martedì 15 aprile 2014

LA GUERRA 2

LA GUERRA LA VINCE CHI LA RACCONTA MEGLIO?

Un esempio di connubio tra guerra e mezzi d'informazione si ebbe con il banchiere Henry Dunant che nel 1859 trovandosi in Lombardia per ragioni d'affari venne coinvolto nella battaglia di Solferino e ne ebbe un'impressione così sconvolgente da scrivere un libro che sarà l'origine di un movimento d'opinione che sfocerà con la fondazione della Croce Rossa a Ginevra. L'informazione di guerra prese una imprevedibile accelerazione quando Florence Nightingale organizzò un ospedale militare durante la guerra di Crimea (1854) e le sue corrispondenze spedite giornalmente a Londra e pubblicate dalla stampa inglese impressionarono talmente il pubblico da costringere il governo ad una riforma sanitaria. Ma il più grande impatto sul pubblico lo ottenne William Howard Russell con la descrizione, sempre col telegrafo, delle condizioni in cui combatteva il soldato britannico. Descrisse la battaglia di Balaclava coi soldati e i cavalli che morivano di fame e d'abbandono suscitando una violenta reazione alla guerra da parte del pubblico. Il telegrafo, che era stato inventato per far arrivare in orario i treni, ebbe una prima accelerazione delle sue applicazioni dovuta al fatto che la pioggia danneggiasse i cavi elettrici interrati e quindi ogni capostazione collegandosi con la Stazione Centrale comunicava le condizioni del tempo, formando una rete d'informazioni che venne sfruttata dai quotidiani, che allora pubblicavano solamente i bollettini di Borsa e qualche commento politico con l'agenda dei lavori del governo.
Questo nuovo interesse fece aumentare le tirature e di conseguenza le tariffe delle inserzioni pubblicitarie. Con le tirature aumentarono pure le notizie che non era più necessario andare a scovare, ma arrivavano da sole dalla periferia, con il telegrafo. Al direttore del giornale, bastava selezionare il materiale secondo "l'interesse umano" cioè la sua visione di ciò che poteva essere pubblicato e di ciò che non andava nella direzione editoriale. Con le corrispondenze di guerra si scoperse che questo artificiale "interesse umano" era invece la potenzialità del coinvolgimento immediato del pubblico con la notizia. L'"interesse umano" si mostrò per quello che in realtà era. Era nata l'opinione pubblica.
Fu un pubblicista, Edward Bernays, americano di origine austriaca e nipote di Freud, che intuì alcune proprietà dell'opinione pubblica, e cioè che la "mente collettiva" non reagiva alla parola, o almeno non reagiva come ogni individuo attraverso il pensiero e il linguaggio, ma lo faceva con l'immagine che la parola evocava con reazioni che potevano farsi risalire all'istinto, alle abitudini, al conformismo. Nacque così la sua idea di "fabbrica del consenso" che mise in pratica durante la Prima Guerra Mondiale, i cui risultati pubblicò nel suo libro: PROPAGANDA (1925) che divenne il manuale delle Pubbliche Relazioni, una disciplina praticamente fondata da lui e dal giornalista Walter Lippmann che divenne suo socio.
La propaganda di guerra continuò con il cinematografo e i notiziari filmati proiettati prima di ogni spettacolo, con giornalisti e fotografi che si recavano sul posto per documentare le azioni di guerra e pubblicarle su riviste patinate. La più celebre fu LIFE e l'agenzia Magnum con i suoi leggendari fotoreporter.
Il giocattolo si ruppe con il Vietnam e la televisione. Dopo l'editoriale di Cronkite della CBS durante l'Offensiva del Tet, dove affermava che non era possibile vincere quella guerra in Vietnam, il presidente Lyndon Johnson affermò, "Se ho perso Walter Cronkite, ho perso l'America moderata". Poco dopo il rapporto di Cronkite, Johnson lasciò la corsa alla presidenza statunitense del 1968.
Per il giornale l'informazione è una merce al di là di ogni convenienza politica mentre alla politica servono i mezzi d'informazione per rafforzare il consenso. Ne nasce un connubio tra il desiderio di pubblicare ogni notizia e la convenienza del politico a filtrare solo le notizie che gli tornino utili. In guerra, se da una parte si rinsaldano i rapporti tra questi due poteri (la stampa sarebbe il "Quarto Potere") contro un nemico comune, da parte della politica si sviluppa la tendenza a far passare con vari artifizi le notizie che facciano più comodo. Da qui le conferenze stampa dei generali, i giornalisti embedded, gli accrediti rilasciati solo a coloro che danno garanzie di una certa discrezionalità, eccetera, in contrasto con una crescente domanda d'informazione da parte del pubblico che qualche eroico corrispondente è disposto a dare anche a costo della vita.
L'equilibrio si rompe dopo cento anni di felice connubio, con le immagini televisive che essendo a bassa definizione non solo sembrano non aver bisogno di troppi commenti, ma "scaldano" l'opinione pubblica che crede non solo che quello che vede sia tutto vero senza mediazioni, ma addirittura che ciò che non si vede non esiste.
Se il generale Eisenhover durante la seconda guerra mondiale potè dichiarare:"Sarà l'opinione pubblica a vincere la guerra" sicuro del fatto che lo Stato avrebbe gestito l'opinione pubblica convincendola che era giusto andare in guerra, giusta la mobilitazione generale, l'arruolamento volontario nonchè gli ottimi risultati gestiti da una dosata manipolazione delle notizie, con la televisione che mostrava crude immagini dal fronte e dalle università (dove sparavano sugli studenti, non dimentichiamolo) con dibattiti, prese di posizioni di star di Hollywood, occorrevano strategie di comunicazione diverse.
La guerra del Vietnam non la vinsero i vietnamiti, malgrado i loro sforzi e sacrifici sovrumani, la persero gli U.S.A. perchè avevano maturato QUELLA televisione. Se la Guerra Fredda (secondo il McLuhan una guerra elettronica dell'informazione) aveva messo a punto meccanismi di consenso ormai collaudati occultando le atrocità della guerra in Corea, per esempio, il Vietnam era stato come il giocatore di poker che non credeva più al bluff e puntando tutta la posta aveva detto: "Vedo!"

