domenica 10 dicembre 2017

MCLUHAN LIBRI

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ALDO VINCENT
vincentaldo@gmail.com

https://www.facebook.com/aldo.vincent









Aldo Vincent
I miei libri li trovate su Amazon.it
http://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_noss?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=aldo%20vincent







Ho pubblicato in E-Book il mio lavoro sul McLuhan, la comunicazione di massa e il villaggio globale spiegato e chiarito 50 anni dopo le teorie del grande pensatore canadese.
Mi hanno suggerito di aprire un gruppo per far conoscere il mio libro e facilitarne la lettura gratis tra gli addetti ai lavori e tecnici ella comunicazione.
Sembra che la condivisione tra gli "amici" aiuti parecchio.
Il Gruppo si chiama MCLUHAN E IL VILLAGGIO GLOBALE
e si trova qui:
E' gradita una visita e graditissimi i vostri interventi.
Grazie


IL MCLUHAN E LA COMUNICAZIONE DI MASSA

Il villaggio celeste oltre la tv: l' ultima ipotesi di McLuhan
di Dario Fertilio

MCLUHAN E L'ORIZZONTE POST-UMANO


Putin immobile al concerto rap: guarda
Il leader russo ospite di una trasmissione: zero balli e mosse
http://video.corriere.it/?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=Dal Mondo&vxClipId=2524_93058af4-d11d-11de-a0b4-00144f02aabc&vxBitrate=300

COME IL MEDIUM MODIFICA IL SAPERE

SPARIRANNO LE CARTE GEOGRAFICHE?


MCLUHAN E LA MASSONERIA


I LIBRI:

Letteratura e metafore della realtà
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore

Gli strumenti del comunicare
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Il Saggiatore

La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore

La cultura come business. Il mezzo è il messaggio
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore

Le radici del cambiamento. Platone, Shakespeare e la Tv
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore

Media e nuova educazione. Il metodo della domanda nel villaggio globale
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore

Percezioni. Per un dizionario mediologico
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore

Dal cliché all'archetipo
Autore: McLuhan Marshall
Editore: SugarCo

Il paesaggio interiore
Autore: McLuhan Marshall
Editore: SugarCo

Il punto di fuga
Autore: McLuhan Marshall
Editore: SugarCo

La legge dei media. La nuova scienza
Autore: McLuhan Marshall - McLuhan Eric
Editore: Edizioni Lavoro

La sposa meccanica
Autore: McLuhan Marshall
Editore: SugarCo

Il villaggio globale. XXI secolo: trasformazioni nella vita e nei media
Autore: McLuhan Marshall - Powers Bruce
Editore: SugarCo

L'uomo e il suo messaggio, le leggi dei media, la violenza, l'ecologia, la religione
Autore: McLuhan Marshall
Editore: SugarCo

La galassia Gutenberg. Nascita dell'uomo tipografico
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore

Dall'occhio all'orecchio
Autore: McLuhan Marshall
Editore: Armando Editore

La città come aula. Per capire il linguaggio e i media
Autore: McLuhan Marshall - McLuhan Eric - Hutchon Kathryn
Editore: Armando Editore

Il Medium è il messaggio
Autore: Mcluhan Marshall; Fiore Quentin
Editore: Feltrinelli 





Un consiglio per gli appassionati: se volete capire Marshall McLuhan come studio propedeutico leggetevi la psicologia della Gestalt, il comportamentismo e il cognitivismo.





Metto on line alcune noterelle sul McLuhan che seguono due pubblicazioni di Guaraldi Editore:

QUESTA NON SONO IO



NEMMENO QUESTO E' UN LIBRO

Poichè questi ultimi due lavori li ho fatti AGGRATIS (cioè l'editore non mi ha pagato una beata fava di nulla) dubito fortemente che pubblicherò con lui un terzo volume. Ma non vorrei che andassero perse le annotazioni che feci a suo tempo.
Sono note sparse, ad uso e consumo di quei pochi curiosi che si interessano ai problemi della comunicazione.

