere il nazionalismo.
Occorre
soffermarci sul concetto di identità che oggi viene definita come
coscienza di sé, che razionalmente sa distinguere il sé medesimo,
insieme al noi di cui acquisiamo la consapevolezza attraverso le
affinità, il vissuto, la storia, in rapporto con gli altri che sono
culturalmente diversi.
L'uniformarsi
della lingua attraverso la stampa su un territorio definito, fece
proliferare scuole che insegnavano quella stessa lingua con la quale
si amministrava lo Stato, la giustizia, la legge. Se questo discorso
del McLuhan è accettabile per esempio in Germania, dove la Bibbia di
Gutemberg insegnò a milioni di contadini a leggere attraverso la
parola del loro Dio, altrettanto non si può dire della
cattolicissima Italia dove non solo era proibito leggere la Bibbia,
pena il rogo, ma con la caduta dell'Impero Romano e l'impraticabilità
delle strade, le comunità si erano concentrate in città fortificate
dentro le quali il popolo analfabeta continuava a parlare i propri
dialetti. Dall'identità romana si passò all'identità cristiana e
poi cattolica e a quella del proprio gonfalone. In questo contesto
l'identità si formava prevalentemente attraverso la consanguineità
dovuta all'istituto del matrimonio che era irreversibile. Attraverso
di essa si eleggevano le affinità con il gruppo familiare e quando
si incontrava l'anima gemella la si proponeva al gruppo dei
consanguinei che ne mettevano alla prova le affinità prima di
accettarla nel proprio gruppo. Questa nuova coppia, che si sceglieva
ed era approvata per affinità, procreavano una generazione
successiva di consanguineità e via così.
Quando,
arrivati ai giorni nostri, la società diventò più fluida (liquida,
direbbe Bauman) e si scoperse per esempio che il matrimonio non era
qualcosa di unito in cielo come diceva il prete e che poteva
sciogliersi in terra, non solo ci si avventurò in nuove unioni, ma
gli individui diventarono esageratamente prudenti prima di contrarre
legami indissolubili. Al solido ponte del matrimonio, che univa la
sponda del presente con quella del futuro ben delineato e definibile,
si finì per preferire il traghetto della convivenza all'insegna del:
“vediamo un po' come va”, dell'unione con la condivisione dei
mezzi per attraversare il fiume in piena della vita dove la sponda
opposta è immersa nelle nebbie.
Bisogna
partire da qui per interpretare il fenomeno Internet perché come
diceva il McLuhan, le nuove tecnologie rafforzano quello che siamo
già.
E
se oggi alle relazioni preferiamo i contatti, meno impegnativi, che
possono essere interrotti senza complicazioni, se abbiamo mille amici
su Facebook ma non conosciamo il nome di battesimo del nostro vicino
di pianerottolo, non sono questi i fenomeni generati dal mezzo, ma
sono quello che il mezzo ha accelerato.
Per
seguire questa conversazione occorre tener presente la Napoli in
bianco e nero dei film di Totò o di Marotta, poi anche De Sica a
colori con Sofia e Marcello e anche Manfredi di Operazione
San Gennaro.
