martedì 15 aprile 2014

MURI E MURAGLIE

MURI E MURAGLIE

Non so che fine hanno fatto gli abitanti di via Anelli a Padova, quelli che hanno eretto un muro per circoscrivere un nucleo di persone provenienti da paesi extra comunitari. Le cronache non ne hanno più parlato, come su tutto si fosse compiuto. Certamente non sarà cresciuto il loro senso di sicurezza, e nemmeno diminuita la loro ansia. Certamente sono convinti di aver tracciato un confine tra loro - il mondo giusto e non inquinato - dai barbari.
Eppure basterebbe leggere la Storia, da Gerico al Vallo d’Adriano, alla Linea Maginot, al Muro di Berlino e quest’ultimo di Gaza eretto da Israele, per capire che i muri, le muraglie non sono mai serviti a nulla, se non a tentare di tracciare questa linea di demarcazione tra i noi e i loro e separare due mondi. Inutilmente. Poi ci sono i muri ideologici erano le arti, le congreghe, le camarille, le logge, gli albi professionali, i gruppi massonici, oggi sono il colore della pelle, il taglio dei capelli, e tutto ciò che alla vista suona diverso in greco Xeno, che fa paura, in greco phobos. Da qui: xenofobo.

Ma ripassiamo per un attimo quello che abbiamo visto fino ad ora.
Abbiamo detto che ad un certo punto, a causa probabilmente di una innovazione tecnologica ( i primi barbari scesero cavalcando con morso e staffe) entrano nelle sacre cattedrali dove gesti antichi hanno cristallizzato nel tempo la nostra cultura facendocela apparire inamovibile, e senza nessun rispetto per la sacralità dei gesti dovuti, scompigliano tutto dando scandalo.
Successe dopo la caduta dell’impero romano, che orde di barbari entrassero nelle cattedrali e violentassero suore su altari dopo averne cosparso il marmo con le ostie consacrate. Successe pero’ che alcuni invece si soffermarono a rimirarne le bellezze per tentare poi di riprodurle nei loro paesi, con scarsi risultati, a prima vista, perché le altissime pareti che erigevano erano troppo sottili e fatte coi mattoni invece che con le pietre massicce. Ma i barbari inventarono il gotico e allora cambiarono tutto il concetto di architettura.
Mi spiego?

Vi ricordate? Avevamo parlato dei viticultori, questi antichi eredi di ducati o contee che se ne stanno appollaiati nelle ville sulle cime delle loro colline piene di vitigni, antichi come loro, che fanno vini che vengono catalogati da maestri con voli pindarici di descrizioni che non capisce nessuno, producendo prodotti quasi inaccessibili…
Ecco, un giorno arrivano i soldati americani e se ne tornano in America con qualche tralcio di vite, e approfittando di una novità tecnologica che è l’aria condizionata, scoprono che la vite germoglia in qualsiasi punto e che il trucco sta nel tenere la temperatura costante in cantina per la fermentazione del mosto. Capita così che se passate per Napa Valley in California, e vi fermate a sorseggiare il loro vino, scoprirete che laddove dalle nostre parti il vitigno era sostenuto da legni particolari, legato con vegetali specifici, e nei solchi del terreno il contadino ci faceva crescere piante speciali per aromatizzare, qui in mezzo al deserto con vitigni tenuti insieme col filo di ferro, botti nuovissime, bolliture e altre scandalose manovre, fanno un vino che non avrà i quarti di nobiltà di quelli europei, ma ne vendono molto ma molto di piu’, ed è buono!
Sto divagando.
In realtà in questa conversazione volevo toccare il tema della comunicazione ( e ti pareva!) perché i muri che erano stati eretti per oltre un secolo, con il giornale che a mosaico metteva in una pagina tutto l’estratto del mondo che ci immaginiamo, mentre giornalisti iscritti ad un albo (di origine fascista) erano gli unici depositari di una tecnica che permetteva loro di discernere il grano dall’oglio e di propinarci la loro “Verità Rivelata Quotidiana”, una innovazione tecnologica – INTERNET – li ha rasi al suolo.