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A detta degli esperti, era cominciato tutto con JF Kennedy, ex corrispondente di guerra che usò la televisione er incarnare l'immagine di un'America giovane e progressista. Con lui nacque il news management, una struttura capace di generare fatti avvenimenti che facciano notizia ai quali far partecipare opinionisti, politici personalità eminenti, con lo scopo di alimentare il consenso. Il 25 Gennaio 1961 il discorso di Kennedy in televisione venne seguito dalla sbalorditiva (per quei tempi) cifra di 60 milioni di ascoltatori. Nel 1963 la CBS raddoppiò il tempo dei propri notiziari, nel 1967 quasi tutta la televisione americana era a colori ma le notizie dal Vietnam - una guerra che si trascina dal 1954 senza che gli americano avessero notizie precise se non quelle che l'America era intervenuta in appoggio al Vietnam del Sud per arginare il comunismo - vengono date solo dalla stampa. Francois Sully un fotoreporter coraggiosissimo caduto durante uno dei suoi famosi reportages, scrisse sull'americano Newsweek (1962) che l'impresa americana nel Vietnam era destinata a fallimento ma nessuno ci fece caso fino alla crisi del Tonchino, dove Lindon Johnson, poco esperto della materia, resuscitò lo staff del news management per dichiarare la famosa "escalation": i comunisti hanno attaccato l'America, dobbiamo difenderci! Che da quel momento pose le notizie dal Vietnam nei palinsesti di tutte le reti televisive.
All'inizio i mezzi di comunicazione assecondarono la fabbrica del consenso e da qui nasce l'errore di Westmoreland di lasciare via libera ad ogni richiesta con accrediti rilasciati un po' a tutti. I corrispondenti iniziano ad assecondare la marcia trionfale, con servizi sui buoni boys, gli atti di coraggio, le armi da guerra e la tecnologia avanzata, mentre il nemico si descrive sempre più efferato e crudele, l'ambasciatore americano a Saigon dichiara che i vietcong tagliano la testa ai prigionieri e le espongono su bastoni fuori dai villaggi per terrorizzare la gente.
Orrori non se ne mostrano, nè da una parte ma nemmeno dall'altra, così gli anchormen parlano del coraggio dei nostri ragazzi, dei bambini vietnamiti raccolti in un orfanotrofio di fortuna che vengono intervistati e parlano della loro fame, della famiglia distrutta. La presentazione di un eroe:
"I coraggiosi hanno bisogno di leader. Questo, signori, è un leader di uomini coraggiosi. Si chiama John Bellemor. E' di Charlotteville, Lousiana. È sposato e padre di 4 figli. Sono i migliori soldati del mondo. In effetti, sono i migliori uomini del mondo. Sono ben preparati, ben disciplinati ...
...La loro motivazione è formidabile. Sono venuti qui per vincere"
Per McLuhan il Vietnam è la "prima guerra televisiva". Lo spettatore ha la sensazione di partecipare alla guerra. Partecipa "ad ogni fase della guerra, e le azioni principali vengono ora combattute in ogni casa americana"
All'inizio il Vietnam in televisione segue lo schema dei film western anni cinquanta, con la violenza rappresentata con altri costumi, in un'altra epoca, da uomini integri che usano la violenza e causano morte e distruzione ma con altissimi ideali, quali la libertà, la giustizia, l'onore.
In questo tipo di rappresentazione stereotipata, persino la critica è sospetta: Nel 1965 Un notiziario della catena televisiva ABC riferiva alcuni avvenimenti inerenti pacifisti americani introducendo il servizio con queste parole: "Mentre gli americani combattono e muoiono in Vietnam, vi sono alcuni in questo paese che simpatizzano con i Vietcong..."
I danni alla popolazione civile in televisione diventano "strategia del terrore", se causati dal nemico, fatale errore (danno collaterale), se causati dai nostri ragazzi. ..
Nascono dibattiti sull'efficacia dei massicci bombardamenti vietnamiti in rapporto ai danni causati alla popolazione. Nell'Agosto del 1965 la CBS mostra un attacco di marines nel villaggio di Cam Ne dove bruciano tutto con i lanciafiamme, donne vecchi bambini, case e raccolti:"non c'è dubbio che il fuoco militare americano può ottenere una vittoria qui. Ma ci vorrà ben più di una promessa del presidente per convincerli che noi siamo dalla loro parte" è il commento al filmato a cui fanno seguito centinaie di chiamate di protesta per la sfacciata propaganda comunista a sostegno del nemico...
Nel 1967 si approssimano le elezioni e la strategia è quella di intensificare la comunicazione per instillare uno spirito da vigilia della vittoria. Ma arriva l'offensiva del Tet di cui abbiamo già parlato, e quando i vietnamiti entrano nel recinto dell'ambasciata americana di Saigon, a Cronkite non rimane che dire sbigottito: "Ma che diavolo sta succedendo? Non stavamo vincendo noi?" Dopo di che vola nel cuore del Vietnam e in diretta annuncia che la guerra è un bagno di sangue. Segue la NBC che documenta lo sfacelo: ora gli americani sanno di aver perso la guerra.
Dove avvenne la svolta? Nelle telecamere a spalla. Prima c'erano telecamere sul treppiede, con pesantissimi cavi video che andavano ad una consolle, mentre altri cavi coassiali si inserivano in un mixer video. Decine di telecamere se ne stavano pacifiche di fronte ad una scrivania dove un generale teneva la giornaliera conferenza stampa.Con la telecamera a spalla bastava un aiuto operatore (e a volte nemmeno quello) per trasportare il mixer, e i giornalisti iniziarono ad avventurarsi sul teatro di guerra e a documentare le atrocità.
Westmoreland dichiarò che la guerra era stata vinta sul campo ma persa nei salotti americani, mentre 700 inviati vaganti per tutto lo scacchiere di guerra mostrarono alla nazione che Nixon annunciava il progressivo disimpegno nel conflitto mentre intensificava i bombardamenti. Il colpo di grazia lo diede il New York Times pubblicando le carte segrete del Pentagono che documentarono gli inganni ed i condizionamenti dell'opinione pubblica da parte dei militari. (La Commissione d'Inchiesta del Senato accertò tra le varie responsabilità che sul Vietnam, Laos e Cambogia, gli americani avevano scaricato quattro milioni di tonnellate di bombe pari a centotrenta volte l'atomica su Hiroshima, il doppio di tutte le bombe sganciate nella seconda guerra mondiale....)