Ormai il cinema ha sostituito il teatro nella rappresentazione della
memoria e anche con alcune imperfezioni dovute ai registi, rende
l’idea del passato. Imperfezione, dicevo, perchè noi non siamo
responsabili di quello che dalla nostra memoria va perso, di quello
che viene recuperato nella sua integralità o riproposto con le
modifiche della modernità, forse dipende dal caso o dalla fantasia
degli artisti, ma non è di questo che volevo parlare. Dicevo invece
che nelle immagini dei film che vi ho proposto si vede una Napoli che
rappresenta in qualche maniera com’era la società che viveva nelle
città del primo dopoguerra. I nobili vivevano ai piani alti dei
palazzi, sotto stavano quelli che una volta erano i servitori e che
sono diventati artigiani. Nel cortili del palazzo c’è il portiere,
il ciabattino, il barbiere, il sarto e dalle case che si affacciano
sulle stradicciole qualcuno si improvvisa commerciante. Il nobile
decaduto attraversa la strada con l’attenzione passiva del popolo,
qualche volta con antico rispetto. I nuovi malavitosi vivono nel
quartiere e sfoggiano segni di un pacchiano benessere che saranno i
modelli per le nuove generazioni che non hanno altri esempi a cui
attingere. Tutti coabitano nello stesso ambiente e tutti sono
partecipi dei problemi o della felicità di tutti. In poche parole
tutti SOCIALIZZANO che oggi è un termine in disuso e quindi vediamo
di recuperare alcune definizioni (la definizione è parte della
sostanza). Se chiedete al sociologo, vi dirà che essa è la
trasmissione e l’interiorizzazione dell’insieme dei valori di
quella comunità, che inizia con la scuola e all’interno della
famiglia per poi continuare in modo meno intenso ma più diffuso
quando l’individuo entra nel vero e proprio tessuto sociale, col
lavoro, il matrimonio i figli, continuando una catena di trasmissione
di valori morali che forma(va)no la tradizione. Io ci aggiungo il
socializzare inteso come amore, affetto, fiducia e mutuo soccorso
dove ad ogni azione non corrisponde un corrispettivo in denaro. Siamo
in una fase propedeutica e quindi faccio esempi pratici. Vi si rompe
un tubo dell’acqua. Prendete la guida telefonica che vi hanno
fornito quando vi siete abbonati al servizio, chiamate con uno scatto
alla risposta un locale un’officina, un laboratorio dove un
titolare paga l’affitto per espletare il proprio lavoro e dite ad
una segretaria, pagata per rispondere al telefono, di mandarvi un
idraulico. Quello monterà su un furgone preso con il leasing, si
sposterà per la città e verrà a fare la riparazione ed emetterà
una fattura. Tutto questo andrà ad aumentare il PIL, Prodotto
Interno Lordo, che ad intervalli regolari viene misurato per
verificarne con soddisfazione la crescita.
Se
si rompeva il tubo alla signora Maria, invece, si affacciava alla
finestra per cercare qualche bimbo conosciuto ed individuato il
figlio della lattaia, lo pregava di andare dal portiere del numero
dodici a dirgli se poteva venire per una riparazione. Il signor
Giovanni, il portiere in questione, nell’intervallo del suo lavoro
andava a casa della signora Maria e le riparava il tubo. La signora
nel frattempo aveva fatto le melanzane e gliene dava un bel piatto da
portare alla famiglia per la degustazione, con sommo orrore degli
economisti, e dei nostri governanti che in tutta quell’azione non
riscontravano il passaggio di danaro e quindi non saliva il PIL.
Ma
c’è di peggio: se uno affama la famiglia per comprare l’auto con
cui incrementa l’inquinamento atmosferico della città con
conseguenze dannose per la salute e va a sbattere contro un’altra
auto riportando ferite che lo obbligheranno alla sedia a rotelle
mentre la macchina ha bisogno del carrozziere, tutto questo verrà
registrato come incremento del PIL cioè del nostro benessere e della
nostra felicità mentre in questo caso è vero il contrario.
Tornado
all’argomento che stiamo trattando, in quella società precedente
l’epoca consumistica nel tessuto sociale si potevano riscontrare
alcune cose che si sono perdute, per esempio la condivisione dei beni
e dei servizi all’interno della famiglia, la solidarietà ed il
mutuo soccorso con vicini e conoscenti e la cooperazione a progetti
di vita con gli amici.
Nella
società a benessere crescente, succede che i figli, quando crescono,
giustamente se ne vanno. Se prima le donne di campagna andavano a
servizio in città dalla parente o nella ricca famiglia di
conoscenti, se i maschi andavano a fare gli apprendisti in qualche
officina gestita da amici, ora dove vanno i giovani non trovano
nessun supporto affettivo e tutti i servizi di cui hanno bisogno sono
a pagamento. Non solo, ma le famiglie colpite da improvviso benessere
si trasferiscono in quartieri dove si trincerano in ghetti dentro i
quali si riconoscono con i nuovi arricchiti. Il nobile decaduto vende
il palazzo e si trasferisce nella casa in campagna mentre la società
immobiliare che compra trasforma il palazzo in appartamenti da
vendere a nuovi arrivati. In pratica il territorio viene ceduto a
sconosciuti che a loro volta hanno lasciato il luogo dove
socializzavano e che qui si trasformano in egoisti, solitari,
egocentrici consumatori, che come unica comunità che conoscono è
quella del supermercato e dei centri commerciali, assolutamente privi
di legami sociali, abitanti ideali dell’economia di mercato sognata
dagli economisti che sognano un’inarrestabile crescita del PIL.