NOTA N.2

Abbiamo inserito con i media elettrici i nostri corpi fisici in sistemi nervosi estesi. Tutte le tecnologie precedenti, che sono protesi delle mani, dei piedi, dei denti, del controllo termico del nostro corpo – le città sono protesi del nomadismo – con l'avvento del computer vengono tradotte in sistemi d'informazione. Lo stesso computer è la protesi del cervello ma a differenza delle altre estensioni dei nostri sensi, esso genera un "campo", che con tutta la tecnologia elettromagnetica, richiede dall'uomo una docilità profonda come quella della meditazione poichè egli si trova ora con il cervello fuori dal cranio ed i nervi fuori dalla pelle. L'uomo deve servire questa nuova tecnologia con la stessa dedizione da servomeccanismo con la quale serviva tutte le altre, come la canoa, il mulino, la stampa a caratteri mobili, e tutte le altre estensioni dei suoi organi fisici. La differenza però è che tutte le altre tecnologie erano frammentarie e parziali, mentre questa elettronica è totale, immediata, istantanea e compatta. L'avvento del Web poi ha fatto sì che il nostro cervello fuori dal cranio sia diventato un punto neuronico collegato ai miliardi di altri punti neuronici sulla superficie della Terra costituendo la massa cerebrale più estesa oggi conosciuta nell'Universo.

Prosegue il McLuhan:

"Queste nuove tecnologie elettriche che estendono i nostri nervi ed i nostri sensi in un discorso globale, possono avere grande influenza sul futuro del linguaggio perchè non hanno bisogno delle parole così come il calcolatore non ha bisogno dei numeri. Sono nuove tecnologie che aprono la strada a nuovi processi della consapevolezza, su scala mondiale e senza bisogno di verbalizzare. Se il linguaggio con la mitica Torre di Babele è stato una tecnologia che ha diviso e frammentato, oggi i computer sono in grado di tradurre un linguaggio o un cifrario in qualunque altro. Una sorta di condizione pentecostale di unità e comprensione totale. E' facilmente prevedibile che la prossima fase non sarà più quella di tradurre ma di superare i linguaggi a favore di una consapevolezza cosmica assai simile all'inconscio collettivo, una condizione di "imponderabilità" che secondo i biologi promette l'immortalità fisica e che potrebbe avere un parallelo in una condizione di averbalismo capace di assicurare un periodo di pace e armonia collettiva.

Aldo Vincent




«L’uomo elettrico è un super-angelo»

Nell’era dell’elettronica la Chiesa sarà costretta a «disincarnarsi» e rafforzerà il senso di comunità

