lunedì 14 aprile 2014

capitolo primo.

Se fosse un libro questo sarebbe il capitolo primo.


Il centro delle piazze, dei palazzi, è un punto focale per la voce del silenzio che secondo Marshall McLuhan sarebbero le statue, i monumenti, le fontane, e dentro i palazzi sarebbero i tavoli, i salotti e nel centro dei salotti i tavolini. Parrebbe quasi che partendo dall'Agorà di Atene tutti gli altri architetti abbiano cercato la cornice dei propilei o che partendo dal semicerchio del Teatro abbiano voluto imprigionare idealmente lo sguardo, indirizzando l'occhio dell'osservatore su un punto focale preludio della prospettiva lineare su un punto più o meno occulto, come in Piazza San Pietro, dove il punto focale non è l'obelisco o le fontane, ma due piastrelle rotonde di marmo verso cui si indirizza la pavimentazione della piazza, che indicano il punto da cui di tutto il colonnato si vede solo la prima colonna delle quattro che formano l'emiciclo.
Succede così al visitatore occidentale di provare la sensazione di assenza, quasi di vertigine quando si trova davanti alle immense piazze russe, asiatiche o sudamericane con grandi spiazzi riempiti di niente, come le moschee che al confronto con le nostre chiese sembrano cornici che contengono il nulla, solo un punto esterno all'edificio, essendo il tutto chiaramente orientato verso la Mecca. Anche l'interno della stanza principale della casa islamica, quella dove si riceve, non ha nulla al centro. Le poltroncine per gli ospiti sono contro le pareti e al centro c'è solamente lo splendore di un tappeto che occupa tutta la stanza. Piccoli tavolini di servizio reggeranno frutta e qualche dolce. Una volta seduti si scopre la differenza tra la piazza e la casa islamica: se nella piazza dovevi sopprimere il desiderio di gridare, di spiegare la tua voce, nella casa scopri che la conversazione si può fare tra persone sedute da una parete all'altra, senza gridare.
L'ospitalità islamica si intreccia col piacere del parlare.
La piazza italiana è il piacere dello sguardo.

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Se vi capitasse di passare da Como, scendendo per la via Napoleona, vi troverete davanti a Porta Torre il principale ingresso alla città medievale, e fuori dalle mura rimaste integre fin dall'anno Mille (il Barbarossa non le abbattè perchè "Como è coi forti e abbandonò la Lega") potrete vedere il più antico mercato d'Italia. Oggi è una sequela di bancarelle con merci varie ma il giorno di Sant'Abbondio, il patrono della città, il mercato viene allestito esattamente com'era allora.
Tra i tanti commercianti che esponevano le loro merci fuori dalle mura di Como che ricordo, era uno snodo importante di commerci anche con l'estero, c'erano anche i librai che trasportavano i loro prodotti in botti di legno per proteggerli dalle intemperie e si preparavano a scambiare i codici. Infatti a quel tempo il libro era costituito da pagine di pergamena – più tardi fogli di carta di straccio – scritti dagli studenti secondo le buone regole della Scolastica. Portavano un titolo che si riferiva al primo argomento scritto che si incontrava aprendo la rilegatura, ma poi gli altri fogli riportavano svariati argomenti a seconda dell'orientamento scolastico.
Occorre fare due osservazioni, la prima è che i bibliotecari che gestivano le biblioteche private dei castelli, dei conventi e dei signorotti, avevano difficoltà non tanto ad archiviare ma a reperire determinati argomenti, e dovevano affidarsi alla propria pratica o alla propria memoria per andare in un luogo lontano a cercare un libro su Platone dentro il quale ricordavano esserci calcoli matematici o astronomici o di qualsiasi altro argomento che con Platone non avevano nulla da spartire.
La seconda osservazione è che secoli dopo il genio di Leonardo Da Vinci non solo riuniva gli argomenti che reputava più interessanti, ma li metteva tutti in un codice dal cui titolo si potesse intuire che tutti i fogli inseriti in quel codice riguardavano un solo argomento. Il fatto che scrivesse con la sua criptica calligrafia mancina ha fatto credere a qualche studioso superficiale che tutto il materiale scritto da Leonardo fosse stato pensato e concepito dallo stesso, e invece per la maggior parte delle volte copiava. Questo non toglie nulla al suo genio, perchè aveva la capacità superlativa di scegliere argomenti che a distanza di tempo – salvo rare eccezioni – si sono mostrati scientificamente esatti o quantomeno giustamente orientati. Diciamo che la riconoscibilità degli scritti di Leonardo influenzò una pratica che seguì poi nel futuro: ogni libro ha un autore.


