Il New York Times del 7
Luglio 1957 scriveva:
“Il direttore
del Centro Ospedaliero ….riferisce che un topolino, probabilmente
assuefatto ai programmi televisivi, ha morsicato una bambina e il suo
gatto.
Riportiamo la notizia
solo per avvertirvi che i tempi stanno cambiando…”
In uno dei miei viaggi per
lavoro, una mattina a Trento, durante la colazione in albergo lessi
sull’Adige, il quotidiano locale, questa notizia spalmata su otto
colonne con foto centrale:
CONTADINO
CADE DA UN PERO
Seguiva l’articolo:
“Il
signor…..che ha il podere di sua proprietà situato sulla collina
di fronte alla Piana di… come ogni giorno si è recato al lavoro
anche se di questi tempi il mercato delle pere…(lunga disquisizione
sul mercato delle pere) e poiché è la stagione della potatura
autunnale (segue descrizione delle varie potature) appoggiata la
scala sul pero di sua proprietà si è messo a lavorare di buona
lena, ma ad un tratto, forse per essersi sposto in modo eccessivo, la
scala non lo ha retto e lui si è trovato sbilanciato finendo al
suolo,e miracolosamente, non si è fatto nulla.
Sempre nella cronaca
cittadina c’era pure un incidente sull’autostrada per andare a
Venezia, con due morti e negli esteri, un autobus che in una
impronunciabile provincia indiana era finito in un burrone causando
centoventi morti.
Accidenti, centoventi
morti! Mettiamo che l’autobus abbia una sessantina di posti a
sedere, poi ci devi mettere la calca nel corridoio… ah già poi ci
sono quelli sul tetto: i conti tornano.
Certo, se il quotidiano
avesse riportato la notizia dell’autobus finito in un burrone in
India e nessuno si era fatto nulla, i lettori avrebbero chiamato il
giornale chiedendo se erano quelle notizie da pubblicare.
Perché più lontano vai e
più morti ci devono essere, per fare notizia…
Io mi chiamo Aldo, tu ti
chiami…
Non solo ti volti quando
dicono il tuo nome ma pure tu elaborando i tuoi pensieri ti chiami
per nome e parli a te stesso, nella tua lingua. Anzi, io ne ho
un’esperienza diretta per le varie lingue che conosco, a furia di
abitare in un posto dove si parla un’altra lingua, puoi dire di
averla appresa se quando parli con te stesso usi indifferentemente la
tua lingua o la lingua del paese che ti ospita.
Meno la matematica.
Infatti se fai i conti li
devi fare SOLO nella tua lingua madre.
Quindi possiamo dire che
non c’è pensiero se non c’è linguaggio e non c’è linguaggio
se non c’è la parola.
Interessante andare a
vedere i tre testi sacri delle religioni monoteistiche come trattano
la parola:
Ascolta Israele! Esorta la
Bibbia degli Ebrei.
La parola come espressione
In principio era il Verbo,
scrive Giovanni nel Vangelo a lui attribuito, messo insieme quando
ormai il movimento era diventato la Chiesa.
La parola come
comunicazione
“LEGGI!” impone
il Corano
La parola come
apprendimento
Ma è la parola che genera
il pensiero oppure è il pensiero che tiene sotto controllo la
parola? Fino a pochi anni fa questo era il grande motivo di
discussione, superata da McLuhan che ha teorizzato che il linguaggio
è “metafora attiva”. La scimmia prima di cadere dall’albero e
cominciare ad esplorare il terreno circostante, usava una mano
davanti all’altra per procedere sui rami. Quando fece la scoperta
che poteva dondolarsi e lanciarsi da un ramo PRIMA di afferrarsi ad
un altro, QUELLA fu l’invenzione della metafora. Sempre che Darwin
possa essere accettato, allora potremmo teorizzare che la prima
scimmia che toccò il terreno e cominciò ad esplorarlo, si perse. Le
altre, più prudenti toccarono anch’esse il terreno ma rimasero
molto più vicine all’albero della loro comunità e così
rappresentarono le avanguardie intellettuali, che se sono molto più
avanti si perdono, se invece pur rimanendo avanguardie, mantengono il
contatto con il comune sentire, svolgono un’attività intellettuale
utile al progresso.
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