«Viviamo in una situazione globale in cui ogni evento modifica e interagisce con altri eventi. Non in un tempo "remoto", né in un tempo di là da venire, ma "al tempo stesso". In altre parole, ciò che accade oggi interagisce con le cose che avvengono proprio OGGI, non domani». Così il sociologo canadese Marshall McLuhan spiegò, in una conferenza tenuta nel 1959 all'Università di Toronto, la caratteristica fondamentale dell'«"atmosfera del villaggio globale del Ventesimo secolo"». Nato a Toronto nel 1911 e morto nel 1980, McLuhan è noto come uno dei più grandi studiosi dei mezzi di comunicazione di massa. Le sue rivoluzionarie teorie, riassunte in espressioni poi entrate nel linguaggio comune, come «villaggio globale» o «il medium è il messaggio», si fondano sulla convinzione che i media elettronici, in particolare la televisione, abbiano sull'individuo un impatto di portata assai maggiore rispetto a quello dei messaggi che trasmettono. Ancor prima dell'avvento di Internet, McLuhan offrì dunque una chiave di lettura della storia basata sull'evoluzione dei mezzi di comunicazione, divenendo un punto di riferimento fondamentale per i teorici della Rete.
Forse non tutti sanno che questo studioso che seppe anticipare le inquietudini dei nostri tempi era un fervente cattolico, che per tutta la vita non smise mai di indagare sul senso profondo della fede, sui meccanismi che regolano il culto, sull'influenza dei mezzi di comunicazione sulla Chiesa. A illuminare questo McLuhan privato, profondo conoscitore della Bibbia e lettore appassionato di san Tommaso e sant'Agostino, Balzac e Rabelais, Chesterton e Buber, ha pensato la casa editrice Armando pubblicando il volume La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione (220 pagine, 16,00 euro). Curato dal figlio di McLuhan, Eric, e dal sacerdote polacco Jacek Szlarek, il libro raccoglie una serie di testi - lettere, discorsi di conferenze, interviste e articoli - che documentano l'evoluzione del pensiero di McLuhan sulla religione. Un'evoluzione che parte dalla sua conversione dal protestantesimo al cattolicesimo.
McLuhan aveva vent'anni quando, in una lettera, confidò alla madre Elsie come egli fosse perennemente a «caccia di religione». Una caccia motivata da una «propensione precipua della mente a cercare la verità e dell'anima, che ispira la nostra stessa vita, a cercare ciò che le ha dato tale vita». Alla fine egli scelse il cattolicesimo perché fu affascinato da una caratteristica dell'interpretazione cattolica dell'esperienza cristiana: la sua «carnalità». «La "mia" sete di "verità" era sensuale in origine - scrive McLuhan. - Volevo una soddisfazione materiale per la bellezza che la mente può percepire». Solo l'esperienza cattolica, che «non disprezza e non mortifica ingiustamente quegli attributi e quelle facoltà che Cristo si degnò di assumere», poteva rispondere a questo bisogno di una religiosità concreta, fisica, che esaltasse le facoltà che permettono all'uomo di creare il gioco e la filosofia, la poesia e la musica, l'allegria e l'amicizia.
Nel cattolicesimo McLuhan vide l'esemplificazione vivente della sua scoperta più celebre: «Il mezzo è il messaggio». Il messaggio religioso non può essere capito dagli uomini se viene separato dalle sue manifestazioni sensibili, comunicato al di fuori dei dogmi, dei riti, delle immagini dell'arte religiosa, veicoli insostituibili del senso del sacro. «La fede è un tipo di percezione, un senso come la vista, l'udito o il tatto, ed è tanto reale e concreta quanto i sensi».
Lo stesso concetto di carnalità che ispirò la sua conversione al cattolicesimo fu il filo conduttore delle sue riflessioni sui mezzi di comunicazione di massa e sui loro rapporti con la religione. L'età della tecnica, sostiene McLuhan, è una società della «disincarnazione»: «Chi viaggia sul ritmo delle onde magnetiche è in qualche modo nello stesso tempo ovunque. L'uomo elettrico è un "super-angelo". (?) L'uomo elettronico non ha essenza carnale; è letteralmente disincarnato. Ora, un mondo disincarnato come quello in cui ci troviamo a vivere è una minaccia formidabile per la Chiesa incarnata e i teologi non si sono ancora nemmeno degnati di gettare uno sguardo su un simile problema».
Quello che i teologi non hanno capito è che l'avvento di nuovi sistemi di comunicazione non solo riguarda anche la Chiesa, ma fa parte della sua stessa storia, dal momento che la Chiesa è fondata sulla comunicazione di un messaggio: la Parola di Dio. Ma la Parola ha bisogno di mezzi materiali per essere diffusa, e se un tempo questo mezzo era unicamente la Bibbia, parola scritta che ogni fedele poteva vedere con i propri occhi, nell'era del telefono e della radio la potenza di questo mezzo è messa in pericolo.
Nell'era elettronica l'umanità torna a uno stadio pre-alfabetico di vita tribale, in cui «ascoltare è credere». Quando l'alfabeto si trasformò in immagine e l'uomo fu catapultato dall'invenzione della stampa nella Galassia Gutenberg, «vedere era credere». Ma il primato del visivo, sancito dall'invenzione che permise a ogni cristiano di accedere direttamente al messaggio divino, è stato cancellato dall'introduzione del telegrafo, che ha fatto del mondo il luogo del «tutto all'improvviso» e più ancora dalla radio e dalla televisione, mezzi non più solo visivi, come la scrittura a stampa, ma anche e soprattutto uditivi. La trasformazione di un globo di villaggi in un villaggio globale culmina con l'era del satellite - e, diremmo noi, di Internet e delle Web cam, - che ha trasformato il mondo in un teatro globale nel quale la differenza tra spettatori e pubblico viene meno.
In simile contesto, anche la Chiesa dovrà sottoporsi allo stesso cambiamento epocale al quale altre istituzioni si sono già rassegnate, e avviare una «decentralizzazione amministrativa». «Per dirla in termini di tecnologia informatica, stiamo andando verso una cottage economy, dove le più importanti attività industriali possono essere gestite da una piccola postazione personale, collocata ovunque nel pianeta. Vale a dire che i progetti, le attività più importanti e tutto il resto potranno essere programmati da individui dai posti più lontani». Tutto ciò si rifletterà anche sulla Chiesa, la cui struttura burocratica e amministrativa perderà importanza, ma che invece vedrà rafforzato, in un mondo sempre più interconnesso e policentrico, quel senso della comunità che ha sempre cementato la tradizione cristiana: la cultura elettronica è, infatti, una cultura del coinvolgimento totale, che poco spazio lascia al concetto di identità individuale. Grazie all'elettronica, l'umanità è veramente totalizzata e «ognuno simultaneamente nello stesso posto è coinvolto con qualcun altro». Parole che fanno riflettere, in tempi in cui quelle nuove tecnologie destinate a unire il mondo diventano spesso strumenti usati per dividere i popoli.