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Prima di continuare con la nostra analisi fermiamoci per analizzare la guerra del Vietnam secondo la visione del McLuhan. Ci troviamo davanti due generali che appartengono a due schieramenti, che potremmo definire in questo modo: visivo quello occidentale, con Westmoreland generale uscito da West Point dove ha studiato le strategie matematiche e visive come quella degli scacchi: un obiettivo, uccidere il Re, con la strategia di avanzare togliendo di mezzo ogni ostacolo, con priorità all'attacco dei pezzi più pregiati. Contro di lui il generale Giap, auditivo, che non ha nessun obiettivo se non quello di indebolire TUTTO il nemico accerchiandolo, secondo i dettami della scuola di guerra di Sun Tzu, teorico del quinto secolo a.C.
Westmoreland è un generale formatosi sulle teorie della seconda guerra mondiale e dello sbarco in Normandia con tutti i suoi sprechi. Convince il presidente Johnson all'escalation, chiede 540.000 uomini, subisce un numero impressionante di perdite tra le sue truppe e avanza con l'obiettivo di distruggere quanto più nemico possibile per assoggettare il territorio.
Giap invece combatte come si fa nel gioco del "Gò" antichissimo gioco aristocratico cinese (mentre lo xiangqi, gli scacchi erano considerati gioco popolano) che ha come obiettivo conquistare spazi sulla scacchiera col minor numero di pedine possibili.
Giap si rende conto che i massicci bombardamenti sul territorio servono per preparare il terreno alle truppe di terra ed è lì che dopo ogni bombardamento fa confluire le sue truppe addestrate alla guerriglia. Giap non vince nessuna battaglia ma le gravi perdite americane e lo spreco di energie aprono squarci irreparabili nell'opinione pubblica americana.
Anche l'offensiva del Tet, il Capodanno vietnamita, è un gioiello di inganno e strategia secondo il maestro Sun Tzu: gli ordini per il generale Giap sono suicidi, occupare Saigon con un attacco frontale, ma egli prepara invece un attacco contemporaneo contro un centinaio di villaggi minori, il giorno del Capodanno dove ha fatto sapere che ci sarà una tregua. Gli americani mandano parte delle truppe in licenza e si preparano a guardare i fuochi artificiali, che arriveranno con l'attacco ad uno dei villaggi, dove confluiranno le truppe americane in soccorso lasciando scoperti gli altri centri dove Giap ha preparato l'offensiva.
Il resto è storia.

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Con l'avvento dei satelliti per la telecomunicazione si fa largo la CNN di Turner che riesce a fornire immagini e notizie immediatamente dal luogo degli avvenimenti. Succede, per fare qualche esempio, che l'ex presidente Carter, osservatore delle elezioni a Panama, per comprendere cosa stesse accadendo nel Paese, si chiude nel suo albergo e rimane incollato ai notiziari della CNN che registrano violenti scontri nelle strade. Gorbachov va a New York e comunica al mondo il disarmo unilaterale dell' URSS, fino all'uragano di New Orleans quando il sindaco della città in diretta con la CNN continuava ad indicare la sua finestra per dire che là non stava succedendo nulla di grave e la giornalista spazientita gli gridò: "Chiudi quella maledetta finestra, accendi la televisione e sintonizzati su CNN !" capovolgendo di fatto la realtà a cui si riferiva il sindaco (la sua ovviamente) e la potenza dell'informazione contemporanea a cui attingere.
Questo flusso costante di informazione modificò anche il modo di comunicare dei politici, Regan da attore incallito, usò perfettamente il mezzo per inondare il mondo di sue immagini "spontanee" e di avvenimenti costruiti a tavolino.
Iniziò pure quella tendenza della politica ad usare avvenimenti mediatici quali vertici coi vari capi di Stato, conferenze internazionali sul disarmo e ancora oggi conferenze dell'ONU o riunioni periodiche dei presidenti Europei, che usano il mezzo per creare avvenimenti che alla lunga hanno dimostrato solamente di essere una passerella mediatica per i protagonisti.
Come ampiamente teorizzato dal McLuhan nel villaggio globale non conta l'assenza del contenuto ma è il contenitore (l'avvenimento televisivo) che si fa messaggio perchè la televisione non si limita a narrare l'evento ma si fa essa stessa protagonista, creandolo.
Intanto la guerra continua e si intuiscono le prime reazioni dei militari nei confronti dei media. La guerra delle Falklands (1982) è la prima guerra televisivamente invisibile. Partono con la flotta solo una trentina di giornalisti "embedded", tutti inglesi, che registrano gli avvenimenti durante una conferenza stampa giornaliera con i vari comandanti, devono far controllare i loro pezzi dallo Stato Maggiore prima dell'invio, che vengono ricontrollati all'arrivo dal Ministero della Difesa. Di fatto, TUTTI i giornalisti sono diventati un'unica fonte d'informazione che dipende dai vari portavoce dei militari.
Nel 1983 c'è una forte fibrillazione in Medio Oriente, gli israeliani invadono il Libano, c'è la strage di Sabra e Shatila, l'ONU accusa Israele di violare i diritti umani nei confronti dei Palestinesi e questi avvenimenti lasciano senza copertura televisiva l'attacco americano di Grenada. Pure l'invasione di Panama non viene documentata dalla televisione tutta impegnata con la rivoluzione rumena. Il raid sulla Libia invece (1986) entra nella categoria delle nuove guerre tecnologiche, coi satelliti, puntamento elettronico, comandi a distanza bombadamenti rapidi e isolati che non danno nessuna possibilità all'informazione.
Le cose vanno meno bene ai militari americani nell'operazione "Restore Hope" in Somalia, (1992) anche se iniziano con i cameramen sbarcati prima delle truppe per riprendere l'epico sbarco dei marines, le riprese sono così smaccatamente "cinematografiche" da lasciare perplesso il pubblico televisivo che poi si renderà conto della reale situazione con i documentari sulla fame di quei bambini e sull'ultimo attacco alle truppe che causò la ritirata USA.
Anche la rivoluzione rumena del 1989 con l'enfasi delle riprese televisive, i massacri dei soldati di Ceucescu, le fosse comuni, gli scontri violenti dei manifestanti, si rivelarono tutti una solenne montatura e il pubblicò cominciò a smaliziarsi da qui la necessità dei militari di ridurre l'informazione giornalistica fino ad escluderla completamente.

