mercoledì 19 marzo 2014

CONTADINO CADE DA UN PERO

Il New York Times del 7 Luglio 1957 scriveva:
Il direttore del Centro Ospedaliero ….riferisce che un topolino, probabilmente assuefatto ai programmi televisivi, ha morsicato una bambina e il suo gatto.
Riportiamo la notizia solo per avvertirvi che i tempi stanno cambiando…”

In uno dei miei viaggi per lavoro, una mattina a Trento, durante la colazione in albergo lessi sull’Adige, il quotidiano locale, questa notizia spalmata su otto colonne con foto centrale:

CONTADINO CADE DA UN PERO

Seguiva l’articolo:
Il signor…..che ha il podere di sua proprietà situato sulla collina di fronte alla Piana di… come ogni giorno si è recato al lavoro anche se di questi tempi il mercato delle pere…(lunga disquisizione sul mercato delle pere) e poiché è la stagione della potatura autunnale (segue descrizione delle varie potature) appoggiata la scala sul pero di sua proprietà si è messo a lavorare di buona lena, ma ad un tratto, forse per essersi sposto in modo eccessivo, la scala non lo ha retto e lui si è trovato sbilanciato finendo al suolo,e miracolosamente, non si è fatto nulla.


Sempre nella cronaca cittadina c’era pure un incidente sull’autostrada per andare a Venezia, con due morti e negli esteri, un autobus che in una impronunciabile provincia indiana era finito in un burrone causando centoventi morti.
Accidenti, centoventi morti! Mettiamo che l’autobus abbia una sessantina di posti a sedere, poi ci devi mettere la calca nel corridoio… ah già poi ci sono quelli sul tetto: i conti tornano.
Certo, se il quotidiano avesse riportato la notizia dell’autobus finito in un burrone in India e nessuno si era fatto nulla, i lettori avrebbero chiamato il giornale chiedendo se erano quelle notizie da pubblicare.
Perché più lontano vai e più morti ci devono essere, per fare notizia…



Io mi chiamo Aldo, tu ti chiami…
Non solo ti volti quando dicono il tuo nome ma pure tu elaborando i tuoi pensieri ti chiami per nome e parli a te stesso, nella tua lingua. Anzi, io ne ho un’esperienza diretta per le varie lingue che conosco, a furia di abitare in un posto dove si parla un’altra lingua, puoi dire di averla appresa se quando parli con te stesso usi indifferentemente la tua lingua o la lingua del paese che ti ospita.
Meno la matematica.
Infatti se fai i conti li devi fare SOLO nella tua lingua madre.
Quindi possiamo dire che non c’è pensiero se non c’è linguaggio e non c’è linguaggio se non c’è la parola.
Interessante andare a vedere i tre testi sacri delle religioni monoteistiche come trattano la parola:
Ascolta Israele! Esorta la Bibbia degli Ebrei.
La parola come espressione
In principio era il Verbo, scrive Giovanni nel Vangelo a lui attribuito, messo insieme quando ormai il movimento era diventato la Chiesa.
La parola come comunicazione
LEGGI!” impone il Corano
La parola come apprendimento

Ma è la parola che genera il pensiero oppure è il pensiero che tiene sotto controllo la parola? Fino a pochi anni fa questo era il grande motivo di discussione, superata da McLuhan che ha teorizzato che il linguaggio è “metafora attiva”. La scimmia prima di cadere dall’albero e cominciare ad esplorare il terreno circostante, usava una mano davanti all’altra per procedere sui rami. Quando fece la scoperta che poteva dondolarsi e lanciarsi da un ramo PRIMA di afferrarsi ad un altro, QUELLA fu l’invenzione della metafora. Sempre che Darwin possa essere accettato, allora potremmo teorizzare che la prima scimmia che toccò il terreno e cominciò ad esplorarlo, si perse. Le altre, più prudenti toccarono anch’esse il terreno ma rimasero molto più vicine all’albero della loro comunità e così rappresentarono le avanguardie intellettuali, che se sono molto più avanti si perdono, se invece pur rimanendo avanguardie, mantengono il contatto con il comune sentire, svolgono un’attività intellettuale utile al progresso.

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