Marshall McLuhan 

– il mezzo è il messaggio, ma anche uno stimolo



Marshall McLuhan è stato un filosofo e sociologo canadese, ma soprattutto un teorico della comunicazione dal pensiero sofisticato e visionario. Già a metà degli anni ’60 il pensiero di McLuhan anticipava il dibattito sulla comunicazione ai tempi di internet e dei social network ponendo l’accento sull’importanza del mezzo di comunicazione più del messaggio.







A differenza del più recente e tradizionale slogan “Content is the king” che svetta come regola aurea dell’Inbound Marketing, il pensiero di McLuhan pone i media al centro dei suoi studi come attore protagonista quando si comunica. Il pensiero di McLuhan a riguardo viene spesso riassunto dietro la frase “The Medium is the message”, ovvero il mezzo stesso di comunicazione è in sé la comunicazione assumendo maggiore importanza del messaggio che si vuole trasmettere.

Marshall McLuhan Yousuf Karsh
Marshall McLuhan – foto di Yousuf Karsh (1974).

All’epoca, McLuhan parlò prevalentemente di televisione, stampa e radio – i mezzi di comunicazione più diffusi di allora – ma il suo pensiero è perfettamente adattabile alla società iperconnessa in cui viviamo. L’uomo è spinto a comunicare perché ha i mezzi per farlo, per questo motivo è il mezzo che assume più importanza del messaggio. Basti pensare ai social network come Facebook che si riempiono quotidianamente di messaggi vuoti, ma che vengono formulati perché l’essenza stessa del canale è la condivisione. Attualmente, aggiornando o forse riformulando il concetto di McLuhan il mezzo di comunicazione è fondamentale perché permette la connessione sorvolando quindi – se usato in modo superficiale – il messaggio che si vuole trasmettere.
Medium is the MassageL’intero pensiero di McLuhan è però identificabile con uno dei più famosi refusi tipografici nella storia della sociologia. Nel 1964, Marshall McLuhan pubblica “Gli strumenti del comunicare” in cui per la prima volta viene formulato il concetto del “medium is the message”. Questo concetto viene poi ampliato nel testo successivo pubblicato da McLuhan e Quentin Fiore nel 1967 “The medium is the massage”, dove la prima cosa che salta sicuramente all’occhio è che la parola message ‘messaggio’ è stata sostituita da massage ‘massaggio’.

La storia racconta che al momento della stampa del libro, la tipografia presentò una prima versione della copertina con il refuso in cui appariva la parola massage. McLuhan decise che sebbene l’errore fosse palese, l’idea di pubblicare la copertina volutamente sbagliata era perfetta perché puntava diretta al target. La parola massage avrebbe sicuramente attirato di più l’attenzione del tradizionale message.

Strategia di marketing impeccabile, ma anche grande prova delle capacità teoriche di McLuhan. Infatti, per giustificare il refuso McLuhan ammise che era un gioco di parole volontario tra message inteso come Mess Age ‘età del caos’ e massage come Mass Age ‘età delle masse’. Ma il pensiero principale si cela dietro l’idea che il mezzo di comunicazione – oltre ad essere più importante del messaggio in quanto mezzo di aggregazione e condivisione sociale – effettivamente gioca un ruolo tutt’altro che neutrale nella società. Infatti, ritornando alla parola massaggio, McLuhan teorizza, infatti, che non avendo un ruolo neutrale i media agiscono da stimolanti per l’attenzione del pubblico, ma anche in generale per la sua intelligenza.

Errore tipografico o no, il pensiero di McLuhan può perfettamente essere trasmigrato alla nostra ‘Mass Age’ in cui la tecnologia la fa da padrona. Come sosteneva lui stesso è in questo scenario che il compito dell’uomo diventa appunto quello di imparare e sapere come sfruttare la tecnologia. La nostra vita quotidiana si plasma sull’uso dei mezzi di comunicazione, ma il problema rimane su quanto l’uomo sia ancora capace di sfruttarli per comunicare realmente.