Il 2 agosto 1990 Saddam Hussein invade il Kuwait che con la delegazione statunitense chiede la convocazione del Consiglio di Sicurezza ONU che approva la risoluzione 660 dove si condanna l'invasione, si richiede il ritiro delle truppe dal Kuwait e non ottenendo nessuna risposta da parte di Saddam, stabilisce severe sanzioni economiche contro l'Iraq. Seguono varie vicende tipiche della propaganda pre-bellica. Saddam si protegge con scudi umani, accarezza la testa di un bambino ostaggio, il che fa inorridire i telespettatori di mezzo mondo, dalla parte opposta 34 nazioni aderiscono alla coalizione contro l'Iraq, Tarek Aziz invia un messaggio alla Lega Araba rivendicando la proprietà del petrolio kuwaitiano, Saddam minaccia di colpire i pozzi petroliferi e il prezzo del greggio sbalza a 40$ al barile, finchè il 17 Gennaio 1991 viene dato il via a "Dwaert Storm" la più grande mobilitazione militare del dopoguerra.

Durante la fase di preparazione del consenso alla guerra, Craig Fuller, capo della "Hill & Knowlton" consigliere politico di Bush e capo del suo staff durante la Presidenza Reagan, prepara falsi filmati, false interviste in cui si testimoniava che Saddam Hussein, novello Hitler (definizione vincente) faceva staccare le incubatrici dei figli dei kuwaitiani e altre angherie, riuscì ad ottenere il consenso del Paese. Dopo di che si moblitò per evitare di ottenere il deprecabile "effetto Cronkite" che fece perdere in consenso sulla guerra del Vietnam, e proprio per cancellare le immagini di quella umiliante fuga, due giorni dopo la conquista della capitale, le televisioni filmarono la discesa dagli elicotteri di marines sull'ambasciata di Kuwait City facendo scrivere nella prima pagina del Wall Street Journal: "Vittoria! Esorcizzati i demoni del Vietnam!" e "Siamo la nazione più potente del mondo e questo sarà l'inizio del secolo americano" Che fosse l'inizio del secolo americano è dubbio, che fosse invece l'inizio di un nuovo modo per diffondere l'informazione di guerra, questo è certo.
Intanto tutti i corrispondenti di guerra dovevano firmare alcune condizioni, quali quella di non filmare morti o feriti, di non recarsi in nessun luogo senza permesso e scorta militare, di non dare informazioni logistiche, su equipaggiamenti sulle forze in campo. Proibizione assoluta di descrivere le operazioni militari, la dislocazione delle truppe, di fornire dati sulle perdite, di nominare la base da cui trasmettevano i loro servizi. Il 98% dei giornalisti era americano, gli altri neozelandesi, inglesi e canadesi. Questo svuotamento totale dell'informazione è peggiorata anche dal nuovo modo di fare la guerra, aerea, missilistica, satellitare, con droni e bombe intelligenti. Sembrerebba un'altra guerra oscurata, ma qui sta la novità, i giornalisti vengono inondati giornalmente da un'apparente ricchezza d'informazioni realizzate dal news management dell'esercito: mappe satellitari, proiezioni di obiettivi colpiti da bombe con telecamera (Dove? Come? Quando? Mistero) conferenze stampa di generali in tenuta mimetica, bacchette, diagrammi, schemi, videate, riprese notturne. Con questo materiale, con qualche tenda alle spalle, i corrispondenti danno le notizie. E' tutto.
Conclusa l'offensiva, approfittano dell'intervallo di una partita di baseball molto seguita per mostrare immagini dei soldati irakeni che con le mani alzate si arrendono pacificamente, mentre l'inviato di un giornale di provincia scrive dalla portaerei dove ascoltando i piloti degli aerei descrive una carneficina di soldati irakeni in fuga. Ma è solo una piccola voce di provincia che si confronta con il massiccio bombardamento mediatico dal tono trionfalistico delle televisioni "embedded" pure loro che finalmente possono presentare una guerra con un copione come ai bei tempi del cinematografo di propaganda, con l'Ultimatum dell'ONU, i discorsi allucinati di Saddam, i soldati impazienti di dare una lezione al dittatore, le ore d'attesa nelle tende ordinate, col rancho abbondante, con le visite delle autorità con le canzoni sguaiate, e poi la perfezione dei movimenti delle forze armate, la precisione delle armi intelligenti, gli obiettivi colpiti, il nemico piegato, la resa... tutto senza sangue.
E i generali eroi di guerra, la gente che cena e vede il conflitto alla televisione, anchormen che ne parlano nei loro salotti virtuali, la testimonianza dal vivo dei giornalisti tornati in studio con qualche filmato di colore, qualche visita alle truppe riescono ad unificare in un unico abbraccio un Paese che non vede la guerra ma il suo racconto, che la guerra in queste condizioni non è invisibile, ma solo immaginaria.