Succedeva che il cliente si portasse al mercato il suo codice e ne scegliesse un altro che reputava interessante scambiandoli e lasciando una prebenda al libraio. L'avvento della stampa a caratteri mobili rivoluzionò tutto questo modo di procedere perchè i libri offerti non erano più pezzi unici ma quantità definite esattamente riproducibili. Questo cancellò la trattativa che dipendeva dalle diverse opinioni che i due contrattori avevano su determinati prodotti. Adesso arrivava il libro esattamente uguale ad altri libri con lo stesso titolo e pertanto si instaurò un mercato di prodotti omogenei con prezzi fissi (non è una rivoluzione da poco, pensandoci).


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Se l'eroe del romanzo di Musil era L'uomo senza qualità il protagonista di Amore Liquido di Zygmut Bauman è l'uomo senza legami fissi, indissolubili. Il protagonista di questa società liquida predilige legami allentati, senza la complicazione del doverli recidere. Di conseguenza al posto delle relazioni predilige le connessioni. Nel nostro mondo di individualismo rampante le relazioni vacillano dal sogno inappagato all'incubo del non potersi liberare. Le connessioni invece si staccano e basta. E nessuno ti chiede perchè. Baricco, nel suo "Saggio sulla mutazione" (i Barbari) individua questo fenomeno nella velocità dell'esperienza. Non più approfondimento anche faticoso delle materie, anni di studio su di un argomento tanto da approfondirlo fino a sapere tutto su una parte infinitesimale del sapere cosmico, ma il surfing che è la velocità con cui gli atleti sulla tavola cavalcano le onde e dalla velocità acquistano energia per rimanere in equilibrio e spostarsi velocemente da un argomento all'altro in modo orrizzontale e rapido invece che verticale e statico. (Non lasciatevi ingannare: surfing è un termine coniato dal McLuhan).
Allo stesso modo le amicizie, le conoscenze, le relazioni apparentemente epidermiche in realtà si sviluppano in modo rapido con un flusso continuo. Alcuni intellettuali che non hanno capito il mezzo, si chiedono se non sia scandaloso che su Facebook tu abbia un migliaio di amici mentre non conosci il nome di battesimo del tuo vicino di pianerottolo.
La differenza sta tutta nel fatto che uscendo di casa e andando in edicola potrai comprare il tuo quotidiano preferito mentre col Web, con lo stesso prezzo e rimanendo comodamente seduto, puoi scegliere tra tutti i quotidiani del mondo o il loro riassunto. Dai commenti dei lettori, troverai quelli a te più affini e saranno coloro con cui ti connetterai.
Nella mia decennale esperienza mi è capitato di incontrare molti degli amici con cui avevo connessioni Internet. Nessuno di loro mi ha mai deluso, perchè tutto quello scambiarsi opinioni aveva fatto sì che ci conoscessimo così intimamente da desiderare di incontrarci.
Un altro fenomeno su cui riflettere è la Web-cam, cioè la telecamerina a basso costo con cui ci si collega e ci si vede. E' un ritrovato tecnologico che viene da lontano. Erano gli anni sessanta e venne messo in commercio il video-telefono che non ebbe successo in quanto un ibrido che mal coniugava l'orecchio e il freddo mezzo del telefono con l'occhio e la calda pre-ipnotica televisione.
I maghi del Marketing dissero che l'utente preferiva rimanere occultato all'interlocutore che era entrato quasi prepotentemente in casa sua, nella sua intimità.
Davanti al computer questo invece non capita. "Hai la web-cam?" è la prima domanda che ti scrivono in chat dopo che ti hanno conosciuto meglio.
Perchè ora che ti conoscono, vogliono pure vederti.

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Infelici quei bimbi che non hanno I nonni, si diceva una volta. Sono propenso a dire, infelice quella generazione che i nonni li ha buttati via, ricoverandoli, isolandoli, i più ricchi lasciando che li accudiscano le badanti straniere.
Perché i nonni, nella nostra secolare civiltà contadina, erano tutta la memoria della famiglia, erano i racconti, persino le invenzioni che un tempo avevano alimentato i miti. Oggi con cento giga di memoria viviamo nell’illusione che non ci serva altro. Pensate, quel grande serbatoio di memoria che è Google, ha fagocitato nel suo ventre tutto il Web del mondo: avete un dubbio e lui risponde. Ma non vi restituisce la risposta esatta bensì la più cliccata e così cadiamo nel paradosso che la verità è quello in cui credono gli altri…
I nonni morivano in casa, alcune volte lentamente, nella stanza del dolore: “Silenzio bambini, non fate rumore, che c’è il nonno ammalato…” Adesso muoiono in ospedale e la camera ardente si allestisce nell’obitorio, poi il funerale in auto, di corsa come a voler cancellare la morte quella vera perché quella virtuale ce la propinano il cinema e la televisione con spari, bombe, pistole, omicidi, centinaia al giorno.
E quando la morte si affaccia nelle nostre case attraverso i media, confondendo il vero con il virtuale, poi reagiamo con parole inutili, con atteggiamenti scomposti, con eccessi virtuali, come virtuale è il dolore che ci accomuna, il caso Eluana Engaro ne è la perfetta sineddoche (una parte per il tutto)…


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