Occorre riformulare – senza pretese filosofiche – il pensiero di McLuhan e sottolineare quindi che imparare a comunicare è ben differente dal parlare per dire qualcosa, ma significa soprattutto conoscere e sapere utilizzare il mezzo di comunicazione. È il mezzo di comunicazione sfruttato bene quindi che diviene più importante del messaggio stesso, ma un messaggio ben costruito e trasmesso con il mezzo idoneo diviene il fulcro della nostra attenzione e può quindi ‘massaggiare’ i nostri sensi e stimoli.


La fama di Marshall McLuhan è legata alla sua interpretazione innovativa degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all'ipotesi secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull'immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata. Di qui la sua celebre tesi secondo cui "il medium è il messaggio".

Messaggio Medjugorje 25 marzo 2020 | Il messaggio della Madonna: “Siate coraggiosi e decidetevi per la santità”


Come ogni 25 del mese a partire dal 1981 (quando avvenne la prima apparizione, il 24 giugno), i fedeli di tutto il mondo attendono il messaggio della Madonna di Medjugorje, che verrà riportato come sempre dalla veggente Marija.
Di seguito potete leggere il messaggio della Regina della Pace di giorno 25 marzo 2020.

Medjugorje, messaggio della Madonna del 25 marzo 2020 a Marija

Cari figli! Tutti questi anni Io sono con voi per guidarvi sulla via della salvezza. Ritornate a mio Figlio, ritornate alla preghiera e al digiuno. Figlioli, permettete che Dio parli al vostro cuore perché satana regna e desidera distruggere le vostre vite e il pianeta sul quale camminate. Siate coraggiosi e decidetevi per la santità. Vedrete la conversione nei vostri cuori e nelle vostre famiglie, la preghiera sarà ascoltata, Dio esaudirà le vostre suppliche e vi darà la pace. Io sono con voi e vi benedico tutti con la mia benedizione materna. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
Ricordiamo come lo scorso 18 marzo la veggente Mirjana Dragićević-Soldo ha avuto l’apparizione annuale – che vi riportiamo di seguito. Apparizione che continuerà ad avere, a differenza del messaggio mensile del 2
Cari figli! Mio Figlio essendo Dio ha sempre guardato oltre il tempo. Io come Sua Madre per mezzo di Lui vedo nel tempo. Vedo le cose belle e tristi. Ma vedo che c’è ancora amore e bisogna far si che lo si conosca. Figli miei non potete essere felici se non vi amate gli uni gli altri, se non avete amore in ogni situazione ed in ogni momento della vostra vita. Anche Io come Madre vengo da voi per amore, per aiutarvi a conoscere il vero amore e a conoscere mio Figlio. Perciò vi invito ad avere sempre di nuovo e sempre di più sete d’ amore, di fede e di speranza. L’unica sorgente dalla quale potete bere è la fiducia in Dio, mio Figlio. Figli miei, nei momenti di inquietudine e di rinuncia cercate soltanto il volto di mio Figlio. Vivete soltanto le Sue parole e non abbiate paura. Pregate ed amate con sentimenti sinceri e opere buone affinché aiutiate il mondo a cambiare e il Mio Cuore a vincere. Come mio Figlio, anche Io vi dico amatevi gli uni gli altri perché senza amore non c’è salvezza. Vi ringrazio, figli mie



