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Quando ero giovane mi
aggregai ad un circo e andai in giro con due dei fratelli
Colombaioni, i clown di Fellini, per intenderci. E' un'esperienza che
consiglio a tutti coloro che vogliono specializzarsi in antropologia,
perché i confini ristretti del circo nei confronti della società
aperta sono come le Galapagos per Darwin. Tra le tante cose che
appresi, una mi colpì particolarmente: il giocoliere, l'acrobata
(che molte volte stanno in una sola persona) invecchiando diventa
clown. Questo perché la sua conoscenza dell'equilibrio –
chiamiamola orizzontale cioè onnicomprensiva – aumenta mentre
quella specifica – chiamiamola verticale – con il passare del
tempo viene a mancare facendogli commettere errori che all'occhio del
pubblico sono imperdonabili. Ecco allora che trasformato in clown il
vecchio giocoliere può addirittura inventare nuove buffonerie, e se
cade per eccesso di confidenza nelle sue doti equilibriste, la gente
ride. Mentre l'acrobata usava solo una parte delle proprie facoltà,
ma in modo perfetto, il Clown estende le sue capacità fino al limite
dell'equilibrio. Dice il McLuhan: “La reazione all'aumento di
potenza e di velocità dei nostri corpi estesi genera nuove tensioni
e nuovi bisogni negli esseri umani che l'anno generata. E' un
processo ininterrotto di nuove capacità generate da tecnologie già
esistenti. Siamo nani portati sulle spalle di giganti.
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