C'è da chiedersi a questo punto se si sia trattato di una guerra vera e propria o del miglior spettacolo in prime time messo in onda, ma anche da questa apoteosi di falsa informazione avviene qualcosa che "raffredda" il mezzo. Ancora una volta si tratta della CNN che ormai non ha più un profilo nazionale ma servendo tutto il mondo, sente l'esigenza di servirlo in modo completo, e i mezzi ce li ha. E se è praticamente impossibile seguire dal vivo una guerra rimanendo appostati (embedded) con l'aggressore, invece è possibile trasmettere le telecronache da Bagdad, dal punto cioè dove le bombe arrivano. E il risultato è dirompente. I primi bombardamenti sull'iraq sono tutti mirati a far saltare tutto l'apparato trasmittente iracheno, ma la CNN con una nuova tecnologia (un'antenna portatile che trasmette direttamente via satellite) non solo documenta al mondo che è iniziata la guerra, ma lo fa PRIMA dell'annuncio ufficiale della Casa Bianca.
Inizia una nuova era dell'informazione di guerra, con l'inviato ancora al centro dell'informazione registrando l'attacco amico e col punto di vista del nemico!
Prima c'erano solo giornalisti chiusi in un albergo dall'altra parte del fiume, che mostravano scie luminose, crepitii di armi da fuoco, rumore di esplosioni e solite letture di bollettini forniti dai militari sul movimento delle truppe.
Adesso che tutti sono stati espulsi dall'Iraq, l'unico rimasto Peter Arnett della CNN va ad intervistare Saddam Hussein, scova una fabbrica di latte in polvere combardata, un ospedale, un villaggio, mostrando che le bombe intelligenti tanto intelligenti non sono e che le "operazioni chirurgiche" altro non sono che violenti bombardamenti a tappeto..

Occorre una riflessione. Ci troviamo a questo punto con la consapevolezza che le riprese della CNN sono censurate da Saddam (la scritta in sovra impressione è chiara) mentre quelle americane sono pilotate dal Pentagono. Ci sono riprese fasulle da parte dell'una e dall'altra parte che verranno smentite da esperti ma a guerra finita. Allora cosa fare? Come reagire?
In una sua conferenza sulla comunicazione Emanuele Severino diede una spiegazione plausibile. Disse che la grande massa d'informazione che arriva al pubblico lo mette in condizione di non potersi più affidare ad una fonte che lui ritiene portatrice incontestabile della Verità il cui concetto lui colloca nella mente in una sorta di campo tra il percepito e il non realizzato, insieme al concetto di Libertà, Pace... Sottraendo tutto ciò che per il soggetto è impossibile, e togliendo il poco probabile, rimane nella mente una sorta di campo dove tutto è probabilmente plausibile, salvo smentita. E' l'unica maniera – dice il McLuhan – con cui la nostra mente si difende dalla narcosi dovuta al bombardamento su di un solo organo di percezione.

Se i generali sono preparatissimi di fronte all'ultima guerra combattuta, un po' meno di fronte alla prossima, lo stesso si potrebbe dire di Peter Arnett, il giornalista che annunciò al mondo la guerra del Golfo prima della Casa Bianca, quello che intervistò Osama Bin Laden e Saddam Hussein, l'uomo che vinse un Pulitzer per le sue cronache dal Vietnam, che venne licenziato dalla CNN dopo un documentario dove mostrava l'uso di gas nervino da parte degli americani, ora con la NBC, forte della sua popolarità sfida l'estabilishment americano e concede un'intervista alla TV irachena in cui afferma:
«Gli americani stanno riscrivendo il piano di guerra, perché il primo è fallito a causa della resistenza irachena. Le nostre trasmissioni da qui, con le vittime civili, stanno avendo un impatto negli Stati Uniti, dando argomenti agli oppositori della guerra. Cresce l'opposizione a Bush, e a come sta conducendo questo conflitto».
Licenziato.Era il 31 Marzo 2003.
«Ho detto essenzialmente quel che noi tutti sappiamo sulla guerra» si giustificò.Ma lo sdegno americano non si manifestò per il contenuto del discorso ma sull'aver concesso un'intervista al "nemico".
«Sono dichiarazioni che denotano una totale ignoranza», dichiarò la Casa Bianca. «Meriterebbe l'accusa di altro tradimento», aggiunse il senatore repubblicano Jim Bunning. E addio a Peter Arnett che non si era reso conto che con la guerra del Kosovo i rapporti tra la guerra e la comunicazione erano completamente cambiati. Intanto perchè negli USA erano state affinate le tecniche di PSYOP, cioè "operazioni psicologiche" per pianificare e convogliare informazioni preventive sui pericoli del "nemico" nei confronti dell'intera umanità e sull'utilità di un prossimo conflitto, influenzando le emozioni, le motivazioni, i processi raziocinanti di critica e l'atteggiamento dell'opinione pubblica nei confronti dei governi, organizzazioni, gruppi da cui dipendono.
Opportunamente applicate, non solo possono ridurre il morale delle forze avverse ma possono creare pure dissidenza tra la popolazione. Sul fronte interno, riescono a rafforzare il potere usando quattro tecniche: strategica, operativa, tattica e di consolidamento del potere militare e politico nei Paesi occupati. Anni dopo il conflitto, siamo venuti a conoscenza via Web, a cura del Coordinamento per la Jugoslavia [http://marx2001.org/crj ] sulla base di materiale fornito dalla Transnational Foundation for Peace and Future Research (TFF) - http://www.transnational.org di un documento della National Security Decision Directive (NSDD) N. 133 dal titolo: "La politica degli Stati Uniti in Jugoslavia", catalogata come "confidenziale" resa pubblica nel 1990 che confermava in larga parte la NSDD 54 del 1982, il cui obiettivo includeva "estesi sforzi per promuovere una 'rivoluzione pacifica' volta a rovesciare i regimi e i partiti comunisti, al fine di integrare i paesi dell'Europa dell'Est nell'economia di mercato".

1)
Il 5 Novembre 1990, un anno prima della disintegrazione "etnica" della Repubblica Federativa e Socialista di Jugoslavia, il Congresso americano aveva approvato il "Foreign Operations Appropriations Law" 101-513 per il 1991, che imponeva alla Jugoslavia la restituzione immediata di tutti i prestiti, prospettando una redistribuzione separata dei crediti ad ogni repubblica federata a condizione di "libere elezioni" separate e in misura dei risultati elettorali repubblica per repubb lica (ossia, privilegiando i partiti e le coalizioni di governo secessioniste e filooccidentali)? Fu questo l'inizio della fine: il provvedimento impose alla RFSJ una destabilizzazione tanto radicale da "preoccupare" la stessa CIA, che in un rapporto di poco posteriore mise in guardia il Congresso contro una possibile guerra civile nei Balcani ("New York Times", 28\XI\1990).

