Analizziamo uno dei
principali mezzi di comunicazione di massa secondo il McLuhan:
LA STAMPA
Nota:
L’avvento della stampa e
le conseguenze sulla società moderna è trattato ampiamente dal
McLuhan nel suo “Galassia Gutemberg” che rappresenta il nucleo
centrale della sua più importante intuizione, e lo tratteremo in un
settore a parte.
Qui analizziamo solamente
le interrelazioni della stampa con gli altri media.
Cosa esattamente abbia
inventato Gutemberg è ancora oggetto di confusione: la carta
proveniente dalla Cina era prodotta in Europa da quasi tre secoli,
l’inchiostro a olio col nerofumo era conosciuto dai pittori
fiamminghi, il torchio era usato da secoli per fare il vino e i
caratteri mobili erano già conosciuti in Corea. Aggiungiamo che per
tutto il tardo Medio Evo erano già diffusi fogli stampati con la
tecnica xilografica, che riportavano oltre che immagini sacre, pure
giaculatorie o preghiere. Lo stesso Gutemberg era un orafo e
l’incisione dei caratteri mobili è una tecnica che deriva dal
bulino. E allora, cos’ha inventato Gutemberg? E’ semplice: ha
inventato
il procedimento per
rendere una realizzazione pittorica ripetibile all’infinito, o
almeno fino a quando dura la matrice.
Vediamo di fare un
esempio: poniamo che voi una bella mattina vi mettiate in mente di
inventare un nuovo modo di fare surf. Prendete la tavola, la
modificate, ci aggiungete una vela e il modo di maneggiarla. Avete
inventato il windsurf e ora potete pure brevettarlo incassando le
royalties.
Poniamo invece il caso che
abbiate inventato lo sci nautico: non c’è nulla di nuovo in
questo, basta avere una corda, un motoscafo e un paio di sci.
Chiunque vedrà il procedimento per lo sci d’acqua potrà
riprodurlo senza fatica. E’ questo che portò alla rovina
Gutemberg, il quale con i caratteri mobili non solo ideò un metodo
ma per realizzare la sua idea si associò con un usuraio tedesco che
prima mise nella tipografia alcuni suoi parenti che si appropriarono
della tecnica, poi lo estromisero dall’attività riducendolo sul
lastrico e continuando ad usare il suo nome che a Magonza era
diventato garanzia di qualità.
Sei anni dopo la
costituzione della prima tipografia, il Gutemberg era già fallito,
aveva perso officina e attrezzature ed era tornato nell’ombra, ma
il destino gli aveva riservato l’immortalità attribuendogli la
Bibbia delle 42 linee e altre opere uscite dalla tipografia che
portava indebitamente il suo nome.
Fino ad allora il libro,
che era un manoscritto scolastico prodotto dagli studenti sotto
dettatura, era un oggetto usato che veniva venduto nei mercati che si
tenevano alle porte delle città, come manufatto di seconda mano.
L’impatto con un oggetto nuovo, perfettamente riproducibile in
serie e con un prezzo fisso, portò all’evoluzione di questo
commercio e modificò pure il modo di pensare alla produzione in
serie. La tipografia infatti, per la prima volta, mostrò con la
tecnica dei caratteri mobili, il metodo per meccanizzare qualsiasi
lavoro manuale ricorrendo alla frammentazione e alla segmentazione
dell’ azione totale. Se l’alfabeto aveva assegnato la supremazia
alla componente visiva, con la separazione dei gesti e del suono
dalla parola parlata, con la tipografia il fenomeno raggiunse livelli
d’intensità inediti. E se la xilografia aveva contribuito al
diffondersi di calendari, libri delle ore, preghiere e giaculatorie,
ora non era più il tempo della pietà ma del catalogo, perchè
immagazzinare vuol dire mettere ordine, capire e diffondere
informazioni con una quantità crescente di dati sempre più precisi
fino a creare dentro la pagina scritta un mondo tridimensionale di
prospettive e punti di vista fissi, perchè l’intensa precisione
visiva che deriva dalla stampa è una forza esplosiva che riduce in
frammenti tutto il mondo percepibile.
Se osservate un
bassorilievo scolpito prima dell’avvento dell’alfabeto, o un
bastone o un totem o una zanna d’avorio incisa con figure mitiche,
noterete che, come nella xilografia medievale, non esiste uno spazio
comune e razionale dentro il quale ogni oggetto si inseriva con le
dovute proporzioni. Con l’avvento della stampa questi oggetti
cessano di esistere in uno spazio da essi creato, ma vengono
“contenuti” in uno spazio uniforme, continuo e “razionale”.