Economia
morale -
la definisce Zygmunt Bauman, il sociologo che più di altri ha
studiato questi fenomeni contemporanei - e continua:
E’
perchè l’economia morale na scarso bisogno del mercato che le
forze del mercato si levano in armi contro di essa.In questa guerra
viene impiegata una duplice strategia.
Primo,
mercificare quanti più aspetti possibili dell’economia morale
indipendenti dal mercato e riforgiarli come elementi di consumo.
Secondo, qualunque cosa resista a tale mercificazione viene
considerata irrilevante per la prosperità della società dei
consumatori.
In
una società addestrata a misurare i valori in base al cartellino del
prezzo, più un oggetto costa e più a valore, le cose che non
costano nulla ma con alto contenuto morale, non sono ufficialmente
accreditate come fonte di benessere per l’umanità.
Sto
tracciando un quadro a grandi linee. Mi rendo conto che la situazione
è molto più complessa, ci sono dinamiche molto più eterogenee, ci
sono processi sociali che come quelli industriali, ad ogni nuovo
procedimento produttivo generano scarti, che ora sono impercettibili
come fiocchi di neve ma che nel tempo provocheranno valanghe.
Continuiamo
quindi il nostro ragionamento tenendo presente che sotto traccia,
silente ma inesorabile, ci sono gli scarti umani di qualsiasi
procedimento economico e il bisogno di solidarietà che spinge le
persone a socializzare, malgrado tutto.
VISITARE
GLI AMMALATI
Quanto
tempo è che non lo fate? Non intendo accudire qualche parente
infermo, ma dar da bere agli assetati, consolare gli afflitti,
visitare gli ammalati... eppure sono cardini della carità cristiana.
Nessun rimprovero da parte mia, me ne guarderei bene! Sottolineo come
non rimorda in alcuna coscienza questa mancanza fisica di mutuo
soccorso perchè l’abbiamo sostituita con l’adozione a distanza,
un Euro per la ricerca, un sms per i terremotati e altri palliativi
virtuali.
Eppure
se ci voltiamo a guardare le macerie della nostra vita sociale ci
accorgiamo che il fenomeno è impercettibile ma si accumula negli
anni come la deriva dei continenti. Cominciò dalle case, che non
furono più quella lasciata daI nonnI da ristrutturare ampliare per
farci una stanza dei bambini, o quella comprata dalle vecchie zie.
Con il primo benessere la casa fu quella comprata altrove, in un
altro quartiere dove la struttura, il colore, il verde e il prezzo
diventavano una manifestazione esteriore dell’ essere saliti nella
scala sociale. Non erano ancora ghetti con entrate sempre più
piccole e uscite sempre più grandi per far passare i SUV. Quelli lo
diventarono in seguito, quando gli scarti della società lambivano la
vista e non potendo più nasconderli si optò per la tolleranza zero,
impraticabilità degli spazi attigui, muri, guardie giurate
videocitofoni, barriere per le auto...
Scomparve
la “stanza del dolore” quella dietro il corridoio dove giocavano
i bambini ed i grandi andavano a zittirli perchè il nonno è
ammalato. I vecchi non morivano più in casa perchè molto prima
erano stati parcheggiati negli ospizi e la morte e il dolore reale,
era stato sostituito con le decine di uccisioni e sangue virtuale che
la televisione versava ogni giorno negli occhi dei nostri ragazzi che
venivano affidati a governanti arrivate da altri luoghi da altre
culture,che raccontavano ai nostri figli le storie della loro terra,
facendogli perdere quel bene prezioso che è la memoria dei nostri
vecchi...
Si
sono costituite così due tipi di società. Una “alta” isolata
nei propri ghetti che non partecipa alla vita del territorio ma vive
la propria socialità in altro modo: non ha più contatti ma
connessioni che permettono per esempio a professionisti di scambiarsi
opinioni attraverso il Web, e incontrarsi ogni tanto in convegni,
conferenze vacanze pagate da sponsor di cui hanno promozionato le
vendite. L’altra società, quella “bassa” invece lotta per i
problemi del qui ora in questo luogo. E se la percezione della realtà
dei primi è la presa di coscienza che non si può far nulla per
problemi che nascono da luoghi sempre più lontani, gli altri
prendono coscienza del fatto che hanno perso la forza contrattuale
che permetta per esempio di imporre la pulizia delle strade, la
raccolta dell’immondizia, la sicurezza dei luoghi, il
buoncostume...
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