Il Mc Luhan diceva che leggere il giornale la mattina era come immergerci in un caldo bagno di schiuma delle nostre proprie convinzioni. Ed era così, perché ognuno comprava il giornale che RAFFORZASSE le opinioni che già aveva del mondo, della politica, del sistema ecc. anche se i giornalisti in fondo avevano ampiamente dimostrato di essere ben lontani dai cavalieri duri e puri dell’informazione ma che piuttosto erano loro ad inquinare le notizie frammentandole con le loro opinioni che la maggior parte delle volte erano eterodirette dal direttore o dall’editore.
Oggi però molte persone non comprano UN giornale, ma con lo stesso prezzo possono leggere TUTTI i quotidiani che vogliono, non solo, ma possono interagire col giornale non solo correggendo notizie apparentemente oscure o frammentarie, ma fornendo agli stessi giornalisti link per andare a quel paese ad aggiornarsi ( si intende un paese estero dove di solito l’informazione è meno inquinata). Il giornale non ci perde, rimanendo on line perché alla minor credibilità e di conseguenza a minori copie vendute, il profitto dell’azienda prospera attraverso i gadget che il giornale fa vendere.
Per ora.
Ma tutto è in movimento, e coloro che manipolano la comunicazione non sono contenti che una elite di nuovi e giovani intellettuali (è una nuova elite intellettuale, formata dal nuovo media, elite solo per ora, perché si espande in modo esponenziale) possa dissentire in modo virtuale perché si affacciano già nel Web nuovi personaggi (Beppe Grillo, Di Pietro, Barak Obama) in grado di far emergere il consenso dagli impalpabili vicoli virtuali e riversarlo nelle piazze.
Da qui una lotta, sottile e sotterranea che ci vede impegnati…


°

Sociologi e filosofi dibattono oggi sulla identità nazionale, sull'appartenenza, sull'individuo reale o virtuale, nel tentativo di spiegare come il fenomeno Internet abbia modificato i nostri comportamenti individuali e collettivi. Non essendo queste scienze esatte, la discussione di protrarrà ancora per anni senza che alcuno riesca a portare argomenti decisivi. Pure io entro in questo dibattito sicuro di portare solamente un'opinione che vale per quello che è, appunto un'opinione. Io condivido col McLuhan la convinzione che se si vogliono trovare soluzioni diverse occorre partire da diversi presupposti, un po' come: è nato prima l'uovo o la gallina che egli risolse in modo brillante affermando che la gallina altro non è che l'espediente inventato dall'uovo per diffondere altre uova sul territorio. Allo stesso modo, secondo me, occorre accettare per presupposto che il Medio Evo sia finito con l'invenzione della stampa a caratteri mobili che con i libri dal contenuto e prezzo omogeneo, aveva diffuso una lingua omogenea facendo nascere il nazionalismo.
Occorre soffermarci sul concetto di identità che oggi viene definita come coscienza di sé, che razionalmente sa distinguere il sé medesimo, insieme al noi di cui acquisiamo la consapevolezza attraverso le affinità, il vissuto, la storia, in rapporto con gli altri che sono culturalmente diversi.
L'uniformarsi della lingua attraverso la stampa su un territorio definito, fece proliferare scuole che insegnavano quella stessa lingua con la quale si amministrava lo Stato, la giustizia, la legge. Se questo discorso del McLuhan è accettabile per esempio in Germania, dove la Bibbia di Gutemberg insegnò a milioni di contadini a leggere attraverso la parola del loro Dio, altrettanto non si può dire della cattolicissima Italia dove non solo era proibito leggere la Bibbia, pena il rogo, ma con la caduta dell'Impero Romano e l'impraticabilità delle strade, le comunità si erano concentrate in città fortificate dentro le quali il popolo analfabeta continuava a parlare i propri dialetti. Dall'identità romana si passò all'identità cristiana e poi cattolica e a quella del proprio gonfalone. In questo contesto l'identità si formava prevalentemente attraverso la consanguineità dovuta all'istituto del matrimonio che era irreversibile. Attraverso di essa si eleggevano le affinità con il gruppo familiare e quando si incontrava l'anima gemella la si proponeva al gruppo dei consanguinei che ne mettevano alla prova le affinità prima di accettarla nel proprio gruppo. Questa nuova coppia, che si sceglieva ed era approvata per affinità, procreavano una generazione successiva di consanguineità e via così.
Quando, arrivati ai giorni nostri, la società diventò più fluida (liquida, direbbe Bauman) e si scoperse per esempio che il matrimonio non era qualcosa di unito in cielo come diceva il prete e che poteva sciogliersi in terra, non solo ci si avventurò in nuove unioni, ma gli individui diventarono esageratamente prudenti prima di contrarre legami indissolubili. Al solido ponte del matrimonio, che univa la sponda del presente con quella del futuro ben delineato e definibile, si finì per preferire il traghetto della convivenza all'insegna del: “vediamo un po' come va”, dell'unione con la condivisione dei mezzi per attraversare il fiume in piena della vita dove la sponda opposta è immersa nelle nebbie.
Bisogna partire da qui per interpretare il fenomeno Internet perché come diceva il McLuhan, le nuove tecnologie rafforzano quello che siamo già.
E se oggi alle relazioni preferiamo i contatti, meno impegnativi, che possono essere interrotti senza complicazioni, se abbiamo mille amici su Facebook ma non conosciamo il nome di battesimo del nostro vicino di pianerottolo, non sono questi i fenomeni generati dal mezzo, ma sono quello che il mezzo ha accelerato.