2)
Con la guerra del Kosovo per la prima volta non vi furono differenze tra bersagli militari e civili, smentendo persino il codice di guerra fascista del 1941 dove i giornalisti erano dichiarati neutrali. Dove non osavano le potenze dell'Asse osarono le democrazie occidentali!
E alla distruzione di depositi di carburanti, centrali elettriche, piste aeroportuali, ponti e quant'altro possa indebolire il nemico, la NATO aggiunse il bombardamente della stazione televisiva di Belgrado con giornalisti e personale operante uccisi mentre stavano trasmettendo. Alle proteste del governo Serbo, fecero seguito le giustificazioni dei militari americani che asserirono che con i tempi correnti le televisioni vanno considerate armi belliche.

Solo anni dopo il conflitto, a causa di morti per leucemia da parte di soldati italiani impiegati per la bonifica di alcuni territori, si scoperse che i bombardamenti erano avvenuti con proiettili a base di uranio impoverito. Quali danni alla popolazioe e all'ambiente non si è mai saputo. (Lo stesso successe per la guerra del Golfo. Vi furono anche morti e invalidità permanenti tra i soldati americani probabilmente dovute a vaccinazioni sperimentali e una misteriosa serie impressionanti di morti per radiazioni probabilmente dovute all'esplosione di una bomba nucleare a basso potenziale).

3)
Dopo che l'Albania dichiarò la sua disponibilità ad accogliere basi logistiche NATO sul suo territorio, al confine albanese cominciarono a rafforzarsi le truppe jugoslave. Le notizie vennero invertite così che al pubblico sembrò che le truppe NATO si fossero collocate in albania A CAUSA dell'infoltirsi delle truppe nemiche.

4)
Tutti i commentatori occidentali forniscono "notizie dal campo" tutte le notizie dalla parte avversa sono "non confermate" tra le quali ci mettono di tutto, dalle bugie, alle paure della gente, alle false atrocità... Ogni tanto dispacci di agenzia sconfessano le notizie non confermate, ma è troppo tardi, dove c'era il fumo -pensa la gente – ci dev'essere un po' di arrosto. Un esempio: il 27 Aprile 1999 il Ministro della Difesa tedesco Rudolph Sharping mostra al mondo le foto di un massacro, come prova dell'ennesima mattanza serba contro civili e aggiungendo particolari agghiaccianti su come le vittime sarebbero state uccise. Verrà sconfessato, poichè le foto risultarono essere le stesse diffuse dall'esercito Jugoslavo tre mesi prima, come documentazione (confermata) di un'operazione antiguerriglia avvenuta il 29 Gennaio 1999 nel paesino di Rogovo. Armi e divise UCK erano sparite dai "ritagli" di Scharping, e la stampa darà ben poca eco alle smentite.

5)
Le conferenze stampa si svolgevano di solito in questo modo: uno speaker dirigeva lo show, selezionava le domande, dava le risposte preconfezionate e nessuno viene mai colto di sorpresa, c'è sempre una risposta eloquente per tutto, dopo di ché lo speaker tronca: "il prossimo"! Dal 24 marzo in poi, nel corso delle conferenze stampa ufficiali, i rappresentanti della stampa libera non hanno mai fatto domande approfondite sul trattato di Rambouillet, non hanno mai messo in dubbio la legalità dell'azione NATO, non hanno mai chiesto conto delle sue vere motivazioni o dei suoi effetti destabilizzanti. Quando vengono mostrate loro foto o riprese video di "fosse comuni" (riprese da grande altezza, con le sepolture accuratamente allineate in fila una per una, proprio c ome nei cimiteri normali!) o di bersagli bombardati, di cui viene detto loro: "Questo è un deposito di munizioni, questa è una base militare, etc.", nessuno di loro chiede mai: "Come facciamo a essere sicuri che lo è davvero? Dalle immagini non risulta ch e obiettivi sono..."
(Tutte dichiarazioni raccolte dal Centro Italiano per la Jugoslavia)

La notte ra il 19 e il 20 Marzo 2003, allo scadere dell'ultimatum con cui George Bush intimava a Saddam Hussein di lasciare l'Iraq per scongiurare "una guerra altrimenti inevitabile" i telespettatori di tutto il mondo assistettero in diretta ai primi bombardamenti su Bagdad con giornalisti che facevano le loro eccitate telecronache ammassati con le telecamere sulle terrazze degli alberghi al di là del fiume. C'è da dire che già da tempo il presidente Bush Jr. Aveva messo in atto una strategia mediatica per convincere gli alleati ONU a partecipare all'aggressione mascherandola come estrema difesa contro armi di distruzioni di massa (che commissioni specializzate avevano già definito inesistenti) movimenti di truppe e carri armati (che i satelliti russi avevano smentito). Storico l'intervento di Colin Powell presso l'ONU dove mostrava una fialetta con una polverina bianca che definiva antrace, e grafici che illustravano inesistenti depositi d'uranio, di arricchimento, con mezzi che trasportavano materiale fissile. Malgrado lo spiegamento dei mezzi di persuasione però si produsse una spaccatura all'interno stesso del Consiglio di Sicurezza e solo una massiccia campagna di pressioni fece scendere in campo l'Inghilterra (schierata dal primo momento con gli USA), la Spagna (che si ritirerà quasi subito) l'Italia e altri stati che ambivano ad entrare nell'Unione Europea e percorsero la strada dello scambio. In tre settimane l'esercito ben equipaggiato annullò le stremate forze irachene ed entrò in Bagdad. La propaganda aveva detto che il popolo iracheno avrebbe accolto a braccia aperte gli invasori lieti della fine di un regime repressivo, e invece solo qualche ragazzino e qualche curioso. Qui avvengono due episodi televisivi che dovrebbero far riflettere: prima di abbattere la grande statua di Saddam gli americani gli coprono la faccia con una bandiera a stelle e strisce e questo raggela il mondo, ma solo per pochi minuti, la bandiera verrà sostituita con una irachena e le immagini spariranno per sempre. Il secondo episodio avviene dopo qualche giorno dall'invasione. Le televisioni danno l'annuncio di un aereo americano abbattuto dalle forze irachene e di due piloti che risultano dispersi lungo il fiume. Gli iracheni si armano con quel poco che è rimasto e corrono in massa sulle rive del fiume e sparano in acqua , tutti, ad ogni ondeggiare dell'acqua, alla faccia del popolo che avrebbe accolto a braccia aperte gli americani. Da ricordare invece la gag tragicomica del ministro dell'informazione di Saddam Hussein, MohamedAl Sahaf che in diretta alle televisioni occidentali dichiarava che Bagdad non era caduta mentre andava in onda il rumore dei cingolati che passavano alle sue spalle.