Umberto Eco e McLuhan
di Maurizio Tiriticco

E’ di grande interesse la riflessione di Eco su “la Repubblica” del 13 settembre 2014, “Mezzo e messaggio quei cortocircuiti al tempo delle mail”, a proposito di quanto il mezzo condizioni il messaggio, soprattutto oggi in un contesto in cui cellulari e tablet dominano ogni minuto della nostra quotidianità. Il medium è il messaggio: si tratta della constatazione ormai più che nota che fece McLuhan nel suo famoso saggio degli anni Sessanta, quando la pervasività della televisione imponeva di fatto riflessioni nuove a proposito della teoria della comunicazione. Ricorda giustamente Eco come, fin dalle prime teorizzazioni sulla vicenda comunicativa (siamo nella prima metà del secolo scorso), il modello costituito da EMITTENTE, RICEVENTE, MEZZO e MESSAGGIO funzionasse ottimamente per comprendere quali fossero le condizioni materiali perché il campo della comunicazione fosse attivo e i messaggi trasmessi e ricevuti. Tuttavia, si ravvisò che era anche necessario che si considerassero altri due fattori, indispensabili ai fini della correttezza e della efficacia del messaggio trasmesso e ricevuto: il CODICE e il REFERENTE, per usare le espressioni di Jakobson. In effetti, ogni messaggio si costruisce in forza di un codice, di un linguaggio che deve essere condiviso dagli interlocutori. Posso parlare in perfetto italiano a un cinese che non conosce la mia lingua e il messaggio non viene compreso: quindi, di fatto, non esiste, perché il CODICE non è condiviso. Allo stesso modo, il referente – o, se si vuole, il “riferito”, l’oggetto della informazione lanciata – deve essere condiviso dal ricevente. Se faccio una dichiarazione d’amore, che costituisce il REFERENTE, cioè l’oggetto del mio messaggio, il ricevente potrà anche comprenderla in ordine al codice, ma non condividerla in ordine al contenuto. Respinge di fatto il messaggio al mittente, come si suol dire e si situa fuori dal campo della comunicazione. E bisogna sempre sperare che l’innamorato non torni alla carica fino a diventare uno stalker.
In effetti, in molte delle nostre scuole, laddove ancora imperversano le lezioni cattedratiche, il messaggio spesso “non passa” e non viene né compreso né accettato per due ragioni: il CODICE non è condiviso, perché l’insegnante “parla troppo difficile” e a volte usa termini che non sono nell’enciclopedia mentale dell’alunno (ad esempio egemonia, supremazia, egida, istituzione, medioriente, incentivare); il REFERENTE poi è lontano mille miglia dai referenti quotidiani del nostro alunno. Come e quanto può interessargli la vicenda napoleonica, se i referenti, i suoi oggetti di interesse primario e condiviso con i coetanei sono il motorino, la ragazza, lo sballo del sabato sera? Napoleone è totalmente fuori dal campo della comunicazione.
Quindi, se intendiamo la comunicazione come un campo, ampio o ristretto che sia (quello intercontinentale condizionato dalle informazioni via radio, o quello del colloquio ravvicinato di due interlocutori), va sottolineato che in ogni situazione i sei fattori debbono essere attivi e, soprattutto, condivisi. Quante volte ascoltiamo con interesse ciò che un interlocutore ci dice? Ma quante volte anche le informazioni considerate da alcuni più importanti cadono nel vuoto perché il referente è assolutamente lontano dai nostri più immediati referenti? Non puoi parlarmi di filosofia se sono sotto i ferri del chirurgo!
Per quanto mi riguarda, posso dire che ho condiviso e compreso il concetto di REFERENTE adottato da Eco, ma non ho condiviso del tutto il concetto di CODICE. Secondo Eco, la tesi di McLuhan non avrebbe tanto valore in sé, cioè per ogni forma di comunicazione, qualunque sia il tempo e qualunque sia il luogo in cui si effettua, quanto in relazione alla tipologia dei mezzi utilizzati.
In effetti Eco ritiene che il peso che il mezzo ha sul messaggio e il condizionamento che provoca sia tipico della nostra epoca. “La vera rivoluzione è avvenuta col computer, l’e-mail e i telefonini cellulari. In questi casi il rapporto è temporalmente immediato. Sia nel caso del nerd che passa le notti on line, che in quello dei telefonatori compulsivi che vediamo camminare per strada parlando a qualcuno, abbiamo un processo domanda-risposta che non prende tempo”. Ma una vera rivoluzione si ebbe anche con l’invenzione della scrittura o con l’invenzione della stampa. A oni epoca la sua rivoluzione nel campo dei messaggi! E, dopo altre interessanti argomentazioni, Eco così conclude: “Possiamo tornare alla sinonimia apparente di cui ho detto all’inizio, quella tra rapporto comunicativo e trasporto: pareva che si trattasse di due fenomeni diversi, ma abbiamo visto come spesso il modo di trasporto del messaggio possa interferire con la natura del messaggio stesso e sulla forma della sua ricezione”.
Ed è su quell’avverbio di tempo, “spesso”, che non sono d’accordo. In effetti, si tratta di un “sempre”, non di uno “spesso”. Gli esempi che Eco riporta nelle prime battute dell’articolo: il discorso del Duce del 10 giugno 1940, l’introduzione della televisione a colori, le lettere che due interlocutori si scambiavano ai tempi di una servitù…complice e servizievole, o delle diligenze, sembrano suggerire che il rapporto tra mezzo e messaggio non fosse così decisivo come lo è ora, al tempo dei cellulari, della mail, di facebook, di twitter e dei sempre più numerosi ed intriganti social network. La variabile TEMPO ha il suo gioco, ovviamente, all’interno dello SPAZIO in cui agiscono i sei fattori della comunicazione. Ma non modifica e non altera – se si vuole – la correttezza dell’intuizione di McLuhan.
In effetti, non c’è messaggio che non si debba leggere e comprendere se non alla luce di quell’affermazione che vuole che il mezzo è il messaggio stesso. Cambia la natura della ferraglia, che può essere fatta da un corriere cavallo, da un vagone postale o da onde herziane, come lo stesso Eco riconosce. Il fatto che i tempi della trasmissione-ricezione siano lunghi o brevi ha un carattere relativo. Ciò va tenuto presente perché non si cada nell’errore per cui l’intuizione di McLuhan avrebbe valore e forza solo dopo la nascita dei mass media. Anche perché i mass media sono sempre esistiti: anche se viaggiavano più lentamente, come i testi sacri o i poemi omerici o l’editto di Teodosio o la notizia della morte di Napoleone, che – va ricordato – impiegò dei mesi per giungere in Europa, mentre oggi con un click…





MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA 54ma GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

“Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2).
La vita si fa storia.

Desidero dedicare il Messaggio di quest’anno al tema della narrazione, perché credo che per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme. Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri.
1. Tessere storie
L’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie come abbiamo fame di cibo. Che siano in forma di fiabe, di romanzi, di film, di canzoni, di notizie…, le storie influenzano la nostra vita, anche se non ne siamo consapevoli. Spesso decidiamo che cosa sia giusto o sbagliato in base ai personaggi e alle storie che abbiamo assimilato. I racconti ci segnano, plasmano le nostre convinzioni e i nostri comportamenti, possono aiutarci a capire e a dire chi siamo.
L’uomo non è solo l’unico essere che ha bisogno di abiti per coprire la propria vulnerabilità (cfr Gen 3,21), ma è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di “rivestirsi” di storie per custodire la propria vita. Non tessiamo solo abiti, ma anche racconti: infatti, la capacità umana di “tessere” conduce sia ai tessuti, sia ai testi. Le storie di ogni tempo hanno un “telaio” comune: la struttura prevede degli “eroi”, anche quotidiani, che per inseguire un sogno affrontano situazioni difficili, combattono il male sospinti da una forza che li rende coraggiosi, quella dell’amore. Immergendoci nelle storie, possiamo ritrovare motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita.
L’uomo è un essere narrante perché è un essere in divenire, che si scopre e si arricchisce nelle trame dei suoi giorni. Ma, fin dagli inizi, il nostro racconto è minacciato: nella storia serpeggia il male.
2. Non tutte le storie sono buone
«Se mangerai, diventerai come Dio» (cfr Gen 3,4): la tentazione del serpente inserisce nella trama della storia un nodo duro da sciogliere. “Se possederai, diventerai, raggiungerai…”, sussurra ancora oggi chi si serve del cosiddetto storytelling per scopi strumentali. Quante storie ci narcotizzano, convincendoci che per essere felici abbiamo continuamente bisogno di avere, di possedere, di consumare. Quasi non ci accorgiamo di quanto diventiamo avidi di chiacchiere e di pettegolezzi, di quanta violenza e falsità consumiamo. Spesso sui telai della comunicazione, anziché racconti costruttivi, che sono un collante dei legami sociali e del tessuto culturale,si producono storie distruttive e provocatorie, che logorano e spezzano i fili fragili della convivenza. Mettendo insieme informazioni non verificate, ripetendo discorsi banali e falsamentepersuasivi, colpendo con proclami di odio, non si tesse la storia umana, ma si spoglia l’uomo di dignità.
Ma mentre le storie usate a fini strumentali e di potere hanno vita breve, una buona storia è in grado di travalicare i confini dello spazio e del tempo. A distanza di secoli rimane attuale, perché nutre la vita.
In un’epoca in cui la falsificazione si rivela sempre più sofisticata,  raggiungendo livelli esponenziali (il deepfake), abbiamo bisogno di sapienza per accogliere e creare racconti belli, veri e buoni. Abbiamo bisogno di coraggio per respingere quelli falsi e malvagi. Abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni dell’oggi; storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo, anche nell’eroicità ignorata del quotidiano.
3. La Storia delle storie