Per seguire questa conversazione occorre tener presente la Napoli in bianco e nero dei film di Totò o di Marotta, poi anche De Sica a colori con Sofia e Marcello e anche Manfredi di Operazione San Gennaro. Ormai il cinema ha sostituito il teatro nella rappresentazione della memoria e anche con alcune imperfezioni dovute ai registi, rende l’idea del passato. Imperfezione, dicevo, perchè noi non siamo responsabili di quello che dalla nostra memoria va perso, di quello che viene recuperato nella sua integralità o riproposto con le modifiche della modernità, forse dipende dal caso o dalla fantasia degli artisti, ma non è di questo che volevo parlare. Dicevo invece che nelle immagini dei film che vi ho proposto si vede una Napoli che rappresenta in qualche maniera com’era la società che viveva nelle città del primo dopoguerra. I nobili vivevano ai piani alti dei palazzi, sotto stavano quelli che una volta erano i servitori e che sono diventati artigiani. Nel cortili del palazzo c’è il portiere, il ciabattino, il barbiere, il sarto e dalle case che si affacciano sulle stradicciole qualcuno si improvvisa commerciante. Il nobile decaduto attraversa la strada con l’attenzione passiva del popolo, qualche volta con antico rispetto. I nuovi malavitosi vivono nel quartiere e sfoggiano segni di un pacchiano benessere che saranno i modelli per le nuove generazioni che non hanno altri esempi a cui attingere. Tutti coabitano nello stesso ambiente e tutti sono partecipi dei problemi o della felicità di tutti. In poche parole tutti SOCIALIZZANO che oggi è un termine in disuso e quindi vediamo di recuperare alcune definizioni (la definizione è parte della sostanza). Se chiedete al sociologo, vi dirà che essa è la trasmissione e l’interiorizzazione dell’insieme dei valori di quella comunità, che inizia con la scuola e all’interno della famiglia per poi continuare in modo meno intenso ma più diffuso quando l’individuo entra nel vero e proprio tessuto sociale, col lavoro, il matrimonio i figli, continuando una catena di trasmissione di valori morali che forma(va)no la tradizione. Io ci aggiungo il socializzare inteso come amore, affetto, fiducia e mutuo soccorso dove ad ogni azione non corrisponde un corrispettivo in denaro. Siamo in una fase propedeutica e quindi faccio esempi pratici. Vi si rompe un tubo dell’acqua. Prendete la guida telefonica che vi hanno fornito quando vi siete abbonati al servizio, chiamate con uno scatto alla risposta un locale un’officina, un laboratorio dove un titolare paga l’affitto per espletare il proprio lavoro e dite ad una segretaria, pagata per rispondere al telefono, di mandarvi un idraulico. Quello monterà su un furgone preso con il leasing, si sposterà per la città e verrà a fare la riparazione ed emetterà una fattura. Tutto questo andrà ad aumentare il PIL, Prodotto Interno Lordo, che ad intervalli regolari viene misurato per verificarne con soddisfazione la crescita.
Se si rompeva il tubo alla signora Maria, invece, si affacciava alla finestra per cercare qualche bimbo conosciuto ed individuato il figlio della lattaia, lo pregava di andare dal portiere del numero dodici a dirgli se poteva venire per una riparazione. Il signor Giovanni, il portiere in questione, nell’intervallo del suo lavoro andava a casa della signora Maria e le riparava il tubo. La signora nel frattempo aveva fatto le melanzane e gliene dava un bel piatto da portare alla famiglia per la degustazione, con sommo orrore degli economisti, e dei nostri governanti che in tutta quell’azione non riscontravano il passaggio di danaro e quindi non saliva il PIL.
Ma c’è di peggio: se uno affama la famiglia per comprare l’auto con cui incrementa l’inquinamento atmosferico della città con conseguenze dannose per la salute e va a sbattere contro un’altra auto riportando ferite che lo obbligheranno alla sedia a rotelle mentre la macchina ha bisogno del carrozziere, tutto questo verrà registrato come incremento del PIL cioè del nostro benessere e della nostra felicità mentre in questo caso è vero il contrario.
Tornado all’argomento che stiamo trattando, in quella società precedente l’epoca consumistica nel tessuto sociale si potevano riscontrare alcune cose che si sono perdute, per esempio la condivisione dei beni e dei servizi all’interno della famiglia, la solidarietà ed il mutuo soccorso con vicini e conoscenti e la cooperazione a progetti di vita con gli amici.