Anche questa più che una guerra combattuta è una guerra raccontata dagli alberghi e dai giornalisti embedded. Non si vedono i carri armati- carterpillar che seppelliscono vivi centinaia di soldati iracheni che si sono illusi di fermare i mezzi corazzati scavando trincee. Non si vedono i tiri al bersaglio sui vecchi carri armati iracheni non idonei a quella guerra, non si vedono le stragi di soldati e civili con bombe guidate da una tonnellata (e dal costo di un milione di dollari) l'una, non si vedono viveri di supporto alla popolazione alla fame lanciati dagli aerei con le stesse confezioni gialle delle bombe cluster con le mine antiuomo, non si vedono le stragi di bambini vittime di quelle mine.
Il 1 Maggio si vede solo il presidente Bush che con grave sprezzo del ridicolo (lui forse riformato, forse imboscato al servizio militare) scendere sulla portaerei vestito da pilota e dichiarare finita la guerra. Che finita non è, ma ci ha lasciato le immagini stereotipate della guerra degli americani così come le avevamo viste dei film in bianco e nero. L'avanzata degli eroici marines, gli accampamenti ordinati, il vento del deserto, la cattura di Saddam in una buca, tutto sfatto e con la barba incolta, i video con le bombe intelligenti, i breefing dei colonnelli, le visite di Bush che mangia alla mensa dei soldati, ma la prima volta che saltano fuori le immagini delle bare dei soldati americani morti, riprese dai telefonini, è uno scandalo che torce le budella del paese. E lo stesso con le immagini delle torture ai prigionieri. Sempre coi telefonini, il nuovo mezzo rapido d'informazione: le foto sono digitali ed è facile trasformarli in un codice adatto al Web e da qui alle televisioni ed ai giornali, invertendo per la prima volta il flusso delle notizie che non sono più unidirezionali.
I militari comunque hanno capito che la comunicazione serve a fare la guerra che la vince chi la racconta meglio.



Roberto DI NUNZIO, consulente per le strategie della comunicazione e delle relazioni internazionali, docente di Analisi dei media e di Tecniche sociali dell’Informazione presso la Link Campus University of Malta di Romanel suo: "‘Cyberwar - la guerra dell’Informazione’, Le nuove guerre" rileva: «...come la potenza di un esercito non sia più determinata solamente dalla capacità di mobilitazione, dalle risorse economiche, tecnologiche e industriali o dalla capacità e precisione di fuoco, ma anche dalla capacità di controllare la percezione dell’informazione e la rappresentazione degli eventi. Per dare senso all’azione diventa indispensabile, all’interno e all’esterno di un conflitto, rappresentarla, ricostruirla con una copertura mediale globale che influenzi tutti i possibili attori o recettori» e gli americani, con la seconda guerra del golfo avevano affinato tutte le tecniche necessarie, purtroppo con un clamoroso punto debole: il presidente Bush che sbagliò clamorosamente tutta la comunicazione perchè resosi conto di non aver l'appoggio mondiale come suo padre, reagì con l'arroganza della potenza egemone, parlando solo agli americani, dimenticando gli alleati al di là dell'oceano che peraltro erano anche i più vicini all'Islam e alle sue probematiche avendo per secoli negoziato, mediato, e fatto affari con esso. I risultati furono non solo all'interno del Consiglio di Sicurezza ma in tutto il mondo prese piede e si organizzò uno dei più potenti movimenti pacifisti di tutti i tempi che grazie alla televisione satellitare riuscì adorganizzare una manifestazione di piazza globale, con i telegiornali di tutto il mondo che per ventiquattro ore mandarono in onda le immagini della gente che acendeva in piazza a manifestare con la scansione del fuso orario. Una nota di colore fu che tutte le manifestazioni di piazza del mondo quel giorno furono baciate da una radiosa giornata di sole. Non piovve in nessuna località mandata in onda, dando la sensazione di una manifestazione, gioiosa, solare serena come una passeggiata all'aria aperte.
Ma nel breve periodo questo movimento pacifista globale non servì a molto,
contro una retorica manichea che fece leva sugli americani con concetti biblici come il Male, rappresentato dal nemico da combattere con le forze del Bene, cioè americane, la guerra venne chiamata con enfasi biblica prima di prendere un nome definitivo senza echi apocalittici e religiosi. Bush si mostrò convinto che l'America fosse l'unica speranza rimasta per liberare il mondo dal Male e lui, che ogni mattina ascoltava Dio che gli parlava, era convinto di essere il giusto mandante per questo immane compito. Verrebbe da dire: Got mit Uns, per l'autoelevazione dell'america al ruolo di "Guardiano della democrazia in questo mondo".