La Sacra Scrittura è una Storia di storie. Quante vicende, popoli, persone ci presenta! Essa ci mostra fin dall’inizio un Dio che è creatore e nello stesso tempo narratore. Egli infatti pronuncia la sua Parola e le cose esistono (cfr Gen 1). Attraverso il suo narrare Dio chiama alla vita le cose e, al culmine, crea l’uomo e la donna come suoi liberi interlocutori, generatori di storia insieme a Lui. In un Salmo, la creatura racconta al Creatore: «Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda […]. Non ti erano nascoste le mie ossa, quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra» (139,13-15). Non siamo nati compiuti, ma abbiamo bisogno di essere costantemente “tessuti” e “ricamati”. La vita ci è stata donata come invito a continuare a tessere quella “meraviglia stupenda” che siamo.
In questo senso la Bibbia è la grande storia d’amore tra Dio e l’umanità. Al centro c’è Gesù: la sua storia porta a compimento l’amore di Dio per l’uomo e al tempo stesso la storia d’amore dell’uomo per Dio. L’uomo sarà così chiamato, di generazione in generazione, a raccontare e fissare nella memoria gli episodi più significativi di questa Storia di storie, quelli capaci di comunicare il senso di ciò che è accaduto.
Il titolo di questo Messaggio è tratto dal libro dell’Esodo, racconto biblico fondamentale che vede Dio intervenire nella storia del suo popolo. Infatti, quando i figli d’Israele schiavizzati gridano a Lui, Dio ascolta e si ricorda: «Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero» (Es 2,24-25). Dalla memoria di Dio scaturisce la liberazione dall’oppressione, che avviene attraverso segni e prodigi. È a questo punto che il Signore consegna a Mosè il senso di tutti questi segni: «perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e del figlio di tuo figlio i segni che ho compiuti: così saprete che io sono il Signore!» (Es 10,2). L’esperienza dell’Esodo ci insegna che la conoscenza di Dio si trasmette soprattutto raccontando, di generazione in generazione, come Egli continua a farsi presente. Il Dio della vita si comunica raccontando la vita.
Gesù stesso parlava di Dio non con discorsi astratti, ma con le parabole, brevi narrazioni, tratte dalla vita di tutti i giorni. Qui la vita si fa storia e poi, per l’ascoltatore, la storia si fa vita: quella narrazione entra nella vita di chi l’ascolta e la trasforma.
Anche i Vangeli, non a caso, sono dei racconti. Mentre ci informano su Gesù, ci “performano”[1] a Gesù, ci conformano a Lui: il Vangelo chiede al lettore di partecipare alla stessa fede per condividere la stessa vita. Il Vangelo di Giovanni ci dice che il Narratore per eccellenza – il Verbo, la Parola – si è fatto narrazione: «Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha raccontato» (Gv 1,18). Ho usato il termine “raccontato” perché l’originale exeghésato può essere tradotto sia “rivelato” sia “raccontato”. Dio si è personalmente intessuto nella nostra umanità, dandoci così un nuovo modo di tessere le nostre storie.
4. Una storia che si rinnova
La storia di Cristo non è un patrimonio del passato, è la nostra storia, sempre attuale. Essa ci mostra che Dio ha preso a cuore l’uomo, la nostra carne, la nostra storia, fino a farsi uomo, carne e storia. Ci dice pure che non esistono storie umane insignificanti o piccole. Dopo che Dio si è fatto storia, ogni storia umana è, in un certo senso, storia divina. Nella storia di ogni uomo il Padre rivede la storia del suo Figlio sceso in terra. Ogni storia umana ha una dignità insopprimibile. Perciò l’umanità merita racconti che siano alla sua altezza, a quell’altezza vertiginosa e affascinante alla quale Gesù l’ha elevata.