Nella società a benessere crescente, succede che i figli, quando crescono, giustamente se ne vanno. Se prima le donne di campagna andavano a servizio in città dalla parente o nella ricca famiglia di conoscenti, se i maschi andavano a fare gli apprendisti in qualche officina gestita da amici, ora dove vanno i giovani non trovano nessun supporto affettivo e tutti i servizi di cui hanno bisogno sono a pagamento. Non solo, ma le famiglie colpite da improvviso benessere si trasferiscono in quartieri dove si trincerano in ghetti dentro i quali si riconoscono con i nuovi arricchiti. Il nobile decaduto vende il palazzo e si trasferisce nella casa in campagna mentre la società immobiliare che compra trasforma il palazzo in appartamenti da vendere a nuovi arrivati. In pratica il territorio viene ceduto a sconosciuti che a loro volta hanno lasciato il luogo dove socializzavano e che qui si trasformano in egoisti, solitari, egocentrici consumatori, che come unica comunità che conoscono è quella del supermercato e dei centri commerciali, assolutamente privi di legami sociali, abitanti ideali dell’economia di mercato sognata dagli economisti che sognano un’inarrestabile crescita del PIL.
Economia morale - la definisce Zygmunt Bauman, il sociologo che più di altri ha studiato questi fenomeni contemporanei - e continua:

E’ perchè l’economia morale na scarso bisogno del mercato che le forze del mercato si levano in armi contro di essa.In questa guerra viene impiegata una duplice strategia.
Primo, mercificare quanti più aspetti possibili dell’economia morale indipendenti dal mercato e riforgiarli come elementi di consumo. Secondo, qualunque cosa resista a tale mercificazione viene considerata irrilevante per la prosperità della società dei consumatori.