Due domande
Le tecnologie digitali non innescano rivoluzioni rispetto alla definizione dell’essere umano. Ciò può essere meglio espresso ponendo le seguenti due domande allo scopo di comprendere le soggettività contemporanee: che cosa è l’essere umano? come si è concepito l’essere umano? Ora rispetto alla prima delle due domande, lo scenario mediale attuale non offre particolari e nuove risposte ovvero ci rende unicamente meglio consapevoli dell’assenza di risposte. Infatti, porre la domanda nei termini su indicati significa puntare su una definizione ipostatizzabile (“l’essere umano è…”), una definizione accreditata in virtù di diversi motivi sino all’emergere di una definizione alternativa che, a sua volta, scalzando la precedente, riesce a presentarsi come la definizione ultima. Questa è la modalità di porre le domande e dare le risposte propria alla metafisica occidentale. Ma proprio questa volontà di ergere una definizione valida toto caelo e lo scacco a cui sempre questa volontà è andata incontro, dovrebbero far riflettere a sufficienza sul fatto che la domanda è mal posta e di conseguenza ogni risposta è impossibile a darsi. I tentativi di definizione dell’essere umano non mettono capo a nulla se non al fatto che è impossibile qualsiasi definizione. Una impossibilità dettata non da un deficit di capacità conoscitiva, ma dalla ricchezza della nostra conoscenza. Più conosciamo l’essere umano, più ci accorgiamo che esso non è affatto un’entità fissa e data una volta per tutte (per cui il problema sarebbe quello di trovare la giusta definizione). Ciò che chiamiamo “essere umano” è segnato da confini porosi e mobili, da relazioni costituenti con l’alterità, da un’assenza di essenza immodificabile. In questo senso, l’essere umano ha sempre oltrepassato sé stesso (o meglio le definizioni che hanno cercato di de-finirlo), è sempre stato un oltre-uomo, un post-uomo. Non era affatto necessario attendere l’epoca contemporanea e le sue tecnologie per sapere di questo vuoto pieno che ha alimentato il nostro continuo divenire. L’essere umano non è, diviene e perciò non è riconducibile ad un’etichetta fissa composta da alcune caratteristiche universali.
Oggi le tecnologie ci permettono di comprendere questa apertura costitutiva dell’umano e, dunque, la contingenza storica di tutte le definizioni sinora fornite. Ma così perveniamo alla seconda domanda: come abbiamo compreso e come comprendiamo oggi l’essere umano? Rispetto a questa domanda, al contrario che nel caso della precedente, prendere in considerazione i media è necessario e produttivo. Rispetto a questa domanda, al contrario che nel caso della precedente, è possibile segnare delle fratture nel nostro comprenderci. È dato osservare, infatti, una profonda differenza tra un pensiero dell’umano, legato ai media alfabetici, e un sentire l’umano, legato ai media elettrici.
I media e i sensi
Tale differenza può essere colta riflettendo sul rapporto tra i media e i sensi. Possiamo affermare che storicamente il senso della vista è stato quello maggiormente eccitato e potenziato – anche se l’espansione della funzione di un solo senso è possibile per qualsiasi di essi (tesi, questa, disconosciuta da McLuhan). La tecnologia dell’alfabeto e quella della stampa a tipi hanno contribuito in modo decisivo a questa proliferazione della vista. Eric Havelock e Marshall McLuhan hanno spiegato abbondantemente e definitivamente questo passaggio. L’alfabeto e la stampa a tipi hanno instaurato sistemi chiusi e, quindi, un deciso squilibrio sensoriale: ciò è stato comunque psichicamente e socialmente sopportabile in virtù della lentezza e della limitata dimensione caratterizzanti queste tecnologie. La loro cosificazione del linguaggio, la loro oggettivazione della parola hanno correlativamente fatto emergere il soggetto parlante. Il predominio della vista ha permesso l’emergere, la costruzione dell’individuo occidentale con il suo punto di vista, unico e fisso, sulla realtà a lui esterna. L’individuo costruito, imperniato sul senso dominante della vista è indivisibile, è integro. Gli occidentali hanno sempre sentito come un loro peculiare privilegio questa integrità e, di conseguenza, hanno sempre cercato di preservarla. David H. Lawrence