«Bush ritiene che il nostro paese stia diventando sempre più dissoluto, e che l’unica soluzione possibile – parole terribili, possenti e quasi sacre – sia quella di lottare per il predominio del pianeta. Dietro alla frenesia di dichiarare guerra all’Iraq si nasconde il desiderio di instaurare una robusta presenza militare nel Medio Oriente, che possa servire da trampolino di lancio per impadronirsi del mondo intero» (Norman Mailer, Perchè contesto il presidente ).
Malgrado il fiume di parole e di menzogne, il mondo ebbe l' impressione che si fosse scatenata una guerra in attesa di trovarne le ragioni.
«nessuno, dai tempi di Lyndon Johnson in Vietnam, aveva sperperato tanto, in vite umane, danaro pubblico, retorica e prestigio dell'America, per ottenere così poco» (Vittorio Zucconi, La Repubblica 2004)

Eppure, secondo gli americani, la guerra la stavano vincendo e Bush aspettava solamente i risultati sul campo per riguadagnare percentuali dignitose di consenso, ma invece arrivarono ancora una volta i telefonini e il Web mandò in giro per il mondo le immagini dei soldati americani che torturavano e deridevano i prigionieri di guerra ad Abu Ghraib. L'esercito americano che aveva la presunzione ideologica di guidare il mondo per riportare la democrazia in quelle terre, fu sorpreso con le mani nella marmellata e il poco "rivestimento morale" che teneva insieme quella che il mondo sapeva essere un'occupazione armata per insediarsi sul territorio e sfruttare i giacimenti, andò a farsi benedire. Un po' come se una pattuglia della polizia avesse puntato il suo faro su un uomo in clergyman che stava rapinando il benzinaio.

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ROBERT FISK del Los Angeles Times in un suo recente articolo scriveva:
Mi sono accorto a quale enorme pressione sono sottoposti i giornalisti americani nel medio Oriente quando sono andato a salutare un collega del Boston Globe. Egli era ben contento di andarsene perché - ed era uno dei motivi principali - nei suoi articoli non doveva più forzare la verità per compiacere i lettori più esigenti del suo giornale.
Per esempio quando ho definito il Likud un “partito di destra, subito l’editore mi ha chiesto di non usare più quell’espressione, perché molti lettori avevano protestato. E allora? Bastava non chiamarlo più ‘partito di destra.’' … Così imparai che questi ‘lettori’ erano considerati dalla redazione del giornale amici di Israele, però mi risultava anche che il Likud, con Benjamin Netanyau, era proprio un ‘partito di destra’ come lo è sempre stato.
Non è il solo “aggiustamento semantico” del conflitto (guai a pronunciare la parola guerra) tra Israeliani e Palestinesi. Gli insediamenti illegali di ebrei, e solo di ebrei, nel territorio arabo erano chiaramente delle “colonie” e così sono sempre stati chiamati finchè I quotidiani hanno cominciato ad usare la parola “insediamenti” rispolverata al hoc, perchè prima era considerata sconveniente, tanto che al suo posto veniva usata la parola “periferia ebrea” o, in alcuni casi, ‘avamposti’. Così come quelli che nelle primissime cronache venivano definiti come “territori occupati” ora erano diventati “territori palestinesi contesi” così come scrivevano le ambasciate americane in Medio Oriente, su istruzione di Colin Powell.
Il “muro”, è l'imponente costruzione di cemento il cui scopo, secondo le autorità di Israele, è quello di impedire agli attentatori suicidi palestinesi di mietere vittime innocenti fra la popolazione civile israeliana. Il suo tracciato però non segue i confini di Israele nel 1967 ma penetra profondamente nei territori arabi. E' un muro, e lo si può vedere nelle farie foto che girano sul Web. Ma I giornalisti americani ed israeliana lo chiamano “fence” steccato, recinto di sicurezza, barriera di sicurezza. Anche se la barriera di cemento armato ò più alto del muro di Berlino...


Scrive Robert Fisk;
L’effetto semantico di questa operazione di depistaggio giornalistico è chiaro. Se il territorio palestinese non è più terra occupata ma oggetto solo di una disputa legale che può essere risolta nelle aule di un tribunale o in una discussione all’ora del tè, allora un ragazzo palestinese che lancia sassi contro i soldati israeliani in questi territori è uno che, chiaramente, non si sta comportando in modo corretto. Se una colonia ebrea costruita illegalmente in territorio arabo viene definita amichevolmente ‘periferia’, allora i palestinesi che osano attaccarla stanno compiendo un atto terroristico senza senso. ...
E naturalmente non c’è motivo di protestare contro uno ‘steccato’ o ‘una barriera di sicurezza’, dal momento che si tratta di parole che evocano lo steccato di un giardino oppure l’entrata di un complesso residenziale privato recintato. Così se i palestinesi protestano violentemente contro questi manufatti allora vengono automaticamente considerati delle persone generalmente malsane. E così, semplicemente con l’uso della nostra lingua, li condanniamo.
Queste sono regole non scritte che vengono seguite in tutta la regione. I giornalisti americani hanno usato spesso le stesse definizioni dei funzionari USA nei primi giorni di guerra in Irak, definendo coloro che attaccavano gli americani ‘ribelli’, ‘terroristi’ o ‘ultimi seguaci’ dell’ex regime. I giornalisti americani hanno adottato obbedientemente, e grottescamente, pari pari il linguaggio del secondo pro-console USA in Irak, Paul Bremer III.
La televisione americana, intanto, continua a presentare la guerra come una contesa senza spargimento di sangue in cui gli orrori del conflitto, corpi mutilati dai bombardamenti aerei, cadaveri strascinati nel deserto dai cani selvatici, non vengono minimamente rappresentati in TV. Gli editori di New York e Londra si preoccupano che la sensibilità dei telespettatori non venga ferita, che venga loro risparmiata la ‘pornografia’ della morte (ciò che è esattamente la guerra) e che i morti, che noi abbiamo appena ucciso, non vengano ‘disonorati’, facendoli vedere. Il modo schizzinoso con cui vengono trattati gli atti di guerra la rendono più facile da sopportare e i giornalisti da lungo tempo sono ormai diventati i complici del governo nel far accettare dai telespettatori la morte e il conflitto. I giornalisti televisivi sono così diventati una arma letale in più della guerra.
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La BBC
ha inviato un comunicato in cui invita i suoi giornalisti a non esprimere giudizi o commenti sui fatti che accadono nel mondo. Questo, spiega Richard Sambrok direttore dell'emittente televisiva britannica, per salvaguardare la reputazione di servizio pubblico d'informazione imparziale.
Piu' volte il primo ministro Blair ha contestato servizi della Bbc perche' raccontavano troppo la verita'.
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