«Voi – scriveva San Paolo – siete una lettera di Cristo scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani» (2 Cor 3,3). Lo Spirito Santo, l’amore di Dio, scrive in noi. E scrivendoci dentro fissa in noi il bene, ce lo ricorda. Ri-cordare significa infatti portare al cuore, “scrivere” sul cuore. Per opera dello Spirito Santo ogni storia, anche quella più dimenticata, anche quella che sembra scritta sulle righe più storte, può diventare ispirata, può rinascere come capolavoro, diventando un’appendice di Vangelo. Come le Confessioni di Agostino. Come il Racconto del Pellegrino di Ignazio. Come la Storia di un’anima di Teresina di Gesù Bambino. Come i Promessi Sposi, come I fratelli Karamazov. Come innumerevoli altre storie, che hanno mirabilmente sceneggiato l’incontro tra la libertà di Dio e quella dell’uomo. Ciascuno di noi conosce diverse storie che profumano di Vangelo, che hanno testimoniato l’Amore che trasforma la vita. Queste storie reclamano di essere condivise, raccontate, fatte vivere in ogni tempo, con ogni linguaggio, con ogni mezzo.
5. Una storia che ci rinnova
In ogni grande racconto entra in gioco il nostro racconto. Mentre leggiamo la Scrittura, le storie dei santi, e anche quei testi che hanno saputo leggere l’anima dell’uomo e portarne alla luce la bellezza, lo Spirito Santo è libero di scrivere nel nostro cuore, rinnovando in noi la memoria di quello che siamo agli occhi di Dio. Quando facciamo memoria dell’amore che ci ha creati e salvati, quando immettiamo amore nelle nostre storie quotidiane, quando tessiamo di misericordia le trame dei nostri giorni, allora voltiamo pagina. Non rimaniamo più annodati ai rimpianti e alle tristezze, legati a una memoria malata che ci imprigiona il cuore ma, aprendoci agli altri, ci apriamo alla visione stessa del Narratore. Raccontare a Dio la nostra storia non è mai inutile: anche se la cronaca degli eventi rimane invariata, cambiano il senso e la prospettiva. Raccontarsi al Signore è entrare nel suo sguardo di amore compassionevole verso di noi e verso gli altri. A Lui possiamo narrare le storie che viviamo, portare le persone, affidare le situazioni. Con Lui possiamo riannodare il tessuto della vita, ricucendo le rotture e gli strappi. Quanto ne abbiamo bisogno, tutti!
Con lo sguardo del Narratore – l’unico che ha il punto di vista finale – ci avviciniamo poi ai protagonisti, ai nostri fratelli e sorelle, attori accanto a noi della storia di oggi. Sì, perché nessuno è una comparsa nella scena del mondo e la storia di ognuno è aperta a un possibile cambiamento. Anche quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio.
Non si tratta perciò di inseguire le logiche dello storytelling, né di fare o farsi pubblicità, ma di fare memoria di ciò che siamo agli occhi di Dio, di testimoniare ciò che lo Spirito scrive nei cuori, di rivelare a ciascuno che la sua storia contiene meraviglie stupende. Per poterlo fare, affidiamoci a una donna che ha tessuto l’umanità di Dio nel grembo e, dice il Vangelo, ha tessuto insieme tutto quanto le avveniva. La Vergine Maria tutto infatti ha custodito, meditandolo nel cuore (cfr Lc 2,19). Chiediamo aiuto a lei, che ha saputo sciogliere i nodi della vita con la forza mite dell’amore:
O Maria, donna e madre, tu hai tessuto nel grembo la Parola divina, tu hai narrato con la tua vita le opere magnifiche di Dio. Ascolta le nostre storie, custodiscile nel tuo cuore e fai tue anche quelle storie che nessuno vuole ascoltare. Insegnaci a riconoscere il filo buono che guida la storia. Guarda il cumulo di nodi in cui si è aggrovigliata la nostra vita, paralizzando la nostra memoria. Dalle tue mani delicate ogni nodo può essere sciolto. Donna dello Spirito, madre della fiducia, ispira anche noi. Aiutaci a costruire storie di pace, storie di futuro. E indicaci la via per percorrerle insieme.
Roma, presso San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2020, Memoria di San Francesco di Sales

Franciscus


[1] Cfr Benedetto XVI, Enc. Spe salvi, 2: «Il messaggio cristiano non era solo “informativo”, ma “performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita».
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