ha scritto: “ci sono sempre quelli che temono per il nocciolo integro in se stessi, per quell’integrità che può venire preservata grazie all’ignoranza o alla religione o alla cessazione del pensiero” (citato in McLuhan, McLuhan, 1988: 154). Il dominio della metafisica, come direbbe Martin Heidegger, trova qui la sua ragion d’essere e l’esposizione più completa dei suoi risultati: si genera a questo punto quella caverna dell’interiorità, quel luogo consacrato dove custodire le essenze o le idee. Platone fu l’iniziatore dell’individuo come soggetto. Egli, pur apparentemente avversando la nascita e la diffusione della scrittura, fu il gran demolitore del tribalismo greco, del teatro mentale dell’emisfero destro in cui imitazione, risonanza, memorizzazione poetica dominavano. Per Platone gli uomini “invece di identificarsi con ciò che dicono, debbono distaccarsene, diventare il «soggetto» che si stacca dall’«oggetto» e lo riconsidera, lo analizza e lo valuta, invece di limitarsi a «imitarlo»” (Havelock, 1963: 45). L’emergere di questo soggetto, con la sua coscienza, segna una divisione interiore profonda e lacerante tra un io attore e un io osservatore, con quest’ultimo posto in posizione di predominio. Il tentativo di Platone era quello di fondare una polis individualizzata. In questo sforzo fu aiutato (o meglio istigato) dall’alfabeto il quale generò un ambiente visivo, fatto di qualunque cosa (dall’architettura alle strade alla pittura) e capace di agevolare il predominio dell’emisfero sinistro o lineare. La diffusione dell’alfabeto, attraverso l’istruzione, permise l’affermazione ad Atene di un nuovo individualismo democratico e competitivo.
Questo carattere individualistico delle istituzioni greco-romane affascinò naturalmente il mondo cristiano, poiché la rivelazione cristiana, con la sua dottrina della resurrezione, s’incentra sulla responsabilità personale di ciascun individuo. Il cristianesimo si lega all’idea di una sostanza del sé metafisica, individuale e indipendente, e la sancisce definitivamente. Addirittura McLuhan arriva a chiedersi se “il Dio che quella cultura [che aveva trovato un senso nelle categorie di Newton, ndr] aveva adorato non era esageratamente a immagine di un certo tipo d’uomo? Non era troppo razionalizzato, una specie di divinità ad uso dei deisti?” (McLuhan, 1999: 73). Il periodo umanistico-rinascimentale segnò l’apogeo dell’individuo, che “sta facendo” (Leon Battista Alberti) e che si pone come “modello de lo mondo” (Leonardo da Vinci). Giovanni Pico della Mirandola, esaltandone la dignità, ne mostra la volontà onnipotente capace di ricondurre a sé e di plasmare il mondo intero.
Nonostante Havelock e McLuhan abbiano individuato e segnalato il momento di emergenza (la Grecia alfabetizzata) e di consolidamento (l’Europa tipografica) di questo soggetto-individuo, in una perlustrazione della cultura postalfabetica, elettrica, digitale non mancano le circostanze in cui si rinviene la persistenza di una simile concezione del soggetto. Già in un apripista dell’era dei computer, dell’era cibernetica, quale è stato Norbert Wiener, è dato ritrovare quella che può essere descritta come una costante della modernità, proprio di quella modernità che ha creduto nella scienza e che si è ritrovata, anche in virtù dell’impresa scientifica, a credere nell’individuo. In altri termini, la scienza mentre ha compreso sempre più a fondo il mondo fisico, è stata incapace di affrontare e interpretare il mondo sociale. Se la presenza di questa contraddizione è comprensibile agli albori dell’impresa scientifica moderna, la quale nasce proprio in concomitanza e forse in conseguenza dello sviluppo del soggetto moderno, del cogito cartesiano, questa stessa presenza è difficile da accettare nell’ambito della scienza del Ventesimo secolo, di un secolo che in varie forme ha rigettato quel soggetto. In definitiva è sconsolante l’osservazione, giustamente compiuta da Katherine Hayles, che per Wiener il pensiero della cibernetica era un mezzo per rilanciare l’umanesimo liberale e non per superarlo (Hayles, 1999: 7).