Questo non vuole assolutamente dire che la stampa a caratteri mobili
abbia fatto scomparire la xilografia. Anzi, fu proprio la stampa che
diede impulso alle immagini proprio perchè bastano due righe a
spiegare come funziona una bottiglia ma tutte le parole del mondo non
sono sufficienti per descrivere com’è fatta una bottiglia.
Senza le illustrazioni non
è possibile descrivere l’arte, le scienze naturali, la meccanica.
La xilografia e in seguito l’illustrazione si accompagnò alla
stampa tipografica fino ad assumere aspetti autonomi per evolversi
nei fumetti, e in seguito nella bassa definizione della televisione.
La stampa a caratteri
mobili fu la prima meccanizzazione di un lavoro complesso,
l’archetipo di tutte le meccanizzazioni, frammentazioni,
omogeneizzazioni di lavori futuri. L’esplosione tipografica estese
voci e cervelli umani fino ad un abbraccio globale che supera le
tribù, le città medievali, i nazionalismi in un dialogo mondiale
che dal Medio Evo dura tuttora.
E’ curioso notare come
fino alla metà del Seicento, la stampa non suscitò nessuna voglia
di scrivere libri nuovi, ma solo quella di recuperare antichi autori
e persino la loro recentissima storia medievale e qui dobbiamo
riscontrare il primo dei problemi della memoria, e cioè che noi non
siamo in grado nè di controllare nè di modificare in qualche modo
quello che verrà dimenticato, quello che verrà recuperato e
restituito con manipolazioni che facciano diventare “attuale” la
materia trattata, e nemmeno ciò che in nome di una cultura
collettiva, verrà recuperato nella sua integrità. Da qui le
distorsioni e le manipolazioni nel recupero della memoria.
Il McLuhan si stupisce del
fatto che chiunque studi la storia sociale del libro stampato non
abbia individuato gli effetti psichici della stampa, con l’estensione
della facoltà visiva, del punto di vista fisso, dell’illusione
della prospettiva in uno spazio visivo uniforme e preciso. Sul piano
sociale essa generò i nazionalismi, l’industrialismo, la
produzione di massa, l’alfabetismo e l’istruzione universale. Lo
spirito individualistico che spinse autori e artisti a esprimere
l’espressione di se stessi, indusse altri a creare grandi imprese
commerciali e persino militari.
Forse l’apporto più
significativo della stampa sull’uomo medievale fu quello del
distacco e del non coinvolgimento, cioè dell’agire senza reagire
emotivamente, funzione che nell’era elettrica diventa un impaccio
poichè oggi con l’avvento dell’ informatica siamo tutti
emotivamente coinvolti. La tipografia non fu un’aggiunta all’arte
dello scriba così come l’automobile non è un’aggiunta al
cavallo. Come tutti i nuovi media anche la stampa agli inizi fu causa
di equivoci, e non è raro che signorotti facessero comprare libri
stampati per poi farli ricopiare nelle sale dei propri castelli o
monasteri senza capire che il libro stampato era passato dall’essere
un manufatto compilato da studenti, ad un oggetto di massa che
immagazzinava un’immensa memoria collettiva divenendo esso stesso
la prima macchina per l’insegnamento. L’aspetto più
significativo dell’uniformità della stampa fu la pressione
esercitata per arrivare ad una sintassi, ad un’ortografia, ad una
pronuncia unformi e “corrette”. Ancora più notevole fu la
separazione della poesia dal canto. Se prima il manoscritto veniva
letto ad alta voce, ora con il punto di vista fisso era possibile
leggere i versi senza udirli, così com’era possibile suonare gli
strumenti senza che fossero accompagnati dalla parola.
Se nell’era del
manoscritto l’autore era vago e incerto, il suo pensiero forse
originale forse copiato da qualche altro autore non aveva importanza,
come le canzoni eseguite dai menestrelli. Con la stampa invece prese
forma l’equitono, il punto di vista cioè dell’autore, che
parlava ad un pubblico con estrema chiarezza, fuori dalle celle
monastiche agendo e reagendo senza essere coinvolto (E’ questa la
potenza del Rinascimento e del pensiero di tutto l’Occidente).
Senza il distacco
dell’azione dalle emozioni e dai sentimenti, gli uomini sono
incerti ed esitanti, e questo è lo specchio dei nostri tempi.
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