In una società addestrata a misurare i valori in base al cartellino del prezzo, più un oggetto costa e più a valore, le cose che non costano nulla ma con alto contenuto morale, non sono ufficialmente accreditate come fonte di benessere per l’umanità.


Sto tracciando un quadro a grandi linee. Mi rendo conto che la situazione è molto più complessa, ci sono dinamiche molto più eterogenee, ci sono processi sociali che come quelli industriali, ad ogni nuovo procedimento produttivo generano scarti, che ora sono impercettibili come fiocchi di neve ma che nel tempo provocheranno valanghe.
Continuiamo quindi il nostro ragionamento tenendo presente che sotto traccia, silente ma inesorabile, ci sono gli scarti umani di qualsiasi procedimento economico e il bisogno di solidarietà che spinge le persone a socializzare, malgrado tutto.



VISITARE GLI AMMALATI

Quanto tempo è che non lo fate? Non intendo accudire qualche parente infermo, ma dar da bere agli assetati, consolare gli afflitti, visitare gli ammalati... eppure sono cardini della carità cristiana. Nessun rimprovero da parte mia, me ne guarderei bene! Sottolineo come non rimorda in alcuna coscienza questa mancanza fisica di mutuo soccorso perchè l’abbiamo sostituita con l’adozione a distanza, un Euro per la ricerca, un sms per i terremotati e altri palliativi virtuali.
Eppure se ci voltiamo a guardare le macerie della nostra vita sociale ci accorgiamo che il fenomeno è impercettibile ma si accumula negli anni come la deriva dei continenti. Cominciò dalle case, che non furono più quella lasciata daI nonnI da ristrutturare ampliare per farci una stanza dei bambini, o quella comprata dalle vecchie zie. Con il primo benessere la casa fu quella comprata altrove, in un altro quartiere dove la struttura, il colore, il verde e il prezzo diventavano una manifestazione esteriore dell’ essere saliti nella scala sociale. Non erano ancora ghetti con entrate sempre più piccole e uscite sempre più grandi per far passare i SUV. Quelli lo diventarono in seguito, quando gli scarti della società lambivano la vista e non potendo più nasconderli si optò per la tolleranza zero, impraticabilità degli spazi attigui, muri, guardie giurate videocitofoni, barriere per le auto...
Scomparve la “stanza del dolore” quella dietro il corridoio dove giocavano i bambini ed i grandi andavano a zittirli perchè il nonno è ammalato. I vecchi non morivano più in casa perchè molto prima erano stati parcheggiati negli ospizi e la morte e il dolore reale, era stato sostituito con le decine di uccisioni e sangue virtuale che la televisione versava ogni giorno negli occhi dei nostri ragazzi che venivano affidati a governanti arrivate da altri luoghi da altre culture,che raccontavano ai nostri figli le storie della loro terra, facendogli perdere quel bene prezioso che è la memoria dei nostri vecchi...

Si sono costituite così due tipi di società. Una “alta” isolata nei propri ghetti che non partecipa alla vita del territorio ma vive la propria socialità in altro modo: non ha più contatti ma connessioni che permettono per esempio a professionisti di scambiarsi opinioni attraverso il Web, e incontrarsi ogni tanto in convegni, conferenze vacanze pagate da sponsor di cui hanno promozionato le vendite. L’altra società, quella “bassa” invece lotta per i problemi del qui ora in questo luogo. E se la percezione della realtà dei primi è la presa di coscienza che non si può far nulla per problemi che nascono da luoghi sempre più lontani, gli altri prendono coscienza del fatto che hanno perso la forza contrattuale che permetta per esempio di imporre la pulizia delle strade, la raccolta dell’immondizia, la sicurezza dei luoghi, il buoncostume...


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