Antonio Caronia (Caronia, 1996: 167-168) mostra, invece, come i due pilastri della concezione identitaria (identità come zoccolo duro) vengano denunciati dalla nuova dimensione tecnologica delle reti. Infatti, sia la stabilità della forma corporea sia l’isolabilità del flusso mentale individuale mostrano il loro limite come pilastri dell’identità “in quanto percezione di se stessi come processo continuo e, appunto, individuabile”. La fluttuazione del corpo e la connessione delle menti, oltre che il superamento della dicotomia corpo/mente, mostrano l’impossibilità di applicare oggi i meccanismi di identificazione vigenti nel neolitico (che arriva a comprendere la modernità industriale). Purtroppo, la cultura digitale non sempre ha colto questa denuncia, anzi alcuni tra i suoi principali propugnatori hanno finito semplicemente con il reimpostare, su basi neotecnologiche, la questione del soggetto così come lasciata in eredità dalla modernità, basti pensare a un teorico della prima ora quale George Gilder (Gilder, 1990-1994).
Immaginatevi un anfibio
Ben diversa è invece la visione mcluhaniana. L’estensione dei sensi, la loro esteriorizzazione, la conquista del senso del collettivo, del buon senso, la perdita dei confini rigidi dell’individualità sono tutti aspetti legati al ruolo forte giocato dalla corporeità. È possibile rinvenire nell’interpretazione mcluhaniana della fruizione televisiva un elemento decisivo per delineare la figura del post-uomo: la spersonalizzazione del sentire. La tesi che la fruizione televisiva sia tattile e immersiva e non visiva e frontale è una delle intuizioni più produttive e note del nostro autore. La distinzione tra media caldi e media freddi ha segnato, nella sua accettazione o nel suo rifiuto, molti discorsi mediologici. Oltre allo spostamento dalla lettura (elaborazione di concetti) al sentire (emergenza di percetti), possiamo cogliere anche un’ulteriore slittamento: dal sentire autoriferito del soggetto al sentire spersonalizzato. Di questo sentire non si può cioè predicare l’appartenenza piena al dominio del soggetto: il telespettatore non riesce a controllare le risposte tattile, submuscolari del suo corpo alle sollecitazioni del tubo catodico. Si instaura un rapporto eteroriferito tra un corpo non più controllabile e racchiuso all’interno di schemi mentali e un apparecchio, una macchina. Interno e esterno collidono e si confondono: lo spettatore televisivo “è bombardato da atomi che rivelano l’esterno come interno in un’avventura incessante tra immagini annebbiate e contorni misteriosi” (McLuhan, 1964: 349). Il fatto che McLuhan leghi questa riflessione sulla fruizione televisiva alla descrizione del rapporto tra guidatore e automobile, permette di richiamare anche i rapporti perversi ma intimi tra corpi e veicoli descritti da James Ballard in Crash (Ballard, 1973). Ma la strada ad una visione del post-uomo è aperta dallo stesso McLuhan allorché, osservando il corpo elettrizzato, immaginificamente scrive: “cercate di immaginarvi un anfibio con la sua corazza posta all’interno e gli organi posti esteriormente. Così è l’uomo elettronico con il suo cervello all’esterno della scatola cranica e il suo sistema nervoso a fior di pelle; una creatura simile può essere soltanto di cattivo umore e rifuggire dalla violenza diretta. Può essere paragonata a un ragno abbandonato e rannicchiato nella sua ragnatela sonante che risuona assieme a tutte le altre ragnatele. Non è fatto di carne e sangue, ma è solo un elemento, effimero, di una banca di dati, facilmente dimenticato e perciò frustrato” (McLuhan, Powers, 1986: 126).
Questa visione del post-uomo, al di là di alcune connotazioni negative che andrebbero sviscerate, è da McLuhan inserita nel solco che si scava tra due diverse e contrapposte opzioni evolutive che segnano l’adattamento della nostra vita psichica e biologica alla velocità del cambiamento tecnologico: l’inumano e l’uomo nuovo. La prima opzione è individuata nell’esito estremo dell’industrializzazione, nel momento in cui la “macchina invisibile”, il sistema di cui l’uomo non è più padrone, sovverte la sua stessa umanità. Guardati in quest’ottica, i media si configurano come un “poderoso impianto di distacco” (McLuhan, 1999: 194), come il “grande sistema del Ciò che vuole il pubblico” (Wyndham Lewis citato in McLuhan, 1999: 195). In questa condanna nei confronti del “secolo del materialismo” è evidente l’influenza del cattolicesimo. Ma è anche evidente il rifiuto degli esiti nefasti della dottrina dell’azione, dell’“uomo dell’azione (fronte bassa, mascella d’acciaio, sguardo di pietra, cuore di marmo)”, dell’super-ismo a cui ha messo capo il mondo moderno che “procede attraverso la dialettica della violenza per privazione della materia stessa” (McLuhan, 1999: 2003). McLuhan avverte che ogni attesa rigenerativa nei confronti del superuomo è destinata allo scacco, poiché “oltre il secolo dell’uomo comune ci sono secoli di uomini sempre più comuni” (McLuhan, 1999: 203). Rispetto a questa possibile deriva, la risposta mcluhaniana (sempre inseparabile dalla sua fede cattolica) sembra a prima vista molto conservatrice: egli propone un nuovo umanesimo capace di riconoscere l’eccellenza umana e la necessità del “ritorno degli uomini all’attività razionale”. “La cosa più poetica del mondo è la coscienza umana ordinaria. Mi sembra da subito che questo sia un fondamento molto democratico e profondamente cattolico per qualunque Umanesimo. È cruciale per noi comprendere questa questione nell’era dei cosiddetti mass media” (McLuhan, 1999: 170). Dichiarazioni di questo tipo hanno giustificato letture del pensiero del mediologo canadese in chiave di umanesimo antropocentrico: è il caso nostrano di Gianpiero Gamaleri. Il quale però, pur evidenziando l’attenzione centrata sul “fattore uomo” (Gamaleri, 1976: 36, 79), sul primato dell’uomo, non può non riconoscere che si tratta di “un uomo capace sempre più di modificare la propria conoscenza e la propria azione in conseguenza dei nuovi equilibri sensoriali stabiliti dai media” (Gamaleri, 1976: 79). Ma questa metamorfosi continua provocata dai media dichiara la fine della comprensione dell’uomo definito “da un nucleo solido, una base permanente e stabile del suo essere” (Abbagnano, 1967) e padrone del proprio destino. Dichiara l’impossibilità di stabilire un modello “normale” di uomo in base al quale escludere quelle che sono state dette a lungo “anormalità” (cfr. McLuhan, 1964: 25-26).
A questo punto, però, qualcosa non quadra: da un lato, si è detto che McLuhan apre la strada ad una visione del post-uomo, paragonandolo ad un anfibio o ad un ragno; dall’altro, si leggono richiami a un nuovo Umanesimo. Ci si potrebbe fermare qui, segnalando la compresenza di spinte eterogenee, finanche opposte nel nostro autore. Ma la questione è ben più complessa e riguarda il modo in cui McLuhan pensa la religione: il cristianesimo per lui è essenzialmente religione della carne. Su questa base, che in altra sede andrà sviluppata, si deve comprendere come l’eccellenza umana sia fondata essenzialmente su un elemento di coniugazione e vicinanza con l’alterità, sia essa la carne degli animali o quella del mondo. L’uomo per McLuhan è eccellente in quanto si apre all’ibridazione, si coniuga e si estende (anche nei media, anche grazie ai media). La razionalità o coscienza non è definita, inoltre, con le categorie astratte della metafisica, ma è concretissima (del corpo, dei sensi) capacità di mettere in relazione e non di dividere e astrarre: “la razionalità o la consapevolezza è in se stessa una ratio o un rapporto tra le componenti sensorie dell’esperienza, e non qualcosa di ‘aggiunto’ a quest’esperienza” (McLuhan, 1964: 122).
Una mediologia matura e normale non può dunque che assegnare questo ruolo decisivo alla funzione mediatrice del corpo. Non si può che constatare come in McLuhan una tale esplicita assegnazione sia una conseguenza affatto necessaria del suo tentativo di denunciare la scissione tra medium e messaggio, proposta e imposta per oltre due millenni sulle nostre squadrate lande. Una tale assegnazione ribadisce ancora come l’orizzonte di comprensione della natura umana che ci è aperto dai media non-alfabetici, sia essenzialmente legato ad un luogo -- il nostro corpo. È questo luogo che noi siamo, e non invece un punto (di vista) esterno che dall’alto lo governa o lo percorre. E, nello specifico, un luogo non dato una volta per tutte, ma sempre in continua e radicale mutazione. Un luogo che però si nega alla vista (al dominio della vista) più noi ci approssimiamo ad esso. ( antonio.tursi@unimc.it )



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Il villaggio celeste oltre la tv: l' ultima ipotesi di McLuhan
CREDO E SCIENZA La Chiesa gli sembrava vicina alla percezione immediata dei sensi

Un uomo si alza prima dell' alba e scende le scale senza rumore. Sfila un volume rilegato in oro dallo scaffale della biblioteca, lo sfoglia, prende note alla luce della lampada. Il libro è la Bibbia; e lo studioso notturno è Marshall McLuhan, celebre in tutto il mondo come esperto dei mass-media, profeta della società elettronica all' insegna dello slogan «il mezzo è il messaggio». Sì, proprio il teorico della necessità di «staccare la spina» per non ingigantire la portata delle sfide terroristiche, l' uomo cui tutti ricorrevano negli anni settanta e novanta come a una specie di oracolo laico del nuovo credo elettronico, in realtà era un mistico, un lettore notturno di libri sacri, a suo agio soprattutto in meditazione e preghiera. Il ragazzo precoce e tormentato si era trasformato rapidamente in un giovanotto pronto a mettersi «in caccia di Dio» (scriveva così alla madre in lunghe lettere toccanti e appassionate) e infine in uomo maturo profondamente convertito al cattolicesimo: un salto vertiginoso per lui, educato in famiglia secondo i principi di un protestantesimo severo. La dottrina della chiesa di Roma gli si era presentata come una rivelazione luminosa, capace di dare significato a tutta la vita. Questa dimensione nascosta di Marshall McLuhan, in realtà la sola intimamente vissuta, ci viene rivelata in un libro che raccoglie saggi e interviste da lui rilasciate, in epoche diverse, sul tema della religione e dei mass-media. Introdotti da una memoria del figlio Eric, gli scritti di La luce e il mezzo possiedono un fascino rivelatore, perché ci consentono di mettere improvvisamente a fuoco un ritratto che credevamo noto e acquisito. Non può che sorprendere il profilo di questo McLuhan privato, dedito alle letture comparate della Bibbia in molte lingue (latino, francese, tedesco, italiano, spagnolo oltre all' inglese), profondo conoscitore degli amatissimi Chesterton e Cervantes, ma anche di san Tommaso e san Francesco, non meno che di Rabelais e Balzac. Un McLuhan attento nel mettere a raffronto le moderne tecniche di riproduzione e amplificazione dei messaggi (come ad esempio i microfoni nelle chiese) con i classici sentiti come autentica vocazione: la Summa Teologica di san Tommaso e la Summa Contra Gentiles, entrambe naturalmente in latino. Questa era dunque, come ci suggerisce già il titolo del libro, la "luce" capace di illuminare il "mezzo" elettronico secondo McLuhan: la fede religiosa. Ma non bisogna figurarsi una specie di eremita laico, giacché il pensiero di McLuhan possedeva un' altra caratteristica insolita e controcorrente: il cattolicesimo gli pareva preparare l' incontro con la tecnologia. Nel senso che, a suo parere, la fede nella chiesa romana mostrava di possedere quelle caratteristiche di "carnalità", intesa come amore per la vita e il piacere sensuale, che giudicava una premessa indispensabile alla comprensione dei nuovi mezzi elettronici. E dunque il gioco e la filosofia, la poesia e la musica, l' allegria e l' amicizia, l' arte sacra e lo stesso rito eucaristico della messa gli apparivano affini alla radio e alla televisione (chissà, oggi, quali legami avrebbe trovato con internet e i cd-rom). Ed ecco la stranezza: in una specie di rovesciamento della prospettiva sociologica tradizionale (quella sostenuta da Max Weber), il profeta della modernità tecnologica ripudiava l' etica capitalista protestante, astratta, basata sulle idee e sui concetti più che sulle emozioni sensuali, condizionata dalle proibizioni e dai divieti. E invece esaltava la modernità del cattolicesimo, in cui gli sembrava di ritrovare il paradigma perfetto della sua scoperta più importante: «il mezzo è il messaggio». E la spiegava così: gli uomini non possono cogliere il "messaggio" se lo separano dalle sue manifestazioni concrete, a cominciare dai dogmi, dai riti, dalla capacità tutta cattolica di amare le cose concrete e le immagini. «La fede è un tipo di percezione, un senso come la vista, l' udito o il tatto ed è tanto reale e concreta quanto i sensi»: ecco il lascito di Marshall McLuhan. Più di vent' anni dopo la sua scomparsa, il senso vero di quel "messaggio" può finalmente essere compreso sino in fondo.
Dario Fertilio
Il libro: Marshall McLuhan, «La luce e il mezzo», editore Armando, pagine 220, euro 16






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